martedì 29 aprile 2008

La Bibbia nuovo libro da studiare nelle scuole pubbliche?

l'Unità 29.4.08
Indagine Eurisko Il 62% degli italiani dice sì
La Bibbia nuovo libro da studiare nelle scuole pubbliche?
di Roberto Monteforte

Perché non studiare la Bibbia nelle scuole pubbliche e non nella classica ora di religione, ma «laicamente», come elemento di conoscenza indispensabile per l’uomo contemporaneo? È una richiesta avanzata dal 62% dei cittadini italiani adulti con più di 18 anni interpellati dall’istituto Eurisko che ha condotto una ricerca internazionale sulla lettura delle «Scritture in alcuni paesi» (Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda, Germania, Francia, Spagna, Italia, Polonia e Russia europea), promossa dalla Federazione Biblica Cattolica e presentata ieri in Vaticano. Una risposta inattesa che rilancia una proposta avanzata a più riprese da associazioni culturali «laiche» come Biblia e osteggiata da settori della gerarchia cattolica che ha avuto ieri l’esplicito e autorevole avvallo del biblista monsignor Gianfranco Ravasi, posto da papa Benedetto XVI a capo del Pontificio Consiglio della Cultura proprio per la sua capacità di divulgatore e di dialogo con il mondo laico. «È importante che ben il 62% da noi in Italia si dice favorevole a inserire la Bibbia come argomento di studio nelle scuole, prescindendo dall’ora di religione. Dobbiamo chiederci – commenta Ravasi – se non abbia ragione Umberto Eco quando ha posto la questione perché i nostri ragazzi debbano sapere tutto sugli eroi di Omero e nulla sulle vicende di Mosé. Da quest’ultimo infatti è disceso un’ethos che pervade la cultura occidentale e che non è possibile mettere in un angolo». La pensa così anche il filosofo Massimo Cacciari. «Se un intellettuale laico non si confronta con la Bibbia e la tratta con stupida ironia, oppure non presuppone che quel libro è anche Parola di Dio, allora sbaglia mestiere». «È un libro - conclude - con il quale dobbiamo tutti fare i conti».
Che la secolarizzazione avanzi, ma che l’interesse per il sacro e per la Bibbia tenga, anche se in forme diverse da paese a paese, è quanto emerge dall’indagine Eurisko illustrata ieri in Vaticano dal sociologo Luca Diotallevi e dal presidente della Federazione Biblica Cattolica e vescovo di Terni, monsignor Vincenzo Paglia oltre che dallo stesso monsignor Ravasi. L’altro dato è quello della diffusione delle Sacre Scritture: quasi tutti gli statunitensi intervistati (il 93%) nelle loro case hanno una copia della Bibbia, a seguire si collocano la Polonia (85%) l’Italia (75%) e la Germania (74%). All’ultimo posto la «laica» Francia con il 48% e al penultimo la «cattolica» Spagna (61%). Ma quanto e come è effettivamente letta la Bibbia? «Nonostante risultati molto diversi da paese a paese - spiega Diotallevi - ciò che emerge è che la sete di Dio, nonostante la secolarizzazione, non si estingue e la Bibbia contribuisce a dare risposte alle tante domande di senso. La preghiera attraverso la Bibbia infatti rappresenta una pratica molto diffusa in tutti i paesi considerati, non appartiene ad una setta o a una minoranza, ma viene considerata e praticata da una larga maggioranza della popolazione. Questo anche se la gente poi ammette che la Bibbia è un testo difficile e chiede aiuto nella sua interpretazione». Il sociologo osserva pure come i cosiddetti cristiani «fondamentalisti» non conoscano la Bibbia.
Il Sacro testo finora è stato tradotto in 2454 lingue, ci sono ancora 4500 lingue nel mondo che attendono una versione per loro.

Bimba muore mentre genitori pregano, Coppia Usa chiedeva il miracolo negando le cure, incriminata

Bimba muore mentre genitori pregano

Coppia Usa chiedeva il miracolo negando le cure, incriminata

Bimba muore mentre genitori pregano(ANSA) - NEW YORK, 28 APR - Una bimba americana e' morta di diabete mentre i genitori pregavano per il miracolo senza rivolgersi ai medici.Dale e Leilani Neumann, questi i nomi della coppia che ha negato le cure alla figlia, sono stati incriminati per omicidio colposo. I Neumann credono alla lettera della Bibbia e sono convinti che le guarigioni vengano solo da Dio, come ha testimoniato la madre della bimba morta. Madeline non era mai stata visitata da un medico dall'eta'di 3 anni.

28 Apr 23:01
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commento: ottimo esempio di famiglia cristiana!

lunedì 28 aprile 2008

Soldato fa causa all'esercito «Discriminato perché ateo», Organizzava in Iraq assemblee di «liberi pensatori»

Corriere della Sera 28.4.08
Soldato fa causa all'esercito «Discriminato perché ateo»
Organizzava in Iraq assemblee di «liberi pensatori»
di Michele Farina

Jeremy Hall sostiene che la sua libertà di cittadino, sancita dal Primo Emendamento, è stata violata

Il maggiore Welborn li beccò nel luglio 2007. Nella calura di Camp Speicher, vicino a Tikrit, alcuni soldati «tramavano» contro la Costituzione.
Volevano disertare? Avevano ammazzato civili a sangue freddo? No. Quei soldati prendevano parte a una riunione dell' «Associazione liberi pensatori non credenti». L'ufficiale li attaccò: «La gente come voi non rispetta la Costituzione e va contro a quello che i Padri Fondatori, che erano cristiani, volevano per l'America». Welborn minacciò i soldati di stroncargli la carriera.
Il soldato scelto Jeremy Hall, 23 anni, ha raccontato tutto in una dichiarazione giurata presso una corte federale del Kansas. Ispiratore di quella riunione di atei, Hall ha fatto causa al ministero della Difesa perché ritiene che la sua libertà, sancita dal Primo Emendamento della Costituzione, è stata violata. Dopo lo scontro con il maggiore, Hall dice di aver ricevuto minacce da diversi soldati. Nel novembre 2007 è stato rimpatriato, ora presta servizio a Fort Riley dove un sergente recentemente lo ha affrontato senza motivo («ti spacco la faccia»).
La storia del soldato ateo, raccontata dal New York Times,
può far sorridere di fronte ai 4.000 americani caduti in Iraq. Jeremy Hall è tornato vivo. Ma il suo caso, secondo la «Fondazione per la libertà religiosa nelle Forze Armate» (Mrff), è preoccupante e non isolato. Il Pentagono minimizza: dal 2005 a oggi 50 denunce ufficiali per discriminazione religiosa su oltre un milione di militari in servizio. Mikey Weinstein, il giudice dell'Air Force in pensione che ha fondato l'Mrff, ribatte che le statistiche ufficiali non tengono conto di quanti evitano le denunce per paura. «Più di 5.500 soldati ci hanno contattato a partire dal 2004, quando scoppiò lo scandalo nell'Air Force». Allora i cadetti dell'Accademia protestarono perché gli ufficiali, evangelici «cristiani rinati» come il presidente Bush, «usavano la loro posizione per fare proselitismo». L'Air Force emanò nuove regole per limitare questo fenomeno. Con scarsi risultati, dice Weinstein al New York Times: «Alla fine, quelli che ti promuovono sono i superiori che ti invitano a pregare». E se non preghi possono essere guai. E' l'accusa del soldato Hall. Cristiano battista della Carolina, si arruola e va Bagdad «perché pensava che Dio fosse con noi». Ci ripensa. Si avvicina all'ateismo. Torna in Iraq nel 2006. In mensa, il giorno del Ringraziamento, qualcuno invita alla preghiera. Jeremy dice al sergente che è ateo. Lui s'infuria, Jeremy deve cambiare tavolo. L'estate successiva c'è lo scontrò con il maggiore Welborn. Che oggi è lapidario: «Storia falsa». Ma Timothy Feary, un altro militare che andò all'incontro dei «liberi pensatori», è pronto a testimoniare: «Jeremy dice la verità».

domenica 27 aprile 2008

Il museo creazionista, dove la storia è sprannaturale

il Riformista 27.4.08
Kentucky. avrà 500.000 visitatori annui, 160 impiegati e un cappellano
Il museo creazionista, dove la storia è sprannaturale
di Enrico Buonanno

Il 2009, l'anno mondiale di Charles Darwin, si sta avvicinando con falcate da dinosauro, ma nell'America in cui ben tre candidati repubblicani su dieci hanno affermato di credere al disegno intelligente, le celebrazioni del caso rischiano di essere messe in ombra dall'ultimo stadio evolutivo delle teorie creazioniste. A Petersburg, nel Kentucky, sorge da meno di un anno, tra mille squilli di trombe mediatiche, il nuovo Creation Museum, lo sfavillante supermuseo di storia naturale - ovvero un museo di storia sovrannaturale - costato 27 milioni di dollari per una previsione di 500.000 visitatori annuali. 160 impiegati, e un cappellano sempre a disposizione del pubblico, dovessero esserci domande o crisi improvvise tra chi ha pagato il biglietto. La base teorica è presto spiegata. Ken Ham, fondatore del gruppo «Answes in Genesis» e patron dell'istituzione, non scende a troppi compromessi: la Genesi è cosa da interpretare alla lettera; e se la lettera in questione contrasta praticamente con tutto il sapere scientifico moderno, significa, chiaro, che la scienza si sbaglia. «Preparatevi a credere!» recita il motto: il Creation Museum vi aprirà finalmente gli occhi.
Gli eroi votati alla dimostrazione che l'Universo, la Terra, gli umani non sono più vecchi di seimila anni - con qualche giorno di differenza gli uni dagli altri, ovviamente; si legga l'incipit dell'unico testo di riferimento e quindi si visiti l'apposito planetarium a sette dollari d'ingresso -, sono tutt'altro che retrogradi. Scientifica pretende di essere l'impostazione, e all'avanguardia sono i monitor, i modellini, le strabilianti ricostruzioni animate e le sale di proiezione con sedili vibranti ed effetti olfattivi. Il punto non è un ritorno all'ordine, ma un passo avanti clamoroso di zoologia, geologia, fisica, astronomia, il tutto al costo di un biglietto. Nessuna predica e nessun attacco. Lo scopo? Fornire prove e controprove per dimostrare scientificamente una serie di dati inoppugnabili: «Secondo gli ultimi dati raccolti» il Gran Canyon è stato creato dal Diluvio Universale; le stelle e i pianeti sono nati dal nulla nell'arco di appena sei giorni; i dinosauri hanno convissuto beatamente con l'uomo, che è sempre stato homo sapiens sapiens e, chiaramente, ha caricato i fratelli rettili a bordo dell'Arca di Noè. Va da sé che Caino, rimasto solo dopo la morte di Abele, sposò sua sorella per generare tutti noi. All'apparenza non tornano i calcoli, ma niente paura: gli esperti vicini ad «Answer in Genesis» forniscono al visitatore tabelle e salti mortali statistici per dimostrare che è tutto possibile. E certo non manca la nobile branca della sociologia: in una sala vengono mostrati in video un adolescente intento a guardarsi le donnine nude su internet, e una ragazza in procinto di avere un aborto. Come ci spiega in modo amorevole la voce guida, entrambi gli atteggiamenti sono dovuti alla convinzione diffusa che il nostro pianeta abbia milioni di anni.
I commenti sul sito www.creationmuseum.org sono semplicemente entusiastici: insegnanti di scuole cristiane ringraziano sentitamente per le verità fornite ai loro studenti in visita. «La Bibbia dice il vero. - ha affermato convintissimo mister Ham - Su questo non vi è alcun dubbio. Chiunque respinga le storie che Dio ci ha raccontato è un completo ignorante». E a quanto pare più di un giornale gli ha dato ragione, elogiando il realismo dei modellini, l'appropriatissima distinzione tra i "fatti" della scienza e le interpretazioni, e la squisita cortesia del direttore del museo ed evitando di domandarsi cosa mai capiranno i bambini, che a scuola imparano che l'Universo ha quattordici miliardi di anni e quindi vengono portati in gita al Creation. Non è una questione di libertà religiosa, né dei mostruosi passi a gambero del pensiero che ormai non fanno più scalpore. Nel Cinquecento umanisti puntuali pretendevano di stabilire l'età della Terra facendo il conto degli anni di vita dei patriarchi; qualcuno riusciva ad arrivare persino all'ora della Creazione. Duecento anni dopo lo studio dei fossili costrinse alla svolta, seimila anni non bastavano. Scriveva Isaac de la Peyrère, teorizzatore dei Predeamiti: «Anche la più piccola parte del passato oltrepassa di gran lunga l'epoca della creazione che comunemente viene fatta coincidere con Adamo». Ed era il 1655. Oggi, a distanza di tre secoli e mezzo, una ricerca Gallupp ha stabilito che almeno una buona metà degli americani ritiene che gli esseri umani non evolvano e siano stati creati così come sono poche migliaia di anni fa. Tant'è.
La vera questione è tutt'altra: il denaro non compra la felicità, ma può comprare la verità? I 27 milioni di finanziamenti raccolti dal Creation Museum non sono messi al servizio di un catechismo o di una blanda associazione religiosa, ma di un istituto coscientemente e programmaticamente mirato alla falsificazione dei dati e a un'opera di disinformazione su larghissima scala. La «Answer in Genesis» non tiene sermoni e non gioca nel campo della fede: è vero, alla fine del percorso di visita si può assistere a un filmino che spiega come il sangue del Cristo abbia lavato il peccato di Adamo (scientificamente, s'intende), ma la vera missione è diffondere "prove", certezze, nozioni, tutte ovviamente manipolate a bella posta.
Il giorno dell'inaugurazione, tra le proteste del mondo accademico e raccolte di firme, tutto ciò che si è potuto fare è stato perciò sorvolare Petersbug con un aereo da turismo munito di un piccolo striscione: «Thou Shalt Not Lie», «Non mentirai», «Non rendere falsa testimonianza». Il comandamento del Signore, lì, troppo in alto tra le nuvole perché un'umanità bambina, nel suo universo di seimila anni, vi possa evidentemente far caso.

sabato 26 aprile 2008

Perché i medici hanno bisogno del testamento biologico

l'Unità 26.4.08
Caricare di responsabilità il medico che ha di fronte un malato non più in grado di decidere è ingiusto oltre che sbagliato
Perché i medici hanno bisogno del testamento biologico
di Luciano Orsi

Se il paziente è ormai incosciente come si fa a rispettarne la volontà?
Ogni medico decide «in scienza e coscienza» ma questo non può bastare

Non passa giorno che da qualche parte non si sbandierino le grandi potenzialità terapeutiche della medicina. Tutti ormai sanno che l’attuale medicina dispone di molte “armi terapeutiche” che è tecnicamente possibile impiegare nelle fasi avanzate e terminali delle malattie inguaribili. Per converso quasi nessuno chiarisce che molto spesso la loro applicazione è controversa sia dal punto di vista clinico che etico. Infatti, soprattutto nel caso dei trattamenti di sostegno vitale (respirazione, idratazione e nutrizione artificiali, dialisi, ecc.) la correttezza clinica e la giustezza etica diminuiscono con l’aggravarsi della malattia e l’aumento degli oneri fisici e psichici imposti da tali trattamenti. Può il medico, di fronte ad un malato capace di intendere, volere e decidere, decidere da solo se tali trattamenti sono appropriati? La normativa giuridica, la deontologia e qualunque teoria etica rispondono senza esitazione con un secco “no”, poiché senza il consenso informato nessun trattamento, anche se clinicamente appropriato, è eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) lecito. Ma cosa succede se il malato perde la capacità di decidere per una demenza avanzata o un ictus grave? Senza un testamento biologico tutto il potere decisionale si concentra nelle mani del medico. Anche se il malato ha espresso in precedenza la volontà di non subire un trattamento, nessuno, neanche un parente stretto, può opporsi alla decisione de medico. La scelta finale dipende solo dall’orientamento del singolo medico che può ispirare la propria decisione ai pregressi desideri del malato o, all’opposto, ai suoi valori personali. Ma come si rapportano questi valori con le precedenti volontà di un malato che quasi sempre non ha mai visto prima o con cui non ha mai parlato di quali terapie praticare alla fine della vita?
Si dice, in modo rituale, che il medico decide in “scienza e coscienza”, ma tale supposta virtù che rapporti ha con i valori del malato, con le sue convinzioni morali, le sue ispirazioni spirituali? Come fa il medico a decidere “per il bene del malato” se non conosce qual è il giudizio del malato su ciò che è “bene per se stesso”? Cosa c’entra la “retta tradizione ippocratica della medicina” con le più intime convinzioni del malato, con la sua concezione di dignità, con la sua visione del mondo, con la sua concezione di qualità di vita, con il peso dei trattamenti che lui avrebbe giudicato sopportabile?
Non illudiamoci, non esiste, né mai esiterà, alcuna formula magica che permetta di calcolare se un determinato trattamento è proporzionato o se, invece, è un trattamento in eccesso. L’eccesso di un trattamento, impropriamente denominato “accanimento terapeutico”, non può essere fissato per decreto o normato in alcun modo da nessuna Autorità Morale, poiché dipende dal giudizio che i singoli soggetti assegnano ad alcuni elementi come le probabilità di successo di una terapia, il rapporto fra un presunto aumento della qualità e quantità di vita biologica ed i rischi connessi. Pertanto, una stessa terapia può essere eticamente appropriata per un individuo e sporporzionata per un altro individuo in base ad una diversa concezione della medicina, della qualità della vita, della malattia e della morte.
Se il medico italiano vuole davvero rispettare le volontà pregresse di un malato ormai mentalmente incapace non può che ispirarsi alle consolidate esperienze dei colleghi di tante nazioni in cui il testamento biologico è operante ed attivarsi per aiutare ogni suo assistito che lo desidera e/o che volge verso la fase finale delle malattie a pianificare in via anticipata i trattamenti. Questa è la sola strada per formulare delle direttive anticipate che orientino in modo eticamente legittimo le inevitabili decisioni terapeutiche che i medici dovranno prendere quando il malato non potrà più farlo in prima persona.

TESTAMENTO biologico. In Parlamento non è stato raggiunto neanche stavolta l’obiettivo della regolazione del diritto di ogni individuo a decidere ...

l'Unità 26.4.08
Italia 2008: pazienti ancora senza voce
TESTAMENTO biologico. In Parlamento non è stato raggiunto neanche stavolta l’obiettivo della regolazione del diritto di ogni individuo a decidere sulle cure del futuro che lo riguardano

Il cammino legislativo sulla volontà del paziente deve ripartire al più presto

Nella legislatura che si è appena conclusa, come nella precedente, non è stato raggiunto l’obiettivo della regolazione, per via legislativa, degli strumenti per dare attuazione al diritto di ogni individuo a decidere autonomamente sulle cure, anche future, che lo riguardano. Eppure sembravano essercene tutti i presupposti. Innanzitutto, l’attenzione per il tema, trasversale alle diverse forze politiche. In secondo luogo, il condiviso richiamo al principio di volontarietà dei trattamenti sanitari affermato dall’art. 32 della Costituzione. In terzo luogo, l’avvertita necessità di contrastare l’accanimento terapeutico, dotando i medici di criteri per assumere decisioni cliniche rispettose dei malati non più capaci.
Se, nonostante le positive premesse, il percorso verso la legge si è affollato di ostacoli, è perché nel dibattito, fuori e dentro le sedi politico-istituzionali, si sono insinuati alcuni argomenti, fatti propri soprattutto dagli esponenti teo-dem e teo-con di maggioranza e opposizione, di cui va denunciato il carattere fuorviante e mistificatorio.
Con il testamento biologico passerebbe l’idea che la vita vissuta in una condizione di malattia, con perdita della capacità, sia meno degna di rispetto e, di conseguenza, l’idea che, nei confronti dei soggetti per i quali non si prospetta nessuna possibilità di recupero, sarebbe giustificato il disimpegno assistenziale. Ancora, si svuoterebbe la relazione medico-paziente della sua valenza fiduciaria, riducendo il medico a puro esecutore di prestazioni. Infine, si spianerebbe la strada all’eutanasia.
Ma, battersi per il testamento biologico e per una legge che tolga di mezzo i dubbi sul suo valore giuridico non significa affatto avvallare l’abbandono terapeutico, né umiliare la professionalità del medico, e nemmeno aggirare con un sotterfugio le resistenze che impediscono un chiaro confronto sull’eutanasia. Significa, piuttosto, prendere atto che, grazie alle tecniche di sostegno vitale, la medicina moderna crea, talora, situazioni (non volute e non sempre prevedibili) di sospensione tra la vita e la morte (lo stato vegetativo permanente ne è il caso più emblematico), nelle quali non vi è nulla di naturale, e, in presenza di questa realtà, significa profondere il massimo impegno perché i soggetti esposti al rischio dell’incapacità non siano privati del diritto alle cure, ma nemmeno del diritto di rifiutare i trattamenti, anche salvavita, quando la sopravvivenza legata alla loro prosecuzione risulti in contrasto - come si legge nella sentenza della Corte di Cassazione del 16 ottobre 2007 sul caso Englaro - con «l’idea stessa della dignità della persona» da loro espressa prima di cadere in stato d’incoscienza. Diversamente, sotto la mistificante copertura della difesa ad oltranza della vita, si legittimerà che siano altri a decidere, non importa se in contrasto con le convinzioni e i valori del soggetto della cui vita si tratta.
Riconoscere nella libertà individuale un valore che si deve avere il coraggio e la coerenza di tutelare sino alla fine della vita è la prima e fondamentale ragione per prendere, a favore del testamento biologico, una chiara posizione, che attendiamo dalle formazioni politiche che della valorizzazione della libertà hanno fatto la parola d’ordine dei loro programmi durante la campagna elettorale. V’è da auspicare che, nella nuova legislatura, maggioranza e opposizione possano condividere l’impegno politico per la disciplina di strumenti funzionali ad un’assistenza rispettosa delle scelte e dei valori delle persone sino alla fine della loro vita, così come l’impegno politico per la creazione di strutture sanitarie in grado di farsi adeguatamente carico delle esigenze di tutti i malati nella fase terminale delle loro malattie.
Facoltà di giurisprudenza Università di Milano - Bicocca
Vice Presidente della Consulta di Bioetica, Milano

giovedì 24 aprile 2008

UN PROGETTO PER REDIMERE I PRETI PEDOFILI

la Repubblica - Mercoledì, 1 marzo 2000 - pagina 28
di MARCO POLITI

L' università del Papa
UN PROGETTO PER REDIMERE I PRETI PEDOFILI

Le dimissioni del cardinale

ROMA - Preti pedofili sotto i riflettori. Inutile chiudere gli occhi dinanzi ad un problema, che ha già fatto vacillare la gerarchia ecclesiastica negli Stati Uniti, in Canada e in Austria. A Vienna qualche anno fa il cardinale Groer fu costretto a dimettersi, in America le diocesi hanno dovuto pagare milioni di dollari per abusi sessuali. Adesso l' università del Papa, l' Ateneo Lateranense, ha deciso di affrontare senza veli l' argomento. "I sacerdoti pedofili - afferma un ricercatore - sono soggetti con disturbi di personalità, fragili e narcisisti, che traggono dal rapporto con i minori un rafforzamento della propria personalità". Identificarli e recuperarli, potrebbe essere il motto. Se ne occuperà il 4 e il 5 marzo un convegno dell' Associazione psicologi e psichiatri cattolici. L' obiettivo è di varare progetti di recupero per religiosi affetti da turbe sessuali. "Noi psichiatri cattolici - afferma il professor Tonino Cantelmi - siamo convinti che il pedofilo nelle sue forme più lievi, se è preso in tempo, può guarire". Cantelmi, presidente del-l' associazione, è anche diacono permanente. Racconta di avere avuto in cura centinaia di religiosi afffetti da disturbi sessuali o affettivi. Metà di loro vivevano situazioni di omosessualità e di pedofilia, l' altra metà era formata da depressi o gente in preda a ossessioni di vario tipo. In base alla sua esperienza Cantelmi traccia una "classifica" dei pedofili. Ci sono i sadici, rari peraltro, e per questi, ammette, "non c' è altro da fare che rinchiuderli". Ma gli altri vivono grossi sensi di colpa e possono "essere aiutati". E' necessario incoraggiarli ad uscire allo scoperto, a non nascondersi, a farsi curare. In questo campo la Chiesa cattolica italiana è ancora arretrata. In Germania esistono già iniziative speciali per aiutare i preti pedofili, in Italia se ne occupa solo un' istituto dei Padri Venturini. Dall' università del Papa dovrebbe partire l' impulso per riguadagnare il tempo perduto. Se i cattolici italiani si preoccupano dei preti traviati, la Chiesa anglicana è in ansia per i ricatti di cui i suoi pastori possono essere vittime. Basta, dunque, con quegli atteggiamenti che possono venire male interpretati o strumentalizzati. Consolare gli afflitti va bene, ma d' ora in poi bisogna stare attenti quando si asciuga una lacrima o si abbraccia una parrocchiana per confortarla o si stringe troppo la mano di un fedele disorientato. Per evitare scandali veri o presunti la Chiesa anglicana sta stilando un vademecum speciale. "Tanta gente viene a consultarci in privato e noi siamo alla mercè di ciò che queste persone decidono di raccontare", si sfoga il reverendo David Houlding, parroco a Londra e membro del comitato anglicano che stila il codice anti-molestie. Fra i consigli: non chiudere mai la porta durante un colloquio privato, tenere a portata di mano un testimone, garantirsi con le nuove tecnologie, per esempio una bella telecamera a circuito chiuso. Capita infatti - e lo sanno bene i preti anglicani e quelli cattolici - che una parrocchiana depressa possa cercare nel pastore un sostegno che non può o non deve dare. Allora meglio premunirsi. Per la cernita delle accuse vere o false è stato anche pensato uno speciale "tribunale episcopale".

Così i filologi conquistarono la libertà

Corriere della Sera 24.4.08
Una tappa fondamentale della nostra storia: dai divieti del Concilio tridentino alle aperture di Pio XII
Così i filologi conquistarono la libertà
Erasmo, Spinoza, Bruno: il pensiero moderno nato dalla critica testuale delle sacre scritture
di Luciano Canfora

È una storia affascinante quella della libertà di pensiero attraverso il faticoso e contrastato dispiegarsi della libertà di critica sui testi che l'autorità e la tradizione hanno preservato. Il campo in cui primamente in età moderna tale libertà provò a dispiegarsi fu quello delle «scritture» dette appunto «sacre»: un aggettivo che di per sé scoraggia la critica. E l'antagonista tenace, quando non minacciosamente repressivo, di tale libertà fu la Chiesa, furono le Chiese. Dal lungo processo di definizione di quel che poteva accettarsi come «canonico» a fronte del rigoglio di narrazioni biografiche sulla persona dell'iniziatore della setta (Gesù) alla «stretta» tridentina che sancì l'assoluta prevalenza della Vulgata di Girolamo: «stretta» tridentina che, si potrebbe dire, cede imbarazzata il passo all'irresistibilità della critica testuale, dopo circa quattro secoli, con l'enciclica di Pio XII, Divino afflante spiritu, del 30 settembre 1943, quando Pacelli, pur tra mille cautele e contorsioni, alfine dichiarò legittimo l'esercizio della critica testuale sul
corpus antico e neotestamentario.
Il cammino fu molto accidentato e il riconoscimento di aver sbagliato non fu mai esplicito. Le parole pronunciate dal dotto e facondo pontefice il 30 settembre 1943 furono: «Oggi dunque, poiché quest'arte (cioè la critica testuale, nda) è giunta a tanta perfezione, è onorifico, benché non sempre facile, ufficio degli scritturisti procurare con ogni mezzo che quanto prima da parte cattolica si preparino edizioni dei Libri sacri, sì nei testi originali, e sì nelle antiche versioni, regolate secondo le dette norme». E subito precisava: «(edizioni) tali cioè che con una somma riverenza al sacro testo congiungano una rigorosa osservanza di tutte le leggi della critica». Precisazione sintomatica, oltre che imbarazzante. Per coglierne l'assurdità, basta immaginarla applicata ad altri testi che abbiano anch'essi dato origine, via via nel tempo, a «scuole», seguaci, esegeti, ortodossi e non. Si pensi per esempio al corpus platonico e al suo più che millenario sviluppo, e ben si comprenderà l'effetto insensatamente contraddittorio dell'invito a coniugare «riverenza al sacro testo » e «rigorosa osservanza di tutte le leggi della critica». O si dovrà pensare che un testo affidabile di Platone possano darlo soltanto dei platonici puri e graniticamente fedeli al «verbo» del maestro (ammesso comunque che tale verbo esista
già preconfezionato, prima del necessario, lunghissimo, imprevedibile, lavorio critico).
Ovviamente c'è un sofisma cui affidarsi per cercare di tamponare la contraddizione. Che cioè solo quei testi (sacri, com'è noto: quelli inclusi nel canone cattolico) contengono «la verità», in ogni loro parte; il che dovrebbe comportare che perfetta ricostruzione del testo e perfetta aderenza al verbo rivelato, a rigore, coincidano. Infatti è assioma che la verità si esprime in un unico modo. Ma è evidente la petitio principii. Solo dopo aver ricostruito il testo si dovrebbe approdare (eventualmente) a scoprire quale verità esso contenga, e, successivamente, alla conclusione che esso — ed esso soltanto — contiene la verità. Invece qui c'è, sottintesa, la pretesa aprioristica che lì (e non altrove) ci sia la verità. Una «verità» data e precostituita e testualmente compiuta già prima della ricostruzione del testo. Oltre alla petitio principii ci sono poi difficoltà di ordine storico. Quei testi infatti: a) sono stati spiegati in modi vari dalle differenti confessioni e sette staccatesi via via dal ceppo «cattolico» (il che di per sé dimostra che essi potenzialmente contengono diverse verità e non di rado in contrasto tra loro); b) sono stati accompagnati, nel corso della tradizione, da numerosi altri testi consimili ma non coincidenti con quelli proclamati poi «canonici ». Alcuni, e non altri, a un certo punto furono espulsi dal «canone». Il che — oltre a rappresentare un'ulteriore petitio principii — per giunta accadde in un'epoca in cui già non esisteva più univocità testuale nemmeno dei libri inclusi nel «canone ». In tali condizioni, a maggior ragione, il richiamarsi a una prestabilita, unica, «verità» testuale racchiusa in quei libri appare immetodico.
Ma forse è superfluo insistere su questo punto così vulnerabile. Esso è inevitabilmente presente fintanto che quei testi vengono gravati di un peso e di un significato superiore rispetto a quello di tutti gli altri. Una pretesa di superiorità che automaticamente impaccia la libertà di critica (testuale).
Quando si ricostruisce questa vicenda, si comprende che essa coincide con la storia stessa della filologia, cioè della libertà di pensiero. Un grande intellettuale italiano della prima metà del Novecento, Giorgio Pasquali, fu autore di un libro memorabile, che andrebbe ciclicamente ristampato (non importa se «invecchiato», come potrebbe deplorare qualche fumatore di oppio bibliografico): la Storia della tradizione e critica del testo (la prima edizione è del 1934, la più recente è del 1988). Qui, il capolavoro nel capolavoro è il capitolo iniziale, dove Pasquali narra, con semplicità densa a ogni frase di dottrina non ostentata, come il metodo filologico volto a recuperare quanto possibile l'autenticità dei testi — una pratica in cui verità e libertà si sostengono a vicenda — si sia venuto formando, almeno da Erasmo in avanti, nel costante sforzo di ricostruire la formazione — e quindi la lettera — del Nuovo Testamento. Una lotta nella quale i cattolici brandivano i deliberati tridentini, particolarmente oscurantistici su questo punto, ma che vide anche le Chiese protestanti perseguitare i loro adepti che, studiando criticamente il testo greco del Vangelo, ne mettevano di necessità in crisi la comoda e arbitraria fissità e unità. Gli eretici degli eretici furono dunque allora i fondatori della filologia e, al tempo stesso, il seme della nostra libertà: il «campo di battaglia» furono quei testi imbalsamati come «sacri» e lo strumento della lotta fu, allora come sempre, la filologia.

Il diritto alla verità dopo i veti della Chiesa
Il saggio che pubblichiamo in questa pagina è il secondo capitolo del nuovo libro di Luciano Canfora, Filologia e libertà, appena edito da Mondadori (pagine 149, e 13). Come dice il sottotitolo, la filologia è «la più eversiva delle discipline», attraverso cui passano «l'indipendenza di pensiero e il diritto alla verità». Canfora, docente di Filologia greca e latina all'università di Bari, passa in rassegna i grandi momenti della critica testuale, dalle proibizioni del Concilio di Trento, alle concessioni di Pio XII, e racconta delle battaglie ingaggiate da giganti del pensiero, come Erasmo da Rotterdam, Baruch Spinoza, Giordano Bruno, per applicare la libertà di ricerca anche ai testi sacri.

Morire con dignità, la Spagna ha il testamento biologico

l’Unità 24.4.08
Morire con dignità, la Spagna ha il testamento biologico
Il provvedimento non prevede nessuna forma di eutanasia
I cittadini registreranno le loro volontà presso gli uffici sanitari
di Toni Fontana

DA IERI, in tutta la Spagna, è ammesso, tutelato e aiutato dalle istituzioni locali, il «testamento biologico» che permette a ciascun cittadino di «morire dignitosamente». Ogni spagnolo può compilare, presso gli uffici provinciali della Sanità, un modulo nel quale specifica fino a quando, in caso di grave
malattia, intende avvalersi dei trattamenti medici. Si conclude così un complesso iter legislativo iniziato nel 2002 quando il Parlamento spagnolo approvò la «legge sull’autonomia del malato» che entra in vigore ora perché tutte le regioni non solo l’hanno recepita, ma hanno completato l’istituzione dei «registri regionali». I dati raccolti confluiranno in un registro nazionale che già riunisce le volontà di 35.500 spagnoli che si sono rivolti ai servizi delle 12 regioni che hanno anticipato l’entrata in vigore della legge.
Il provvedimento non va confuso con quelli che giacciono nel parlamento spagnolo, e riguardano il diritto all’eutanasia attiva e passiva. La legge da ieri operativa in Spagna è stata approvata negli anni del governo della destra, è estremamente restrittiva ed è criticata aspramente da associazioni che si battono per i riconoscimento dell’eutanasia. Dmd (Diritto di morire dignitosamente, dmdmadrid@eutanasia.ws) giudica «burocratico e poco pratico» il provvedimento che contiene limitazioni molto evidenti. Il malato può indicare senza censure e limitazioni la propria volontà, ma con due precise restrizioni: non può sollecitare l’eutanasia, né attiva, né passiva, e non può segnalare nel testamento «trattamenti contrari alle buone pratiche mediche». Non solo. Il parere del medico rimane in ogni caso vincolante e prevalente su quello del malato.
Il medico può dunque decidere di proseguire i trattamenti anche se nel testamento biologico è specificata una volontà opposta. Le associazioni fanno per questo notare che «l’esistenza del testamento biologico non garantisce la sua attuazione».
Dmd cita un caso: «Un uomo gravemente malato è stato ricoverato all’ospedale La Paz di Madrid. Una delle due figlie, iscritta all’associazione “morire dignitosamente”, si è espressa per la sospensione dei trattamenti, l’altra si è detta contraria. I medici hanno accolto la volontà di quest’ultima». Da queste considerazioni appare chiaro che è decisivo che il cittadino possa esprimere in modo chiaro e inequivocabile le proprie volontà utilizzando moduli e formulari facili da compilare. Quello definito nella regione delle Asturie lascia ad esempio molti spazi liberi e permette a chi lo compila di scrivere ciò che vuole. Le associazioni ritengono però indispensabile specificare il «grado di infermità mentale e di senilità e i danni cerebrali» e che ciò vada fatto «con l’assistenza del medico curante che deve indicare i trattamenti che vengono somministrati al malato». Dmd tiene un archivio centrale parallelo a Barcellona fin dagli anni 60.
I pareri degli esperti sono discordi sulla legge entrata in vigore ieri. Marsa Iraburu, esperta di bioetica, la ritiene una buona legge «sufficiente nella maggioranza dei casi quando la famiglia si esprime per la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione». Meno favorevole il parere di Marcelo Palacios, presidente della Società Internazionale di Bioetica (Sibi), nominato nel dicembre 2007, membro del Comitato di Bioetica e consulente del governo: «Una persona in stato terminale - afferma - non muore perché viene sospeso il trattamento, ma perché stava in stato terminale. Io rivendico il diritto di poter decidere quando lasciare la vita, quale ultima immagine di me voglio lasciare ai miei amici e ai miei figli». Il tema dell’eutanasia non è stato al centro della campagna elettorale che si è conclusa il 9 marzo con la vittoria di Zapatero. Solo la sinistra radicale (Iu) ne aveva fatto cenno nel suo programma.

«Assumere più non-obiettori per rispettare la 194»

l’Unità 24.4.08
«Assumere più non-obiettori per rispettare la 194»
Ignazio Marino: il boom di chi dice «no» agli interventi abortivi?
Gli ospedali devono garantire medici per le Ivg, la legge va applicata
di Cristiana Pulcinelli

SECONDO i dati forniti dal ministero della Salute, i ginecologi obiettori di coscienza sono moltissimi: nel 2007 hanno raggiunto quasi il 70%. Questo vuol dire che la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza è sempre più difficile da applicare. Come si è
giunti a questo punto? Il senatore Ignazio Marino ha una sua interpretazione: «Credo che il dato più rilevante sia l’aumento del numero di obiettori. Questo fenomeno ci indica che anche chi inizialmente non aveva fatto la dichiarazione di obiezione di coscienza, a un certo punto ha deciso di farla»
Perché?
«In alcuni luoghi i medici non obiettori sono davvero pochi. Ci sono grandi ospedali che ne hanno due o tre, i piccoli ospedali possono averne anche solo uno. Un professionista che, per una situazione contingente, si trovi ad essere l’unico non obiettore, dovrà tutti i giorni eseguire solo aborti. Dal punto di vista professionale e umano questa situazione potrebbe spingerlo a dire: faccio anch’io l’obiettore. Io sono dell’opinione che uno stato laico debba avere una legge sull’aborto, ma non posso non immaginare che, così come per la donna l’aborto è sempre una sconfitta, per un medico sia psicologicamente difficile accettare di fare queste procedure tutti i giorni per tutti gli anni della sua vita professionale».
Si può pensare che qualche medico faccia l’obiettore nella struttura pubblica dove lavora e poi pratichi le interruzioni di gravidanza in privato?
«È un discorso delicato. C’è stato un fatto di cronaca che ha messo in evidenza una situazione di questo genere. Ma, in generale, immagino e spero che, se questi fatti esistono, siano marginali».
Che ne pensa dell’ipotesi di istituire un albo dei ginecologi obiettori in modo che sia garantita la trasparenza delle scelte?
«Per la verità, l’informazione è già in parte pubblica. Il medico infatti deve fare la sua dichiarazione all’ordine dei medici. Teoricamente, quindi, un’anagrafe esiste: basta che si risalga ai documenti. Credo però che il problema sia un altro. E cioè organizzare le cose in modo da fornire la garanzia nei confronti dei cittadini che la legge venga rispettata su tutto il territorio nazionale».
Come si può ottenere questo risultato?
«Il problema è che ci troviamo di fronte a una procedura che viene percepita come una sconfitta, ma che, secondo una legge, deve essere garantita. Quindi chi ha compiti istituzionali, come il direttore generale di un ospedale, ha tra i suoi doveri quello di avere il personale per eseguire le interruzioni di gravidanza. E lo deve fare anche programmando le assunzioni».
In sostanza, dovrebbe assumere preferenzialmente chi non è obiettore?
«Mi rendo conto che questa mia affermazione può espormi a delle critiche, ma se è vero che esiste la coscienza individuale esiste anche il problema di far rispettare le leggi di uno stato laico. Ricordo sin troppo bene quando mi trovavo a Roma negli anni Settanta. Ero appena laureato e l’aborto non era legale. In quel periodo ho visto arrivare in ospedale diverse ragazze con l’utero perforato dagli aghi delle mammane. Alcune di esse le ho anche viste morire per emorragia. Chi aveva soldi invece andava a Villa Gina dove l’aborto si praticava a pagamento, ma clandestinamente. Non credo che uno stato possa tornare indietro a quei tempi».

mercoledì 23 aprile 2008

La reliquia è un falso: il saio di San Francesco smascherato dai fisici

La reliquia è un falso: il saio di San Francesco smascherato dai fisici
Francesco Defferrari
il Giornale, 06-09-2007

La tonaca di San Francesco conservata nella chiesa di Santa Croce a Firenze non è originale. Le analisi hanno accertato che risale a 80 anni dopo la morte del santo. Originale invece la tonaca di Cortona, compatibile con il periodo in cui visse Francesco D'Assisi, tra il 1181 e il 1226, e così anche altre reliquie come il cuscino ricamato che, secondo la tradizione, fu deposto sotto la sua testa dopo la morte e un evangeliario, cioè un testo liturgico con brani del Vangelo, anch'essi a Cortona. Curiosamente il cordone della tunica, falsa, di Santa Croce corrisponde al periodo della vita del santo.
Le analisi sulle reliquie sono state condotte a Firenze con l'acceleratore di particelle del Laboratorio di tecniche nucleari per i beni culturali dell'Istituto nazionale di fisica nucleare. Lo studio è stato presentato ieri a Firenze nel corso della Conferenza internazionale sull'applicazione degli acceleratori di particene, e sarà pubblicato nel libro L'eredità del Padre: le reliquie di San Francesco a Cortona (Edizioni Messaggero di San Antonio) in cui sono riportati i risultati della ricerca promossa dagli stessi Frati Francescani.
Le analisi sono state condotte con il metodo del carbonio 14, che misura l'età di un oggetto calcolando la progressiva degradazione di questo elemento. I ricercatori hanno prelevato campioni di stoffa da ciascuna delle due tonache, li hanno trasformati in minuscole pastiglie di grafite e inseriti nell'acceleratore per estrarre gli isotopi di carbonio C12, CI3 e C14. Le quantità degli isotopi rapportate tra di loro permettono di datare con precisione un reperto, e la tunica di Santa Croce, risalente alla fine del 1200, è posteriore di decenni alla morte del santo.
Nulla si sa in effetti sulla provenienza di questa tonaca, mentre gli oggetti conservati a Cortona sarebbero stati portati da frate Elia, primo successore di San Francesco. Dimostrare l'originalità delle reliquie di Cortona era il maggiore interesse dei Francescani. Padre Antonio Di Marcantonio, ministro provinciale dei francescani della Toscana, è contento dei risultati. «Sono stato io a promuovere l'indagine scientifica e i risultati ci danno nuove certezze. Lo studio ci ha indicato che le altre reliquie sono compatibili con il periodo in cui visse il Poverello.
San Francesco morente si fece mettere nudo sulla nuda terra - racconta padre Antonio -, ma qualcuno, probabilmente padre Elia, gli fece notare che era sconveniente morire senza le proprie insegne e a San Francesco, che intendeva lasciare questo mondo povero come aveva sempre vissuto, propose di indossare una sua tonaca, quindi un abito dato in prestito. Effettivamente, secondo i risultati dell'indagine, la tonaca di Cortona corrisponde alla corporatura di padre Elia.

Troppo recente quello in Santa Croce a Firenze, originale quello custodito
a Cortona: lo svela il carbonio 14

LA SCOPERTA
LE RELIQUIE ANALIZZATE
La ricerca è stata compiuta dal Labec, il Laboratorio per i beni culturali dell'Infn di Firenze in collaborazione con Università di Siena, Sovrintendenza beni culturali di Arezzo e Cislab di Arezzo. I ricercatori hanno operato con il metodo del radiocarbonio utilizzando la tecnica della spettrometria di massa con acceleratore

Il PROCEDIMENTO
1. Sono stati prelevati sette minuscoli campioni (circa 10 milligrammi) dalle tonache del santo di Cortona e Firenze e dalle fodere interne del cuscino
2. I micro campioni sono stati trattati con bagni acidi
3. Da ciascuno è stato estratto il carbonio ottenendo una pastiglia di meno di un milligrammo
4. La pastiglia è stata inserita nella sorgente dell'acceleratore dove un fascio di atomi di cesio ha "grattato" la superficie della pastiglia estraendone gli isotopi 12,13 e 14 del carbonio
5. L'acceleratore dell'INFN ha separato e contato gli isotopi del carbonio: per ogni mille miliardi di atomi di carbonio 12 ce n'è al massimo 1 di carbonio 14
CONCLUSIONI
La tonaca di Cortona è compatibile con la vita di San Francesco, mentre quella di Firenze è successiva. La ricerca ha dimostrato che anche il cuscino e l'evangeliario conservati a Cortona e il cordone della tonaca di Firenze sono compatibili


INGANNI STORICI
GIOVANNA D’ARCO RESTI FASULLI
L'eroina fu bruciata sul rogo a Rouen e i suoi resti gettati nella Senna: le reliquie conservate - svelano gli studiosi a fine 2006 - non sono della Pulzella d'Orleans

IL CRANIO DI CRISTALLO NON È AZTECO
Venerato dai seguaci New age come reliquia in grado di predire il destino dell'uomo, il teschio del British museum è in realtà stato tagliato in Europa nell'800

ILTESCHIO DI MOZART FALSO DNA
Era conservato fin dal 1902 al Mozarteum di Salisburgo, ma il teschio non apparteneva al genio della musica: lo ha rivelato il confronto col Dna dei familiari

Scienza e morale, l'utopia del dialogo

Corriere della Sera 23.4.08
Scienza e morale, l'utopia del dialogo
Boncinelli: «La ricerca punta ai risultati, non ai valori». Severino:«Ma impone la sua verità»

dialogo tra EDOARDO BONCINELLI ed EMANUELE SEVERINO
Boncinelli: Credo che da nessun punto di vista possa sussistere un contrasto tra scienza ed etica, perché si tratta di discipline che si occupano di problemi diversi. Ciò che di norma viene definito come contrasto tra scienza ed etica è in realtà il contrasto tra etiche diverse, ovvero tra portatori di etiche diverse, dove la scienza non è che il fornitore degli argomenti. Cinquant'anni fa non si poteva discutere di alcune cose per il semplice motivo che non erano possibili; prendiamo l'esempio della fecondazione assistita. La scienza ha messo sul tavolo opportunità che prima non esistevano e che hanno fatto discutere; ma a discuterne non sono gli scienziati con gli eticisti: a discuterne sono i portatori di un'etica con i portatori di un'altra etica. O, per meglio dire, i portatori di un'etica con i portatori di molte altre etiche, perché ci troviamo di fronte, da una parte, a una sorta di monolite che è l'etica cattolica, e dall'altra a tutto un ventaglio di posizioni abbastanza diverse, giacché la cosiddetta etica laica in realtà è unificata solo da una maggiore tolleranza per il progresso, una maggiore attenzione agli interessi dell'individuo e da un richiamo ridotto al magistero della tradizione. Da parte laica, e non solo in Italia, ma in tutto il mondo, c'è una vastissima gamma di posizioni, tanto che la contrapposizione fatta da Giovanni Fornero nel suo bellissimo libro, Bioetica cattolica e bioetica laica, pubblicato da Bruno Mondadori, è utile ma leggermente forzata. La scienza in tutto questo non c'entra, se non, lo ripeto, come fornitrice di occasioni.
Severino: Certo, si tende ad avere questa immagine della scienza come semplice fornitrice di occasioni, o come semplice strumento in vista della realizzazione di scopi che non appartengono allo strumento ma, al contrario, vedo una profonda solidarietà tra etica e scienza. Bisogna cominciare a chiedersi il significato di queste parole. Etica è una parola greca. Non che prima dei Greci non vi fossero problemi di carattere morale, sebbene, col pensiero greco, l'etica acquista una connotazione che potremmo dire inaudita. Allora, che cos'è l'etica prima e dopo questa connotazione inaudita? I popoli vivono, e credono di poter vivere meglio se si alleano con ciò che essi ritengono sia per loro la potenza suprema, e questo è abbastanza naturale, poiché per vivere mi appoggio a ciò che ritengo stabile, capace di reggere. Allora, questo agganciarsi a ciò che si ritiene la potenza suprema è il vivere in un ambiente rassicurante. La parola etica indica appunto il luogo in cui si vive, la consuetudine. Etica vuol dire: vivere in un luogo rassicurante perché ci si trova in accordo e non in contrapposizione con la potenza. Se vivo in un luogo e so che è minacciato, e so di non avere strumenti per difendermi, vado altrove. Invece ethos in greco indica la consuetudine, che è insieme l'ambiente in cui ci si può difendere.
Ma difendersi da che cosa? Dal dolore, dalla morte, dall'angoscia, dalla sofferenza, dai pericoli. Ora, con il pensiero greco, questo atteggiamento assume una radicalità che qualificavo come inaudita: la potenza con la quale ci si allea per sopravvivere e per difendersi dal pericolo è cio che il pensiero greco chiama «verità ». Se ci si allea con una finta potenza, allora l'alleanza è insicura; è quindi inevitabile che emerga l'esigenza di allearsi con ciò che è la vera potenza, che l'ethos sia l'alleanza con la vera potenza. Ma per fare questo bisogna che cominci a esserci l'idea o il significato della parola verità. È solo perché il pensiero greco porta alla luce il significato radicale della verità, che ci può essere un'alleanza con la potenza vera.
Ora, tutto quello che abbiamo detto dell'etica dobbiamo dirlo anche per la scienza, che non è affatto quella semplice occasione di opportunità, quella neutralità rispetto agli scopi di cui tu parli. No, anche la scienza merita che si dica di essa ciò che già aveva detto Nietzsche: la scienza nasce dalla paura, così come l'etica, perché difendersi alleandosi alla potenza vuole dire cercare di andare oltre la paura.
Cio che noi oggi diciamo «scienza » è lo sviluppo di tutte le tecniche messe in atto dagli uomini per non avere paura e per riuscire a sopravvivere. Qual è l'etica della scienza? La scienza ha ed è di per sé un'etica. E perché? Perché ha quell'insieme di procedure che, soprattutto oggi, dà agli uomini la fede, la convinzione che essa sia lo strumento che più efficacemente di altri consente di allontanare la paura. Allora etica significa difendersi dalla paura alleandosi alla potenza, che oggi viene dalla scienza identificata con la potenza soprattutto tecnologica; in questo senso non c'è scissione tra etica e scienza.
Nella tradizione, la vera potenza è quella verità il cui contenuto è soprattutto il Dio, quindi la potenza di una conoscenza indiscutibile che dice in modo indiscutibile:
il vero potente è Dio. Oggi non si dice piu così, anche se si dice una cosa simile; è cambiato il protagonista, è cambiata la qualifica del potente. Oggi il vero potente è la tecnica. La tecnica è l'erede della funzione di rassicurazione che nella tradizione veniva compiuta da Dio.
***
Boncinelli: Oggi si parla tanto di dialogare. Ma un vero dialogo, non formale e con pieno intendimento delle ragioni dell'uno da parte dell'altro, è raro e difficile. Forse appartiene alle tante favole della modernità. Si parla in particolare di dialogo fra scienza e filosofia. Non so se la scienza possa dialogare con la filosofia, ma certo io non posso dialogare con i filosofi, anche i più vicini a me per formazione e convinzione, almeno con quelli che conosco, salvo pochissime eccezioni.
La spiegazione che mi sono dato invoca la diversa natura della vocazione di chi si dedica alla scienza e di chi si dedica alla filosofia. Lo scienziato vuole raggiungere qualche conclusione, anche se provvisoria e incompleta, su temi che possono essere considerati di nessuna rilevanza (a parte il fatto che la scienza, e non le elucubrazioni teoriche, ha cambiato il mondo, anche se questo non piace a tutti). Al contrario, il filosofo vuole mettere tutto in discussione, vuole trovare il pelo nell'uovo — che c'è sempre, perché la conoscenza perfetta non è di questo mondo — e in definitiva non lasciare più niente in piedi. D'altra parte, non c'è concetto che, discusso a lungo, non perda ogni significato. Volendo, si può completare il quadro con un altro elemento di distinzione. Lo scienziato sperimentale sa fin dall'inizio che da solo non potrà mai fare niente. Al massimo potrà aspirare a dare un contributo che, unito a quello di tanti altri, porterà a qualche risultato, teorico o pratico. Di conseguenza, costui può anche essere un mediocre, anche se nessuno ammetterà mai di buon cuore di esserlo. Il filosofo, invece, o si limita a fare lo storico della filosofia, o pensa di dare un suo contributo. Ogni filosofo aspira a essere un grande filosofo. Aggiungerei infine che, a differenza di quella del filosofo, la visione dello scienziato sui fenomeni da studiare è intrinsecamente e irrimediabilmente locale. Quando aspira alla globalità, in genere in tarda età, fa quasi sempre della cattiva filosofia, anche se si chiama Albert Einstein. È chiaro che il modo di porsi davanti a tutte le questioni, risulta molto diverso nei due casi.
Severino: Da sempre, ma soprattutto nell'età moderna, ciò che si dice «scienza» è specializzazione, che separa un certo campo di oggetti, o di cose, da tutti gli altri e lo analizza in base a precisi criteri e metodi. Per lo più, l'analisi del significato della specializzazione — cioè del separare e dell'isolare — non rientra nello stesso campo. Non vi rientra quindi nemmeno l'analisi del senso della totalità, dalla quale la specializzazione isola il proprio campo. Queste analisi appartengono, da sempre, alla filosofia. Quando uno scienziato considera i rapporti tra il proprio campo e la filosofia, non parla dunque in nome della propria disciplina. Si porta sul piano della filosofia, con maggiore o minore coscienza; vi si porta inevitabilmente — e, d'altra parte, anche quando si chiude nel proprio terreno, si appoggia pur sempre a qualcosa che gli è esterno, cioè al senso che il pensiero filosofico ha attribuito alla «cosa», all'oggetto.
Anche gli individui seguono (e tradiscono) certe specifiche regole di comportamento. In questo senso delimitano a loro volta un dominio particolare di cose, sono essi stessi, gli individui, specializzazioni. Si muovono però sempre, volenti o nolenti, all'interno delle grandi regole etiche seguite (e tradite) dai popoli a cui appartengono. Anche quando danno risalto alle proprie regole di comportamento, in qualche modo percepiscono la scacchiera greca su cui giocano la vita e su cui ormai tutte le vite si avviano a essere giocate.
Ma se oggi nemmeno a uno scienziato è consentito dominare l'intera ricchezza della propria disciplina, come può pretendere la filosofia di comprendere addirittura il fenomeno scienza nel suo insieme? O di comprendere la «storia dell'Occidente»? La filosofia del nostro tempo tende a rispondere che questo è impossibile. E, infatti, se le cose vengono dal nulla e vi ritornano, sono essenzialmente estranee le une alle altre, cioè non può esistere né essere conosciuto alcun principio che le unifichi. Il senso greco della «cosa» sta al fondamento di ogni separare, isolare, specializzarsi dell'Occidente. Oggi quel senso si esprime nell'affermazione che il mondo intero è un insieme di frammenti e che la conoscenza autentica è specializzazione. Senonché, anche questa affermazione getta uno sguardo sul mondo; e non su una parte di esso, ma sul mondo intero e pertanto è anch'essa uno sguardo unificante: scorge l'essenza unificante del mondo e vede che questa essenza è la frammentarietà stessa del mondo, la stessa divisione delle cose. Ciò significa che, in qualche modo, la manifestazione del senso unitario del mondo è inevitabile; e che tale manifestazione continua a essere il compito della filosofia.

194 ancora sotto scacco Diminuiscono gli aborti ma è boom di obiezioni Turco: servizi a rischio

194 ancora sotto scacco Diminuiscono gli aborti ma è boom di obiezioni Turco: servizi a rischio

Liberazione del 23 aprile 2008, pag. 2

di Castalda Musacchio
Diminuiscono gli aborti, mentre a crescere, in modo preoccupante, è il fronte dell'obiezione, sempre più numeroso fra i medici. L'ultima Relazione annuale sull'attuazione della 194/1978, trasmessa ieri in Parlamento, rivela tutte le contraddizioni cristallizzatesi intorno a questa legge. Un rapporto ampio e accurato che rivela quanto in Italia la 194 abbia permesso un cambiamento sostanziale del fenomeno dell'aborto e quanto - sottolinea la ministra Turco - proprio la legge così vituperata e attaccata dai fronti più oltranzisti dei teo-con «sia non solo efficace ma saggia e lungimirante, rispettosa dei principi etici della tutela della salute della donna e della responsabilità femminile». La Relazione che contiene i dati preliminari per l'anno 2007 e quelli definitivi per il 2006 sta lì ad evidenziarlo. Lo scorso anno in Italia sono state praticate quasi 130mila interruzioni di gravidanza. Il calo del 3% rispetto al 2006 è netto così come del 45,9% nel confronto con il 1982, anno in cui si è registrato il più alto numero di interventi. Una diminuzione che è dovuta al calo netto degli aborti tra le donne italiane (-3,7% rispetto al 2006 e -61% sul 1982) mentre sono le migranti a ricorrere sempre più spesso all'aborto con un 4,5% in più rispetto all'anno precedente.
Il numero degli interventi ogni mille donne in età feconda tra i 15 e i 49 anni, il cosiddetto tasso di abortività che rappresenta a detta degli esperti l'indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza, nel 2007 è risultato pari a 9,1 per mille, a fronte del 9,4 del 2006 e al 17,2 del 1982.
Così come risulta sostanzialmente invariato il numero degli aborti terapeutici: quelli effettuati dopo il 90esimo giorno di gravidanza. La percentuale nel 2006 è stata del 2,9% di cui il 2,2% effettuati tra la 13esima e la 20esima settimana, e lo 0,7% dopo la 21esima settimana. Quanto a quelli clandestini, il rapporto fornisce un dato più aggiornato e contenuto. La stima per il 2005 era presunta in circa 20mila. Ora, invece, si stima che gli aborti clandestini nel 2005 siano stati circa 15mila, dato inferiore a quello del 1983, in cui si valutava fossero 100 mila, e che riguarda solo le italiane. Per le migranti, precisa il rapporto, non si ha a disposizione una stima attendibile. La pillola Ru486 merita un discorso a parte. A differenza di quanto accade negli altri paesi europei, in Italia si può dire sia ancora nella fase sperimentale.
Così, se in Francia, Gran Bretagna e Svezia, nel 2006, più di un quarto delle donne ha scelto l'aborto farmacologico, dal 2005 al 2007 sono state solo poco più di 2.300 le italiane che vi hanno fatto ricorso e sei le regioni che l'hanno utilizzata (per la prima volta anche una del Sud, la Puglia).
Un altro dato merita di essere analizzato: se a diminuire è il numero complessivo di aborti nel nostro Paese, ad aumentare è come detto il fronte del no tra i medici, che sempre più spesso ricorrono all'obiezione di coscienza. Nel 2007 i ginecologi obiettori in Italia hanno raggiunto quasi il 70%, contro il 58,7% del 2003, mentre gli anestesisti sono passati dal 45,7% del 2003 al 50,4% del 2007 e il personale non medico dal 38,6% al 42,6%. La crescita maggiore di obiettori si registra nelle regioni del Sud Italia. Addirittura in alcune regioni, come la Campania e la Sicilia il ricorso alle obiezioni raddoppia. Non mancano neppure regioni del Nord come il Veneto in cui l'obiezione è persino superiore al dato nazionale: a non effettuare gli aborti sono quasi l'80% dei medici, il 50% degli anestesisti e quasi il 60% del personale non medico. Come è ovvio attendersi le gerarchie vaticane plaudono a questo che in realtà è un dato che registra una tendenza culturale di vera regressione. Il cardinal Barragan parla persino di «lodevole cambio di mentalità». E proprio questa tendenza ha indotto la ministra, in attesa del cambio di testimone imposto dalla legislatura, a raccomandare di «monitorare l'adeguata offerta delle prestazioni in relazione all'aumento del fenomeno dell'obiezione di coscienza da parte del personale dei servizi». Il rischio purtroppo è che il prossimo governo non tenga in alcun conto tali raccomandazioni.

Da Lupi a Binetti, fra Opus Dei e Cl Dov'è finita la laicità in Parlamento?

Da Lupi a Binetti, fra Opus Dei e Cl Dov'è finita la laicità in Parlamento?

Liberazione del 23 aprile 2008, pag. 3

di Davide Varì
Il vincitore delle elezioni? Berlusconi, Fini e la Lega, certo. Per certi aspetti anche l'Udc che ha tenuto botta alla valanga del voto utile. Eppure, andando a scovare tra le pieghe delle biografie degli eletti, si scopre che il vincitore vero, quello che potrà contare su una maggioranza trasversale che va da Giuseppe Ciarrapico e arriva a Paola Binetti - passando per i vari Pierferdinando Casini, Maurizio Lupi e Carlo Giovanardi - è il Vaticano.
Una vittoria costruita per tempo, soprattutto nel corso degli ultimi due anni di legislatura. Una vittoria, dunque, ottenuta non il 14 aprile scorso ma nel momento in cui sono state varate le liste della quasi totalità dei partiti che si sono presentati. E della totalità assoluta di quelli che hanno raggiunto il quorum di Camera e Senato. Senza contare che quelle stesse liste, che come è noto sono state decise dai partiti, hanno di fatto escluso la presenza di eletti omosessuali. Unica omosessuale dichiarata è infatti Paola Concia. Per il resto, il vuoto.
Insomma, grazie a un lavoro certosino, Ratzinger "controlla" una fedelissima pattuglia trasversale che abbraccia l'intero arco costituzionale: Pdl, Lega, Pd e Udc, tutti hanno riservato più di un posto d'onore agli amici d'Oltretevere.
Una prova? Un mese prima delle elezioni, la Cei aveva deciso di non schierarsi per nessuno dei due schieramenti: «Agli elettori cattolici - ebbe a dire il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori - ai candidati cattolici e ai futuri eletti, chiedo di richiamarsi ai valori fondamentali della Chiesa» e tra questi «la difesa della vita» e la tutela della famiglia tradizionale. Se il voto spesso si orienta sulle «urgenze del quotidiano», per i credenti - sottolineò Betori - «le urgenze vanno sempre proiettate su un orizzonte di grandi valori».
Insomma, il Vaticano non aveva alcun interesse a schierarsi con l'uno o con l'altro schieramento. Sia il Pd che il Pdl davano ampi margini di garanzia sul rispetto di «quell'orizzonte di valori» tanto caro alla Santa Sede. E la presenza dei Radicali del Pd? Nel caso in cui Veltroni avesse vinto la partita, Bonino & Co. avrebbero davvero rinunciato a battagliare sui temi della laicità? Nessun problema, Veltroni aveva già pronta la formuletta vincente che accontentava tutti: «Laicità eticamente esigente». Una sintesi spericolata che tagliava le gambe a qualsiasi pretesa e velleità laicista dei radicali: «Li abbiamo convinti a non apparentarsi, come volevano loro, ma ad entrare nelle liste, impegnandosi a sottoscrivere il programma e a superare una pura cultura identitaria. Da soli, sì, che avrebbero finito per assumere posizioni veramente laiciste. Invece hanno accettato la cultura del dialogo e della mediazione». La mediazione con Paola Binetti, s'intende. Più che una mediazione, una resa.
Alla fine il Pd ha perso la partita ma molti dei suoi eletti in Parlamento andranno a rinforzare la pattuglia Vaticana. Su tutti, naturalmente, Paola Binetti, la fan dell'Opus Dei, la teo-dem per eccellenza che ha già avuto modo di chiarire le proprie posizioni in materia di aborto, famiglia e, soprattutto, omosessualità: «L'omosessualità era classificata come patologia, poi la lobby degli omosessuali è riuscita a farla cancellare. Ma le evidenze cliniche dimostrano il contrario».
Insieme a lei, Emanuela Baio Dossi - «la piattaforma politica del Gay Pride mostra aspetti a cui è impossibile riconoscere legittimità» -; Enzo Carra - «Cosa penso della legge 194? Si tolgono i diritti ai non nati» -; Poi Marco Calgaro e la new-entry Andrea Sarubbi, giornalista di Radio Vaticana e docente di informazione religiosa alla Luiss. Per non parlare dei leader: Dario Franceschini, Antonello Soro, Giuseppe Fioroni e così via.
Fin qui il Pd. Dall'altra parte dello schieramento, Ratzinger potrà contare su una maggioranza compatta di deputati e senatori fedeli ai valori della Santa Sede. Su tutti Maurizio Lupi, il ministro della salute in pectore, può vantare un curriculum di tutto rispetto: dalla militanza in Comunione e Liberazione, all'amicizia con Don Luigi Giussani fino al sostegno esterno alla lista "No aborto" di Giuliano Ferrara: «Aderisco convinto alla sua iniziativa. Non si tratta né di un rigurgito di bigottismo, né del furore cattolico di chi, nel lontano 1978, lottò contro l'introduzione dell'aborto nel nostro ordinamento. Il mio nemico, insomma, non è la legge 194. Aderisco perchè sono sempre stato convinto che compito principale della politica è aiutare gli uomini a vivere meglio. Non a morire».
Insomma, difficile immaginare che il nuovo Parlamento della Repubblica avrà in agenda, almeno in agenda, le questioni dei diritti civili. Con l'assenza della Sinistra e dei socialisti, le speranze dei laici saranno riposte nelle mani di una decina di parlamentari in tutto. Tra questi Paola Concia e Maria Antonietta Farina Coscioni. Raggiunta da Liberazione , quest'ultima è ansiosa di chiarire che è vero, lei ha sottoscritto il programma del Pd, ma questo non vuol dire abbandonare le battaglie storiche del partito radicale: «L'accordo sul programma di Veltroni - dice - non ci vincola certo a rinunciare alle nostre prerogative di parlamentari e alle istanze che arrivano da decine di migliaia di cittadini sui temi della vita e della morte. Noi - aggiunge poi - saremo leali ma conserveremo la nostra autonomia. Non demorderemo e continueremo a lavorare su quei temi anche dentro le istituzioni». E come? «Cercando alleanze tra i laici presenti in Parlamento».
Poi Paola Concia, come si diceva l'unica omosessuale dichiarata del Parlamento italiano. «Mi sento una grande responsabilità - confessa a Liberazione - spero di poter continuare la mia battaglia per i diritti civili insieme al movimento. Spero inoltre di poter contare sui laici che sono in parlamento. Cercherò alleanze con loro». «Del resto - continua Concia - l'assenza di rifondazione, oltre a essere un fatto negativo per la democrazia, si sentirà. Spero che la sinistra del Pd si faccia carico di quelle istanze e di quelle battaglie».

Aborto, meno interventi ma è boom di obiettori

L’Unità 23.4.08
Aborto, meno interventi ma è boom di obiettori
La relazione del ministero della Salute: Ivg in calo del 3%, il 70% dei ginecologi dice «no»

CONTINUA A CALARE il numero degli aborti in Italia (-3% nel 2007 rispetto al 2006), e in particolare tra le donne italiane. Tuttavia il fronte del no all’aborto tra i
medici ha segnato un vero e proprio boom: i ginecologi obiettori nel 2007 hanno raggiunto quasi il 70% (69,2%), contro il 58,7% del 2003: su 5462 ginecologi che lavorano in strutture in cui si effettuano aborti, solo 1682 non sono obiettori. Sono i dati contenuti nella relazione annuale 2006-2007 sull’applicazione della legge 194, inviata ieri al Parlamento dal ministro della Salute Livia Turco, che ha definito la legge 194 «efficace, saggia e lungimirante», ricordando che «la sua applicazione può essere ulteriormente migliorata». Il ministro ha sottolineato la necessità di potenziare i consultori, che sono solo 0,7 ogni 20mila abitanti, mentre la legge ne prevede 1 ogni 20mila. La Turco raccomanda anche di «monitorare» l’offerta della prestazioni in relazione all’aumento delle obiezioni, al fine di garantire in tutte le Regioni l’accesso al servizio, anche attraverso «la mobilità del personale». La crescita delle obiezioni, infatti, è stata molto marcata in particolare nel Sud, con punte in alcune regioni come la Campania (dal 44,1% di obiettori all’83%), e la Sicilia (dal 44,1% al 84,2%). A porre ostacoli alle donne, sono però anche gli anestesisti (dal 45,7% al 50,4% di obiettori), e il personale non medico (dal 38,6% al 42,6%). Secondo Giorgio Vettori, presidente della Sigo (Società italiana di ginecologia), i medici operativi «sono sufficienti» per far fronte alla domanda. «Il problema semmai è organizzativo, faremo un’indagine attenta per verificare se c’è la necessaria copertura in tutto il Paese». Più critico Silvio Viale, ginecologo ed esponente radicale, secondo cui ormai la legge 194 è «a rischio». Giovanni Monni, presidente dell’Associazione ostetrici e ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi), spiega così l’impennata delle obiezioni: «I ginecologi preferiscono fare un parto rispetto ad un aborto, non solo per le implicazioni etiche, ma anche perché nei concorsi questo intervento dà meno punteggio». E poi, dice Monni, «possono aver influito tutte le campagne contro l’aborto: i ginecologi spesso seguono le mode». Infine, pesano le dichiarazioni pro-vita «di molti direttori generali e assessori alla Sanità». Nel 2007 gli aborti sono stati 127.038 contro i 131.018 casi del 2006 (-3%); rispetto al 1982, anno in cui ci sono stati 234.801 casi, il decremento è del 45,9%. Tuttavia il calo è da imputare soprattutto alle donne italiane (- 3,7% rispetto al 2005), soprattutto se istruite, occupate o coniugate, mentre tra le straniere il ricorso all’aborto continua a salire (+ 4,5% rispetto al 2005). Corretta al ribasso la stima degli aborti clandestini: nel 2005 sono stati 15mila e non 20mila. Stabile il numero degli aborti terapeutici effettuati dopo il 90° giorno di gravidanza, nel 2006 pari al 2,9% del totale. Rimane invece sul terreno della sperimentazione l’aborto farmacologico con la pillola RU486: dal 2005 al 2007 ci sono stati solo 2353 casi. Sei le regioni coinvolte: Piemonte, Trentino, Toscana, Emilia Romagna, Marche, Puglia.

martedì 22 aprile 2008

Papa negli Usa, domande senza risposta

Papa negli Usa, domande senza risposta

L'Opinione del 22 aprile 2008, pag. 13

di Alessandro Litta Modignani

Con la sua visita negli Stati Uniti, Benedetto XVI ha sicuramente incassato un successo di immagine. L’accoglienza di Bush, il discorso sui diritti umani all’Onu, il dialogo interreligioso, il raccoglimento a Ground Zero sono tutte tappe simboliche ben studiate, soprattutto dal punto di vista mediatico. La Chiesa cattolica esce politicamente rafforzata dalla trasferta del suo capo.



Guardando al di là dell’apparenza, tuttavia, non è difficile notare come il Papa, forte di un’abilità millenaria, abbia sostanzialmente eluso tutte le grandi questioni ai centro dei dibattito culturale e politico del nostro tempo.



Joseph Ratzinger si è, nuovamente scusato (già Karol Wojtila l’aveva fatto prima di lui) per la gravissima vicenda dei preti pedofili, che scuote l’opinione pubblica americana nel profondo. II Papa ha condannato duramente questo scandalo, ma in realtà era stato lo stesso Ratzinger (nel ‘99, quando era cardinale) a invitare la Chiesa cattolica americana a non collaborare con la giustizia di quel paese, nel tentativo di mettere tutto a tacere. E’ di questo atteggiamento omertoso che egli avrebbe dovuto fare ammenda, se avesse voluto davvero voltare pagina; mentre condannare lo scandalo oggi appare come un tentativo, tardivo e incompleto, di "chiamarsi fuori" dall’intera vicenda.



Restano senza risposta gli interrogativi di fondo.



Come è possibile che siano stati ben 10.665 i casi accertati di pedofilia all’interno della Chiesa cattolica americana? Dato il numero, non si può certo parlare di episodi isolati. E come mai, a fronte di questa cifra, quelli finora riscontrati in Italia si contano sulle dita di una mano? I preti italiani sono buoni e quelli americani cattivi, oppure la Chiesa cattolica gode in Italia di reti di protezione ben più solide di quelle disponibili nell’America laica e liberale? Ancora, come è possibile che la Chiesa cattolica americana disponga di due miliardi di dollari da versare in risarcimenti, senza andare in bancarotta? A quanto ammontano allora globalmente le sue ricchezze, che dovrebbero essere destinate ai poveri? E infine: le penose tendenze alla pedofilia dei sacerdoti non sono forse strettamente connesse al vincolo dei celibato? Ratzinger si è guardato bene dall’affrontare quest’ultima domanda, che lo esporrebbe al rischio di dare ragione, su una questione cruciale, alla "concorrenza" protestante.



A parte tutto ciò, è sul piano teologico che Benedetto XVI si mostra per nulla innovativo. II suo appello alla libertà religiosa altro non è che un invito alle altre confessioni ad accordarsi sulle "regole del gioco", mentre non affronta uno degli elementi fondanti dell’Occidente liberale: quello della libertà di non credere, che Ratzinger chiama sbrigativamente relativismo.



Salvo poi, nel dialogo interreligioso, ribadire la superiorità del messaggio cattolico-cristiano. Come a dire: "Siamo tutti figli dell’Unico Vero Dio. Il mio, naturalmente".

Iran, sei mesi di prigione e dieci frustate per giornalista accusata di femminismo

Iran, sei mesi di prigione e dieci frustate per giornalista accusata di femminismo

Liberazione del 22 aprile 2008, pag. 11

Una giornalista e attivista femminista iraniana, Nasrin Afzali, è stata condannata a sei mesi di reclusione e a 10 frustate, con la sospensione condizionale della pena, perchè riconosciuta colpevole di «disturbo dell'ordine pubblico». In realtà Nasrin è stata condannata per essere stata presente nel marzo del 2007 ad un raduno di protesta di femministe iraniane davanti alla Corte rivoluzionaria di Teheran, dove si svolgeva un processo ad altre cinque attiviste per una manifestazione tenutasi l'anno prima. La Afzali ha detto di essere stata sul posto solo per "coprire" l'evento, in quanto giornalista. Ma la stessa Corte rivoluzionaria l'ha comunque ritenuta colpevole. Molte attiviste sono state arrestate e condannate in Iran negli ultimi due anni per avere lanciato una campagna denominata 'un milione di firmè, tante sono le adesioni che si propongono di raccogliere per chiedere la cancellazione delle leggi ispirate ai principi islamici che limitano i diritti delle donne. E' il caso dei procedimenti di divorzio, che vedono riconosciuti al marito ampi privilegi rispetto alle donne e che nella stragrande maggioranza dei casi si aggiudicano la custodia dei figli. Inoltre, il valore della vita di una donna è la metà rispetto a quella di un uomo al fine dei risarcimenti in caso di morte e la testimonianza di un uomo in tribunale vale il doppio di quella di una donna. Nazrin Afzali è una delle tante attiviste arrestate negli ultimi due anni, da quando cioè è stata avviata la campagna femminista, che ha ricevuto anche il sostegno dell'avvocatessa Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace nel 2003, impegnata nelle in diverse iniziative in difesa dei diritti umani.

lunedì 21 aprile 2008

Arriva il capo dei vescovi, rivolta a scuola. No a Bagnasco di alcuni genitori e insegnanti.

Corriere della Sera 21.4.08
In un piccolo istituto medio di Pieve Ligure. A Genova denunciato il figlio di un ex assessore prc. Scriveva: «Morte al Papa»
Arriva il capo dei vescovi, rivolta a scuola
No a Bagnasco di alcuni genitori e insegnanti. La preside: attività alternative per chi non lo ascolta
di Erika Dellacasa

La protesta accompagnata da un documento scaricato dal sito Internet dell'Unione atei e agnostici razionalisti

GENOVA — L'arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco prepara una visita nella scuola media di Pieve Ligure, un piccolo comune del Golfo Paradiso, e scoppia un caso. La visita in orario di lezione, domani, non è piaciuta ad alcuni genitori (tre dichiarati, altri defilati) che hanno protestato in nome della laicità della scuola pubblica. Richieste di chiarimenti alla preside, Vanda Roveda, una lettera riservata diventata pubblica, una professoressa che solleva obiezioni, in breve tutto il paese ne parla. La lettera arrivata sul tavolo del consiglio di istituto, che ha poi approvato la visita con un solo astenuto, aveva allegato un testo scaricato dal sito dell'Unione atei e agnostici razionalisti. Il testo definisce le visite confessionali nelle scuole: «La legge non consente — scrive la Uaar — che nelle scuole pubbliche statali il normale svolgimento delle lezioni venga modificato per celebrazioni di carattere confessionale ». Gli atei e agnostici consigliano di diffidare la scuola e rivolgersi al Tribunale civile. «Volevamo solo documentare la giurisprudenza in materia — spiega Carla Scarsi, mamma di uno studente — ma soprattutto volevamo chiedere informazioni e ricordare che ci sono regole. Due mesi fa era stata annunciata la proiezione alle elementari di un video sui volontari nelle missioni in Africa. Poi sono venuti in classe dei militari in divisa e hanno proiettato un video con i marines che si paracadutavano ».
Cosa farà a scuola il cardinale Bagnasco? «Non è una visita confessionale — spiega la preside —, non c'è alcun momento di liturgia, niente messe, niente preghiere collettive, è solo un saluto». Ma la situazione ha imposto una nuova organizzazione: «Nessuno è obbligato a partecipare — dice la preside —. I ragazzi che non fanno l'ora di religione avranno a disposizione un'attività alternativa durante la visita. Se qualche professore lo preferisce potrà fare lezione». Quello che la preoccupa, ora, è la scorta di Bagnasco: «Spero che rimangano fuori dalla scuola». Un micro-caso Sapienza? «Ma quale Sapienza — dice don Grilli, vicario del Levante —. Rispetto l'opinione di tutti ma chi contesta è una infinitesima minoranza che non ha capito lo spirito di una visita di cortesia. Non c'è nessuna volontà di ingerenza della Chiesa. Certi atteggiamenti sono frutto di un integralismo laicista. A scuola ci vanno i calciatori e non ci può andare il vescovo? ». Il cardinale Bagnasco ieri era a Roma. «Gli ho spiegato la situazione per telefono — dice don Grilli — e ne ha sorriso con me». Quindi verrà? «Sicuro, sereno come sempre. I problemi sono altri«. Bagnasco è sempre sotto scorta e le misure di sicurezza in attesa della visita del Papa a Genova il 17 maggio sono aumentate. Due giorni fa sono stati denunciati due ragazzi di 17 e 24 anni che scrivevano su un muro «Morte al papa», uno è il figlio di un ex assessore comunale di Rifondazione. Gli Atei e Agnostici preparano uno «sbattezzo » collettivo (la richiesta di essere cancellati dagli elenchi parrocchiali) e manifesti per illustrare «quanto ci costa la Chiesa e questa visita papale». Chi si dichiara esterrefatto per l'arrivo della Digos sono i quaranta curdi riuniti in un ostello a Savona: «Siamo qui per un incontro culturale. Del Papa non sapevamo nulla».

domenica 20 aprile 2008

Ratzinger in America: Bush, Papa e famiglia

Ratzinger in America: Bush, Papa e famiglia

di Matteo Bosco Bortolaso

Il Manifesto del 17/04/2008

Tra il pontefice e il presidente Usa, che lo ha accolto ieri in pompa magna, intesa contro aborto e staminali. Ma non su Iraq, Cuba, e pena di morte

Il presidente degli Stati uniti George W. Bush e Papa Benedetto XVI sono uniti nella lotta alla «dittatura del relativismo» e nella difesa della «vita, il matrimonio e la famiglia». Divisi - anche se con molte sfumature diplomatiche - sui modi di condurre la lotta al terrorismo.
È questo uno dei primi dati politici che emerge dalla visita di Joseph Ratzinger negli Stati uniti. Accogliendo il pontefice alla Casa Bianca, Bush ha dichiarato che gli Usa sono «uno dei Paesi più innovativi, creativi e dinamici sulla terra, ma anche tra i più religiosi». Il presidente ha detto al Papa che gli Usa hanno «bisogno» del suo messaggio di rifiuto della dittatura del relativismo, e accolgono «la cultura della giustizia e della verità». Il pontefice ha ricambiato dicendo di essere venuto negli States «come amico».
Dopo i colloqui privati nell'ufficio ovale, la Santa Sede e l'amministrazione Bush hanno preparato un comunicato congiunto in cui sottolineano l'importanza di alcune tematiche come «la difesa e la promozione della vita, il matrimonio e la famiglia» o «il rifiuto totale del terrorismo, così come della manipolazione della religione per giustificare atti immorali e violenti contro gli innocenti». È interessante leggere un altro passo del comunicato congiunto: durante i colloqui, Bush e Benedetto XVI «si sono soffermati sulla necessità di affrontare il terrorismo con mezzi appropriati che rispettino la persona umana e i suoi diritti». Fuori dal morbido linguaggio della diplomazia, la frase potrebbe alludere a una preoccupazione vaticana per il caso di Abu Ghraib e delle torture inflitte ai membri di al Qaeda, in aperta violazione di quei diritti umani che il pontefice difende e difenderà venerdì, nello storico discorso che pronuncerà alle Nazioni Unite.
Quella del papa tedesco è soltanto la seconda visita di un pontefice alla Casa Bianca: la prima risale a quasi trent'anni fa. Non era mai accaduto che un presidente andasse all'aeroporto ad accogliere il Papa, come ha fatto Bush.
L'incontro dei due leader è stato un momento storico davvero in pompa magna, come di rado si è visto persino nei riguardi delle teste coronate che visitano gli Usa. I lampioni attorno alla residenza presidenziale erano stati addobbati con i colori bianco, rosso e blu della bandiera degli Stati uniti e bianco e giallo del vessillo vaticano. Più di 9 mila persone hanno cantato «happy birthday» al Papa, che compiva 81 anni, prima in maniera spontanea, all'entrata, poi, più formalmente, all'uscita. Boy scout e cavalieri di Colombo hanno riempito le strade di Downtown Washington. Qualche rappresentante della comunità ispanica - che costituisce una fetta importante del cattolicesimo negli Stati uniti - ha gridato «Viva el Papa». Qualcun altro aveva disegnato una torta di cioccolato, con un 81 sopra, su un manifesto. Una torta vera - multipiano - era stata preparata nella sala blu della Casa Bianca. Ieri sera, poi, è stata preparata una cena in onore del pontefice, che però non ha partecipato. La East Room si è comunque riempita di cibo bavarese, in onore del pastore di origini tedesche. Benedetto XVI ha ringraziato i fedeli a stelle e strisce con un vigoroso «God Bless America» a conclusione del suo intervento.
Tutto liscio tra Bush e Benedetto? Ieri, la stampa americana spiegava che i due avevano opinioni simili - e negative - su aborto, matrimonio omosessuale e cellule staminali.
Divergenti, invece, le idee su Iraq, embargo cubano e pena di morte. In effetti però, il comunicato ufficiale, dopo un accenno al Libano, allude solo a una generica e «comune preoccupazione per la situazione in Iraq, in particolare per lo stato precario delle comunità crisitane lì e altrove nella regione».
Un altro argomento atteso in Usa riguardava lo scandalo dei preti pedofili. Già sull'aereo papale, Benedetto XVI aveva detto di «vergognarsi profondamente» per quello che è successo.

venerdì 18 aprile 2008

Dal 1950 al 2002 i sacerdoti accusati di pedofilia sono stati 4392. Negli Stati Uniti le vittime sono almeno cinquemila

l’Unità 18.4.08
Dal 1950 al 2002 i sacerdoti accusati di pedofilia sono stati 4392. Negli Stati Uniti le vittime sono almeno cinquemila
Abusi sui minori, cono d’ombra sul viaggio americano
di Stefano Pistolini

La parola chiave è «inerente». C’è una questione più inerente delle altre al viaggio del Papa in America, in corso di svolgimento. Ma andiamo con ordine. Perché la ferita è aperta. La questione non è sanata. L’offesa non è lavata. Benedetto XVI lo sa così bene, che ha atteso il fatidico non-luogo di un aereo in viaggio tra Roma e Washington, in procinto di sbarcare nella capitale americana e di essere affettuosamente accolto da un presidente in dismissione come George W. Bush, per ribadire d’essere ben al corrente dell’allarmante congiuntura: i contraccolpi dell’imperdonabile, perniciosa diffusione della pedofilia nel clero cattolico statunitense, macchia di vergogna che ha prodotto e produce dolore, riflessione e pentimento. Ma da navigato amministratore di anime Ratzinger sa che la pedofilia dei prelati non ha, nel continente di cui adesso è ospite, lo stesso attutito impatto che ha avuto qua da noi: là è diventato un ostacolo psichico in certi casi insormontabile nel relazionarsi con serenità col cattolicesimo, è diventato uno scandalo indicibile, un germe infettivo, una piaga così purulenta che solo un intervento divino, o perlomeno una parola decisiva dal legale rappresentante di Dio in terra, potrà mondare l’onta. E di tutto ciò Benedetto XVI sa che ora l’America gli chiederà ragione, dopo che ha mal tollerato il suo negarsi al passaggio da Boston, la diocesi culla di questa satanica escrescenza.
Due sono i fattori da aggiungere all’analisi. Il primo riguarda le dimensioni macroscopiche del fenomeno: secondo lo studio condotto dal John Jay College, dal 1950 al 2002 sono 4392 i sacerdoti americani (su 109.000) accusati di relazioni sessuali con minorenni. Di questi, per le più diverse motivazioni, poco più di un centinaio sono stati condannati dai tribunali civili. Lo stesso studio precisa poi che il 78,2 % delle accuse si riferisce a minorenni nella postpubertà e che i sacerdoti accusati di vera pedofilia sono 958 in 52 anni, ovvero una media di 18 all’anno. Negli Stati Uniti oggi sono circa 5.000 le persone che hanno dichiarato di essere state vittima di abusi sessuali da parte dei sacerdoti. Lo scandalo, che a partire da Boston ha contagiato la nazione, è costato fin qui oltre 1,5 miliardi di dollari alla Chiesa cattolica Usa in risarcimenti, a cominciare da quello formidabile da 660 milioni di dollari che la diocesi di Los Angeles, guidata dal cardinale Mahoney (anch’egli travolto dalle accuse) ha pagato a 508 vittime di molestie sessuali, molte delle quali avvenute in un passato lontano, con un’intesa che ha posto fine a tutte le azioni legali nei confronti dell’arcidiocesi più popolosa d’America, per quanto non abbia certo messo a tacere le inquietudini dei fedeli. Il risarcimento medio per ciascuna vittima di molestie è stato stabilito in 1,3 milioni di dollari. Altre diocesi hanno rischiato la bancarotta, come quella di Boston che ha pagato 157 milioni di dollari, o i 129 milioni sborsati dalla diocesi di Portland. Cinque diocesi - San Diego, Davenport, Portland, Spokane e Tucson - hanno richiesto la protezione dalla bancarotta.
Il secondo fattore, che aggrava la drammaticità della vicenda, riguarda le ventilate responsabilità dirette di Joseph Ratzinger nella vicenda, che pongono ancor più sotto i riflettori il pontefice al fatale appuntamento di questo viaggio in America. Risale al 1962 il documento emesso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede consistente in un’«Istruzione» dal titolo «Crimen Sollicitationis», che sanciva la competenza esclusiva della Congregazione su alcuni reati tra cui «la violazione del Sesto Comandamento» che recita «non commettere atti impuri» laddove coinvolgessero un membro del clero e un minorenne. La firma del documento è del cardinale Alfredo Ottaviani, con l’approvazione di papa Giovanni XXIII. Ma nell’anno 2001 il «Crimen Sollicitationis» viene menzionato nella lettera «De Delictis Gravioribus» che rivede l’istruzione alla luce delle riforme dei codici di diritto canonico. E qui le firme sono quelle dei cardinali Ratzinger e Bertone, che qui non disinnescavano, bensì reiteravano (contrariamente a quanto sostenuto dal Vaticano) la volontà della Chiesa di Roma di farsi giudice unica di particolari delitti commessi nel suo grembo. Una responsabilità che nel settembre 2005 negli States costa a Ratzinger una procedura giudiziaria civile per l’accusa di complotto allo scopo di coprire le molestie sessuali di un seminarista del Texas contro tre ragazzi. Accusa poi bloccata dal vice ministro della giustizia Usa Peter Keisler in nome dell’immunità di cui Benedetto XVI, nel frattempo divenuto Papa, gode in quanto capo di Stato, secondo quanto stabilito dalla Corte Suprema. E comunque un segno di rispetto che certamente non è sfuggito al Papa tedesco.
Così il viaggio americano di Ratzinger va in scena in questo cono d’ombra. A Boston i comitati delle vittime di violenze sessuali hanno comprato pagine sui quotidiani per manifestare la loro rabbia verso il pontefice. Che, fin dall’inizio, fin dalle dichiarazioni d’alta quota con cui ha rotto gli indugi ed è piombato sul punto dolente di questa visita pastorale, dimostra la volontà di superare questa crisi spinosa. Errori commessi, omissioni, colpe. Infine il desiderio di ristabilire la dignità di un clero che rischiava d’essere travolto dal disastro-pedofilia. Mentre si sgranano le giornate della sua visita americana, appare chiaro che i motivi dell’espiazione e della ritrovata serenità sono molto più al centro delle intenzioni di Benedetto XVI di quanto si sarebbe potuto presupporre scorrendo il denso programma di appuntamenti politici del viaggio. La sensazione è che, tra Washington e New York, Ratzinger intenda soprattutto mettere riparo al torto commesso da quei cattivi soldati dell’esercito di cui ora è il responsabile tattico e morale.

"Le parole non bastano a noi abusati dai religiosi"

"Le parole non bastano a noi abusati dai religiosi"

La Repubblica del 18 aprile 2008, pag. 15

di Arturo Zampaglione

Le vittime dei preti pedofili non si accontentano nè delle espressioni di «profonda vergogna» di Benedetto XVI, ne dell'incontro di ieri del Papa con alcuni di loro.

«Ci aspettavamo un atteggiamento più fermo nei confronti di vescovi e cardinali che hanno nascosto le nefandezze dei sacerdoti», si lamenta Peter Isely. «Invece il Papa non ha redarguito nessuno e si e li-mitato a pregare assieme a un piccolo numero di vittime, scelto con molta cura, rifiutandosi di incontra-re i membri della nostra associazione».

Molestato da un sacerdote del Wisconsin quando aveva appena 13 anni — e rimasto cattolico —, Isely è uno dei leader dello Snap (Survivors network of those abused by priests), l'associazione cui fanno parte 4500 vittime e che in questi giorni accompagna la visita pontificia con mani-festazioni di protesta. Gli obiettivi? «Chiediamo che sia dato il buon esempio, punendo alcuni prelati che hanno protetto i pedofili ed estendendo le norme introdotte negli Stati Uniti al resto della Chiesa», dice Isely in un colloquio con Repubblica.

Non è importante, per voi, la grande attenzione del Papa per un problema che ha scosso e indebolito la Chiesa americana?

«Abbiamo apprezzato le parole del Santo Padre: ma sono rimaste per aria, a l0mila metri d'altezza, cioè alla stessa quota dell'aereo che lo portava qui negli Stati Uniti, senza mai scendere sulla terra e tradursi in azioni concrete. II Papa si è seduto accanto al cardinale di Chicago, Francis George, senza mai rimproverarlo. E ha deplorato l'onnipresenza della pornografia e dei temi sessuali in televisione come se fossero una causa della pedofilia dei sacerdoti».

Che ha fatto di male il cardinale di Chicago?

«Nel 2005, invece di sospendere Daniel McCormack, un sacerdote arrestato per pedofilia, il cardinale lo trasferì in un'altra parrocchia, dove il prete continuò a molestare i bambini, tanto da essere arrestato una seconda volta. Vede: non sarà mai possibile evitare casi di pedofilia, ma se vengono scoperti non si può proteggere il colpevole. Invece è proprio quello che ha fatto la Chiesa: rifiutandosi di denunciare alla magistratura i sacerdoti pedofili, o trasferendoli in altre diocesi o persino all'estero».

Ora però la Chiesa americana ha voltato pagina.

«E vero, ma ci sono ancora molte ambiguità. Secondo i dati forniti dai nostri vescovi, ci sono stati 5180 sacerdoti pedofili: alcuni sono morti, come quello del Wisconsin che molestò 40 ragazzini tra cui il sottoscritto, ma altri sono stati semplicemente nascosti. E non e mai stato punito alcun responsabile dell'insabbiamento istituzionale».

Perché ha da ridire sulle critiche di Ratzinger alla pornografia?

«Capisco che il Papa abbia difficoltà nell'accettare che la sacralità del sacerdozio venga tradita dalla pedofilia. Ma questa è la realtà. E per combattere il problema non bisogna dare la colpa alla cultura di massa perché incensa la sessualità, ma allertare la magistratura e soprattutto allontanare i complici, anche se indossano la porpora. Mi sorprende pure che le sanzioni del diritto canonico per i sacerdoti pedofili si applichino soltanto agli Stati Uniti, non a tutta la Chiesa: come se il problema fosse solo americano, mentre sappiamo bene che è mondiale».


giovedì 17 aprile 2008

«Il Papa qua non è leader la secolarizzazione avanza e le Chiese sono vecchie»

«Il Papa qua non è leader la secolarizzazione avanza e le Chiese sono vecchie»

Liberazione del 17 aprile 2008, pag. 10

di Fulvio Fani

Nel palazzetto della Convenzione battista del distretto Columbia non c'è traccia di atmosfere curiali. In compenso il pastore Robert Cochran, che dirige l'istituzione, alla fine del colloquio ti chiede cortesemente se vuoi recitare insieme una preghiera. L'invito è molto garbato e non c'è alcun problema a rifiutare. Nella sala che ci ospita nel 1937 i battisti ribadirono in un documento i principi della separazione tra Stato e Chiesa. «Era l'epoca - ci spiega - in cui Hitler sottometteva la chiesa e in Romania i protestanti venivano perseguitati dagli ortodossi». Ma, come vedremo, anche nella religione "pubblica" degli americani qualcosa scricchiola.



Secondo lei la visita del Papa influirà sulla campagna presidenziale?


Non vedo una relazione diretta, dal momento che manca un candidato cattolico. Se ci fosse stato uno come Kerry allora avrei interpretato la visita contro di lui. Oppure se l'aborto fosse l'argomento più importante, ma le preoccupazioni maggiori riguardano l'economia. In Europa il Papa è visto come leadership. Gli americani non lo vedono allo stesso modo. Ratzinger incontrerà Bush ma ormai Bush è fuori gioco.



Ma i commentatori sostengono che l'elettorato cattolico sarà determinante...


La chiesa cattolica è molto impegnata nell'attività sociale e dunque avrà un'influenza ma non mi pare che la visita del papa sia in grado di suggerire un unico voto.



In vista del suo intervento all'Onu il Papa ha stabilito un parallelo tra pena di morte, aborto e eutanasia. Voi battisti accettate questa impostazione?


Noi crediamo nella libertà di coscienza, in questo siamo più radicali di altri protestanti. Così, i battisti conservatori accettano la pena morte e respingono l'aborto, per i progressisti vale il contrario. Alcuni teologi battisti in materia etica sottolineano il tema della qualità della vita in nome della quale possono anche accettare l'eutanasia. La chiesa battista presenta varie risposte e i diversi gruppi cercano di convincersi a vicenda perché l'autorità non ce l'ha nessuno.



Però si diffonde anche tra i protestanti il fondamentalismo.


Sì. Il fondamentalismo nella chiesa riflette quello della società.



E' cresciuto dopo l'11 settembre?


Non per i battisti. Il fondamentalismo battista è sorto dal razzismo degli anni 60, dal Vietnam, da Nixon, da quando il battista Carter negoziò con l'Iran per le armi. Ora l'imbarazzo per la guerra in Iraq e il problema economico espandono semmai l'ala progressista. La gente ha compreso che il reaganismo non è la risposta giusta.



E questo favorisce Obama o Hillary?


(Il pastore si fa una risata confessando di non aver ancora scelto) Chi è interessato al problema razziale e alla sicurezza sociale, bianco o nero che sia, voterà per Obama.



Questo papa su una serie di materie ha strizzato l'occhio alla destra religiosa, per esempio per l'educazione "creazionista". Cogliete le differenze rispetto a Giovanni Paolo II?


Sì, è diverso ma non seguiamo tutte le mosse che compie. Questo papa è tedesco, l'altro era polacco, e questa è già una differenza di mentalità. Wojtyla fece i conti col comunismo, era abituato a trovare la strada in modo meno diretto. Ratzinger era noto come più conservatore fin dai suoi primi discorsi alla chiesa americana. Tra un papa e l'altro oscilla sempre un pendolo.



La chiesa cattolica in America è in crisi. Colpa solo dello scandalo pedofili?


Un motivo di crisi è l'immigrazione.



Davvero? Ma non è una chiesa sempre più ispanica?


L'ultima grande immigrazione non ha alimentato la chiesa cattolica ma le chiese conservatrici evangeliche del sud. Il problema è l'urbanizzazione, la perdita di radici. La secolarizzazione, molto forte in Europa, sta diventando un problema anche negli Usa.



Intende la diminuzione dei praticanti?


Di più: una profonda mancanza di disposizione verso Dio. La sfida per tutti i cristiani è come annunciare Dio in questo mondo. Sappiamo farlo laddove si passa dalla società agricola all'industria ma i nostri metodi si rivelano invece inefficaci nelle realtà moderne. Abbiamo alle spalle una struttura istituzionale e un paradigma modellati sul passato.



Ratzinger propone il modello di laicità religiosa degli States contro il "laicismo" dell'Europa. Ma il modello ha ancora un futuro o è in crisi?


Questione decisiva. Ho vissuto in Belgio. C'erano parti molto definite: cattolici, socialisti, liberali: tutto si svolgeva secondo questa impostazione. Gli Usa sono diversi. Secondo noi battisti la Chiesa e lo Stato devono essere separati in quanto istituzioni, tuttavia le persone vivono una religione che è più ampia della chiesa. Molti padri fondatori sono stati influenzati dalla religione, non c'è mai stata una pura separazione tra fede e Stato. Esisterà sempre questa tensione. Negli Usa il 44% dei credenti frequenta la chiesa, molti più che in Europa, ma in realtà stiamo affrontando oggi problemi sociali già affrontati da voi e probabilmente anche da noi le percentuali cambieranno.