La Stampa 18.10.05
Celebrazioni in Valsesia a 700 anni dalla sua resistenza e morte sul rogo
Fra Dolcino ritorna
Per eretici e streghe
di Carlo Grande
è l’ora della rivincita
Al monte di Varallo, tempio della Controriforma
Riabilitato con l’ultima «maga» uccisa in Italia
Vercelli. Torna fra Dolcino, il grande eretico del Trecento, ed espugna un simbolo della Controriforma, il sacro monte di Varallo. Per il 700° anniversario della sua estrema resistenza in Valsesia, avvenuta fra il 1305 e il 1307 e finita sul rogo (lui e i Fratelli Apostolici erano chiamati «porcari, guardiani di vacche, cani bastardi, gente che costruisce la Sinagoga di Satana»), il Comune di Varallo Sesia ha deciso di dedicargli una lapide e organizzare nei prossimi mesi, in collaborazione con il Centro Studi Dolciniani, un ampio programma di convegni, spettacoli e incontri. Eresia e stregoneria furono repressioni strettamente collegate, così si comincia il 29 ottobre a Varallo con una lapide per ricordare l'ultima strega trucidata in Italia, la «Strìa Gatina», vedova poverissima che nel 1828, a Cervarolo di Varallo, fu accusata di aver lanciato un maleficio e massacrata di botte.Valsesia, terra di «resistenti», dunque: da Dolcino alle Brigate Garibaldi, non fu un caso che l'obelisco a fra Dolcino, innalzato nel 1907 sul Monte Massaro sopra Trivero, fu abbattuto a cannonate dai fascisti; nel 1974 venne posto il cippo attuale, alla presenza di Dario Fo. Davanti al monumento ogni anno si radunano centinaia di persone.Quella di Dolcino, citato anche da Dante nel XXVIII Canto dell'Inferno, fu una storia di sofferenze, torture, roghi e repressione spietata. Lui e i suoi fedeli (gli Apostolici) fuggirono dal Trentino nel 1304 e vennero accolti, dopo una lunga marcia, a Gattinara e Serravalle, alle porte della Valsesia; ricominciarono a predicare finché l'Inquisizione li costrinse a risalire la valle fino a Campertogno e alla Parete Calva; fu allora bandita una crociata che scatenò una guerriglia di due anni fra la gente del posto, suscitando profonda emozione anche in Dante. Gli eretici fuggirono sulle montagne biellesi, asserragliandosi sul monte poi detto Rubello (da «ribelli»). Nel 1307, dopo un lungo assedio, la maggior parte di loro venne trucidata; Dolcino, Margherita da Trento e Longino Cattaneo, luogotenente di Dolcino, finirono sul rogo.«La lapide sancisce la sua «riabilitazione - spiega Corrado Mornese, che al personaggio ha dedicato anni di studi e numerosi saggi - ed è molto importante che un sindaco e un'amministrazione comunale abbiano l'intelligenza e il coraggio di recuperare un patrimonio storico importantissimo, al di là dei conformismi e delle remore che ancora aleggiano su questi temi». Dolcino e i suoi non erano guerrieri, ma intellettuali, spiega Mornese, e l’accanita resistenza in quelle remote valli, gli scontri e le sofferenze vennero sostenuti dai montanari. Molti storici, compresi quelli marxisti, enfatizzarono il ruolo di Dolcino, ma aldilà delle ideologie i veri protagonisti furono i montanari, la gente semplice, la «nazione alpina» che reagì all’«invasione» dei crociati in difesa di un’autonomia ottenuta dalla Valsesia già da una trentina d'anni. Il pensiero - con i dovuti distinguo - corre alla resistenza dei catari a Montségur, alle splendide pagine che Simone Weil dedicò alla «civiltà Occitana».Certo, il pensiero di Dolcino influì sulla rivolta: il suo cristianesimo era «mite», un «sentiero dei semplici» antielitario, che esaltava povertà e comunità, rinuncia e sofferenza, il rifiuto del mondo e delle mondanità. Tutte cose che i montanari capivano benissimo: la strada di Dolcino per salire a Dio era quella dei poveri, degli umili che non sapevano di latino, dei rustici privi di beni materiali. La ribellione fu prima di tutto resistenza montanara, non eretica; fu un conflitto armato tra modelli sociali e cristianesimi differenti, alternativi. Uno «scandalo» attualissimo: perché la sconfitta della montagna, piegata dalla pianura, è anche storia di oggi, sia in termini di risorse che di valori come la parsimonia, il sacrificio, la tenacia e la fatica. Fu un'imposizione di modelli culturali, il trionfo di un modo di intendere la civiltà. Lo prova il modo ossessivo con cui l'Inquisizione, anche molti decenni dopo il rogo di Dolcino, diede la caccia ai suoi seguaci; quel pensiero era penetrato a fondo, aveva fatto strada. «Per compiere l’opera - dice Mornese - per abbattere il mondo da cui era nata l’eresia, un mondo altro rispetto alla città e al potere, bisognava colpire al cuore, nel centro, cioé la donna, cemento della comunità arcaica. “Witch”, strega, nell'inglese antico è “wicce”, “colei che sa”, che conosce i ritmi della natura, che dispensa il cibo, medicine». La «stria Gatina» si ribellò al taglio di un grande albero.«Sono vicende - conclude Mornese - che ci fanno capire le radici della modernità, i conflitti che ne stanno alla base e chi ne ha pagato il prezzo. Le streghe furono le vittime principali del processo di costruzione dell’Europa moderna, e prima di loro gli eretici. Un simposio del Vaticano, nel 1998, ha rivelato il numero delle condanne per stregoneria nel Seicento: furono 60 mila, in Europa. Oggi, in rapporto all’attuale popolazione, equivarrebbero a 352 mila. In pratica non ci fu villaggio europeo che non conobbe la repressione, il terrore».La lapide a fra Dolcino e ai montanari che lo difesero verrà posta il 19 febbraio 2006, il clou delle manifestazioni sarà il convegno del 4 novembre 2006 al Sacro monte di Varallo. Una forma di riscatto e di turismo culturale - perché no - che i «vinti della montagna» propongono oggi. Come dice Mornese degli Apostolici in Valsesia «non furono smarriti, ma solo sconfitti». E come Dolcino non muoiono mai, continuano a ritornare.