Processo alle donne
di Carlo Flamigni
Il Consiglio Regionale del Veneto sta per approvare una legge che si propone di regolamentare le iniziative mirate all’informazione sulle possibili alternative all’aborto. Nella relazione che precede i tre articoli si legge che «il dato più sconvolgente che emerge, sentendo l’esperienza di molte donne è la mancata informazione sia sui dati biologici dell’embrione o del feto sia sui possibili aiuti che essa può ottenere». Da chi? Da «moltissimi movimenti e associazioni che hanno come finalità l’aiuto alle mamme che (...) sono orientate verso l’interruzione della gravidanza».A questi «moltissimi» movimenti e associazioni, l’articolo 2 della legge concede «di espletare il loro servizio di divulgazione e di informazione nei consultori familiari, nei reparti di ostetricia e ginecologia, nelle sale di aspetto e altre degli ospedali».Se si trattasse in realtà di «moltissimi movimenti e associazioni» poveri noi, dovremmo immaginare resse tremende soprattutto nei reparti di ginecologia. In realtà si tratta del «Movimento per la vita», e solo di questo, una associazione della quale, sul piano dei risultati, non si può dire che bene, visto che afferma di aver risolto i problemi di un grande numero di donne, inducendole a cambiare idea e a decidere di non interrompere la gravidanza.Brave persone, dunque. E per capire meglio quanto sono brave, sono andato sui loro siti, a leggere quanto il loro presidente, Carlo Casini, e i suoi collaboratori hanno scritto su questo argomento, come salvare tante vite e tante anime. Mi interessava naturalmente conoscere le loro motivazioni più sottili e capire cosa in realtà queste brave persone pensino delle donne che vogliono aiutare.Sono capitato così in un sito che riporta, dopo un articolo di Casini, uno studio/proposta di uno psicologo che porta un titolo invitante e sommesso: «La sindrome del boia». E questo è in realtà quello che il Movimento per la vita pensa delle donne che hanno abortito: carnefici, boia, oltretutto consapevoli di esserlo. Valutazione forse non generosa e gentile, ma, ahimé, quanto concreta.Dunque sono queste le persone che la Regione Veneto vuol collocare all’interno delle strutture ospedaliere, alla faccia della “privacy” (a proposito, cosa ne dirà il garante?), per costituire una sorta di tribunale ecclesiastico di fronte al quale le donne che hanno deciso di abortire (sempre utilizzando un loro pieno diritto) dovranno sfilare.È stato dunque fatto un processo al personale sanitario che si occupa dell’applicazione della legge 194 e lo si è trovato colpevole a) di non fare propaganda al Movimento per la vita e b) di non spiegare alle donne come è fatto un feto e come si può trovare una soluzione alternativa all’aborto.Anche ammettendo che si tratti di colpe reali, mi sembra strano che non siano stati puniti gli operatori, ma le donne, che a me sembrano piuttosto innocenti. Ma esistono queste colpe? Ebbene, quanto alla prima, posso solo dire che non farei propaganda a gente che definisce «boia» le donne che abortiscono neanche con una pistola puntata alla tempia. Quanto al lavoro che svolgono, non ritengo di conoscere, nel nostro Paese, medici e psicologi, ostetriche e infermieri altrettanto motivati e consapevoli del proprio ruolo, insieme delicato e insostituibile, quanto quelli che lavorano nei consultori. Parlano per loro le cifre, che testimoniano per un importante e significativo decremento annuo del numero di aborti, un dato che neppure il grande numero di richieste da parte delle nuove cittadine riesce a inquinare.Non posso dunque dare, della legge veneta, un giudizio positivo: la trovo ingiusta e ritengo che sia un ennesimo modo di ferire la coscienza laica di questo Paese, che non può accettare in silenzio la trasformazione in norme giuridiche di ideologie religiose. Temo che il mondo cattolico dovrebbe fermarsi un attimo a ragionare sulla propria arroganza, valutando i conflitti che sta promuovendo e chiedendosi se è veramente giusto continuare così.Le donne non sono comunque né una categoria “con limitato potere” che si può sottoporre a qualsiasi tipo di prevaricazione, né un genere fragile e predisposto all’errore che è necessario prendere per mano e guidare alla salvezza. Se gli amministratori veneti vogliono veramente aiutarle (anche ad accettare gravidanze non pianificate), facilitino l’insegnamento delle tecniche contraccettive, aprano le scuole all’educazione sessuale, finanzino in modo adeguato i consultori, migliorino le condizioni di vita e di lavoro loro e dei loro compagni. Leggi come queste ridanno spazio agli aborti clandestini e allontanano molte donne dai centri ospedalieri, due conseguenze che non verranno accettate passivamente da molte compagne che, a quanto mi consta, si stanno già mobilitando.Mi piacerebbe molto che gli uomini capissero che questa è una lotta per difendere la dignità e la libertà di tutti e che non lasciassero le donne ancora una volta sole a combatterla.