il manifesto 24.11.05
I forzati al battesimo
Storie negate
In un libro la conversione forzata degli ebrei da parte della chiesa cattolica
Grazia Pagnotta
Ha creato stupore, e ancora una volta sofferenza, la scoperta, qualche mese fa, che nella Francia degli anni Quaranta la Chiesa mise nuovamente in uso la pratica di «salvare e convertire» con il battesimo i bambini ebrei, affidati dai genitori durante l'occupazione nazista ad autorità cattoliche per salvarli dalla persecuzione. Per secoli, fino all'Ottocento si è trattato di una consuetudine ben articolata e giustificata dalla legislazione della Chiesa cattolica. La storica Marina Caffiero, spiega e analizza questa realtà nel suo volume Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi (Viella edizioni, pp. 352, € 22). La pratica dei battesimi forzati, scrive, «costituisce un fenomeno che presenta aspetti mai indagati o notati e che si rivela di grande peso soprattutto per la comprensione delle radici dell'antiebraismo, cattolico e laico, otto-novecentesco. Esso costruisce, sancisce e fissa definitivamente mentalità, stereotipi e soprattutto modalità comportamentali nei confronti degli ebrei a lungo rimossi dalla memoria collettiva italiana». Rilevante nella normativa fu Benedetto XIV (1740-1758), di cui la storiografia già da tempo ha messo in dubbio l'immagine di sovrano illuminato, e che fece giurisprudenza nella materia con due lettere: la Lettera a Monsignor Arcivescovo di Tarso Viceregente sopra il Battesimo degli Ebrei o infanti o adulti, del 1747, e la Lettera della Santità di Nostro Signore Benedetto Papa XIV a Monsignor Pier Girolamo Guglielmi Assessore del Sant'Officio sopra l'Offerta fatta dall'Avia Neofita di alcuni suoi Nipoti infanti Ebrei alla fede Cristiana, del dicembre 1751. Dall'ora in poi gli abusi compiuti furono basati sull'argomento del favor dei, che prevaleva su qualunque altro diritto, anche sulla patria potestà, e il tribunale dell'Inquisizione si affermò definitivamente come l'autorità maggiore sulla materia. L'intervento del pontefice riguardò soprattutto la forma più frequente dei battesimi coatti: la pratica dei convertiti di offrire davanti ad un notaio alla religione cattolica i familiari minori e adulti, anche se non consenzienti.La storiografia finora si era occupata dei battesimi clandestini di bambini ebrei, e della denuncia di ebrei a cui i convertiti erano spinti, ma la modalità dell'«offerta», che durò dal Cinquecento all'Ottocento, analizzata da Caffiero appare più significativa e densa di conseguenze per i conflitti che generò, investendo le eredità, i matrimoni, e i diritti sui minori, e creando veri e propri rapimenti di bambini e violenze durature, non solo psicologiche. Soprattutto il materiale raccolto da Caffiero, proveniente dall'Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, rivela implicazioni teoriche a cui la Chiesa si spinse, finora sconosciute. In particolare sulla natura del feto: proprio negli anni in cui il gesuita Francesco E. Cangiamila con la sua Embriologia sacra del 1745 imponeva l'idea di un feto come «cittadino non nato», come persona autonoma e distinta dal corpo materno, un avvocato professore all'Archiginnasio della Sapienza per difendere dall'«offerta» di uno zio tre ragazzi orfani argomentò che i figli erano per natura parte dei genitori, sia nell'utero materno che dopo nati, come in un «utero spirituale». L' «offerta» fu dichiarata inammissibile, ma l'argomento del favore della fede fece allungare i tempi, finché i fanciulli non furono convinti a divenire cristiani. Al di là dell'esito del caso, va notato che la rappresentazione di origine greco-romana di una fusione totale dei corpi del bambino e della madre «costituiva un forte baluardo rispetto alla rappresentazione più moderna - medico-scientifica, giuridica e poi anche teologica - che prospettava un'indipendenza dal corpo della madre tale da eliminare ogni controllo di questa sul feto e sul bambino. Una rappresentazione che rendeva anche più facile il discorso del battesimo degli infanti, visti come separati e autonomi dal corpo della madre. E - sostiene l'autrice - benché tale rapporto non sia mai stato finora notato dagli storici, ci si deve domandare quanto i mutamenti della dottrina teologica e di quella medica non rispondessero anche alla necessità di far fronte a questi casi, allo scopo cioè di rendere più facili i battesimi dei bambini ebrei, nati e nascituri».Il libro della studiosa, dunque, va al di là della storia della repressione e dell'analisi degli strumenti di controllo, politici e culturali, sulle coscienze; e porta infatti alla luce elementi poco conosciuti della società italiana di allora, quali la determinazione dei diritti e poteri delle madri sui figli, l'attenzione crescente della Chiesa nel «conquistarsi i fanciulli», la definizione del concetto di adulto, il problema dei matrimoni misti, o l'integrazione dei convertiti. Infine, mostra, diversamente dalla rappresentazione tradizionale, come le due realtà, ebrea e cattolica, non fossero incomunicanti, ma in un'interazione quotidiana, in cui gli ebrei protestavano contro gli abusi, non erano passivi e non costituivano un gruppo che si autoescludeva ritirandosi. Smentendo così quelle interpretazioni che hanno attribuito anche ad una presunta loro autoemarginazione la perseveranza persecutoria della Chiesa.