Corriere della Sera 4.12.11
Anatema islamico contro Mahfuz. I salafiti bollano i libri del Nobel come «pornografia»
Cecilia Zecchinelli
Il padre delle letteratura araba, l'unico Nobel tra gli scrittori del Medio Oriente, il maestro Nagib Mahfuz veneratissimo già prima della sua morte nel 2006, è tornato nel mirino dei fondamentalisti egiziani.
Nel pieno delle elezioni che a sorpresa stanno trasformandosi in una vittoria massiccia non solo per i Fratelli Musulmani (al 40% nei risultati parziali) ma per gli integralisti salafiti (al 20%), un leader di questi ultimi ha lanciato un anatema contro il grande scrittore che già nel 1994 fu quasi ucciso da un estremista. «Le opere di Mahfuz incitano alla promiscuità, all'ateismo e alla prostituzione. I suoi romanzi sono ambientati tra droga e bordelli», lo ha liquidato in un'intervista in tv Abdel Moneim Al Shahat, candidato qualificatosi per il secondo turno ad Alessandria per il partito Al Nur, il più importante tra quelli d'ispirazione wahhabita. E ancora: «Il suo libro Awlad Harretna (uscito nel 1991 in Italia come Il rione dei ragazzi) è propaganda per l'ateismo». Se Al Nur andasse al potere, è il messaggio, le opere del grande scrittore sarebbero bandite in Egitto, insieme a chissà quante altre a partire dalle Mille e una notte.
Shahat non è nuovo a proclami del genere, è autore tra l'altro di una campagna per coprire le statue dell'Antico Egitto perché «di una civiltà corrotta e infedele», cosa che ha suscitato i timori degli archeologi e di un Paese che vive sul turismo, seppur non adesso. E il suo attacco a Mahfuz è stato accolto con sdegno, nonostante il dibattito sui media e nell'élite abbia ora ben altre priorità.
Sui social network, le reazioni sono di allarme: «Finiremo come a Kandahar», qualcuno ha scritto, riferendosi non solo al caso Mahfuz. Dagli scrittori che hanno sempre difeso a amato il maestro, anche se qualcuno in passato notava con benevolenza che fosse «il solo tra noi ad aver evitato il carcere, per la sua cautela o forse perché lavorava all'ufficio censura», è emersa una generale condanna. Qualcuno come Ibrahim Abdel Megid su Al Ahram sostiene che «non vale nemmeno la pena di reagire a gente rimasta nel Medio Evo».
«È vero che nella Trilogia del Cairo e in molti altri libri di Mahfuz ci sono prostitute, drogati, perfino gay perché non è stato Alaa Al Aswany con Palazzo Yacoubian a rompere questi tabù — dice Isabella Camera d'Afflitto, professoressa di letteratura araba a Roma e la più nota traduttrice di autori in questa lingua —. Mahfuz parlava della vera umanità dell'Egitto, il suo messaggio era di tolleranza universale per il diverso. È pazzesco che il nuovo attacco avvenga alla vigilia del centenario della sua nascita, l'11 dicembre 1911, celebrato ovunque, dal nostro convegno domani e martedì alla Sapienza di Roma alla Fiera del libro di Algeri dedicata proprio a lui, riconosciuto da tutti gli autori arabi come il più grande e a cui tutti ancora oggi in qualche modo si ispirano».