il Riformista 6-12.11
Sarà Ici anche per le società di comodo. Ma per la Chiesa è sempre esenzione
Gianmaria Pica
CARO CASA. Il viceministro Grilli afferma che l’imposta immobiliare la dovranno pagare tutti, anche le imprese. Intanto, sui beni gestiti dal Vaticano, il premier glissa: «È una questione che non ci siamo posti ancora».
Basta trucchetti fiscali. Se la villa, l’appartamento, o il capannone industriale sono intestati a società, il titolare dell’impresa non potrà più sfuggire e dovrà versare all’erario l’imposta Ici (oggi super-Imu) anche su questi beni immobiliari.
Così, come ha spiegato il viceministro Grilli, saranno chiamate a pagare tutte le imprese, anche le società di comodo e i trust. Il trust è un istituto giuridico attraverso cui è possibile creare in maniera piuttosto flessibile un rapporto fiduciario tra un primo soggetto che mette a disposizione i beni e un secondo soggetto che gestirà il patrimonio conferito nel trust. La società di comodo (o società non operativa), invece, si costituisce al solo fine di amministrare i patrimoni personali dei soci, anziché esercitare un’effettiva attività commerciale. Un esempio concreto? Il patrimonio di Silvio Berlusconi non è costituito solo di televisioni ed editoria. Anche le case sono nel cuore del Cavaliere-imprenditore. Così, anche Berlusconi custodisce i suoi gioielli immobiliari in una cassaforte del mattone: si tratta della Immobiliare Idra (controllata dalla Dolcedrago che appartiere al 99,5 per cento allo stesso Berlusconi). L’Immobiliare Idra ha in pancia una settantina di proprietà, tra cui le rimanenze di Milano 2, alcune case e ville a Roma e i beni più preziosi: Villa La Certosa (residenza estiva dell’ex premier), Villa San Martino (la dimora berlusconiana ad Arcore), e Villa Belvedere Visconti di Modrone a Macherio (castello ottocentesco, residenza dell’ex moglie Veronica Lario). Insomma, adesso anche Berlusconi sarà chiamato a pagare la super-Ici sui beni custoditi nell’Immobiliare Idra-Dolcedrago, un impero che vale centinaia di milioni di euro.
Ma a quale sacrificio economico saranno chiamati gli italiani? La manovra correttiva approva-
ta domenica dal Consiglio dei ministri prevede che l’Imu sostituisca la vecchia Ici. Dunque, l’Imu si pagherà anche sulla prima casa con un’aliquota dello 0,4 percento (con una detrazione di 200 euro), rispetto allo 0,76 per cento dell’aliquota ordinaria per la seconda casa. È prevista anche una rivalutazione degli estimi catastali del 60 per cento, che toccherà anche gli uffici. In sostanza, il decreto Monti prevede una rivalutazione dei valori catastali che passa da 50 a 80 per gli uffici (più 60 per cento), mentre non è ancora chiaro quale sarà l’incremento per gli immobili commerciali. Al di là dei tecnicismi, il Tesoro quantifica in 10-12 miliardi le entrate da Imu. Naturalmente, l’impatto del ritorno dell’Ici (previsto dal primo gennaio 2012) sarà molto forte sulle famiglie, il cui costo medio sarà pari a 1.680 euro l’anno. Equivalente all’8 per cento del reddito medio di una famiglia del Mezzogiorno e al 4 per cento del reddito annuo di una famiglia del Centro-Nord.
Ma ci sono sempre i soliti noti che non pagheranno un euro di Imu. Ieri, il presidente del Consiglio Mario Monti sulla questione Ici-Chiesa ha glissato: «È una questione che non ci siamo posti ancora». Per comprendere meglio il paradosso di quest’esenzione dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Nel 1992 il governo Amato stabilisce alcune esenzioni per le proprietà della Chiesa. La questione su quale tipo di edifici e proprietà dovessero essere esentati ha portato negli anni a diversi procedimenti giudiziari, fino al 2004 quando la norma viene in parte bocciata dalla Consulta che elimina le agevolazioni fiscali per gli immobili a scopo di lucro. L’esenzione, però, viene reintrodotta nel 2005 dal governo Berlusconi III che cambia la vecchia normativa, includendo gli immobili destinati ad attività commerciali tra quelli compresi nel diritto all’esenzione. Nel 2006, l’allora governo Prodi, modifica nuovamente la legislazione. Tuttavia un emendamento alla legge permise di mantenere l’esenzione per le sedi di attività che abbiano fini «non esclusivamente commerciali».
Oggi solo il 10 per cento circa delle proprietà della Chiesa paga l’imposta. Il mancato gettito annuale è stimato in 400-600 milioni di euro.