giovedì 17 settembre 2009

Ora di religione La Santa Sede «Sia quella cattolica»

l’Unità 10.9.09
La Congregazione per l’educazione cattolica: «Studio di diverse fedi creerebbe confusione»
Messa in discussione la sentenza del Tar del Lazio: «I figli devono seguire la fede dei genitori»
Ora di religione La Santa Sede «Sia quella cattolica»
L’ora di religione «cattolica» non si tocca. Non può essere sostituita da insegnamenti «multiconfessionali». All’apertura dell’anno scolastico il Vaticano dà la linea a tutte le conferenze episcopali, non solo alla Cei.
di Roberto Monteforte

All’ora di religione «cattolica» nelle scuole il Vaticano non intende proprio rinunciare. È troppo importante quel «contatto» formativo con le giovani generazioni, e non solo in Italia. All’inizio dell’anno scolastico la Santa Sede pone ufficialmente il problema. Davanti alle esigenze poste da società sempre più multietniche e plurireligiose che hanno messo in discussione «la natura e il ruolo dell’insegnamento della religione nella scuola» mette le mani avanti. Fa muro contro le tendenze a sostituirlo con insegnamenti multiconfessionali sul fatto religioso o di etica e cultura religiosa. Con una «lettera circolare» sull’insegnamento della religione nella scuola, inviata il 5 maggio dalla Congregazione vaticana per l’Educazione Cattolica dà la linea alle «conferenze episcopali» dei paesi di tradizione cattolica o dove i cattolici sono minoranza. «Il rispetto della libertà religiosa esige la possibilità di offrire agli alunni nelle scuole pubbliche e private un’educazione religiosa coerente con la loro fede» puntualizza il documento che reca le firme del cardinale Zenon Grocholewski e monsignor Jean-Louis Brugues, prefetto e segretario della Congregazione. Il punto è quello della libertà religiosa e di indirizzo educativo dei giovani cui sono «primi responsabili» i genitori. «I diritti dei genitori sono violati insiste la lettera se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori o se viene imposta un’unica forma di educazione dalla quale sia completamente esclusa la formazione religiosa». Da qui lo sbarramento anche verso un insegnamento «limitato ad un’esposizione delle diverse religioni comparativo o neutro». «Potrebbe creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso». Il punto è chiaro: in Italia ed anche altrove, non deve essere messo in discussione quell’insegnamento che non presuppone l’adesione alla fede, ma «intende trasmettere le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana». Si chiede abbia «lo status di disciplina scolastica», con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline» e deve svilupparsi in «necessario dialogo interdisciplinare». La Chiesa ribadisce pure la sua prerogativa di stabilire i contenuti autentici dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola». Che è poi quanto prevede il Concordato tra l’Italia e la Santa Sede ratificato nel 1984.
Scatta immediato l’allineamento del ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini: «Condivido questa posizione e credo che nel nostro paese questo avvenga regolarmente». «L’ora di religione aggiunge non deve essere un’ora di catechismo, ma sicuramente un’ora in cui si insegna la religione cattolica».
Chiude così in modo sbrigativo un confronto sulla laicità dello Stato e sull’uguaglianza dei diritti dei cittadini non cattolici che ha portato alla recente sentenza del Tar del Lazio proprio sulla rilevanza dell’insegnamento della religione cattolica nella valutazione degli studenti. Che quell’insegnamento non debba essere strettamente confessionale lo pensa anche il sindaco di Venezia Massimo Cacciari e la moderatora della Tavola Valdese, pastora Maria Bonafede. Le comunità islamiche in Italia, con l’Ucoii chiedono che all’ora di religione cattolica ne sia affiancata una di storia delle religioni, gestita dalle stesse comunità. Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni osserva che nella Italia a maggioranza cattolica «è giusto insegnare a scuola questa confessione», ma che non deve essere discriminato chi chiede l’esenzione.

Il Vaticano ai farmacisti cattolici: «Non vendete la pillola abortiva»

l’Unità 14.9.09
Il Vaticano ai farmacisti cattolici: «Non vendete la pillola abortiva»
Il farmacista cattolico sia al servizio della vita e rispetti la morale della Chiesa, non tenga conto solo del business. Dal «ministro» vaticano della Sanità monsignor Zimowski un invito: non distribuite la pillola abortiva Ru 486.
di Roberto Monteforte

CITTÀ DEL VATICANO Obiezione di coscienza e opera di dissuasione. Questa deve essere la scelta dei farmacisti cattolici qualora venissero loro richiesti farmaci che mettono in discussione la vita, come la pillola abortiva Ru 486, gli anticoncezionali o farmaci in grado di favorire di fatto l'eutanasia. Lo ribadisce l'arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, intervenendo al Congresso Mondiale dei farmacisti cattolici in corso a Poznan, in Polonia e dai microfoni di Radio Vaticana. I farmacisti non devono piegarsi alle logiche del businness. Una cosa, puntualizza, è il giusto guadagno altro è compiere scelte che sarebbero in contraddizione con i principi della morale cristiana. Lo fa rilanciando una presa di posizione del 2007 di papa Ratzinger ed una del suo predecessore, Giovanni Paolo II sul ruolo di servizio alla vita del farmacista cattolico. «Nella distribuzione delle medicine affermava papa Wojtyla il farmacista non può rinunciare alle esigenze della sua coscienza in nome delle leggi del mercato, nè in nome di compiacenti legislazioni. Il guadagno, legittimo e necessario, dev' essere sempre subordinato al rispetto della legge morale e all'adesione al magistero della Chiesa». Quindi ribadiva i punti fermi della Chiesa «sul rispetto della vita e della dignità della persona umana, sin dal suo concepimento fino ai suoi ultimi momenti» che «non può essere sottoposto alle variazioni di opinioni o applicato secondo opzioni fluttuanti». È più esplicita la riproposizione del pensiero di Benedetto XVI che fa riferimento proprio allo smercio di farmaci come la pillola «abortiva» Ru 486. «Non è possibile anestetizzare le coscienze, ad esempio sugli effetti di molecole scriveva nel 2007 che hanno come fine quello di evitare l'annidamento di un embrione o di abbreviare la vita di una persona. Il farmacista deve invitare ciascuno a un sussulto di umanità, affinché ogni essere sia tutelato dal suo concepimento fino alla sua morte naturale e i farmaci svolgano veramente il ruolo terapeutico». Il
Vaticano rilancia il suo affondo per contrastare lo smercio di farmaci come la pillola abortiva Ru 486 e torna ad ipotizzare l’invito all’obiezione di coscienza dei farmacisti cattolici.
LA RISPOSTA DEGLI OPERATORI
Gli operatori del settore rispondono che per il farmacista questo, a differenza di medici e infermieri, non è consentito. «Il farmacista è tenuto per legge a dispensare un farmaco, o a procurarlo entro il più breve tempo possibile, a fronte della prescrizione del medico» precisa la presidente di Federfarma, l'associazione che riunisce i titolari di farmacie private, Annarosa Racca. E il presidente di Farmindustria, l’associazione dei produttori di farmaci, Sergio Dompé esprime «grande rispetto per il magistero della Chiesa e per il Papa», ma puntualizza«i farmaci sono fatti e pensati per risolvere problemi e aiutare le persone, e se la farmacologia e le aziende del farmaco possono mettere a disposizione soluzioni in tale direzione, è dovere delle aziende e del mondo scientifico farlo». Senza escludere soluzioni a problemi come il fine vita o il concepimento.
Il senatore del Pd, Ignazio Marino, cattolico e medico, osserva: «I farmacisti devono svolgere il loro lavoro obbedendo alle leggi dello stato laico. Se non se la sentono possono rinunciare ad avere una farmacia»

Ora di religione. Quella disputa che divide lo Stato dalla Chiesa

La Repubblica 15.9.09
Ora di religione. Quella disputa che divide lo Stato dalla Chiesa
Le decisioni del Tar e del ministro Gelmini hanno riaperto le polemiche sulla laicità della scuola italiana
di Filippo Ceccarelli

Ci sono questioni nel nostro paese che sembrano create apposta per dimostrare l´impossibilità di essere risolte. E che riemergono con inutile regolarità
I ricordi scolastici si affollano: scoperte, discussioni libri letti sotto il banco partite a carte, tante chiacchiere e anche qualche dormitina

Circolari ministeriali, Tar, Consiglio di Stato, protocolli addizionali, vertenze sindacali, vertici di maggioranza, dibattiti in Parlamento, incontri segreti, presidenti e monsignori scarrozzati in giro per l´Italia a bordo dell´aereo – si è poi saputo – di Calisto Tanzi.
Ci sono in Italia questioni che sembrano create apposta per dimostrare non solo l´impossibilità di essere risolte, ma anche destinate a riemergere con vana regolarità in una dimensione misteriosa, senza più confini. Ecco: l´ora di religione, che in questi giorni il governo di centrodestra ha scelto come merce di scambio per farsi perdonare i peccati del premier, è una di queste storie senza fine nelle quali in realtà rifulge, debitamente ammantata di sacri principi, la tignosissima inconcludenza nazionale.
Solita solfa, dunque, e iper-groviglio a più voci. Il classico "relitto concordatario" (Vittorio Messori), imposto alla Repubblica dai negoziatori vaticani per dovere di firma, estremo avamposto dell´ex religione di Stato. E come tale accolto dai governanti italiani, Craxi in testa, con un sovrappiù di furbizia tipo: vedremo poi come aggiustare la faccenda. E si vede, infatti.
Il nuovo Concordato è del 1984. Già nell´estate del 1986 si mosse il Tar del Lazio, terrore di ogni legislatore, precipitando l´ora di religione in pieno marasma. Tra moduli ritirati e fiammate anticlericali, dopo un plebiscito di adesioni (oltre il 90 per cento) si compresero le insidie deposto all´articolo 9 di quel celebratissimo "accordo di libertà": nella loro ambigua nettezza, ce n´era a sufficienza per esercizi di laicismo, scherzi da prete e pretesti per una guerra di religione.
Fin dall´inizio il caos attuativo si articolò su vari livelli d´incandescenza: materia alternativa, orario delle lezioni, destino degli alunni esonerati. Ma sopra tutto divampava – come oggi – la disputa sul carattere obbligatorio e confessionale dell´insegnamento.
Nulla di drammatico, per la verità, a generazioni di italiani aveva comportato la vecchia e cara oretta di religione, prossima per importanza a quella di musica o di ginnastica. Innocui ricordi: scoperte, discussioni, omelie, libri letti sotto il banco, partite a carte, chiacchiere e dormitine, anche. In una loro preistorica canzone, Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni raccontano di un amore nato durante l´ora di religione – esito non sai bene se gradito ai cardinali Bagnasco e Bertone.
Anche rispetto agli insegnanti vale il detto: a ciascuno il suo. Ecco dunque una gamma vastissima di figure, autentiche e anche immaginarie, dal sacerdote orbo di Amarcord a don Giussani, che nelle aule del Berchet conquistò il futuro gruppo dirigente di Cl. Pochi libri e niente voti (che l´ineffabile Gelmini vuol riproporre). Condizione scolastica a suo modo proverbiale come dimostra il titolo di quel film di Bellocchio, L´ora di religione appunto, che pure con la materia non c´entra nulla.
E forse le cose vanno meglio quando non ci si pensa troppo. Fatto sta che nell´autunno del 1987 la Santa Sede depositò la sua prima bomba a orologeria. C´entrava l´obbligatorietà e l´ordigno faceva tic-tac sotto il tavolo del povero Goria che tampinando l´allora Segretario di Stato cardinal Casaroli cercò affannosamente di disinnescare la crisi di governo, come si è detto anche grazie alla diplomazia aeronautica della Parmalat.
Dalle cronache vien fuori un rimarchevole cammeo della Prima Repubblica: cardinalizio Spadolini; sfuggente Andreotti; facile profeta Almirante nel prevedere l´ennesimo "pateracchio". L´onorevole Ilona Staller, al secolo Cicciolina, propose un´ora di educazione sessuale alternativa; mentre a gestire l´improvvida matassa alla Pubblica Istruzione c´era il ministro Galloni, per la sua specchiata calvizie detto "la testa più lucida della Dc", invocatissimo in tv da un´attrice satirica travestita da insegnante che con isterico abbandono esplodeva: «Galloooni! Oh Galloooni!».
Sul risultato per così dire finale ci si affida alla caustica penna di Ghino di Tacco, cioè Craxi: «Ho vinto io. No, abbiamo vinto noi. Hanno vinto tutti. Non ha vinto nessuno. È finita pari. È finita pari e dispari. Poi di seguito un crescendo di intrighi, strategie raffinate, storie di scavalcamenti, appiattimenti, confessioni, sconfessioni, revisioni e conversioni. Nel frattempo, nel campo di battaglia invaso dal fumo, è scomparsa proprio la principale materia che ha originato il contendere, e cioè l´ora di religione».
Si fece allora notare per la prima volta un giovane prelato, a nome Camillo Ruini, tanto ambizioso quanto terrorizzato dai processi di secolarizzazione. Dopo di che nella ricostruzione è necessario farsi schematici per evitare la più martellante ripetitività.
Nel 1988 intervenne di nuovo il Tar del Lazio, e poi il governo, e poi il Consiglio di Stato, e poi anche la Corte costituzionale, ogni entità dando sostanzialmente torto a quella che la precedeva in giudizio. Ed era di sicuro una grande questione di principio, ma nel frattempo urgeva l´incerto destino degli insegnanti, nominati dai vescovi e retribuiti dallo Stato; per cui ai già bastevoli contendenti si aggiunse la più abbondante varietà di sindacati, oltre ai presidi, ai provveditorati e alla magistratura che tutelava singoli studenti esonerati che venivano rispediti a casa o tenuti a scuola.
Quindi ancora il Tar, ancora il governo, ancora il Consiglio di Stato e la Corte costituzionale, oltre alla Cei che cominciava anche a preoccuparsi per una lenta erosione.
Non c´era più la Dc, oltretutto: e ciò spinse monsignor Ruini a riaffermare il carattere dell´insegnamento contro "l´ora del nulla". Con il che, anche per battere il nichilismo, nel 1994 l´ora di religione divenne "Insegnamento della religione cattolica", Irc. Come se per salvare la fede e le opere di Santa Romana Chiesa bastasse una sigla – e lo Spirito fosse un optional o un pretesto per attaccare briga (in attesa del prossimo Tar del Lazio).

Il Vaticano e la legge del peccato

l’Unità 15.9.09
Bioetica e diktat
Il Vaticano e la legge del peccato
di Maria Antonietta Coscioni

Il Pontefice istiga i farmacisti a non vendere quelle che definisce “medicine anti-vita”, cioè le pillole antifecondative e la RU 486; in pratica a violare le leggi dello Stato; giorni fa dal Vaticano arrivava un ukase contro alcuni sacerdoti “colpevoli” di non aver condiviso la posizione assunta dalle gerarchie sul caso Englaro e il testo di legge sul testamento biologico della maggioranza: una pessima legge che non tiene conto la volontà del paziente, e contraddice il principio di libertà di cura. Quei sacerdoti hanno rivendicato il diritto di ognuno di vivere la propria vita, e di poter anche di morire in pace, «quando non c’è speranza di migliorare le proprie condizioni di esistenza umana». Li ringrazio quei sacerdoti: sono la prova che c’è un mondo di credenti sommerso, mortificato; che si vorrebbe restasse tale, ignorato; un mondo che vive con sofferenza le scelte della gerarchia; cristiani adulti, che sanno coniugare fede a misericordia, buon senso e senso buono. Intanto il Governo si affanna in rassicurazioni: fa sapere che si verificherà con rigore la compatibilità della legge sull’aborto con l’uso della pillola RU 486; e per quanto riguarda il testamento biologico conferma che non sono discutibili alimentazione e idratazione anche contro la volontà dell’interessato; il ministro Sacconi propone perfino una sorta road map per il Parlamento: immediata approvazione di quelle norme, e rinvio a soluzioni più condivise quelle relative alle dichiarazioni anticipate di trattamento. Proposta inaccettabile, da rinviare al mittente.
Come sempre, è un problema di informazione. Basterebbe che ci fosse adeguata informazione da parte del servizio pubblico e tutto sarebbe diverso: l’opinione pubblica vigilerebbe e ne chiederebbe conto. Abbiamo inoltre la conferma che il problema di questo Paese è la sostanziale incapacità di saper distinguere fra legge e precetto morale; fra reato e peccato, fra pena e penitenza.
Un po’ tutti abbiamo salutato con speranza la nuova presidenza americana; bene: una delle prime cose che Obama ha fatto è di restituire alla scienza e alla libertà della ricerca il suo giusto posto e la sua autonomia. La battaglia da combattere è per la libertà della ricerca scientifica e per affermare i diritti umani fondamentali alla vita, alla salute, a una vita dignitosa fino all’ultimo istante che ciascuno considera degno di essere vissuto, scegliere di vivere senza sentirsi dire da altri: questo lo puoi o non lo puoi fare. Questa è la posta in gioco, è bene che se ne sia tutti consapevoli e coscienti.
Maia Antonietta Farina Coscioni è deputata radicale e membro della Commissione Affari Sociali

lunedì 7 settembre 2009

Il Grande Scambio sui diritti civili

La Repubblica 7.9.09
Il Grande Scambio sui diritti civili
di Chiara Saraceno

Il Vaticano vuole esercitare la sua influenza sulle questioni definite "non negoziabili"
Bossi si propone come paladino cattolico, ma rafforza le pulsioni anti migratorie

Non è chiaro chi uscirà vincitore dalla complessa partita che si sta giocando nel rapporto Stato (o meglio governo) e Chiesa cattolica in queste settimane, tra minacce, aggressioni, ricatti e promesse. I giocatori sono troppi, ciascuno con un suo interesse e motivazione specifica. Berlusconi vuole mettere una pietra tombale su ogni critica non tanto ai suoi comportamenti privati, quanto alla sua disinvolta confusione tra pubblico e privato, in questioni che riguardano sesso, ospitalità, candidature e incarichi politici, affari.
Perciò, così come è disposto ad usare ogni mezzo, pubblico e privato, per mettere a tacere chi lo critica, è anche disposto ad utilizzare il proprio ruolo pubblico per offrire in cambio alla Chiesa il potere di regolare le scelte private dei cittadini sulle questioni che ad essa stanno più a cuore. Bossi vuole utilizzare il richiamo al cattolicesimo ed ai suoi valori sia per tenersi buono il suo elettorato che per rafforzarne le pulsioni anti migratorie e talvolta un po´ razziste. Proprio per questo, mentre rassicura la Chiesa sulle questioni che riguardano la famiglia e la sessualità, e si propone quale novello crociato contro l´Islam, mantiene duramente la posizione sulla legge sull´immigrazione, i respingimenti senza verifiche e il reato di clandestinità - certo che la Chiesa non romperà su questo. La Chiesa da un lato è intenta a fare i propri i conti interni, nel processo di ridefinizione degli equilibri e delle alleanze iniziato con il nuovo pontificato. La destabilizzazione che questo processo ha provocato, insieme al narcisismo mediatico cui non sono insensibili neppure i monsignori, ha consentito che venissero alla luce in modo molto più esplicito di quanto non fosse mai avvenuto prima dissensi e conflitti interni, come notato anche ieri su questo giornale da Scalfari. In questa partita, anche nella Chiesa ciascun gruppo sembra giocare per sé e utilizzare i rapporti con la politica per regolare, appunto, i conti interni. Dall´altro lato, la gerarchia mantiene una forte continuità con la gestione tutta politica instaurata da Ruini, nonostante questi sia segnalato come perdente nella vicenda del direttore dell´Avvenire. Perché un conto sono i conflitti e i rapporti di potere interni, un conto è la volontà di influenzare direttamente la politica sulle questioni definite come non negoziabili. Esse riguardano appunto la sessualità riproduttiva, la famiglia (o meglio il matrimonio, che è cosa diversa dalla famiglia), le cosiddette questioni di bioetica, che sarebbe forse meglio chiamare questioni che riguardano l´inizio e la fine della vita. Il modo di trattare l´immigrazione e gli immigrati non fa parte di queste questioni non negoziabili, come non ne fanno parte il contrasto alla povertà e neppure alla guerra. Perciò su queste si può transigere o rimanere in un atteggiamento di testimonianza critica. Il caso Boffo, da questo punto di vista, può apparire addirittura provvidenziale: ha segnato un punto nei conflitti di potere interni mentre ha consegnato a tutta la Chiesa un agnello sacrificale da giocare pesantemente nei suoi rapporti con Berlusconi. Può darsi, come hanno scritto diversi commentatori, che la gerarchia si sia lasciata trovata impreparata e divisa di fronte all´attacco al direttore dell´Avvenire. Ma non sarà affatto impreparata a utilizzarlo a fini di negoziazione politica.
Accanto a questi attori principali ce ne sono altri, innanzitutto gli aspiranti costruttori del Grande Centro. Questi sperano di utilizzare il conflitto tra pezzi dell´attuale governo e la Chiesa per guadagnare l´investitura di autentici defensor fidei e di più affidabili esecutori politici dei desideri della Chiesa sulle questioni «non negoziabili». Qualcuno tenta anche la strada della competizione sulla moralità privata. Tuttavia è un terreno, non solo sempre più scivoloso, ma neppure utile o necessario. Perché, come ha chiarito a suo tempo Ruini ed è continuamente ripetuto in queste settimane, la Chiesa è interessata non ai comportamenti privati dei politici ma alle loro azioni politiche nei settori che le stanno a cuore.
Se non è chiaro chi e come vincerà, è chiaro chi perderà: noi cittadini. Perché la merce che i nostri governanti (e coloro che aspirano a sostituirli) sono disposti a scambiare in cambio della benevolenza della Chiesa è la nostra libertà non solo di opinione, ma di comportamento su questioni rilevanti per la nostra vita e per il senso che le attribuiamo: che tipo di coppia fare, se e quando fare figli e se accettare di portare a termine una gravidanza non desiderata, come essere curati e come essere accompagnati alla morte (ovvero lasciati andare) quando ogni cura non è più possibile. Lo scambio cui tutti questi attori si accingono non è solo l´importantissima libertà di stampa e di opinione. È il fondamento stesso di ogni diritto civile: l´habeas corpus e il diritto di poter dire e decidere su di sé.

sabato 5 settembre 2009

Il Pd e la laicità per litigare basta la parola

Il Pd e la laicità per litigare basta la parola
Il Manifesto del 1 settembre 2009, pag. 7

Laicità? «E’ non aver paura delle ingerenze». Parola di Francesco D’Agostino, cattolicissimo presidente del comitato nazionale di bioetica, il massimo organismo pubblico sulle questioni eticamente sensibili. Va da sé che non tutti, sul palco e soprattutto sotto il palco, della festa nazionale del Pd a Genova la pensano allo stesso modo, anzi. Attorno a D’Agostino, democratici per tutti i gusti: dall’ex diessina Vittoria Franco al teodem Enzo Carra, da Ivan Scalfarotto alla radicale Maria Antonietta Farina Coscioni, Marco Ventura e Victor Rasetto. A coordinarli Giorgio Zanchini di Radio Rai e Miguel Mora de El Pais, Mora offre subito tutta la distanza tra Roma e Madrid, dove le unioni omosessuali sono state legalizzate per la prima volta dal governo conservatore di Aznar: «In Spagna sulla laicità si fa più di quanto si parli, chiunque governi governa per la gente e non per la Chiesa». In Italia invece accade tutto il contrario. Carra e D’Agostino provano a tenere la barra al centro. Per Carra è naturale: i cattolici sono la maggioranza nel nostro paese e dunque è ovvio tenere in conto le posizioni della chiesa secondo il quadro del concordato. Per Vittoria Franco, invece le ingerenze ci sono eccome. Tra voto segreto e voto palese, dei resto, i parlamentari esprimono i voti diversamente. «Al senato si è votato non secondo coscienza ma secondo un ordine di scuderia», dice Franco. E che la chiesa cattolica, soprattutto negli ultimi anni abbia avuto un ruolo diretto nelle vicende politiche lo dimostra lo zelo astensionista per il referendum sulla fecondazione assistita del 2005 di cui fu capofila, tra l’altro, proprio Avvenire. Le posizioni che si alternano sul palco sui diritti civili non convincono affatto Rita De Santis, dell’Associazione genitori di figli omosessuali. «Cos’è mio figlio, uno scarto umano? - attacca dalla platea - mio figlio ha diritto a esprimere la sua affettività e rispetto al matrimonio ha gli stessi diritti e gli stessi doveri di chiunque altro. Non può donare il midollo, non può donare il sangue, non può fare nemmeno il seminarista, se ne ha voglia. Ma di quale famiglia parlate, quella del family day a cui è andato Berlusconi?». Ivan Scalfarotto concorda: «Il parlamento non riesce ad approvare nemmeno una legge contro l’omofobia. Si può concludere - si chiede - che il parlamento è a favore dell’omofobia?». E sul Pd: «A differenza di Rossi e Turigliatto, nella scorsa legislatura Paola Binetti votò formalmente contro la fiducia al governo Prodi proprio sulle norme sull’omofobia del pacchetto Amato».

venerdì 4 settembre 2009

La sentenza del Tar sull’ora di religione risponde Corrado Augias

La Repubblica 3.09.2009
La sentenza del Tar sull’ora di religione risponde Corrado Augias

Caro Augias, il 12 agosto mons. Coletti definì la sentenza del Tar del Lazio sull'ora di religione bieco e negativo Illuminismo perché favorisce la perdita di identità dei popoli. Il bieco risvolto sarebbe la separazione del potere legislativo e giudiziario tra loro e da quello religioso. Il 26 agosto si sono compiuti 220 anni dalla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino, in base alla quale ognuno è libero di professare una religione o di non averne alcuna. Professare il Cristianesimo è consentito, non è consentito imporlo. Ci fu un tempo in cui esso fu perseguitato, ma i persecutori non erano certo illuministi.

Seguì un tempo (lunghissimo) in cui gli ex perseguitati riuscirono a imporsi tanto da far perdere ad altri la loro identità: nelle Americhe e non solo. C'è stato infine un tempo recente, dal 1870 al 1929, nel quale l'ora di religione nelle scuole non era prevista. Non ci sono state perdite d'identità religiosa negli italiani perchè un illuminismo ormai radicato e non bieco rispettò la religione di maggioranza in questo paese. E' vero che poi ci toccò un Fascismo che illuminista non era e fu bieco con altre religioni, ma Mons. Coletti sa che non è la bontà di una idea religiosa o meno a deciderne la sorte, bensì i rapporti di forza tra chi la sostiene e chi no, altro aspetto del Relativismo che talora dà, talora toglie.

Giovanni Moschini giovanni.moschini4@tin.it

T ra le molte polemiche di questa agitatissima estate dobbiamo registrare anche le reazioni alla sentenza del Tar del Lazio che escludeva l'insegnamento della religione dalla valutazione del profitto. Una circolare del precedente ministro della Pubblica Istruzione, Fioroni, aveva inserito la 'religione' fra le materie curricolari. Chi non voleva avvalersene veniva quindi discriminato in quanto le materie alternative non c'erano o non avevano uguali prerogative. I giudici amministrativi dovevano rispondere al quesito se la Circolare Fioroni del 2007 finiva o no per discriminare gli studenti che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica. La risposta è stata affermativa con questa motivazione: «Un insegnamento di carattere etico e religioso attinente alla fede individuale non può essere oggetto di valutazione sul piano del profitto scolastico per il rischio di valutazioni di valore proporzionalmente ancorate alla misura della fede. Sotto tale profilo è dunque evidente l'irragionevolezza dell'Ordinanza che, nel consentire l'attribuzione di vantaggi curriculari, inevitabilmente collega in concreto tale utilità alla misura dell'adesione ai valori dell'insegnamento cattolico». Un recente sondaggio ha registrato che il 70 per cento dei lettori erano favorevoli alla sentenza. E' davvero un problema?