venerdì 28 novembre 2008

Il dittatore pensava di poter contare sulla tradizione cristiana. Hitler, la chiesa e l’antisemitismo

La Repubblica 28.11.08
Il dittatore pensava di poter contare sulla tradizione cristiana. Hitler, la chiesa e l’antisemitismo
di Giovanni Miccoli

La rarità di pubbliche voci di dissenso ecclesiastico verso la politica antiebraica confermavano ai nazisti che non ci sarebbe stata opposizione dell’episcopato

l resoconto che monsignor Berning, vescovo di Osnabreck, scrisse per i suoi confratelli su ciò che Hitler aveva detto della «questione ebraica» nel corso di un incontro con una delegazione episcopale il 26 aprile 1933, attesta una sorta di sintonia di fondo con settori non irrilevanti del mondo cattolico (...): «Hitler parlò con calore e calma, qua e là pieno di fervore. Contro la Chiesa non una parola, solo apprezzamento per i vescovi. Sono stato attaccato per il mio modo di trattare la questione ebraica. Per 1.500 anni la Chiesa ha considerato gli ebrei come esseri nocivi, li ha esiliati nel ghetto eccetera, in quanto ha riconosciuto ciò che gli ebrei sono. Al tempo del liberalismo non si è più visto questo pericolo. Io risalgo nel tempo e faccio ciò che si è fatto per 1.500 anni. Io non metto la razza al di sopra della religione, ma vedo nei membri di questa razza esseri nocivi per lo Stato e la Chiesa, e forse fornisco così al cristianesimo il più grande servizio; da qui il loro allontanamento dall´insegnamento e dagli impieghi statali».
Hitler non mentiva ma era solo reticente quando affermava di non mettere la razza al di sopra della religione: ne faceva infatti una componente costitutiva di essa, pur ironizzando sulle fumisterie dell´ideologia völkisch. Né aveva difficoltà a richiamarsi alla tradizione ecclesiastica per le misure adottate contro gli ebrei. (...) Non a caso Karl Lueger e le agitazioni di massa promosse contro gli ebrei a Vienna dai cristiano-sociali figurano nel Mein Kampf tra i suoi modelli, anche se il loro limite restava per lui di aver fondato il loro antisemitismo non sulla razza ma su una visione religiosa. E probabile che egli pensasse davvero di poter in qualche modo contare, nella lotta contro gli ebrei, sulla tradizione antiebraica cristiana. (...)
Il calcolo, entro certi limiti, non era sbagliato. Non è privo di significato il fatto che monsignor Berning non trovò difficoltà né avanzò obiezioni di fronte alle affermazioni e ai propositi di Hitler. (...) quei propositi non erano certo tali da poterlo particolarmente inquietare: per decenni voci autorevoli della pubblicistica cattolica avevano avanzato proposte non dissimili. La rarità di pubbliche ed esplicite voci di dissenso da parte della Chiesa nei confronti della politica antiebraica (...) non potevano non confermare Hitler e i dirigenti nazisti nell´opinione che, su tali questioni, nessuna seria opposizione sarebbe venuta loro dall´episcopato.
In quei primi mesi del potere nazista la Santa Sede e la Chiesa cattolica tedesca si mostrarono dunque concentrate soprattutto a tutelare la propria condizione in Germania. (...) Non va dimenticato il ripetuto, esplicito riconoscimento espresso da Pio XI nei confronti di Hitler dopo la sua nomina a cancelliere il 30 gennaio 1933 e già prima della vittoria elettorale del 5 marzo: «Hitler è il primo e unico uomo di Stato che parla pubblicamente contro i bolscevichi. Finora era stato unicamente il papa». Meriterebbe da questo punto di vista analizzare con cura le informazioni contraddittorie sul nazionalsocialismo e le sue imprese che nei primissimi anni Trenta e anche dopo la sua conquista del potere pervenivano alla segreteria di Stato e di cui la documentazione vaticana offre ricca testimonianza. (...) Spiaceva che con gli ebrei e l´ebraismo si colpissero e si rifiutassero capisaldi della tradizione cristiana come il Vecchio Testamento, spiacevano certi metodi di lotta, spiaceva soprattutto che le misure adottate si fondassero su premesse ideologiche che si ispiravano ad un razzismo estremo, sostanzialmente incompatibile con il credo cristiano. Nelle famose prediche dell´Avvento del 1933 il cardinale Faulhaber scese perciò in campo a difesa del Vecchio Testamento e della tradizione cristiana, Rosenberg e il suo Mythus des XX. Jahrhunderts, così come i maestri del neopaganesimo germanico, divennero il bersaglio di molta pubblicistica cattolica. Ma ci si guardò bene dal coinvolgere nella polemica e nella condanna l´antisemitismo. Non erano del resto pochi a ritenere che, se vi era un antisemitismo razzistico vietato ai cattolici, ne esisteva un altro, spirituale ed etico («geistiger und ethischer»), che era «stretto dovere di coscienza di ogni cristiano consapevole», come scrisse il vescovo di Linz, monsignor Gfvllner, nel gennaio 1933, in una pastorale che ebbe larga diffusione negli ambienti cattolici europei.

giovedì 27 novembre 2008

"Conversione? Mai detto”. Antonio Gramsci e il sacerdote pentito

La Repubblica 27.11.08
"Conversione? Mai detto”. Antonio Gramsci e il sacerdote pentito

E alla fine risulta che neppure Giuseppe Della Vedova, il padre dehoniano a cui nel 1977 fu attribuita la "rivelazione" di Gramsci convertito al cattolicesimo, era davvero convinto della conversione. «Chiarissimo Professore, spero che Lei avrà letto le mie note su Studi Sociali. Avrà visto che io non dico che l´onorevole Gramsci s´è convertito o ha ricevuto i sacramenti», scrive in quello stesso anno ad Arnaldo Nesti, lo studioso che su Paese Sera smentì la tesi della conversione grazie alle testimonianze del cappellano e delle suore che assistettero Gramsci in fin di vita nella clinica Quisisana. Tracce di questa vicenda sono anche in un libro di Nesti, La fontana e il borgo, pubblicato da Ianua nel 1982.
In una lettera inedita, che il professor Nesti mostra a Repubblica, padre Della Vedova quasi si scusa per il suo intervento superficiale («Se avessi saputo delle sue interviste, l´avrei consultata»). Se la prende con il direttore della rivista, padre Boschini, che ha pubblicato il suo articolo sulla conversione di Gramsci senza avvertirlo che dell´argomento s´era già occupato Nesti nella sua tesi di laurea. Poi riferisce allo studioso di essersi messo in contatto, dopo l´uscita dell´articolo di Paese Sera, con l´unico vero cappellano della clinica Quisisana, don Giuseppe Furrer, il quale gli conferma in sostanza la testimonianza già resa a Nesti (don Giuseppe non ricordava neppure d´aver dato i sacramenti in punto di morte, comunque Gramsci era assente, immobile). Prova imbarazzo, padre Della Vedova, ma precisa che nel suo articolo uscito su Studi Sociali «io non dico che Gramsci s´è convertito o ha ricevuto i sacramenti, come ha scritto il Corriere della Sera, ma solo fatto una mia supposizione». Solo una supposizione. Destinata però a durare tre decenni.
S.Fio.

mercoledì 26 novembre 2008

Santi contro diavoli l'altra guerra in Tibet

Santi contro diavoli l'altra guerra in Tibet

La Stampa del 26 novembre 2008, pag. 17

di Claudio Gallo
Una sera a Dharamsala, a pochi passi dalla casa dove il Dalai Lama trascorre il suo esilio indiano, Lobsang Gyatso sta discutendo di filosofia buddhista con due allievi davanti a una frugale cena. A sessantanove anni è il direttore della scuola di dialettica, uno studioso molto ascoltato nella comunità della diaspora tibetana. Non sa, Lobsang, che in quel 4 febbraio 1997 gli ultimi granelli di sabbia stanno rotolando giù dalla clessidra della sua vita: tre ombre imponenti e muscolose entrano come invasate nella stanza e cominciano ad accoltellare i monaci con una furia da Charles Manson. Pochi minuti e torna la quiete: Lobsang è morto, abbracciato al suo zainetto. I due studenti respirano ancora, per poco. Il monaco Tenzin che arriva con il tè trova il rubino scuro del sangue che si mescola all'amaranto e all'ocra delle tuniche sfatte. Una voce corre per le strade della città: «Sono stati i partigiani di Dorje Shugden».

Il misterioso agguato porta alla ribalta, in un mondo che ancora si fa spaventare dalla favola del Baco del Duemila, un'intricata diatriba religiosa e politica cominciata quattrocento anni fa. Un'aspra disputa che invelenisce la comunità buddhista tibetana fino al punto di portare la scomunica reciproca sul filo dei pugnali, come molti sostengono sia accaduto in India undici anni fa. A mettere insieme i pezzi di questa storia ancora aperta, in realtà un groviglio di storie, è Raimondo Bultrini, giornalista esperto di Asia, nel suo «Il Demone e il Dalai Lama», pubblicato da Baldini Castoldi Dalai. Il massacro del '97 è la porta d'ingresso nel labirinto della vicenda di Dorje Shugden, il demone protettore che il Dalai Lama ha scacciato dal pantheon buddhista provocando la rabbiosa reazione dei suoi sostenitori. Dentro si dipartono molte strade: quella del giallo esotico, con il commissario Rajeev Singh a caccia dei sicari; quella dell'intrigo politico, con i cinesi che cercano di approfittare delle divisioni interne dei tibetani; quella della controversia religiosa, con il groviglio di storie e leggende su cui si accapigliano le autorità tibetane in esilio e alcune influenti scuole di irriducibili che hanno sede soprattutto in Inghilterra e in Italia.

A cercare di dire chi sia questo (non troppo) benedetto Shugden ci s'imbatte nella solita moltiplicazione delle prospettive: per gli adoratori è uno, per i detrattori un altro e per gli storici del buddhismo un altro ancora. Bultrini non nasconde di essere devoto al Dalai Lama e ci presenta lo Shugden maledetto, senza trascurare però di citare i suoi sostenitori e attingere alle loro fonti. Diciamo che la storia di base è questa: nel XVII secolo un celebre lama reincarnato, Dragpa Gyaltsen, faceva in qualche modo ombra al quinto Dalai Lama con la sua popolarità tra i principi mongoli, grandi protettori dell'ordine Ghelugpa, lo stesso al quale appartiene il Dalai Lama. Il governo tibetano lo prese di mira. Nel 1654 Dragpa morì in circostanze sospette, probabilmente avvelenato. Si racconta che dalla sua pira funeraria si levò un fumo nero a forma di mano aperta che rimase sospesa in aria a lungo prima di svanire. Poco tempo dopo il Tibet centrale e il suo governo cominciarono a essere colpiti da strane calamità; perfino i piatti del Dalai Lama si rovesciavano durante i pasti. Neppure i più celebri esorcisti riuscirono a cacciare la presenza dispettosa che fu identificata con Dragpa Gyaltsen. Lo spirito finì con l'accettare di trasformarsi in una divinità protettrice del buddhismo. Divenne uno dei guardiani più potenti dell'ordine Ghelugpa, ricevendo più tardi il nome di Dorje Shugden. Il suo culto è da allora controverso e l'attuale Dalai Lama, che pure da giovane ne fu episodicamente un adepto, lo ha duramente vietato.

Il professor George Dreyfus, autore di uno degli studi più approfonditi su Shugden (vedi Google: «The Shuk-den Affair: Origins and Controversy») smentisce la vulgata. A raccontare il ritorno dello spirito collerico di Dragpa non furono i suoi discepoli ma lo stesso quinto Dalai Lama, che cercò di dare conto così di un evento che traumatizzò il Tibet di allora come l'assassinio di un maestro spirituale. Shugden sarebbe uno spirito locale, legato a una certa zona del Tibet, e la sua identificazione con lo spettro di Dragpa risulterebbe posteriore. Infatti il vero creatore dell'attuale spiritaccio potrebbe essere un monaco vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, Pabonka. Per difendere l'ortodossia dei Ghelugpa, minacciata secondo lui dall'apertura dell'allora Dalai Lama (il XIII) ad altre sette, introdusse alcune varianti rituali ed elesse il terribile Shugden a protettore del suo ordine. Per Dreyfus è uno di quei tradizionalisti che altera la tradizione in nome della tradizione.

Oggi la disputa spirituale si complica di risvolti politici: i partigiani di Shugden sono in genere molto più aperti ai cinesi rispetto al governo di Dharamsala. Inoltre l'esilio ha accresciuto la centralità del Dalai Lama, che è diventato in qualche modo capo di tutte le sette tibetane e non più solo dei Ghelugpa, con grande dispetto dei tradizionalisti seguaci di Pabonka. Qualcuno vede dietro le beghe teologiche la regia di Pechino, che col grimaldello della religione starebbe mandando in frantumi l'unità dei tibetani. Non ne è convinto Erberto Lo Bue, professore di tibetologia all'Università di Bologna: «Non credo sia necessario guardare verso Pechino per spiegare l'assassinio dei monaci di Dharamsala: non si tratta della prima morte causata da faide politiche e religiose all'interno della diaspora tibetana; e non è necessario cercare all'esterno per ricordare che le lotte fra maestri buddhisti in India e Tibet sono state talora cruente. Non c'è bisogno di guardare troppo lontano per rinvenire nel clero tibetano comportamenti che, se pur rari, andarono dall'eliminazione fisica di maestri rivali alla distruzione di monasteri considerati nemici».

La storia di Shugden squarcia il velo di santimonia hollywoodiana che ricopre il buddhismo tibetano, almeno nella versione generalista colata dai media nella testa stipata di cliché del pubblico occidentale. Invece di una Shangri-La affollata di monaci estatici che sembrano storditi dal valium (a dire il vero Hilton nel suo romanzo del 1933 sul tetto del mondo ci metteva un'improbabile accolita di cristiani nestoriani) scopriamo un Tibet arcaico, che pratica un culto barocco e superstizioso, popolato di ogni sorta di demoni impegnati a influenzare la vita fin nelle minuzie. Certo, man mano che si salgono i gradini della dottrina buddhista verso la consapevolezza del vuoto originale, demoni e dei vengono riassorbiti nell'impalpabile nirvana, ma questa alla gente comune suona come un'astrazione e persino ai lama, a giudicare dai loro sforzi per ingraziarsi ogni spiritello collerico. Da qualche parte esisterà pure un Sant'Agostino tibetano a ricordarci che qualsiasi Chiesa è «mysterium lunae»: c'è una faccia luminosa rivolta verso la luce del sole e dietro un'altra oscura, il fardello dell'imperfezione umana.

Pedofilia, via libera a un processo contro il Vaticano

Corriere della sera 26.11.08
Kentucky, è il primo caso
Pedofilia, via libera a un processo contro il Vaticano

NEW YORK — Per la prima volta una corte di appello federale degli Stati Uniti ha dato il via libera ad un processo contro il Vaticano per presunti casi di abusi sessuali. La corte di appello di Cincinnati ha dichiarato legittima la richiesta a procedere contro la Santa Sede in un caso di abusi sessuali commessi da religiosi della diocesi di Louisville in Kentucky, ipotizzando che il Vaticano potrebbe essere ritenuto corresponsabile della condotta dei suoi membri. È la prima volta che allo stato Vaticano non viene garantita dagli Usa l'immunità sovrana sancita dal Foreign Sovereign Immunities del 1976. «Se qualcuno può rompere questa barriera viene aperta la strada ad altri processi contro la Chiesa Cattolica», ha dichiarato Jonathan Levy, avvocato di Washington che rappresenta un folto gruppo di sopravvissuti dei campi di concentramento in una azione legale rivolta contro varie parti incluso il Vaticano. Dall'altra parte, Jeffrey Lena, avvocato della Santa Sede, pur dicendosi «attualmente non intenzionato» a chiedere ai giudici di rivedere la decisione, ha precisato che «la sentenza è ancora molto lontana dal dimostrare la responsabilità diretta del Vaticano» per la condotta dei suoi membri.

Spagna/ Oddifreddi: Crocifissi in pubblico propaganda religiosa

Spagna/ Oddifreddi: Crocifissi in pubblico propaganda religiosa
Problema non è ingerenza Chiesa, ma limiti laici da porre

Roma, 24 nov. (Apcom) - Fa "piacere" al matematico Piergiorgio Odifreddi "constatare che anche la Spagna, dopo tanti anni di franchismo, stia diventando un paese civile".

Commentando la sentenza della magistratura spagnola sul crocifisso nelle aule, Oddifreddi, intervistato da 'Econews', aggiunge: "Dico 'anche' perché negli Stati Uniti, che certo non si possono accusare di essere un paese anticlericale, queste cose sono sempre avvenute. Si tratta di fatti normali: forse sembrano anormali a noi che abbiamo una tradizione diversa e certo non abbiamo un'idea laicista dello Stato. Da noi, voler mettere i crocifissi nei luoghi pubblici è un modo un po' surrettizio di fare propaganda religiosa, come lo è d'altronde l'ora di religione".

"Ricordo che qualche anno fa in Italia ci fu una sentenza di un giudice che disse che si doveva togliere il crocifisso da un luogo pubblico", prosegue il matematico. "Mi colpì la reazione del mondo politico: lo stesso presidente Ciampi disse che questa era una sentenza assurda, e che non andava seguita. Mi sembrò un comportamento abbastanza singolare per un Presidente della Repubblica, e che la dice lunga su quanto da noi il concetto di laicità sia piuttosto avveniristico".

"Non credo - afferma Oddifreddi - che la Chiesa sia colpevole dell'ingerenza sullo Stato: ritiene di avere un messaggio da dare, ed è giusto che usi tutti i mezzi possibili per diffonderlo. Il problema - prosegue - è che bisognerebbe porre dei limiti, e questo è il compito della classe politica, dove però neanche i partiti sedicenti laici portano avanti una politica laica. Io, nella mia breve esperienza nel Pd, cercai di far intervenire questi argomenti sulla laicità, ma me ne andai perché ho capito che non c'era speranza. Ma c'è anche un problema intellettuale: in Italia neanche la classe intellettuale, o filosofica, anche tra coloro che si dichiarano laici, fa ostruzione di fronte all'invadere della Chiesa. Penso ad esempio a Cacciari: si dichiara laico ma spesso si rivela più papista del papa".

"Un ulteriore problema", conclude Odifreddi, "riguarda i media: a volte ciò che dice la Chiesa viene amplificato in maniera veramente esagerata. Si pensi al 'Tg1', che a volte sembra il bollettino vaticano più che il telegiornale di uno stato indipendente, o ai giornali, che mettono in prima pagina non solo ciò che dice il papa, ma anche ciò che dicono le alte gerarchie ecclesiastiche. Anziché dedicare loro ogni volta una, due pagine si potrebbe fare un trafiletto. Dunque, in parte la colpa è anche nostra, che diamo troppa attenzione a queste visioni, e poi non c'è da stupirsi che qualcuno rimanga convinto".

Crocefisso, la sentenza del Tribunale Spagnolo

Crocefisso, la sentenza del Tribunale Spagnolo

martedì 25 novembre 2008

Usa, via libera processo contro Vaticano per pedofilia. Santa Sede: no comment

Il Messaggero, 25 novembre 2008
Usa, via libera processo contro Vaticano per pedofilia. Santa Sede: no comment

NEW YORK (25 novembre) - Via libera al processo contro il Vaticano per presunti casi di abusi sessuali. A dare l'ok la corte di di Cincinnati, Stati Uniti. Secondo la corte i vertici della Chiesa Cattolica avrebbero dovuto mettere in guardia il pubblico e denunciare alle autorità gli abusi commessi da religiosi contro minori. È la prima volta che allo stato Vaticano non viene garantita dagli Usa l'immunità sovrana sancita dal Foreign Sovereign Immunities del 1976. No comment dal Vaticano.

La corte di appello ha dichiarato legittima la richiesta a procedere in sede processuale contro la Santa Sede in un caso di abusi sessuali commessi da religiosi della diocesi di Louisville in Kentucky, ipotizzando dunque che il Vaticano potrebbe essere ritenuto corresponsabile della condotta dei suoi membri. La denuncia è stata fatta da tre uomini che sostengono di esser stati molestati quando erano chierichetti. I tre accusano la Santa Sede di aver per decenni insabbiato la piaga della pedofilia su scala nazionale. Alle presunte vittime aveva dato ragione in prima istanza l'anno scorso un giudice federale del Kentucky avallando la richiesta di rivalersi contro il Vaticano. Il giudizio era stato impugnato in appello e oggi il Sesto Circuito delle Corti d'Appello di Cincinnati ha dato luce verde all'azione legale.

La direttiva di Giovanni XXIII. Il caso si basa su una direttiva del 1962, a firma di papa Giovanni XXIII, resa pubblica nel 2003, che chiede alle gerarchie ecclesiastiche di mantenere il segreto su abusi sessuali da parte del clero. Secondo William Murray, avvocato delle presunte vittime, il documento rende la Santa Sede responsabile per gli atti del clero mantenuti segreti a causa della direttiva.

Jeffrey Lena, avvocato della Santa Sede, pur dicendosi «attualmente non intenzionato» a chiedere alla corte d'appello di rivedere la decisione, ha precisato che «la sentenza è ancora molto lontana dal dimostrare la responsabilità diretta del Vaticano» per la condotta dei suoi membri.

Jonathan Levy, avvocato di Washington che rappresenta un folto gruppo di sopravvissuti dei campi di concentramento in una azione legale rivolta contro varie parti incluso il Vaticano, riferendosi alla mancata garanzia della immunità sovrana alla Santa Sede, spiega che «se qualcuno può rompere questa barriera viene aperta la strada ad altri processi contro la Chiesa Cattolica».

L'azione legale dei tre di Louisville non è la prima in cui in America sono chiesti risarcimenti diretti al Vaticano e non solo alle singole diocesi. Fino a oggi però i processi non erano mai arrivati al livello di Corte d'Appello.

lunedì 24 novembre 2008

"Sparirà anche in Italia La Chiesa sta perdendo"

"Sparirà anche in Italia La Chiesa sta perdendo"

La Stampa del 24 novembre 2008, pag. 15

di Giacomo Galeazzi

«Finora nei tribunali italiani quella del crocefisso è stata una battaglia persa, ma noi condividiamo l’iniziativa spagnola ed è inevitabile che anche qui si arriverà alla rimozione dei simboli cattolici dalle aule e dalle altre sedi pubbliche». Le certezze di Enzo Marzo, presidente di «Critica Liberale», poggiano sulle tabelle e le statistiche realizzate dall’università di Roma per l’«Indice di secolarizzazione 2008» che oggi la sua fondazione e il settore «Nuovi diritti» della Cgil presentano a Roma.





Darete battaglia come in Spagna?

«I nostri avvocati lo hanno già fatto per l’otto per mille e il caso Eluana. Da quindici anni in Italia il tasso di laicità è in crescita inarrestabile e, con sempre più studenti musulmani in classe, sarà fisiologico togliere il crocefisso anche dalle nostre scuole. E una lotta che va avanti da quarant’anni, senza esito. Luigi Tosti, pur avendo ragione, è stato estromesso dalla magistratura per essersi rifiutato di giudicare in aule giudiziarie col crocefisso appeso. In Italia hanno avuto vita dura le denunce simili a quella vinta in Spagna. Malgrado siano richieste fondate, i tribunali danno torto, in palese violazione peraltro del principio costituzionale di uguaglianza delle confessioni religiose».



Cosa cambia ora?

«La battaglia sul crocefisso sarà vinta in Italia fra pochi anni, quando la Chiesa si dovrà rendere conto dell’impossibilità di mantenere il crocefisso in scuole pubbliche a maggioranza musulmana. Tra poco anche da noi emergeranno, finalmente, la laicità dello Stato e la libertà di religione affermata dalla Carta costituzionale. L’ultima trincea è la sconcertante sentenza di un tribunale veneto. Secondo il giudice, va ancora tenuto perché non rappresenta un simbolo religioso, ma una caratteristica culturale del nostro Paese».



E quindi?

«E’ una desacralizzazione blasfema, surreale. Una scappatoia rifiutata anche dai cattolici coerenti, per i quali il crocefisso è un segno di fede universale, non un simbolo culturale dell’Italia. La Chiesa è sull’orlo di una crisi di nervi e il tentativo di tornare all’indietro pur di salvare un simbolo sta mostrando la corda».



In che modo?

«Disponiamo di rilevazioni impressionanti, fondate su 150 indicatori oggettivi. Sono dati che provengono dall’Istat e dagli archivi pontifici. Numeri inoppugnabili: battesimi, iscrizioni alle scuole cattoliche, vocazioni, conversioni, matrimoni religiosi. Tutti gli indicatori sono in costante calo. Il calcolo viene fatto dal Caspur, il cervellone elettronico della «Sapienza». Adesso estenderemo il monitoraggio al resto d’Europa e non è detto che l’Italia sia meno secolare della Spagna».

In Spagna via il crocefisso dalle scuole

In Spagna via il crocefisso dalle scuole
La Stampa del 24 novembre 2008, pag. 15

di Gian Antonio Orighi

La Spagna laica accelera. Con una sentenza storica, un giudice della regione Castilla-León ha decretato che crocifisso e altri simboli cattolici dovranno essere tolti dalla scuola pubblica Macías Picave di Valladolid. Una sentenza, la prima del genere nella Spagna dell’agnostico premier socialista Zapatero, in nome della laicità e della aconfessionalità dello Stato. Il giudice ha dato ragione al ricorso presentato tre anni fa dalla Acel (Asociación Cultural Escuela Laica di Valladolid, Nord della Spagna) contro una delibera del Consiglio scolastico delle medie locali, che aveva rigettato la richiesta di alcuni genitori di eliminare la simbologia cristiana dalle aule dei loro figli. «E un trionfo dell’igiene democratica», commenta entusiasta Fernando Pastor, portavoce dell’Acel e padre di una studentessa dell’istituto.



La querelle al Picave - che per ironia della storia era un pensatore del XIX secolo progressista e grande difensore della teoria evoluzionista di Darwin avversata dai cattolici - era cominciata nell’anno scolastico 2005-2006. Alcuni genitori erano inorriditi constatando che la scuola era piena di Cristi e Madonne, mentre l’ora di religione nell’istituto è un optional. Invocando il principio della aconfessionalità sancita dalla Costituzione, chiesero di toglierle. Di solito la questione si risolve nel Consiglio scolastico, ove se un solo genitore manifesta la sua opposizione, la spunta. Ma il Consiglio votò contro.



La Acel si è allora appellata al governo regionale della Castilla-León, in mano ai popolari (centro-destra di orientamento cattolico). Niente da fare. La combattiva associazione è allora ricorsa in tribunale. Ieri la sentenza, che va molto al di là delle più rosee speranze. Anche perché ieri la portavoce socialista di Valladolid, Ana Redondo, ha chiesto all’esecutivo regionale di estendere la decisione a tutte le scuole di Castilla-León «perché è l’unica forma di tutela per le famiglie che non professano il cattolicesimo».



La sentenza del giudice, Alejandre Valentin Sastre, segue la linea politica laica del partito socialista di Zapatero, che nel giugno scorso ha deliberato di eliminare i funerali di Stato nelle Chiese, e qualsiasi simbolo cristiano negli atti ed edifici statali (le scuole dipendono dalle regioni). In quattordici pagine, il magistrato ricorda: «Mantenere i simboli religiosi nel centro scolastico calpesta i diritti fondamentali sanciti dagli articoli 14 e 16.1 della Magna Carta e la legge dell’80 sulla libertà religiosa».



Poi arriva l’affondo, esplosivo: «Nell’ambito educativo la libertà religiosa è un tema molto sensibile, perché nella fase di formazione della personalità dei giovani l’insegnamento influisce in modo decisivo nel futuro comportamento rispetto alle loro credenze - scrive Sastre -. La formazione religiosa condiziona la condotta dei ragazzi in una società che aspira alla tolleranza di altre opinioni e ideali che non coincidano con le proprie. La aconfessionalità implica la neutralità dello Stato di fronte alle diverse confessioni, perché nessuno può sentire che lo Stato, per ragioni di credo, gli è più o meno vicino».



«Finalmente si è fatta giustizia, anche se abbiamo dovuto aspettare tanto tempo per conseguire che si smettesse di violare i nostri diritti commenta Pastor -. Noi non siamo contro il crocifisso, ma contro la sua imposizione. Comunque, adesso abbiamo creato un precedente giuridico a scala nazionale». La vittoria dell’Acel è a questo punto totale: il governo regionale, attraverso il suo portavoce José de Santiago, ha annunciato che non ricorrerà, come avrebbe potuto fare, contro il verdetto.



Alle associazioni cattoliche non resta che incassare. «Ritirare le croci è un’altra tattica per isolare i cristiani, siamo preoccupati per l’ondata di laicismo che colpisce la Spagna», lamenta dalla Cope, la radio dei vescovi, il presidente dell’osservante associazione Hazteoir, Ignacio Arsuaga. Ma, segno dei tempi, su 38 scuole pubbliche di Valladolid, il crocifisso rimane (per ora) solo alle medie Isabel la Càtolica.

martedì 18 novembre 2008

Vaticano spacciatore di presunta morale

Vaticano spacciatore di presunta morale

Liberazione del 18 novembre 2008, pag. 19

di Imma Barbarossa
Ancora una volta la chiesa cattolica, per bocca dei suoi più alti esponenti - dal cardinale Herranz dell'Opus Dei al segretario di stato Tarcisio Bertone fino al presidente del pontificio consiglio per la salute - mostra il suo volto crudele, disumano, feroce. Il volto delle crociate contro gli infedeli, della Santa Inquisizione, di Torquemada. Eluana Englaro deve rimanere "in vita", probabilmente dovrebbe anche "sopravvivere" ai suoi familiari. La vocazione universalistica (cattolica, appunto) del Vaticano ha in sé il suo cancro nel suo storico legarsi al potere temporale, farsi instrumentum regni, dunque nella difesa oltranzista della sua autorità suprema sulla vita e sulla morte, sulle leggi degli stati, sull'etica.
Se nel suo farsi strumento di potere e difesa delle gerarchie ha finito col fiancheggiare le dittature più sanguinarie in America Latina nel corso del ‘900, con la caduta del muro di Berlino e la fine dei socialismi reali e dunque con l'esaurirsi in re della crociata contro l'"ateismo di stato", la politica vaticana, soprattutto durante il pontificato militante di Woytila , ha assunto venature antimoderniste, nel senso di una critica al capitalismo onnivoro e consumista, ai suoi stili di vita, alle grandi differenze socio-economiche tra nord e sud del mondo, tra ricchissimi e poverissimi. Fino a criticare l'uso della guerra per il petrolio, i provvedimenti contro i "poveri". Da un punto di vista caritatevole, certo, nel senso che le briciole del banchetto del ricco epulone vanno distribuite ai poveri, non nel senso di cambiare i meccanismi di produzione (e quindi di distribuzione) dei beni comuni (che devono essere comuni).
Inoltre, finita la santa alleanza con Bush, il Vaticano si scaglia anche contro i provvedimenti "minimi" annunciati dal presidente Obama in materia di aborto e ricerca sulle cellule staminali, nella difesa oltranzista della nuda vita, della vita fin dal suo concepimento.
Al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico, ma sempre nel "civilissimo" e "democratico" Occidente, la chiesa cattolica si sente minacciata dalla "modernità" e si rifugia in un antimodernismo che di fatto intende riportare le istituzioni pubbliche a bracci secolari dell'autorità divina, espressa dal pontefice di Roma e ipotizzare la vita e i comportamenti di uomini e donne come soggetti alla morale cattolica. Come il capitalismo, allora, anche la politica del Vaticano si fa biopolitica. E' ritornata di moda con il filosofo Ratzinger l'espressione dei teologi medievali "etsi deus non daretur", nel senso che su ciò che non riguarda le questioni del divino, la morale cattolica vale sempre, anche se Dio non ci fosse, ossia anche per gli atei, in quanto deriverebbe dal diritto naturale. Di qui i cosiddetti laici devoti alla Giuliano Ferrara, di qui l'oltranzismo delle varie Binetti nel partito democratico.
E' dunque cosa vana chiedere al Vaticano di pensare alla fede e non alla religione, di eliminare il sacro (quindi il dogmatico) dalla religione come vorrebbe Enzo Mazzi. La sfera del potere temporale induce la chiesa cattolica a sconfinare nella politica militante.
L'embrione al di sopra di tutto, quindi il corpo delle donne (e la sessualità di tutti/e) va normato, adattato alla morale cattolica, regolamentato con la violenza delle leggi. Su tutto questo, la santificazione del dolore, la beatificazione di donne che partoriscono creature malate o a costo della propria morte), fa parte di un patriarcato di chiesa, che è lo stesso che cacciò le donne dalle prime comunità cristiane, che ha impedito l'aborto alle suore violentate, che bruciava le streghe perché aveva paura della sessualità, in particolare della sessualità femminile.
Contro tutto questo, anche, manifesteremo in tante il 22 novembre.

NOTE

Responsabile Dipartimento Laicità, differenze e nuovi diritti

Dio immaginario. Cultura laica debole

L'Opinione 15.11.08
Dio immaginario. Cultura laica debole
di Alessandro Litta Modignani

Negli ultimi tempi, le dichiarazioni del Papa sono state particolarmente discutibili, al punto da creare imbarazzo persino nei commentatori di cultura cattolica. Si direbbe quasi che Benedetto XVI abbia perso parte della sua autorevolezza. Le uscite in occasione della crisi finanziaria (“I soldi svaniscono, solo la parola di Dio è solida”), sui ricercatori e scienziati “avidi di denaro”, sull’equiparazione fra omosessualità e pedofilia hanno suscitato un’ondata di proteste, prestando il fianco a facili sarcasmi. Molti vignettisti si sono sbizzarriti. Queste reazioni, per quanto giustificate, non affrontano però il problema alla radice. Su cosa si basano gli argomenti del Papa? Occorre coglierne il senso profondo.
”Dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo - ha detto Ratzinger – Realista è chi riconosce nella Parola di Dio, in questa realtà apparentemente così debole, il fondamento di tutto”. Proprio questo rovesciamento del principio di realtà è all’origine, in generale, di tutte le religioni rivelate. “Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà”, sostiene Benedetto XVI. Questo è il nodo da sciogliere. Se il Papa, che fa il suo mestiere, indica la realtà autentica in questo rovesciamento, la cultura laica ha il dovere di proporre, a sua volta, un “rovesciamento del rovesciamento”, ricollocando la religione nella sfera che le è propria, cioè quella dell’immaginario umano.
Nel suo celebre saggio contro il cristianesimo, Friedrich Nietzsche sottolinea proprio come questo carattere “immaginario”, astratto e non realistico, sia un elemento fondativi della tradizione giudaico-cristiana.
“Né la morale né la religione vengono a contatto, nel cristianesimo, con qualsiasi punto della realtà. Cause puramente immaginarie (Dio, anima, io, spirito, libero volere); effetti puramente immaginari (peccato, redenzione, grazia, punizione, remissione dei peccati). Un commercio fra esseri immaginari (Dio, spiriti, anime); un’immaginaria scienza della natura (completa mancanza del concetto di cause naturali); un’immaginaria psicologia (un mero fraintendimento: pentimento, rimorso di coscienza, tentazione del Diavolo, vicinanza di Dio); un’immaginaria teleologia (il Regno di Dio, il giudizio universale, la vita eterna). Questo mondo di pure finzioni si differenzia, con suo notevole svantaggio, dal mondo del sogno, per il fatto che quest’ultimo rispecchia la realtà, mentre esso falsifica, svaluta, nega la realtà”. (La sintesi è nostra).
Nei suoi termini essenziali, la risposta laica alle tesi religiose potrebbe ridursi a questo: Dio come prodotto dell’immaginazione umana e del rovesciamento del principio di realtà. Così il denaro acquista un significato concreto e anche nobile, come strumento creato da menti intelligenti per regolare le relazioni economiche. Come tutti gli strumenti, esso può a volte non servire allo scopo, ma ciò non può indurre gli esseri raziocinanti a considerare solida “solo la parola di Dio”. Altrimenti ci si avvia sulla strada della follia e le conseguenze non tardano a manifestarsi: intolleranza, superstizione, odio teologico, delirio mistico, fanatismo missionario, ostilità alla scienza, persecuzione dei diversi, umiliazione della donna, repressione del corpo, paura della felicità. Non si tratta affatto di degenerazioni episodiche o di deviazioni casuali, bensì di un connotato intrinseco, “consustanziale”, al fenomeno religioso, come la storia ha abbondantemente dimostrato.
La cultura laica però non sempre ha il coraggio di raccogliere la sfida sul terreno più autentico, quello filosofico, difendendo il primato della ragione sulla fede. Per questo, quando Benedetto XVI cita il Salmo 118 (“La legge della Tua bocca più preziosa di mille pezzi d’oro”) al massimo la si mette sul ridere.

martedì 11 novembre 2008

«Religulous» si scaglia contro i predicatori e le celebrità che ostentano la fede

Corriere della Sera 11.11.08
«Religulous» si scaglia contro i predicatori e le celebrità che ostentano la fede
Attacco laico
Le religioni in un documentario «comico» Cristiani, ebrei e musulmani nel mirino
di Giovanna Grassi

LOS ANGELES — «La religione è una sovrastruttura dell'uomo e del potere. È sempre foriera di traumi, inibizioni, gerarchie. Non solo è pericolosa, ma nasconde anche una ricattatoria fandonia: quella di far diventare gli esseri umani buoni». Questo è l'assioma che sostiene Bill Maher nel documentario che ha scritto e prodotto, Religulous, e di cui ha affidato la regia a Larry Charles ( Borat) — il miglior amico di Michael Moore — che, ironia della sorte, con la sua gran barba e sempre vestito di nero sembra proprio un predicatore.
Maher è il «comedian/reporter » più politicamente scorretto d'America: nato a New York nel 1956, è figlio di un noto giornalista della Nbc di adamantina fede cattolica e di una signora di religione ebraica. È stato radiato dalla ABC, con il suo popolare show di interviste e dibattiti (intitolato Politically Incorrect), dopo aver innescato uno scandalo nazionale per aver detto che i terroristi dell'attacco alle Due Torri non erano «vili né codardi ».
Religulous non sarà sicuramente in corsa per gli Oscar, ma resta nella top ten degli incassi Usa a diverse settimane dal debutto; in Italia uscirà il 5 dicembre, dopo essere passato al morettiano Festival di Torino. Il New York Times lo ha definito «il più irriverente, divertente documento sulla fede», ma è anche molto angoscioso e «foriero di interrogativi profondi», ha ribattuto il Los Angeles Times.
Il film è imperniato su una carrellata di predicatori, sette, religioni ufficiali, ortodosse e non dell' America. Racconta Bill: «Da sempre volevo girare un documentario sulla fede essendo io stato segnato da una crescita divisa tra due religioni. Ho girato il mondo e volevo, non è un paradosso, che il nostro lavoro fosse anche divertente e che, nell'analizzare il potere spesso corrotto che si nasconde dietro tanti culti, instaurasse un dibattito tra intelligenza e stupidità con i suoi discutibili idoli, spesso simili a rock star nella loro leva sulle folle. Ho intervistato centinaia di persone, scienziati, letterati, intellettuali, vescovi, ciarlatani... Ho utilizzato migliaia di spezzoni, compresi quelli di Bush quando afferma, per i suoi tornaconti e crimini di guerra «Dio e Gesù Cristo sono esistiti per dare libertà agli uomini». E anche McCain, che di religione non parla, ma dichiara di credere al diavolo. Tom Cruise seguace di Scientology ha rifiutato l'incontro, ma appare in alcune sue dichiarazioni, come John Travolta, adepto della fede di L. Ron Hubbard».
Che cosa ha divertito e preoccupato di più l'indomito Bill, che da bambino litigava con la madre ebrea e con il padre cattolico, decisi entrambi a imporgli la loro fede (ma per rispetto e amore ha dedicato il film a mamma Julie, defunta)? «Sicuramente — risponde — gli incontri con i predicatori americani, che hanno migliaia e migliaia di fedeli ». Ed ecco gli esempi che più l'hanno colpito: «Due soprattutto rappresentano l'assurdità del bisogno di fede. Il miliardario predicatore Josè Luis de Jesus Mirada che, coperto di oro e con abiti di sartoria ("Perché Cristo è stato e resta una icona fashion") proclama di essere il nuovo Gesù a folle adoranti; l'ex leader gay oggi sposato John Wescott, che ha creato il suo business di fede per convertire tutti i gay alla cristianità e che nega che Gesù abbia mai parlato della materia. E, poi, gli islamici integralisti da me intervistati, i cittadini dell' America profonda che dichiarano di aver parlato con il loro angelo custode, gli scienziati, gli analisti della religione autori di best seller, il capo della Cannaba Religion, Ferre van Beveren".
Ce n'è per tutti e genitori e figli fanno la fila per vedere e contestare il documentario con striscioni «God helps us» (Dio ci aiuta) o poster irridenti. Dice Maher: «Mi interessa molto la reazione della platea italiana, cattolica e no. Perché avevo solo un obiettivo nel realizzare il nostro lavoro. Far confrontare i popoli con la fede, quindi con la politica, il potere e la propria coscienza ». Scusi, una o due regole di fede per lei?: «Stimolare controversie, essere frugale e sempre ragionare con i fatti».

domenica 9 novembre 2008

Lourdes ovvero il ciclo francese

Lourdes ovvero il ciclo francese

« Si era anzitutto colpiti dalla costituzione fisica della fanciulla, gracile e rachitica, e dalla sua fisionomia idiota; non ampia la fronte, con forte inclinazione all’indietro. Dopo aver proceduto all’auscultazione, riscontrai rantoli sibilanti ed i segni di una malattia organica del cuore. La rividi l’indomani, col direttore della Scuola d’Agricoltura di Lourdes, riscontrai nella ragazza manifestazioni di dispnea, vi erano i sintomi di costituzione apoplettica con indebolimento delle facoltà intellettuali ». Questo non è il quadro clinico di una qualsiasi povera infelice capitata a Lourdes in cerca di guarigione, ma il referto medico ufficiale stilato all’indomani delle « apparizioni » di Lourdes sullo stato psico-fisico di Bernadette Soubirous, la bambina tubercolotica, asmatica e, come abbiamo visto, idiota, sulle cui affermazioni si basa l’intera impalcatura che regge da un secolo la più funzionale industria del miracolo che sia mai stata impiantata sul nostro pianeta. Il referto fu stilato nel 1858 dal dottor Delmas di Roquecourbe, unitamente al Presidente del Consiglio Generale degli Alti Pirenei. Qualche anno dopo un altro medico, il dottor Augusto Voisin affermò:
« Il miracolo di Lourdes è stato affermato sulla testimonianza di una bambina che soffriva di allucinazioni ».
Ecco, queste sono le basi da cui necessariamente occorre partire per trattare il « fenomeno » Lourdes. Ormai sull’argomento sono stati scritti circa 4 mila libri.

Giuseppe De Lutiis, L’industria del santino, Anno santo ’75 ovvero la Fede nel Profitto, Guaraldi, Rimini, 1973.Pagina 51

La chiesa continua a mettere all'indice

La chiesa continua a mettere all'indice
- Vorrei dei libri, dei buoni libri di buoni autori... Non avrebbe un catalogo?
- Guardi, c'è questo: qui ci trova i migliori.
dal "Don Basilio", 7 Novembre 1948.
Il clericalismo si espande e si rafforza nelle scuole, nei giornali e nelle case editrici.

La Maestra atea non può esistere

La Maestra atea non può esistere

Circolare del 12 novembre 1966 del Ministero della Pubblica Istruzione - Direz. gen. dell’istruz. elemen..
tare - Div. IV, Sez. I - Prot. n. 6295

E’ stato rilevato che, a differenza di tutte le altre scuole sia elementari sia secondarie, nelle scuole magistrali pubbliche le alunne che lo chiedono non sono dispensate dall’obbligo di frequentare l’insegnamento religioso. Pur dovendosi osservare che la religione è elencata fra le materie di insegnamento ed è compresa nei programmi d’esame, che sono indicati nell’allegato c) del R.D. 11 agosto 1933 n. 1286, si deve al riguardo considerare che la legge 24 giugno 1929 n. 1159 e il R.D. 28 febbraio 1930 n. 289, che regolano in via generale il trattamento per i culti ammessi nello Stato, sanciscono per tutte le scuole pubbliche il diritto alla dispensa dall’obbligo di frequentare l’insegnamento religioso per gli alunni per i quali ne sia fatta richiesta.
Per tali considerazioni ed in relazione ai principi della Costituzione sulla libertà religiosa, si dispone che la norma ora richiamata concernente la dispensa degli alunni dal frequentare l’insegnamento religioso abbia applicazione anche nelle scuole magistrali sia statali sia convenzionate; nel diploma rilasciato ad alunne che abbiano fruito della dispensa e non abbiano quindi sostenuto l’esame di religione si deve annotare: « esonerato dall’esame di religione perché di culto... ».
Non occorre dire che qualora un’insegnante munita del diploma con la limitazione indicata sia assunta in una scuola pubblica di grado preparatorio (o scuola materna) all’istruzione religiosa si provvede a sensi degli artt. 27 del Testo unico delle leggi sull’istruzione elementare e 109 del relativo Regolamento.


Le giovani non professanti alcuna religione o culto le quali vogliano dedicarsi all’insegnamento nelle scuole dell’infanzia (dette scuole materne) sono dunque obbligate a frequentare le lezioni di religione cattolica e a sostenere il relativo esame. Possono esserne esonerate solo le giovani professanti un culto ammesso. La maestra atea non può esistere.
In verità, tutta la disciplina legislativa dell’istruzione religiosa cattolico-concordataria è ispirata ad
un intento compulsivo (il compelle intrare di S. Agostino): si presuppone infatti l’obbligo di frequentare il corso di religione e, subordinatamente, si consente che l’alunno possa essere sottratto a quest’obbligo mediante dichiarazione scritta — non motivata — del genitore (art. 23 del R.D. 28 febbraio 1930 n. 289).

Da “Patti Lateranensi e piccola antologia della legislazione italiana”, Dall’Oglio Editore, Varese, 1968. Pagine 60-61.

PROGRAMMI DIDATTICI PER LA SCUOLA PRIMARIA

PROGRAMMI DIDATTICI PER LA SCUOLA PRIMARIA

D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503

(Estratto)

Programmi per la prima e la seconda classe

L’insegnamento religioso sia considerato come fondamento e coronamento di tutta l’opera educativa. La vita scolastica abbia quotidianamente inizio con la preghiera, che è elevazione dell’anima a Dio, -seguita dalla esecuzione di un breve canto religioso o dallo ascolto di un semplice brano di musica sacra. Nel corso del ciclo l’insegnante terrà facili conversazioni sul Segno della croce, sulle principali preghiere apprese (Padre nostro, Ave Maria, Gloria al Padre, preghiera all’Angelo custode, preghiera per i Defunti), su fatti del. Vecchio Testamento ed episodi della vita di Gesiù desunti dal Vangelo.
Nello svolgimento di tale programma si tenga presente la Guida di insegnamento religioso per le scuole elementari, pubblicata dalla Commissione superiore ecclesiastica per la revisione dei testi di religione.



Programmi per le classi terza, quarta e quinta

Quanto è detto per la Religione nel precedente ciclo è valido anche per questo secondo ciclo.
L’educazione religiosa si ispiri alla vita e all’insegnamento di Gesta, esposti nei Vangeli. La vita religiosa derivi da una sentita adesione dell’anima ai principi del Vangelo e dalla razionalità dei rapporti fra tali principi e l’applicazione della legge morale e civile.
Alle preghiere precedentemente apprese si aggiunga la Salve Regina e si spieghi più particolarmente il significato del Padre Nostro; inoltre si guidi il fanciullo alla conoscenza e all’apprendimento del Credo. Si continui nella narrazione facile ed -attraente di episodi del Vecchio Testamento (primo anno del ciclo) e del Vangelo. Nel secondo e nel terzo anno del ciclo si tengano pure facili conversazioni sui Comandamenti e sui Sacramenti, sulle Opere di misericordia corporale e spirituale, sul Santo Patrono, sulle tradizioni agio-grafiche locali, sui Santi la cui vita possa interessare particolarmente i fanciulli, sui periodi dell’anno ecclesiastico e sulla Liturgia romana;

si leggano e si commentino passi del Vangelo, accessibili alla mentalità degli alunni. Non si trascuri l’eventuale riferimento a capolavori d’arte sacra.
Nello svolgimento di tale programma si tenga presente la Guida di insegnamento religioso per le scuole elementari, pubblicata dalla Commissione superiore ecclesiastica per la revisione dei testi di religione.



L’espressione « fondamento e coronamento dell’istruzione » risale ai tempi del filosofo Giovanni Gentile, il quale, da ministro, nel 1923, la introdusse nei programmi della scuola elementare italiana. Secondo il Gentile la religione doveva essere insegnata nella scuola elementare come « filosofia inferiore », cioè come visione del mondo offerta da un sistema mitologico e perciò accessibile alla mentalità infantile. Scriveva che a lui non credente non premeva affatto che fosse insegnato nella scuola il dogma della Vergine-madre; ma, poiché la dottrina comprende anche questo dogma, diceva che egli doveva « avere il coraggio di tirar la conseguenza » che lo si dovesse insegnare. È ben vero che da questo « fondamento e coronamento » dogmatico dell’insegnamento pubblico poteva derivare la perdita « della responsabilità morale e intellettuale dell’uomo »; ma al Gentile bastava che la « libertà della ragione » fosse data dalla filosofia idealistica in quella scuola liceale che egli definiva « alimento dello spirito alle classi dirigenti » (Educazione e scuola laica, p. 133-134). La Chiesa ottenne da Mussolini, col Concordato, l’estensione del « fondamento e coronamento » a tutta l’istruzione pubblica: così l’insegnamento della dottrina cattolica entrò anche nelle scuole secondarie, inferiori e superiori.
Da “Patti Lateranensi e piccola antologia della legislazione italiana”, Dall’Oglio Editore, Varese, 1968. Pagine 51-52

SVIZZERA. Preti pedofili, primo bilancio: individuati 28 abusi

dal sito link
Notizia del 07/11/2008 - 16:08

SVIZZERA. Preti pedofili, primo bilancio: individuati 28 abusi

Preti pedofili nelle diocesi di Friburgo, Losanna e Ginevra
FRIBURGO - La commissione SOS Prevenzione, istituita dalla Diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo lo scorso febbraio allo scopo di riunire le testimonianze di vittime di preti pedofili, ha stilato un primo bilancio oggi. In nove mesi i cinque membri della commissione si sono imbattuti in 28 "situazioni" di abusi. La stragrande maggioranza dei casi è tuttavia ormai prescritta, o "più che prescritta".
Soltanto due casi, di cui uno ancora "poco chiaro", si riferiscono a tempi più recenti. Due casi andati in prescrizione sono stati segnalati alla giustizia perché legati a due inchieste penali recenti: quella su un frate cappuccino descritto come un "predatore di bimbi" dalla magistratura friburghese e quella in corso nel cantone di Neuchâtel a carico di un altro sacerdote.

La commissione si è soprattutto impegnata ad "ascoltare" le vittime, un ruolo considerato prezioso dal suo vicepresidente, l´avvocato Jacques Meyer: "il fatto di essere riconosciuto quale vittima e poter raccontare un passato molto doloroso è estremamente importante".

Gli atti commessi dai preti, nella stragrande maggioranza deceduti, vanno dagli abusi sessuali, ai maltrattamenti, all´inosservanza dei doveri ecclesiastici, quali la discrezione o il dovere di prudenza.

In passato, la Chiesa ha omesso troppo spesso di dare il seguito adeguato ai casi di pedofilia fra i sacerdoti: "il prete in questione era trasferito altrove e si sperava nella grazia di Dio perché cambiasse atteggiamento", rileva l´avvocato. Al riguardo, il caso del frate cappuccino, trasferito a più riprese in Svizzera e in Francia, dove ha mietuto complessivamente 24 vittime, è "emblematico".

Un´analisi in corso dovrebbe sfociare in una politica di prevenzione volta ad evitare gli abusi e soprattutto la loro ripetizione. Saranno pure emesse raccomandazioni concrete e direttive in materia di indennizzi.

Santo Sepolcro, baruffa tra monaci. Polizia israeliana interviene, fermati due religiosi

2008-11-09 14:56
Santo Sepolcro, baruffa tra monaci
Polizia israeliana interviene, fermati due religiosi
(ANSA) - GERUSALEMME, 9 NOV - Una violenta baruffa tra monaci armeni e greci ortodossi e' scoppiata nella Basilica del Santo Sepolcro. La polizia e' stata costretta a intervenire per ristabilire l'ordine e ha fermato due monaci. La baruffa, che gia' altre volte si e' verificata, e' stata causata da contrasti sui preparativi di monaci armeni per una loro ricorrenza religiosa. La Basilica e' infatti al centro di forti rivalita' tra le sei confessioni cristiane che ne hanno il controllo.

Scrittore denuncia il vescovo Soravito

Il Resto del Carlino, 8 novembre 2008
IL CASO
Scrittore denuncia il vescovo Soravito

Il vescovo ha definito l’esistenza di Gesù "storicamente provata", ma un ex seminarista lo ha querelato per "abuso di credulità popolare". Lo scrittore Luigi Cascioli è noto per le sue posizioni contro la Chiesa cattolica

Rovigo, 8 novembre 2008 - La ‘crociata’ contro la religione cattolica messa in piedi dallo scrittore Luigi Cascioli arriva anche a Rovigo e a finire nel mirino, questa volta, è addirittura il vescovo Lucio Soravito De Franceschi che è stato denunciato all’autorità giudiziaria dallo stesso scrittore per sostituzione di persona e abuso della credulità popolare.
Niente di ‘personale’, ovviamente, perché Cascioli, a quanto pare, non ha nemmeno mai visto il vescovo. Sotto i suoi occhi, però, sarebbe finito uno dei suoi messaggio pastorale (quello del 23 dicembre 2005) in cui monsignor Soravito spiegava che "Dio (Gesù) nascendo in un luogo ben definito, Betlemme, e in un preciso momento storico, non era un mito, nè una favola, ma «una realtà che appartiene alla nostra storia".

Parole non condivise da Cascioli che, invece, identifica Gesù con un’altra persona vissuta in quel tempo profilando quindi il reato di sostituzione di persona.
"Ai sensi dell’articolo 661 del codice penale — spiega inoltre Cascioli — si ha abuso della credulità popolare quando taluno trae in inganno una moltitudine di persone. Nel caso di specie, i ministri del culto della chiesa cattolica, come monsignor Lucio Soravito de Franceschi, commettendo dei falsi storici (quindi presentando come veri e realmente accaduti dei fatti inventati funzionali alla dottrina religiosa) ingannano tutte le persone che vengono a contatto con l’insegnamento di tale religione inducendoli a credere nella stessa sulla base non di argomentazioni puramente teologiche (del tutto lecite e ammissibili), ma sulla base di un’ingannevole rappresentazione dei fatti. Il reato è contravvenzionale, per cui è sufficiente l’elemento psicologico della colpa, che è certamente riscontrabile in tutti i ministri del culto cattolico (quindi anche di monsignor Lucio Soravito de Franceschi). Per quanto attiene al delitto di sostituzione di persona — conclude Cascioli — esso si riscontra allorquando un soggetto, per trarre vantaggio, induce altri in errore attribuendo, a se o ad altri, un falso nome".

Insomma, ragioni sufficienti, secondo Cascioli, per denunciare il vescovo rodigino. Ragioni che, forse, non partono dal presupposto che la fede è un dono e che nessuno è obbligato a credere. Tenendo presente che, al mondo, sono centinaia di milioni le persone che non considerano i vangeli dei «falsi storici» come Cascioli e con argomentazioni non certo campate in aria. Ad ogni modo, se si considerano tutte le religioni che esistono al mondo, e le possibili querele che potrebbero partire, tutte le procure del mondo finirebbero sommerse di carte in pochi istanti.

di m.s.

sabato 8 novembre 2008

Insegnamento Religioso


Insegnamento Religioso
- Dimmi, Gigino, perchè Caino fu maledetto da Dio?
- Perchè dopo avere assassinato Abele non dette due miliardi al Papa.

Vignetta dalla rivista "Il becco giallo", 15-31 marzo 1929. Amaro, sarcastico commento alla benevolenza del papa per Mussolini, giudicato, pur dopo l'assassinio di Matteotti, l'"uomo della provvidenza". L'insegnamento religioso nelle scuole, voluto dal concordato, suscita talvolta negli scolari reazioni inaspettate.

venerdì 7 novembre 2008

Il biologo si confessa: farò registrare le mie ultime parole, qualcuno potrebbe attribuirmi una conversione in punto di morte

Corriere della Sera 7.11.08
Il biologo si confessa: farò registrare le mie ultime parole, qualcuno potrebbe attribuirmi una conversione in punto di morte
Il sacerdote dell'ateismo: «Ho fallito»
Richard Dawkins: il mio saggio contro l'esistenza di Dio non ha intaccato la fede dei credenti
di Decca Aitkenhead

Ora che Richard Dawkins va in pensione, lasciando la sua cattedra di Oxford dopo il grande successo ottenuto dal suo libro L'illusione di Dio, ci si potrebbe aspettare che veda avviata al successo la causa laica e scientifica a cui ha dedicato la carriera. Giorni fa, alcuni attivisti hanno annunciato l'intenzione di lanciare una campagna per pubblicizzare l'ateismo, mettendo sul fianco dei bus britannici uno slogan che dice: «Probabilmente Dio non esiste, smettete quindi di preoccuparvi e godetevi la vita». La campagna, lanciata dalla sceneggiatrice televisiva Ariane Sherine, che ha un blog sul Guardian, sperava di raccogliere 5.500 sterline dai sostenitori, e Dawkins aveva promesso che ne avrebbe personalmente aggiunte altrettante, ma le donazioni hanno già superato le 96 mila sterline.
Intanto il ministro dell'Immigrazione Phil Woolas prevede che entro 50 anni vi saranno riforme costituzionali che estrometteranno i vescovi dalla Camera dei Lord, e il numero di studenti che si iscrivono alle facoltà di matematica e scienze è in aumento. Anche in America la destra religiosa sembra stia perdendo terreno.
Ma quando si chiede a Dawkins, che ora ha 67 anni, se pensa che la comprensione delle scienze sia migliorata, lo si vede dubbioso. «Direi piuttosto che quando ho cominciato la carriera accademica c'era probabilmente la stessa ignoranza, ma meno opposizione attiva verso la scienza. Se si gira per scuole e università, si troverà un discreto numero di ragazzi che, pur non sapendo perché, disapprovano la teoria evoluzionista: lo fanno perché è il punto di vista che hanno ricevuto dalla famiglia». Attribuisce questo fatto ai bassi standard di istruzione scientifica o all'ascesa del fondamentalismo?
«Beh — dice senza esitazione — penso sia dovuto a una maggiore influenza della religione».
Secondo Dawkins in Gran Bretagna è in corso una battaglia tra le forze della ragione e il fondamentalismo religioso, e la ragione è lontana dall'uscirne vincente.
Dawkins è uno dei combattenti più famosi e attivi, ma non è detto che sia tra i più efficaci. Lo scopo dichiarato del suo L'illusione di Dio era «convertire» i lettori all'ateismo, ma Dawkins ammette di aver fallito. «Sì — dice sorridendo — penso sia stato un obiettivo poco realistico. Importante, ma poco realistico».
In effetti Dawkins è stato definito «il miglior alleato della causa creazionista in Gran Bretagna». I critici lo accusano di non comprendere la tendenza della natura umana a desiderare il conforto del pensiero irrazionale. Dicono che la sua arroganza intellettuale gli aliena le simpatie della gente.
Quando Sherine lo ha interpellato per la campagna sui bus, lo slogan che Dawkins avrebbe preferito era «Quasi certamente Dio non esiste». Ma non è forse uno slogan che avrebbe irritato i credenti e allontanato chi poteva avere simpatia per l'ateismo? Alla fine optarono per «Probabilmente Dio non esiste».
«Lo so — dice Dawkins — si dice che io sia antipatico e irritante». E ha una spiegazione abbastanza convincente in proposito: «Siamo tutti cresciuti pensando che la religione abbia una posizione privilegiata, che non la si possa criticare, e quindi se lo si fa, anche in misura modesta, si viola questo principio e si diventa arroganti».
Ma perché allora non cerca di essere più conciliante, anche solo per una questione di opportunità? Se la gente è perplessa dinanzi al suo approccio intellettuale, perché non si sforza di essere un po' meno aggressivo? «Beh, effettivamente, questo è un aspetto che mi dà da pensare. È una critica che mi viene rivolta spesso, ed è senz'altro la più intelligente. Suppongo che la questione possa essere affrontata in due modi diversi, e mi fa molto piacere che qualcuno si dimostri, diciamo, più seducente. Potrei farlo anch'io, ne sarei capace». Fa una pausa per riflettere. «Ma mi sembra di non aver più la pazienza necessaria».
Crede che il livello degli studenti sia in calo da quando l'università è diventata più accessibile? «È un argomento sul quale devo stare molto attento a non sembrare un vecchio bacucco. Quando ho cominciato a insegnare, negli anni Sessanta, per me era una grande gioia avere studenti entusiasti, molto interessati e appassionati, l'insegnamento era un vero momento di confronto, uno scambio di idee. Questo tipo di rapporto è andato gradualmente scomparendo. Ma esito a dar la colpa di ciò agli studenti, forse sono io che un po' alla volta ho perso lo slancio».
Come quasi tutti i razionalisti, Dawkins tende ad appellarsi all'intelligenza innata degli altri e ad attribuire all'ignoranza, piuttosto che alla stupidità, un modo errato di pensare. «Ma non ho prove — ammette —. Potrei sbagliarmi. È una posizione ideale». La gente potrebbe semplicemente essere stupida, gli suggerisco. «Già, potrebbe esserlo. Ma almeno, dando la colpa all'ignoranza, mi difendo dall'accusa di essere arrogante. Se dicessi che la gente è stupida, di certo non me la farei amica né la convincerei».
Prima di incontrare Dawkins, ero preoccupata che potesse essere così intellettualmente insofferente da mettermi in imbarazzo. L'impressione, invece, è più quella di un leone che si è dato la precisa regola di comportarsi da gatto, e questo è tranquillizzante, ma anche un po' deludente.
Non ha mai invidiato, gli chiedo, la gente che crede in Dio? «No», risponde, scuotendo il capo con decisione. Anche se si dice che la fede sia un grande conforto? «Vede, lo sarà anche, ma ci tengo ad aggiungere: e con questo? Ho il sospetto che per ogni persona che viene confortata dalla fede, ce ne sia un'altra che ne è mortalmente spaventata ». Non ha invidia di chi riesce a non trovare Dio mortalmente spaventoso? «Se li invidiassi, dovrei allora invidiare chi si droga per sentirsi bene...».
Dawkins ama dire scherzosamente che le persone anziane vanno in chiesa come gli studenti «che si preparano per l'esame all'ultimo momento ». Non pensa di potersi svegliare un giorno, da vecchio, e scoprire di essere attratto dalla fede? Se così fosse, lo considererebbe un segno di demenza senile. Sembra più preoccupato che qualcuno dei suoi nemici diffonda, dopo la sua morte, la falsa notizia di una sua tardiva conversione. Probabilmente non scherza affatto quando dice: «Voglio essere sicuro che quando pronuncerò le mie ultime parole ci sia un registratore acceso».
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commento:
la fede, nel senso cristiano del termine, è ignoranza.
Tutti i monoteisti sono il malafede, sanno nel loro cuore che il loro dio è solo un'invenzione.
Non si convince un devoto e sottomesso ad utilizzare l'intelligenza e la ragione.
Ogni credente rinuncia volontoriamente alle sue capacità mentali.
Non si libera uno schiavo se questo vuole rimanere schiavo.
Le religioni monoteiste fanno di tutto per condizionare e deformare la personalità dei bambini. Fanno questo sapendo che una volta che si è condizionato un bambino in maniera così forte, quando crescerà per lui sarà assai difficile di liberarsi dei mostri che il monoteismo gli ha radicato nel cuore e nel cervello.
Leggendo l'articolo si comprendere come oramai sia necessario e fondamentale di farla finita con il monoteismo.
Francesco Scanagatta

SECONDA QUERELA CONTRO LA CHIESA CATTOLICA PER ABUSO DELLA CREDULITÀ POPOLARE

SECONDA QUERELA CONTRO LA CHIESA CATTOLICA PER ABUSO DELLA CREDULITÀ POPOLARE

Gesù Cristo non è un personaggio esistito.

Viterbo - Rovigo - Dopo la prima denuncia contro la Chiesa cattolica nella persona del parroco di Bagnoregio, don Enrico Righi, per abuso della credulità popolare e sostituzione di persona, terminata in seguito all’archiviazione del Tribunale di Viterbo e alla respinta del Tribunale di Strasburgo per vizio di forma, Luigi Cascioli ne ha presentata una seconda, sempre per gli stessi reati, contro Mons. Lucio Soravito de Franceschi, vescovo di Rovigo.

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA

PRESSO IL TRIBUNALE DI ROVIGO


Il sottoscritto Luigi Cascioli, residente in Roccalvecce (Viterbo) via delle Province 45/B


ESPONE QUANTO SEGUE

Il sottoscritto, dopo lunghi e approfonditi studi consistenti anche (e non solo) in un’esegesi testuale del Vecchio e Nuovo Testamento, è arrivato alla conclusione che molti dei fatti presentati come veri e storici dalle “Sacre Scritture” sono in realtà dei falsi, primo fra tutti la storicizzazione della figura di Gesù il Cristo, per buona parte mutuata sulla figura di Giovanni di Gamala, figlio di Giuda il Galileo, discendente della stirpe degli Asmonei.

Le motivazioni che hanno condotto il sottoscritto a tale conclusione sono dettagliatamente esposte nel libro che si allega al presente esposto, del quale costituisce parte integrante e sostanziale. Con il seguente esposto non si vuole contestare la libertà dei cristiani di professare la propria fede, sancita dall'art. 19 della Costituzione, ma si vuole stigmatizzare l’abuso che la Chiesa Cattolica commette avvalendosi del proprio prestigio per inculcare come fatti reali e storici quelle che non sono altro che invenzioni.

Un chiaro esempio di tale abuso è stato commesso da Mons. Lucio Soravito de Franceschi, vescovo della diocesi di Rovigo, allorché ha sostenuto in un messaggio pastorale del 23 dicembre 2005 la figura storica di Gesù affermando falsamente: «Dio (Gesù) nascendo in un luogo ben definito, Betlemme, e in un preciso momento storico: al tempo di Augusto, sotto il governatore della Siria Quirinio, durante il censimento: Gesù non è mito, non è una favola, ma una realtà che appartiene alla nostra storia».

Che la figura di Gesù sia stata costruita per intero su quella di certo Giovanni di Gamala, figlio di Giuda detto il Galileo, risulta in maniera inconfutabile da una si grande quantità di prove da togliere ogni dubbio sulle falsificazioni operate dai redattori dei vangeli. Basterebbe soltanto quella riguardante la trasformazione dell'appellativo Nazireo, con cui veniva chiamato Giovanni di Gamala, in quella di Nazareno data a Gesù, quale abitante di Nazaret, per dimostrare nella maniera più assoluta la sostituzione di Persona.

Da un punto di vista penalistico, tali falsificazioni storiche possono integrare le fattispecie di due reati: l’abuso della credulità popolare e la sostituzione di persona (nel caso di Gesù Cristo).

Ai sensi dell’art. 661 C.P., si ha abuso della credulità popolare quando taluno, per mezzo d’imposture, trae in inganno una moltitudine di persone. Nel caso di specie, i ministri del culto della Chiesa Cattolica, come Mons. Lucio Soravito de Franceschi, commettendo dei falsi storici (quindi presentando come veri e realmente accaduti dei fatti inventati funzionali alla dottrina religiosa) ingannano tutte le persone che vengono a contatto con l’insegnamento di tale religione inducendoli a credere nella stessa sulla base non di argomentazioni puramente teologiche (del tutto lecite e ammissibili), ma sulla base di un’ingannevole rappresentazione dei fatti. Il reato è contravvenzionale, per cui è sufficiente l’elemento psicologico della colpa, che è certamente riscontrabile in tutti i ministri del culto cattolico (quindi anche di Mons. Lucio Soravito de Franceschi), atteso che non è possibile che persone istruite e che, per vocazione e mestiere, studiano continuamente la Bibbia e i Vangeli non si siano accorte delle numerose e ripetute falsità (anche grossolane) contenute in tali scritti. Per quanto attiene al delitto di sostituzione di persona, esso si riscontra allorquando un soggetto, per trarre vantaggio, induce altri in errore attribuendo, a se o ad altri, un falso nome.

Nel caso in esame, il libro “La Favola di Cristo”, (cui rimando per più esaurienti spiegazioni) dimostra che Gesù Cristo non è mai esistito e che sotto tale nome si cela tal Giovanni di Gamala.

Quindi Mons. Lucio Soravito de Franceschi che fa proselitismo, come tutti i ministri della Chiesa, per trarre vantaggio dal numero dei fedeli che tanto è maggiore e tanto più grande sarà l’introito economico derivante dalle sue offerte, tra cui quella dell’8 per mille abbinata alla dichiarazione dei redditi, inducendo in errore, sulla base di tali falsità, coloro i quali ricevono il messaggio, commette il reato previsto e punito dall'articolo 494 del Codice Penale.

Tra l’altro, per integrare il reato in parola, “non è necessario che il fine propostosi dall’agente sia di per se stesso illecito o di natura patrimoniale, ben potendo essere lecito e non patrimoniale” (Cass.pen. n. 10805/98 -- n 3645/99 -- n 230694/04 -- 1910/05).

L’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico che sussiste in tutti questi soggetti che, pur essendo consapevoli di tale falsità, non si fanno scrupolo di continuare a propalare come fa Mons. Lucio Soravito de Franceschi.

La responsabilità del Sommo Pontefice può essere solo morale, attesa la sua immunità ai sensi dell'articolo 3 -- I comma C.P., mentre per gli altri ministri del culto cattolico (come nel caso specifico Mons. Lucio Soravito de Franceschi) è da prospettarsi di natura penale.

La continua presentazione di fatti falsi gabellati come veri lede anche la tranquillità morale e la serenità dell’esponente, con conseguente danno di emotional distress, di cui si chiederà il risarcimento del danno nelle opportune sedi, mediante tempestiva costituzione di parte civile, che si riserva fin d’ora.

Il sottoscritto rimanendo a disposizione dell’autorità giudiziaria per fornire ogni chiarimento, si riserva d’integrare quanto esposto e chiede espressamente di essere sentito sui fatti di cui sopra.

Tanto premesso e considerato, il sottoscritto Luigi Cascioli presenta formale



DENUNCIA-QUERELA



nei confronti di Mons. Lucio Soravito de Franceschi, residente presso la diocesi in via Sichirollo 18 45100 Rovigo, per i reati p.e p. degli articoli 494 e 661 C.P., nonché per ogni altro reato che la Signoria Vostra Illustrissima vorrà ravvisare nel comportamento sopra descritto.

Con riserva di costituzione di parte civile nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge, chiedo, ex art. 408 C.P.P. di essere informato in caso di archiviazione della notizia criminis.

Si allega alla presente denuncia il libro “La Favola di Cristo” e la copia della lettera pastorale a miglior riprova di quanto esposto.

Roccalvecce 08/11/2008

Con osservanza.

Luigi Cascioli



Luigi Cascioli, autore dei libri denuncia:
“La favola di Cristo - Inconfutabile dimostrazione della non esistenza di Gesù”
“La Morte di Cristo - Cristiani e Cristicoli”


Riferimenti:
www.luigicascioli.it

http://nochiesa.blogspot.com

Interviste, conferenze, convegni e altro tel. 3393188116

giovedì 6 novembre 2008

La laicità impossibile

L'opinione, 06-11-2008

Il caso Binetti

La laicità impossibile
di Alessandro Litta Modignani

Sul piano del metodo, il fatto che la parlamentare ultra-cattolica Paola Binetti sia stata denunciata di fronte alla cosiddetta “Commissione di garanzia” del Pd, è istintivamente inaccettabile per qualsiasi spirito liberale. Secondo Costituzione, i parlamentari esercitano la loro funzione “senza vincolo di mandato”. Inoltre, la libertà di associazione, prevista all’art. 49, implica che la vita interna ai partiti e alle formazioni politiche sia regolata per legge, proprio per garantire il diritto del cittadino di “concorrere liberamente” alla vita pubblica, evitando qualsiasi abuso da parte di burocrazie e oligarchie. E poi, che sarà mai questa “commissione di garanzia”? Nella cultura comunista c’era il tribunale del popolo, durante la partitocrazia il collegio dei probiviri, ma entrambi non hanno lasciato buoni ricordi. Sono stati quasi sempre strumenti di potere, quasi mai di rispetto delle regole. Se qualcuno si sente diffamato dalle parole della Binetti (a ragione, a nostro avviso, ma questo non c’entra) si rivolga pure alla magistratura: tanto non otterrà nulla, poiché costei gode dell’immunità parlamentare. Il problema è politico, come si diceva una volta, e non disciplinare. Veltroni non può fare finta di non accorgersene.

Quando la Binetti, artefice dell’astensione al referendum sulla legge 40, annunciò la sua candidatura nell’Ulivo, Daniele Capezzone (all’epoca segretario dei Radicali) disse che il Vaticano aveva lanciato un’Opa sul 100% della politica italiana. Sembrava un’iperbole, invece neppure Capezzone immaginava quanto fosse vicina alla realtà. Nel 2006 Paola Binetti si è mossa verso la sinistra italiana con autentico spirito missionario. E’ stata inviata dall’Opus Dei letteralmente “in partibus infidelium”, emissario infiltrato nei territori occupati dal nemico. Forte della sua fede, armata di rosario e cilicio, gomito a gomito con il gay Franco Grillini, e l’ateo militante Piergiorgio Odifreddi, quello che ricorda la comune radice dei termini “cristiano” e “cretino”. Al Senato i numeri la rendono determinante. Le catto-comuniste Bindi e Pollastrini propongono i Dico e lei li affonda. Vota contro le norme sull’omofobia (preveggenza divina?) e blocca il testamento biologico. Svolge con tale efficacia il ruolo di guastatrice, che quest’anno viene promossa alla Camera. Il Papa è subissato dalle critiche e lei gli fa scudo con il corpo: se l’omosessualità è fortemente radicata può scatenare la pedofilia, conferma convintamente.

E se invece un prete palpa una bambina, onorevole Binetti, tutto bene? Non sarebbe piuttosto il caso di mettere in discussione il celibato, la mortificazione del corpo, la paura della felicità? Nel Pd sale la protesta e la vorrebbero addirittura processare, Veltroni crede di cavarsela dicendo che “non ci sono reati d’opinione”. Non saranno reati, ma le opinioni in politica contano, caro Veltroni. Non conoscevate forse quelle della Binetti? Nel Pd c’è posto per tutti, per gli omosessuali “ma anche” per gli omofobi? Se davvero il Pd volesse uscire dall’ambiguità, dovrebbe lanciare la sua sfida al PdL e tentare la strada di una laicità autenticamente liberale. Dovrebbe pretendere vere riforme, e non controriforme, in tema di unioni civili, divorzio breve, testamento biologico. I laici del centro-destra allora potrebbero venire allo scoperto e accorgersi che non sono poi così pochi. In tal caso, sarebbe la Binetti ad andarsene, senza bisogno di essere cacciata. Non avrebbe neppure l’onta di cambiare schieramento, poiché Buttiglione e Volonté l’aspettano a braccia aperte. Ma non illudiamoci: non accadrà nulla di tutto questo, né a destra né a sinistra.

mercoledì 5 novembre 2008

Pedofilia, don a processo

dal corriere.com, 5 novembre 2008, link
Pedofilia, don a processo
Sotto accusa il vicerettore del seminario di Brescia
BRESCIA - A meno di un anno di distanza dall’arresto in carcere è iniziato il processo contro don Marco Baresi, già vice rettore del seminario di Brescia, accusato di pedofilia e detenzione di materiale pedopornografico.
Il processo, in considerazione dei reati ipotizzati dall’accusa, si tiene a porte chiuse. Non è la prima volta, negli ultimi anni, che la curia bresciana si trova al centro di vicende giudiziarie in cui l’accusa, pesantissima, è quella di pedofilia. Un sacerdote è stato assolto insieme a un bidello e sei insegnanti nell’aprile del 2007. Ora però, nei confronti degli otto imputati è iniziato il processo d’appello e l’accusa ha chiesto condanne, complessivamente, a 127 anni di carcere. Condanna per tutti e 8 gli imputati.
Il caso in cui è rimasto coinvolto don Marco Baresi è piuttosto diverso. La vittima dei presunti abusi è un ragazzo che frequentava il seminario. Il religioso ne avrebbe abusato più volte. Ad aggravare la posizione di don Baresi è stata poi la perquisizione del suo ufficio in seminario. Nel computer è stato trovato del materiale di natura inequivocabilmente pedopornografica. «Al mio computer - si è difeso il sacerdote - avevano accesso anche altre persone».

martedì 4 novembre 2008

Preti pedofili in diocesi Friburgo, Losanna, Ginevra

3 novembre 2008 - 15.41

Preti pedofili in diocesi Friburgo, Losanna, Ginevra

FRIBURGO - Fra i sacerdoti della diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo indagati per abusi sessuali è stato smascherato un "predatore" di bimbi: il frate cappuccino di cui si era già parlato agli inizi dell'anno è sospettato di aver abusato di 24 fanciulli sull'arco di almeno 35 anni. Lo ha indicato oggi la giudice istruttrice friburghese Yvonne Gendre. Il caso di un altro prete è stato trasmesso alla magistratura neocastellana.

La giudice ha reso conto stamani delle investigazioni avviate inizio estate sulla base di una "lista di sospetti" ricevuta dalle mani di un parroco attivo nel canton Vaud. Cinque indagini preliminari sono state avviate contro altrettanti sacerdoti. Due essendo deceduti, l'operato della giustizia si è concentrato sugli altri tre. Uno dei religiosi è stato scagionato e l'inchiesta che lo riguardava è stata archiviata.

Il caso più grave è rappresentato dal frate cappuccino di 68 anni, sul quale agli inizi dell'anno la magistratura francese aveva aperto un'inchiesta. L'uomo "ha agito in tutta impunità per più di 35 anni". Quando la giudice ha ricevuto il fascicolo riunito dalla diocesi, esso conteneva già i nomi di otto vittime, fra le quali il nipote dell'ecclesiastico. Dopo l'interrogatorio dell'interessato, il loro numero è salito a 22. L'apposita commissione della diocesi ha poi annunciato due vittime supplementari.

Il frate contesta due casi, che sarebbero ormai caduti in prescrizione. Gli abusi sono stati commessi in svariati cantoni e in Francia. È tuttavia in questo paese che sono stati commessi i fatti non ancora coperti dalla prescrizione: l'ultimo risale al 1995, mentre il nipote è stato molestato nel 1992. La giudice friburghese ha già contattato un collega di Grenoble, cui saranno trasmessi i risultati dell'inchiesta. Il religioso potrebbe essere giudicato in Francia o nel cantone - il cui nome è stato taciuto - dove risiede attualmente.

Le vittime dell'ecclesiastico erano tutti ragazzini dai 9 ai 14 anni "particolarmente vulnerabili", ha dichiarato la giudice. Tre di loro erano handicappati. I primi abusi sono incominciati nel 1958 quando il religioso studiava in un convitto in Vallese. L'ecclesiastico era poi stato implicato in casi di pedofilia in Svizzera tra il 1968 e il 1972. Nel 1989 aveva lasciato il paese per la Francia. Nel 2002, la diocesi, venuta a conoscenza della situazione, aveva allertato la curia di Grenoble della pericolosità dell'uomo. Dopo essere stato trasferito a Lione, il frate era rientrato in Svizzera nel 2005.


SDA-ATS

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Prete Pedofilo: la vicenda si aggrava

Prete Pedofilo: la vicenda si aggrava
(lunedì 03 novembre, ore 13:51)
Dall'indagine della magistratura friburghese risulta che il prete cappuccino sospettato di pedofilia avrebbe abusato di 24 ragazzini in 40 anni. Il 68enne dovrà rispondere dinnanzi alla giustizia svizzera o francese delle pesanti accuse. I fatti non ancora prescritti sono stati commessi in Francia, ma qualora non vi venisse giudicato, il processo si svolgerebbe nel cantone in cui risiede attualmente, cantone che la giudice istruttrice Yvonne Gendre non ha voluto precisare. Quest'ultima ha inoltre avviato inchieste simili su altri quattro sacerdoti, due dei quali sono però deceduti.
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sabato 1 novembre 2008

L’equivoco di una religione civile

La Repubblica 31.10.08
Un saggio su "Micromega"
L’equivoco di una religione civile
Fede e politica
di Gustavo Zagrebelsky

È un fenomeno che avviene sotto i nostri occhi e che papa Benedetto XVI ha teorizzato. Ma che è in conflitto con lo Stato laico
La Chiesa offre la teologia e i suoi valori come tessuto connettivo alle società occidentali di cui si presume il disfacimento
La riproposizione di una funzione antichissima, addirittura originaria
L´attacco a un sistema definito materialista, nichilista, privo di nerbo morale

Sotto i nostri occhi, si svolge una mutazione nel rapporto tra la Chiesa e la società: dalla religio (o theologia) socialis dell´ultimo scorcio del XIX secolo, alla religio (o theologia) humana della seconda parte del secolo scorso, alla religio (o theologia) civilis (o politica) del tempo attuale, quando la religione si offre come tessuto connettivo di società politiche in auto-disfacimento: «Prendere una [�] chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società» (parole del papa Benedetto XVI, durante la visita a Parigi il 13 settembre 2008). Quest´ultimo � il «consenso etico di fondo» �, un concetto molto ambiguo che non si sa che cosa significhi (ma forse qualcuno, con lo sguardo rivolto alla storia della Chiesa, può temere di saperlo), è il punto che riguarda la situazione odierna. (...)
L´ultimo passaggio, la religio civilis, è presentato come un prodotto della «post-modernità» o del «post-secolarismo». Ma è un ricominciare da capo, poiché, in verità, essa è la ri-proposizione di una funzione antichissima, anzi addirittura originaria, della religione come fattore politico, secondo il senso che quella formula assume nella classica tripartizione sviluppata nelle Antiquitates di Marco Terenzio Varrone, di cui Agostino d´Ippona, nel De civitate dei (libri VI e VII), dà ampio ragguaglio: «religione civile» come pratica religiosa dei sacerdoti a vantaggio non della vita eterna delle anime, ma come salute dei popoli e delle città e come fattore connettivo, o presupposto socializzante della convivenza nelle comunità umane.
Questa ri-proposizione è avvenuta nell´ambito del dibattito odierno circa le «premesse sostanziali», necessarie alla vita delle istituzioni liberali e democratiche: premesse che � questo è l´assunto � «lo Stato liberale secolarizzato» non sarebbe in grado di garantire. L´interesse di questa posizione sta in questo, che la fondazione della vita politica su premesse religiose è prospettata come un atto di amicizia, non d´inimicizia, nei confronti delle società liberali, altrimenti votate al suicidio o, comunque, alla propria fine. Questa denuncia teorica, circa l´incapacità delle democrazie liberali di garantire i propri presupposti normativi, si accompagna, come conferma empirica, a una fiorente letteratura sulla decadenza delle società occidentali, parallela a quella corrente nell´Europa del secolo scorso tra le due guerre mondiali. Queste società, materialiste, disgregate, disperate, nichiliste, egoiste, prive di nerbo morale, preda di pulsioni autodistruttive, sarebbero giunte a «odiare se stesse», secondo una vibrante accusa del magistero cattolico. I sintomi sarebbero la diminuzione del tasso di natalità e l´invecchiamento delle generazioni; lo sviluppo abnorme di scienze e tecniche frammentate, prive di anima, fini a loro stesse e dotate di ambizioni smisurate; la riduzione della ragione a mera «ragione strumentale» al servizio di nichilistiche volontà di potenza; minacce esterne all´identità europea � allora il bolscevismo internazionale, oggi l´islam: tutto questo in un ambiente di debilitazione morale e di «relativismo», di cui il cosiddetto pensiero debole sarebbe la teorizzazione filosofica. In questo contesto, la religione cattolica romana, traendosene fuori e dando per presupposta la propria attualità e idoneità a fronteggiare i problemi del presente, si propone come religione civile, come sostegno della società politica, come medicina delle sue infermità, come fattore d´identità ed esorcismo nei confronti della violenza che quella società in frantumi cova al suo interno. La Chiesa può pretendere così, per questa via, una nuova legittimazione generale per la sua parola: una legittimazione chiaramente politica che, sul piano teorico, si accompagna � negli ultimi anni, a partire dall´enciclica Fides et ratio del 1998 � all´ardita elaborazione di una theologia naturalis che ha la pretesa di fornire alla scienze umane il «fondamento razionale» di verità che occorre loro, traendolo dalle proposizioni della fede cristiana. La funzione totalizzante della Chiesa, non solo nelle cose sociali, non solo in quelle umanitarie, ma direttamente in quelle politiche, è così fondata. Essa può pretendere di interpretare e garantire l´«identit໠� l´identità cristiana � dei popoli di tradizione occidentale e, in questo, si incontra con progetti politici che nulla hanno a che fare con la fede religiosa, ma sono interessati a un´alleanza per la difesa di una non meglio precisata «civiltà occidentale». (...)
In generale, è possibile, anzi necessario, sollevare il dubbio circa la compatibilità dell´anzidetta funzione civile della Chiesa con la posizione che a questa compete secondo la Costituzione e il regime concordatario, previsto nell´articolo 7. È lecita la domanda se esistano ancora le premesse di quel tipo di regolazione dei rapporti di diritto ecclesiastico. Tale regime si basa, infatti, sulla premessa, stabilita nel primo comma, che Stato e Chiesa sono, cioè devono essere, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Ciò significa due cose: innanzitutto, il riconoscimento reciproco del carattere di societas perfecta, cioè sufficiente a sé medesima nel perseguimento dei propri compiti, rispettivamente: il governo della società e la salvezza delle anime; in secondo luogo, l´obbligo di non ingerenza di un «ordine» nell´«ordine» altrui. La religio civilis è contraria a entrambe: assume l´insufficienza dell´ordine civile a badare a sé stesso; afferma la competenza della religione in questioni relative alla «tenuta» della società civile. Entrambe le proposizioni ricorrono ormai pressoché incontrastate nei documenti della Chiesa (anche quella circa lo Stato come societas imperfecta: un´affermazione d´ingerenza grave), senza alcuna sensibile reazione da parte dell´autorità civile. La sua subalternità, innanzitutto culturale, si tocca con mano. Il «supremo principio di laicità» contenuto nella Costituzione (Corte costituzionale, sentenza 203 del 1989), è chiamato in causa direttamente, in quanto esso implica, come premessa minima irrinunciabile, l´autosufficienza dello Stato.
In secondo luogo, la religione come religio civilis (cosa tutta diversa dall´indiscutibile diritto dei credenti, come di chiunque altro, di agire politicamente ispirandosi al proprio credo) viola il carattere liberale e democratico dell´organizzazione politica della società civile. La funzione civile della religione dovrebbe essere quella di fornire un legame sociale che contrasti le conseguenze disgreganti della libertà: essa, quindi, dovrebbe sottrarsi alla sfera della libertà, per poter svolgere questo suo compito. Come è stato detto, dovrebbe «precedere» la libertà. Ma, se così, dovrebbe collocarsi nell´ambito dell´esercizio di autorità. In brevi e brutali parole, dovrebbe essere «inculcata», con i mezzi possibili di convinzione. Con il che si tornerebbe a prima del riconoscimento, da parte della Chiesa stessa, della libertà di coscienza come diritto umano intangibile. La stessa Costituzione, un documento della libertà, verrebbe come messa sotto tutela di princìpi politici elaborati nella sfera della religione.
In terzo luogo, la religione civile, in un contesto di pluralismo culturale e religioso, comporta di per sé lesione del principio di laicità, nel suo contenuto ugualitario. Laico è lo Stato che non prende partito a favore di una o di un´altra religione, come pure non prende partito tra le diverse posizioni religiose, e, ancor prima, tra queste e quelle atee o agnostiche. Si tratta del principio di imparzialità o equidistanza in materia di professioni di fedi e convinzioni, religiose e non religiose, principio che vieta non solo di assumere di una religione come «religione dello Stato», ma anche di assicurare trattamenti privilegiati, in corrispettivo della funzione ch´essa svolge nella compagine sociale. Soprattutto con riferimento alle religioni monoteiste, il cui Dio è un «Dio geloso», la funzione civile della religione, però, non può essere svolta da più religioni, in concorrenza tra loro. Più religioni significherebbero inevitabilmente non rafforzamento di un «io comune», ma disgregazione. Il riconoscimento alla religione di una funzione civile implica perciò il privilegio. La tolleranza, oggi, è o sembra essere fuori discussione. Ma la laicità non si accontenta della tolleranza (nel senso minimo della tradizione curiale, come sopportazione dell´inevitabile), ma pretende diritti in condizione di uguaglianza. Le religioni diverse da quella, unica, chiamata a improntare di sé la società nel suo complesso, cioè le religioni minoritarie, dovrebbero invece adattarsi a «vivere nella diaspora», cioè in un ambiente sociale, politico e giuridico che è d´altri, non anche loro, dove le proprie ragioni circa la vita buona in comune non hanno rilevanza pubblica, dove devono accontentarsi d´essere «tollerati». È un´espressione terribile e precisa, nell´indicare dove conduce l´assegnazione alla religione della funzione «civile», ma tuttavia più esplicita e onesta di altre, correnti e ugualmente orientate alla difesa di pretese identità storico-morali, come le espressioni da cui si è preso avvio, che si avvalgono degli aggettivi esornativi «vero», «sano», «nuovo», «positivo», e così via parlando.