martedì 21 febbraio 2012

Abusi sui minori, il Vaticano al rendiconto

il Fatto 4.2.12
Abusi sui minori, il Vaticano al rendiconto
Per la prima volta un convegno sulla pedofilia
di Marco Politi

È la sfida del Vaticano dinanzi alle responsabilità della Chiesa per gli scandali di pedofilia. Confrontarsi con le vittime e riformare l’atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche rispetto a decenni (e secoli) di abusi. L’ambizioso progetto, che sarà lanciato in un simposio di quattro giorni all’università Gregoriana e che proseguirà con un programma di formazione continua sul web per la durata di tre anni, rivela la consapevolezza di papa Ratzinger della necessità di dare una scossa alla Chiesa universale perché nessuno si illuda che sia “passata” la tempesta provocata dalle violenze ai minori. “Verso la guarigione e il rinnovamento” è il titolo dato all’iniziativa, sostenuta dalla Segreteria di Stato, dalla Congregazione per la Dottrina della fede e da altri dicasteri vaticani, che lunedì riunirà per la prima volta a Roma – a discutere con psicologi ed altri esperti – vescovi e religiosi di tutto il mondo, delegati di oltre cento episcopati e una trentina di ordini religiosi.
A SUO MODO è un evento storico, che va al di là dell’emanazione di norme più severe da parte del Sant’Uffizio. L’obiettivo è quello di mobilitare tutta la Chiesa sul dramma (e le responsabilità) dell’abuso sessuale all’interno delle proprie file, gettando le basi di una strategia globale. Imperniata su tre punti: 1. attrezzare diocesi e parrocchie nella vigilanza, nella scoperta e nella denuncia del fenomeno; 2. coinvolgere concretamente nel contrasto alla pedofilia tutta la comunità ecclesiale; 3. portare in primo piano la sorte delle vittime, ascoltarle, prendersi cura di loro, accompagnarle in un percorso di guarigione dai traumi.
Motori dell’iniziativa sono due personalità particolari. Un maltese e un tedesco. L’uno “promotore di giustizia” (procuratore generale) del Sant’Uffizio, l’altro cardinale di Monaco di Baviera. Il maltese Charles Scicluna, uomo di fiducia di Benedetto XVI, è il prelato che l’allora cardinale Ratzinger, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, spedì negli Stati Uniti e nel Messico durante l’agonia di Giovanni Paolo II per indagare sui crimini di Marcel Macial, fondatore dei Legionari di Cristo. In una dozzina di giorni, prima ancora che si aprisse il conclave che elesse Benedetto XVI, Scicluna tornò in Vaticano con prove schiaccianti che inchiodarono Macial e portarono alla sua rimozione e poi alla sua damnatio memoriae. Sull’Avvenire il maltese ha criticato nel 2010 la “cultura del silenzio”, che aleggia nella Chiesa italiana a proposito degli abusi. Oggi insiste sulla necessità di “prevenire altri crimini”, sostenendo che non bisogna “partire dall’omertà” ma bisogna avere di mira la guarigione delle vittime. Che anzitutto vanno ascoltate.
Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera, è il cardinale che nella sua diocesi ha data carta bianca ad una donna, l’avvocato Marion Westpfahl, per un’inchiesta indipendente sugli abusi del clero. Il risultato, comunicato pubblicamente, è che dal dopoguerra ad oggi si sono verificati nella diocesi monacense circa trecento casi di abuso, ignorando sistematicamente le vittime e con una diffusa manipolazione e distruzione della relativa documentazione. Domanda: come mai nessun cardinale italiano ha promosso una simile inchiesta? Perché non è stata aperta un’inchiesta ecclesiastica in nessuna parte d’Italia con la sola eccezione della diocesi di Bolzano-Bressanone? Sul sito della diocesi di Monaco appare ben chiaro l’indirizzo di due avvocati a cui le vittime possono rivolgersi per segnalare abusi. E anche il programma di rimborso delle terapie psicologiche e di risarcimento danni per i minori violati.
AL CONVEGNO – cui seguirà a cura dell’università Gregoriana la creazione di una banca dati – interverrà una vittima celebre, l’irlandese Marie Collins. Nel 2009 denunciò “con orrore” il palleggio di responsabilità sul suo abuso tra le autorità di polizia e il suo vescovo. “Ero sorpresa di quanto fosse noto sul mio abusatore”, raccontò. Il vescovo ausiliare della sua diocesi avrebbe voluto denunciare il crimine, ma l’arcivescovo McQuaid non fece nulla. “Fui mobbizzata e minacciata”.
Il simposio della Gregoriana dovrà sciogliere due nodi fondamentali. Dovrà o no il vescovo denunciare sempre i crimini alle autorità di polizia? O deve farlo solo nei paesi dove lo obbliga la legge? Papa Ratzinger finora non ha dato l’ordine di denunciare immediatamente. Tutte le associazioni a tutela delle vittime invece lo esigono.
Il secondo nodo riguarda l’apertura di indagini per scoprire i crimini insabbiati del passato. Molti episcopati, fra cui l’italiano, non vorrebbero imboccare la strada della trasparenza a 360 gradi.

lunedì 20 febbraio 2012

“In aumento gli abusi dei chierici sui minori”

La Stampa 7.2.12
L’allarme del cardinale Levada
“In aumento gli abusi dei chierici sui minori”

«Nel corso dell’ultimo decennio sono arrivati all’attenzione della Congregazione per la Dottrina della Fede oltre 4.000 casi di abusi sessuali compiuti da ecclesiastici su minori». Lo ha rivelato ieri il cardinale Joseph William Levada, prefetto della Congregazione, aprendo il simposio internazionale sull’abuso sessuale riservato a vescovi e superiori religiosi. La Congregazione per la Dottrina della Fede, ha aggiunto, si è confrontata con «un drammatico aumento» del numero di casi di reato di abusi sessuali su minori da parte di chierici. In apertura dei lavori è arrivato anche il messaggio di Benedetto XVI, che ha voluto delineare le linee guida dell’atteggiamento della chiesa di Roma nei confronti della piaga e in difesa dei più piccoli. Cura delle vittime come «preoccupazione prioritaria», prevenzione, una nuova «cultura» anche per i leader della Chiesa, creazione di un ambiente «spirituale e umano» che tuteli «i bambini e gli adulti più vulnerabili»: queste le parole del Papa.

domenica 19 febbraio 2012

I magistrati romani indagano sull’ingente giro di denaro a loro disposizione

l’Unità 8.2.12
I magistrati romani indagano sull’ingente giro di denaro a loro disposizione
L’Autorità della Santa Sede non ha ancora risposto alle richieste di Bankitalia
Riciclaggio, quattro preti indagati I silenzi del Vaticano sui controlli
di Angela Camuso

Quattro preti indagati per il reato di riciclaggio. La procura di Roma sta valutando le operazioni effettuate presso alcune banche italiane a partire dall’autunno del 2010. Stasera il caso al programma «Gli Intoccabili» su La7

Sono quattro i sacerdoti indagati per il reato di riciclaggio nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla procura di Roma sullo Ior. L’Istituto Opere di Religione, di fatto la banca del Vaticano, è al centro dell’attenzione del pm Rocco Fava e del procuratore aggiunto Nello Rossi per delle operazioni sospette effettuate presso alcune banche italiane dall’autunno del 2010.
I preti iscritti nel registro degli indagati sono il 62enne monsignor Emilio Messina, dell’Arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche ma residente a Roma, dove svolge il servizio di cappellano presso tre case di cura, don Salvatore Palumbo detto Mariano, nato a Ischia 49 anni fa ma anche lui in servizio nella capitale, dove regge l’’importante e popolosa parrocchia, molto attiva nel sociale, di San Gaetano, il catanese Orazio Bonaccorsi, 37 anni, già processato e assolto in primo grado in Sicilia per fatti analoghi ma che secondo piazzale Clodio autore di altre operazioni di riciclaggio attraverso conti Ior transitati su istituti di credito della capitale e infi-
ne, don Evaldo Biasini, 85 anni, ciociaro di origini e residente ad Albano Laziale. Biasini è conosciuto come don Bancomat. Secondo i magistrati di Perugia che hanno condotto l’inchiesta sui Grandi Eventi, l’impreditore della «cricca» Diego Anemone, avrebbe consegnato a don Biasini ingenti somme di denaro che il prete avrebbe depositato presso i suoi conti aperti allo Ior, trattenendo per sé una percentuale.
Di questi e altri fatti correlati a quest’inchiesta tratterà stasera il programma di La7 «Gli Intoccabili» condotto da Gianluca Nuzzi, il quale ha voluto investigare, in particolare, sull’atteggiamento del Vaticano rispetto alle recenti richieste di accertamenti sui conti dell’Istituto Opere di Religione fatte dalle autorità italiane. Com’è noto, infatti, proprio a seguito dello scandalo provocato dall’inchiesta dei magistrati romani che portò all’incriminazione per violazione delle norme antiriciclaggio del suo direttore generale Cipriani e del suo presidente Gotti Tedeschi la Santa Sede ha istituto dal 30 dicembre del 2010 una propria Autorità di Informazione Finanziaria (Aif), col compito di vigilare sulle operazioni sospette riferibili a cittadini vaticani nonché di dialogare, pur godendo di una piena autonomia e indipendenza, con le omologhe autorità dei Paesi esteri e dunque nella fattispecie italiana con la Uif, organismo della Banca d’Italia e preziosa fonte di informazioni per le Fiamme Gialle. Ebbene, nelle indagini a carico dei quattro preti, si è scoperto che ad eccezione delle operazioni svolte di don Palumbo, sulle quali il Vaticano ha fornito esaustive informazioni, per tutte le altre richieste avanzate dal pm Fava la Aif del Vaticano non avrebbe fornito a Banca d’Italia nessuna risposta, nonostante tali richieste siano state formalizzate ormai oltre 6 mesi fa.
La questione è cruciale, soprattutto nel caso di Monsignor Messina, che nel 2009 avrebbe garantito su transazioni di denaro per almeno 300mila euro effettuate da una donna con un nome falso, «Maria Rossi», che si era presentata agli sportelli come madre di un avvocato-faccendiere a cui Messina aveva dato delega di operare sul suo conto e che poi si è scoperto essere l’autore di una truffa ai danni dell’Inps. E tutto questo con il beneplacito del direttore generale dello Ior Paolo Cipriani il quale saranno le indagini a stabilire se in buona o in cattiva fede risulta agli atti aver garantito in forma scritta alla banca sull’identità della falsa (...).

Al convegno sulla pedofilia il cardinale non risponde

il Fatto 7.2.12
Al convegno sulla pedofilia il cardinale non risponde
Il prefetto Levada si eclissa: niente domande per la stampa
di Marco Politi

Comincia con un’assenza il grande convegno vaticano sugli abusi sessuali. Il cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, l’organo supremo che gestisce in Vaticano i dossier dei preti criminali, non si presenta alla stampa. Nei momenti cruciali Levada non risponde mai ai media. Non c’era nel marzo 2010, quando Benedetto XVI affrontò con rigore il tema nella sua Lettera agli Irlandesi denunciando che la Chiesa non aveva dato ascolto al grido delle vittime. Il porporato lasciò solo il portavoce vaticano Lombardi a fronteggiare i giornalisti ansiosi di avere risposte sul perchè di tanti casi insabbiati nel corso di decenni. Levada non è venuto neanche ieri.
Eppure toccava al cardinale la relazione di apertura al convegno e il programma ufficiale parlava chiaro: “Al termine della propria presentazione gli oratori saranno a disposizione per le domande in sala stampa per un massimo di 30 minuti”. Invece, minuti zero. Forse Levada temeva che qualche reporter americano ponesse domande scomode. Afferma la maggiore organizzazione di vittime degli Stati Uniti, l’associazione SNAP, che da arcivescovo a San Francisco e a Portland (nell’Oregon) Levada avrebbe “insabbiato denunce su violenze su minori e molestie sessuali”. Resta il fatto che da cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, Joseph Ratzinger non si sottraeva alle domande spinose della stampa.
L’episodio rivela l’ambivalenza dell’evento inaugurato lunedì all’università Gregoriana. Il simposio internazionale rappresenta indubbiamente un momento importante, una svolta rispetto al passato. Il tentativo –come afferma padre Lombardi – di affrontare la questione in modo globale, con una “presa di coscienza collettiva” per non dare risposte soltanto sull’onda delle emergenze bensì mobilitare la Chiesa per una “risposta attiva”.
Dunque bisogna attrezzarsi per il futuro. Solo che non è ancora chiaro cosa succede con le migliaia di vittime del passato. Chi ha avuto, ha avuto…? Si lascia che singolarmente emergano dalla notte del loro dolore? O la Chiesa prenderà il coraggio a due mani e deciderà di “setacciare parrocchia per parrocchia, diocesi per diocesi per scoprire cosa è successo” come ha chiesto sul Fatto Quotidiano Bernie McDaid, una delle vittime americane che incontrò Benedetto XVI a Washington nel 2008?
Papa Ratzinger, nel messaggio augurale al convegno, ha auspicato che tutta la Chiesa si mobiliti per la guarigione, la salvaguardia e il “sostegno alle vittime”. Il pontefice ha anche sottolineato la necessità di un “profondo rinnovamento della Chiesa ad ogni livello”. Ma il nodo non è stato sciolto.
Il cardinale Levada nella sua relazione ha evitato l’argomento. Ha parlato di un drammatico aumento degli abusi del clero ai danni di minori negli ultimi anni, ha citato la cifra di 4000 dossier arrivati alla Congregazione per la Dottrina della fede, però si è limitato ad affermare che la quantità di casi ha “rivelato da una lato l’inadeguatezza di una risposta esclusivamente di diritto canonico a questa tragedia e, dall’altra, la necessità di una risposta più complessa”. Nell’ombra è rimasta anche la questione della denunci dei criminali alle procure. Dice il cardinale che la “collaborazione della Chiesa con le autorità civili” è la dimostrazione del riconoscimento che l’abuso sessuale di minori “non è solo un crimine in diritto canonico, ma è anche un crimine che viola le leggi penali”.
PERÒ COLLABORARE è un conto, andare dalla polizia è un altro. Sarebbe tollerabile – ripetono da anni le organizzazioni di vittime – che un preside non denunci automaticamente un professore che abusa?
Ha rimarcato tempo fa sul Giornale il procuratore aggiunto della Repubblica a Milano Pietro Forno, capo del pool specializzato per gli abusi, che mai la gerarchia ecclesiastica ha ostacolato il suo lavoro, “ma in tanti anni non mi è mai, sottolineo mai, arrivata una sola denuncia da un vescovo o da un singolo prete”. E questo, ha soggiunto, “è un po’ strano”.

sabato 18 febbraio 2012

Il racconto di Marie Collins, che a tredici anni fu abusata sessualmente da un sacerdote

l’Unità 8.2.12
Il racconto di Marie Collins, che a tredici anni fu abusata sessualmente da un sacerdote
Confronti I vescovi riuniti alla Gregoriana in ascolto. «Ma allora nessuno volle sentirmi...»
Pedofilia, la vittima e la Chiesa «Chiedere scusa non basta»
È con la drammatica testimonianza di una vittima di abusi che si è aperta ieri alla Gregoriana la seconda giornata del summit su Chiesa e pedofilia. La ferita delle gerarchie che hanno coperto i colpevoli.
di Roberto Monteforte

La ferita più profonda è stata quella infertale dai vertici della Chiesa che non l’hanno voluta ascoltare, che per decenni hanno coperto il prete colpevole che aveva abusato di lei adolescente, che non solo ha violato il suo corpo, ma ancora di più le ha strappato la vita, la dignità di persona, il gusto degli affetti e di una vita normale. Marie Collins ora è una signora irlandese di 62 anni. All’età di tredici anni è stata ripetutamente abusata sessualmente da un sacerdote, il cappellano dell’ospedale dove era ricoverata. È stata la prima ad intervenire al simposio organizzato dalla Pontificia università Gregoriana sugli abusi compiuti da religiosi contro i minori. Davanti ai vescovi delegati di 110 conferenze episcopali e ai superiori degli ordini religiosi giunti a Roma da tutto il mondo, ha raccontato il suo lungo calvario di vittima per l’abuso subito e per le gerarchie ecclesiastiche che per decenni si sono rifiutate di ascoltarla e di accogliere la sua denuncia, di fermare il colpevole impedendogli di fare ancora del male. Ha raccontato con coraggio la sua vita, fatta di sofferenze psicologiche devastanti, di ricoveri in ospedale e di terapie per uscire dall’incubo del senso di colpa. Perché avevano fatta sentire lei colpevole.
È tesa mentre racconta la sua storia. Al suo fianco ha la psichiatra e psicoterapeuta Shella Hollins, specialista con una lunga esperienza clinica sui casi di vittime di abusi. Nel 2011 è stata «assistente» del cardinale Cormac Murphy-O’Connor, inviato da Benedetto XVI nella sua visita apostolica alla Chiesa d’Irlanda sfregiata dagli scandali sessuali. La loro è una testimonianza intrecciata. Con la psichiatra che sostiene la vittima mentre racconta la sua storia e aiuta l’uditorio ad inquadrare il problema. Quella di Marie è la drammatica storia di tante vittime. I vescovi ascoltano in silenzio, poi, a porte chiuse, porranno domande. Lo chiarisce Marie: «Non è sufficiente chiedere scusa per le azioni dei preti autori di abusi». Occorre fare molto di più. Avere il coraggio di riconoscere le proprie colpe. Lei che ha perdonato il suo violentatore e che è uscita dal suo incubo quando quest’ultimo ha confessato le sue colpe, denuncia le responsabilità di chi si è rifiutato di ascoltarla e ha preferito coprire il prete pedofilo malgrado le indicazioni della Santa Sede. Per anni hanno fatta sentire lei responsabile e colpevole, nemica della Chiesa. Quando a 47 anni ha trovato la forza di denunciare la violenza subita, si è sentita dire dall’arcivescovo di Dublino, il cardinale Connell: che quell’abuso era «storico», cosa passata, che non andava colpita l’onorabilità del prete colpevole, che così ha potuto continuare a commettere altri abusi. Solo dopo altri dieci anni ha avuto giustizia.
DIFFICILE PERDONARE
«Come posso riprendere ad avere rispetto per i vertici della mia Chiesa? Chiedere scusa per le azioni dei preti autori di abusi non è sufficiente. Ci deve essere il riconoscimento e l’ammissione di responsabilità per il male e la distruzione che è stata fatta nella vita delle vittime e le loro famiglie a causa della copertura spesso deliberata e per la cattiva gestione dei casi da parte dei loro superiori. E prima che io o altre vittime possiamo trovare una vera pace e guarigione». «Il tentativo di salvare l’istituzione dallo scandalo conclude Marie ha prodotto il maggiore di tutti gli scandali, ha perpetuato il male degli abusi e distrutto la fede di molte vittime». Ringrazia Papa Benedetto XVI, perché è stato il primo ad ascoltare le vittime.
Se l’obiettivo dell’assise in corso alla Gregoriana è concorrere alla definizione delle «linee guida» della Chiesa cattolica per affrontare i casi di abusi sessuali del clero le parole coraggiose della signora Collins e le relazioni di esperti che sono seguite, possono aver chiarito ai vescovi cosa voglia dire veramente «guarire e rinnovare».

venerdì 17 febbraio 2012

Vaticano, i fondi dello Ior trasferiti in banche tedesche

Corriere della Sera 9.2.12
Vaticano, i fondi dello Ior trasferiti in banche tedesche
Chiuso il rapporto con nove istituti di credito italiani
di Sergio Bocconi

MILANO — Ancora una volta lo Ior, il forziere del Vaticano, è sotto i riflettori da parte della Procura di Roma. Secondo quanto riferito da alcune agenzie citando «ambienti giudiziari», lo Ior avrebbe provveduto a trasferire gran parte dei fondi depositati presso nove banche italiane, di cui è cliente, fra le quali Intesa Sanpaolo e Unicredit, in istituti di credito tedeschi.
Per quale ragione lo Ior avrebbe deciso di interrompere i rapporti con gli istituti del nostro Paese? Sempre secondo fonti giudiziarie, il «trasloco» sarebbe legato all'entrata in vigore della circolare con la quale Bankitalia ha incluso l'istituto, presieduto da Ettore Gotti Tedeschi e guidato dal direttore generale Paolo Cipriani, nella lista dei Paesi extracomunitari verso i cui istituti le banche italiane devono applicare le verifiche e i controlli «rafforzati» previsti dal decreto 231 del 2007 (cioè le disposizione che hanno dato attuazione alla direttiva europea antiriciclaggio).
Il progressivo azzeramento della operatività dello Ior con gli istituti italiani sarebbe emerso dall'esame dei rapporti finanziari acquisiti dalla Procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta sullo Ior che, nel settembre 2010, ha portato al sequestro di 23 milioni trasferiti dall'istituto Vaticano, attraverso il Credito Artigiano, alla Jp Morgan Frankfurt (20 milioni) e alla Banca del Fucino (3 milioni). Secondo i giudici i trasferimenti erano avvenuti senza comunicare per conto di chi erano stati disposti, né la natura e lo scopo delle due operazioni. In particolare, lo Ior aveva chiesto al Credito Artigiano di disporre le due operazioni di bonifico e la banca, che nei mesi precedenti aveva ricevuto, come tutti gli altri istituti di credito, la circolare della Banca d'Italia che obbliga nei rapporti con lo Ior, istituto extracomunitario, a rispettare gli obblighi di verifica rafforzata, ha chiesto al Vaticano di fornire informazioni su beneficiari e scopo delle operazioni. Ma le risposte non erano arrivate, l'Artigiano lo ha segnalato a Bankitalia, si è mossa la Procura e si è arrivati al sequestro. Gli avvocati della Santa Sede hanno in seguito precisato che si trattava di operazioni di tesoreria: la somma maggiore, cioè i 20 milioni trasferiti a Francoforte, doveva essere investita in titoli di Stato tedeschi.
L'inchiesta, che aveva visto indagati sia Gotti Tedeschi sia Cipriani appunto per omesse comunicazioni in violazione alla normativa antiriciclaggio, è rimasta aperta anche dopo che, nel giugno 2011, è stato autorizzato il dissequestro della somma. Tra i motivi della revoca del provvedimento, respinta una prima volta alla fine del 2010, c'è stata l'emanazione da parte del Vaticano di una legge sulla «prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose» e l'istituzione di un'Autorità di informazione finanziaria (Aif). Sempre secondo quanto riportato dalle agenzie, in Procura si fa notare che l'Aif ha risposto alle domande degli inquirenti solo in una occasione.

martedì 14 febbraio 2012

“Volevo farmi suora, un prete si è fatto me”

il Fatto 9.2.12
Abusi d’Oltretevere
“Volevo farmi suora, un prete si è fatto me”
di Marco Politi

Ho iniziato a fare direzione spirituale quando avevo 18 anni e la storia è iniziata quasi subito. Il don aveva capito il mio punto debole, la carenza d’affetto e, piano piano, lavorando sulla mia psiche fragile, è riuscito a mettermi in testa che l’amore, l’affetto, è un bene che si può vendere e comprare. La nostra frase era “Cinque minuti di quello che vuoi tu in cambio di cinque minuti di quello che voglio io”. Io volevo solamente sfogarmi, parlare dei miei problemi ed essere abbracciata, volevo essere messa al centro dell’attenzione, cosa che non accadeva mai nella mia famiglia.
La prima volta è stato così. “Ti porto in camera, ci sdraiamo sul letto così ti abbraccio meglio”. Ero talmente inesperta che non avevo mai visto un pene in vita mia, non sapevo come si facevano certe cose, ma poi ho dovuto imparare per forza. Stavamo su quel letto, c’erano volte in cui io dovevo semplicemente stare ferma e lui mi ravanava dappertutto e volte in cui si sedeva sul mio collo e io avevo paura di soffocare.
In camera sua c’era un crocifisso di legno pesante, proprio sopra il letto. Io avevo il terrore che quel crocifisso potesse cadermi in testa. Poi lui si rivestiva in fretta, mi buttava i vestiti e mi diceva di andarmene, aveva fretta di liberarsi di me.
Adesso Emanuela Violani (lo pseudonimo che ha scelto) ha più di ventisei anni. Il diario le è servito per rielaborare il trauma. Per cinque anni, in un paesino di campagna, è stata abusata da un prete. Aveva più di diciott’anni. Non era una minore. “Soltanto” una ragazza fragilissima, dedita all’alcol, manipolata come oggetto sessuale.
Era prete da poco. Ogni tanto andavamo al parcheggio del cimitero ed era sempre la solita storia: ho dovuto pagare tutto quello che mi ha dato. Ogni tanto mi portava al cinema o a mangiare una pizza. Io ero contenta perché non uscivo mai, solo che poi al ritorno andavamo a finire sempre in qualche parcheggio isolato e lì non mi doveva abbracciare per cinque minuti, dovevo subito iniziare. Per due anni mi sono ubriacata quasi tutti i fine settimana e quando non bevevo, andavo dal don perché avevo bisogno di riempire il vuoto della mia anima. Capivo che lui mi stava usando, ma io volevo stare con qualcuno. Ho anche avuto disturbi alimentari, mi nutrivo quasi esclusivamente di latte e nell’estate 2003 sono arrivata a pesare 41 chili. Era agosto, faceva caldo, stavo talmente male che non mi interessava della mia verginità, avrei dato tutto pur di essere presa in braccio e coccolata per qualche minuto, ma quando mi sono accorta che faceva sul serio, mi sono spaventata, ho iniziato a sentire male e gli ho detto di fermarsi. Lui (cento e più chili contro i miei quarantuno) con una mano mi teneva ferma e con l’altra mi tappava la bocca, poi ricordo il sangue, un “vaffanculo” detto da me e un “lo volevi anche tu” detto da lui. Ci ho messo un anno a capire che cosa mi era successo veramente, ho capito che razza d’uomo era solo quando ci siamo rivisti dopo diversi mesi e mi ha sbattuta fuori casa perché non volevo fare porcate con lui.
Da giovane Emanuela, molto credente, voleva diventare suora missionaria. Ora dice: “Volevo farmi suora e il prete si è fatto me”.
Mi sono confessata da don D. Ho detto che avevo commesso un solo grande peccato: “Atti impuri con un prete” e lui mi ha detto cose orribili, mi ha detto che io ero il demonio sulla terra, che se quel prete dava la comunione dopo essere stato con me rovinava la sua comunità. Ero lì in ginocchio in quella chiesa scura con un pretino anziano che mi faceva cadere addosso dei massi enormi e non sapevo come difendermi. Non voleva darmi l’assoluzione, ma poi si è convinto e mi ha detto di non rifare più certe cose. Io sono uscita dal confessionale di corsa perché lui voleva vedermi, facevo fatica a stare in piedi, facevo fatica a parlare, ero sbiancata.
Emanuela per chiedere aiuto si confida, mandando lettere a un altro sacerdote.
Don B. le leggeva ma un giorno le ha buttate via perché quando facevo le cose con don G. io descrivevo nei minimi dettagli le porcate che facevamo. Don B. ha buttato via questi miei “resoconti” perché ha detto che potrebbero finire nelle mani sbagliate. Quando a don B. in una lettera ho descritto per filo e per segno della violenza e ho chiesto: “È stata violenza? ”, lui mi ha presa in un angolo della chiesa e, sottovoce per non farsi sentire, mi ha detto: “Se le cose sono andate come le hai descritte, sì, è stata violenza”, poi ssst, silenzio e se n’è andato”.
Don Virginio Colmegna, che a Milano dirige la Casa della Carità, afferma di aver letto il diario di Emanuela con “fatica, disgusto e conati di vomito”, augurandosi che il violentatore “ammantato di potere religioso” si assuma le sue responsabilità e decida di “rompere la copertura ipocrita del silenzio”. Nel diario, Emanuela scrive di un incidente. A me ha confessato di essersi gettata da un ponte.
Venti giorni dopo l’operazione, venti giorni soltanto dopo che mi hanno aperto la testa, mi hanno ricostruita con il metallo e con le viti, mi hanno tirato fuori le ossa della faccia che erano entrate… venti giorni dopo don G. mi ha detto che non ero più buona neanche a fare pompini.
Ho voluto rompere la cortina dello pseudonimo. Ho rintracciato Emanuela per sapere cosa è accaduto dopo. Mi ha detto al telefono che per anni, dopo che si rifiutava di vedere il suo violentatore, il prete l’ha per-seguitata con messaggini. Finalmente lo ha denunciato per violenza. In Questura le hanno risposto che era passato troppo tempo. È andata dal vescovo. Il tribunale ecclesiastico doveva intervenire, ma nulla è successo. Il prete ha confessato di avere compiuto un “atto di debolezza”, ora è parroco. Le hanno proposto di versare una somma di denaro a un’associazione benefica da lei indicata. Così, per non dovere ammettere pubblicamente responsabilità, Emanuela ha rifiutato.
In Vaticano l'altro giorno hanno organizzato una veglia per le vittime, ma discutono ancora se rendere obbligatorio o no che il vescovo denunci i preti criminali.
Diario segreto dei miei giorni feroci di Emanuela Violani

lunedì 13 febbraio 2012

Il Vaticano difende lo Ior: «Scelta da tempo la trasparenza»

l’Unità 10.2.12
La Santa Sede ribatte all’articolo de l’Unità: «Da noi piena collaborazione»
Il Cdr del giornale: nella nota sono stati usati toni inaccettabili
Il Vaticano difende lo Ior: «Scelta da tempo la trasparenza»
Dura nota di padre Lombardi contro un articolo de l’Unità e contro La7.
di Roberto Monteforte

Il nuovo Ior non si tocca. Il Vaticano difende innanzitutto la trasparenza della nuova gestione. Non fa bene neanche alla Chiesa, soprattutto alla sua credibilità, quell’alone di opacità e di mistero su operazioni economico-finanziarie condotte negli scorsi anni dallo Ior (Istituto per le opere di religione) che hanno finito per alimentare sospetti e accuse sulla banca vaticana come quella di favorire il riciclaggio.
La linea Ratzinger è chiara. Avviare con decisione l’«operazione trasparenza», definendo sistemi di controllo e responsabilità precise sulle operazioni finanziarie compiute dai diversi soggetti della Santa Sede. A questo risponde la costituzione di un’autority specifica l’Aif (Autorità di informazione finanziaria) presieduta dal cardinale Attilio Nicora, istituita dal Papa con il motu proprio del 30 dicembre 2010, che ha anche introdotto nuove norme «per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario», diventate operative dal 1 ̊ aprile 2011. È così che la Santa Sede ha potuto aderire ai trattati internazionali sul riciclaggio e sul contrasto dei reati finanziari. Un’operazione che ha comportato cambiamenti significativi, il superamento di resistenze interne. Un nuovo corso difeso dalla Segreteria di Stato che è intenzionata a ribattere alle accuse mosse dai media allo Ior e all’attività dell’Autorità di informazione finanziaria. Per questo l’altra sera il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha contestato con una nota sia alcuni servizi della trasmissione «Gli Intoccabili» di La7 dedicati allo Ior, sia un articolo pubblicato l’altro ieri da l’Unità a firma di Angela Camuso.
ACCUSE E REPLICHE
Padre Lombardi definisce «infondate e false» le informazioni sullo Ior contenute nella trasmissione di La7. Puntualizza: lo Ior «non è una banca», ma «una Fondazione di diritto sia civile che canonico regolata da un proprio statuto», quindi «non mantiene riserve e non concede prestiti come una banca». Non è una «banca off-shore», ma risponde alla giurisdizione vaticana, compresa «la legge antiriciclaggio» adottata «proprio per essere in linea con gli standard internazionali». All’accusa, mossa durante la trasmissione, di non collaborare con la magistratura italiana, soprattutto per le indagini su fatti relativi a periodi precedenti l’entrata in vigore della legge sulla trasparenza del 1 ̊ aprile 2011, la Santa Sede nega che la collaborazione sia mancata e assicura che nessuna «resistenza» vi sarebbe stata da parte dello Ior a collaborare. Piena sarebbe stata anche la disponibilità verso la magistratura italiana. E la mancata risposta alla richiesta di rogatoria internazionale riguardante il caso Banco AmbrosianoCalvi, quelle inviate nel 2002? Non sarebbero mai arrivate in Vaticano.
Lombardi aveva già replicato in modo duro all’Unità che ha dato la notizia di quattro sacerdoti (monsignor Messina, don Bonaccorsi, don Palumbo e don Biasini) sotto inchiesta per riciclaggio avendo autorizzato operazioni sui loro conti aperti allo Ior. Lombardi ha contestato la ricostruzione dei fatti e ricordato che sin dal 2006-2007 lo Ior «ha attuato una verifica di tutti i conti e di clienti per accertare e riferire l'eventuale esistenza di transazioni sospette». Ha aggiunto pure che il direttore generale dell’Istituto, Paolo Cipriani, «ha cooperato con la magistratura e le altre autorità italiane».
I fatti denunciati dall’articolo non sono stati negati, ha replicato la Camuso. Una conferma ulteriore? La Procura di Roma attende da oltre sei mesi una risposta ad una sua richiesta di informazione su alcuni conti Ior oggetto di inchiesta. Il comitato di redazione de l’Unità ha espresso solidarietà alla collega per i toni «inaccettabili» usati nella nota vaticana.

domenica 12 febbraio 2012

I cattolici spaventano Obama. Dietrofront sui contraccettivi

La Stampa 11.2.12
I cattolici spaventano Obama. Dietrofront sui contraccettivi
Sanità, la Casa Bianca teme per le elezioni e cambia la legge
La svolta Obama annuncia alla stampa la decisione di rivedere la norma che obbliga i datori di lavoro a fornire gratis contraccettivi ai dipendenti
Paolo Mastolilli

Marcia indietro del presidente Obama sul tema della contraccezione, che rischiava di alienargli il voto cattolico in vista delle elezioni di novembre. La Casa Bianca preferisce definire l’annuncio fatto ieri come un «accomodamento», più che un compromesso. Nella sostanza, però, l’amministrazione ha deciso di aggiustare la propria linea, dopo le dure reazioni dei vescovi cattolici, che si erano mobilitati contro la decisione del ministero della Santità di obbligare tutti i datori di lavoro a fornire gratis i contraccettivi alle proprie dipendenti.
La nuova policy era stata annunciata il 20 gennaio scorso dal segretario per gli Health and Human Services, Kathleen Sebelius. L’obiettivo era garantire che tutte le donne avessero accesso gratuito alle pratiche anticoncezionali, attraverso le assicurazioni sanitarie pagate dai loro datori di lavoro. Poi ogni persona avrebbe avuto l’opzione di decidere se usufruire di questa possibilità o no. Subito dopo l’annuncio, però, è scoppiata la polemica. Il problema era che la decisione della Sebelius escludeva le chiese dall’obbligo di fornire i contraccettivi, per motivi di coscienza, ma non esentava le organizzazioni con affiliazioni religiose. Quindi ospedali, università, istituzioni cattoliche della carità avrebbero dovuto obbedire, violando i propri principi sulla protezione della vita. La dottrina cattolica, infatti, concepisce l’atto sessuale all’interno del matrimonio finalizzato alla riproduzione, e considera i contraccettivi come un ostacolo dell’uomo ai piani di Dio.
La Casa Bianca sapeva che andava incontro a questo problema, e nei mesi scorsi c’erano state intense discussioni nell’amministrazione su come procedere. Joe Biden, primo vicepresidente cattolico degli Usa, e Bill Daley, capo dello staff della Casa Bianca anche lui cattolico, avevano cercato di convincere Obama ad ammorbidire la posizione, organizzando un incontro tra lui e l’arcivescovo di New York Dolan. La loro preoccupazione era alienare il voto cattolico, che rappresenta un gruppo fondamentale. Questi fedeli sono circa 70 milioni in America, e vengono considerati «swing voters» chiave, ossia elettori moderati di centro che cambiano posizione di volta in volta in base a quale candidato li convince di più. Nel 2008 avevano votato in maggioranza per Obama, perché erano stati influenzati più dall’idea del cambiamento, che non dai richiami della gerarchia a favorire i politici obbedienti alla dottrina della Chiesa sui temi della vita.
La componente femminile dell’amministrazione ha avuto la meglio, e il presidente ha sottoscritto la decisione della Sebelius. La loro teoria era che fosse più importante soddisfare le attese della base femminista del Partito democratico, piuttosto che andare incontro ai cattolici più conservatori, che comunque non avrebbero votato per Obama. La tempesta scoppiata dopo la decisione, però, ha dimostrato che questa scommessa era sbagliata. I vescovi hanno attaccato l’amministrazione e i candidati repubblicani alla Casa Bianca hanno accusato il presidente di violare la libertà di religione. Obama ha capito che rischiava una battaglia in cui avrebbe perso il sostegno potenzialmente decisivo dei cattolici moderati, e ieri ha fatto marcia indietro. Ora le organizzazioni religiose non avranno più l’obbligo di pagare i contraccettivi, ma le loro dipendenti che li vorranno potranno ottenerli direttamente dalle compagnie assicurative. Il presidente ha giustificato «l’accomodamento» con la necessità di conciliare i diritti delle donne con la libertà religiosa. Il suo compromesso probabilmente non basterà a soddisfare i vescovi, ma dovrebbe depotenziare lo scontro in vista delle elezioni.

sabato 11 febbraio 2012

“Omicidi e congiure La lotta per il potere è sempre aperta”

il Fatto 11.2.12
“Omicidi e congiure La lotta per il potere è sempre aperta”
Il professor Rusconi racconta: “La guerra perenne per il papato”
Stefano Caselli

Il Conclave? È sempre in marcia. Chi mira a diventare papa, per un motivo o per l’altro, agisce continuamente dietro le quinte. E poi è altamente probabile che il prossimo Conclave non sia troppo lontano, non dico per l’età avanzata di Benedetto XVI, ma per la sua volontà – di cui non ha mai fatto mistero – di volersi prima o poi dimettere. Ecco perché prenderei con le molle la tesi del ‘complotto’ contro Ratzinger”. È l’opinione di Roberto Rusconi, docente di storia del Cristianesimo all’Università di Roma Tre.
Professor Rusconi, il documento pubblicato dal “Fatto Quotidiano” ieri sul presunto complotto per uccidere papa Ratzinger riporta in auge un antico topos, quello della congiura dei Palazzi vaticani. È così?
Il tema della congiura, come in qualsiasi sistema altro di potere, è risalente nei secoli, ma quello dell’attentato in senso stretto nasce con i papi contemporanei. L’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981 in piazza San Pietro, infatti, ha un precedente con Paolo VI, che fu accoltellato a Manila nel 1970. Uno squilibrato lo ferì colpendolo con una lama a tre centimetri dal cuore e fu il cardinale Marcinkus a bloccare l’aggressore. L’evento fu fatto passare il più possibile sotto silenzio, cosa che ovviamente non fu possibile quando Alì Agca sparò a Karol Wojtyla. Giovanni Paolo II, poi, rischiò qualcosa anche a Fatima, esattamente un anno dopo piazza San Pietro, nel maggio 1982, quando un prete spagnolo ultraconservatore, che lo accusava di essere un “agente di Mosca”, tentò di colpirlo con una baionetta. E poi non dimentichiamo che i nazisti minacciarono di deportare Pio XII durante la Seconda guerra mondiale.
Più indietro nei secoli?
Citerei il caso di Clemente XVI, il papa che soppresse la Compagnia di Gesù. Quando morì, nel 1774, si disse che la sua salma non poté essere esposta al pubblico perché avrebbe svelato i segni di una morte violenta per avvelenamento, probabilmente legata proprio alla sua azione contro i gesuiti. Come altro esempio di attentato alla persona del papa possiamo citare lo “Schiaffo di Anagni” della notte del 7 settembre 1303, quando emissari del re di Francia Filippo IV Il Bello, occuparono la residenza papale e sequestrarono Bonifacio VIII, intimando al pontefice il ritiro della bolla scomunica ai danni del sovrano francese. Bonifacio VIII morirà soltanto un mese dopo. Se poi andiamo ancora indietro nel tempo, nel medioevo per esempio, beh, lì non andavano certo per il sottile. Viene in mente il primo caso della storia di omicidio di un papa, quello di Giovanni VIII, ucciso il 16 dicembre 882, a Roma, per motivi – pare – non esattamente spirituali. E poi, nel 964, l’omicidio di Giovanni XII, ma a quel tempo era già stato deposto.
Vedo che ha accuratamente evitato di citare Giovanni Paolo I…
Ricordo che mia moglie, appena seppe della sua morte esclamò: “Lo hanno ucciso”. E chissà quanti italiani lo hanno pensato e lo pensano tuttora. Certo, la morte del predecessore di Karol Wojtyla tolse di mezzo un grande ostacolo per certi ambienti, ma non dimentichiamo che la carriera ecclesiale di Albino Luciani fu da sempre caratterizzata e anche ostacolata da ricorrenti problemi di salute. È possibile che i cumuli di responsabilità e di potere – che sono pesantissimi – che investono un papa le abbiano aggravate. L’unica cosa certa, tuttavia, è che sul caso c’è tanta cattiva letteratura.
Il concetto di regicidio rimanda a poteri assoluti, è forse per questo che i papi continuano a essere soggetti a pericoli di complotto anche mortali?
Certo. Il capo della Chiesa Cattolica è rimasto l’unico sovrano assoluto in terra. C’è chi tenta di negarlo, ma di fatto è e rimane l’unica fonte del diritto della Chiesa. Il tema del complotto, comunque, è legato alla preminente posizione di potere che ancora oggi ha il papato.
Quali – e quanti – riflessi possono avere, nella realtà italiana, gli intrighi di palazzo in Vaticano?
Ci sono diversi livelli, diciamo così, di intersezione. Il Vaticano è anche fisicamente un mondo a sé. Entrarci non è facile, ma se si ha la fortuna di varcare la soglia dei palazzi si ha davvero la sensazione di essere catapultati in un’altra galassia. Le lotte di potere, principalmente, rispondono a logiche interne e su tutto prevale sempre la salvaguardia dell’istituzione. Basta vedere com’è stato affrontato lo scandalo pedofilia: il problema principale è sempre stato tutelare la Chiesa, non le vittime. Ma nel rapporto con l’Italia c’è un bubbone grosso come una casa che non è per nulla di un altro mondo: si chiama Ior, un crocevia di interessi insanabili che non si risolve.

Come sollevano le coscienze - La Calotte 1908


Come sollevano le coscienze - La Calotte 1908.