domenica 25 novembre 2007

ISLAM/ EGITTO, DONNA CONDANNATA PER APOSTASIA INCONSAPEVOLE

Roma, 23 nov. (Apcom) - Le colpe dei padri non dovrebbero ricadere mai sui figli. E' un pensiero che deve aver attraversato spesso la mente di Shadiya Naji Ibrahim, una donna condannata a tre anni di prigione in Egitto per una doppia conversione del padre Naji Ibrahim - prima cristiano, poi islamico, poi di nuovo cristiano - di cui lei era del tutto inconsapevole. Si tratta di avvenimenti accaduti 45 anni fa, quando la quarantasettenne di oggi aveva solo due anni e raccontati oggi dal quotidiano palestinese Al Quds al Arabi.

La vicenda è kafkiana e ha i suoi presupposti nel 1962 quando il padre della donna, dopo un litigio con la moglie, decide di lasciare il Cristianesimo e d'abbracciare l'Islam. Una scelta, tutto sommato, comoda: la conversione gli avrebbe permesso infatti di risposarsi, visto che la fede musulmana prevede la possibilità di contrarre più di un matrimonio.

Naji, che con il passaggio alla Fede del Profeta aveva assunto il nome di Mustafa, dopo tre anni d'osservanza islamica, però, si stanca e vuole tornare con la prima moglie. Ma non può, perché la Legge islamica (Shariya) non può essere rinnegata. "E' apostasia - affermano i giudici che hanno condannato la donna - e la sentenza dell'Islam è inequivocabile per questo reato: la morte".

L'uomo non si dà per vinto e decide di ricorrere ai servigi d'un falsario, che gli produce documenti falsi in cui egli appare come cristiano. Tutto fila liscio per oltre un trentennio, ma nel 1996 accade l'irreparabile: il falsario viene arrestato e spiffera alla polizia anche il segreto di Naji-Mustafa. L'uomo viene subito arrestato e, a ricaduta, i ceppi si chiudono anche ai polsi della povera Shadiya.

Il meccanismo legale per il quale la donna sarebbe un'inconsapevole apostata è spietato. Non essendo valida la ri-conversione al Cristianesimo del padre, anche lei non può essere considerata cristiana, ma musulmana, visto che in Egitto i figli acquisiscono la religione dei padri. Ne consegue la condanna per aver dichiarato il falso al momento del matrimonio, contratto nel 1982 con un cristiano e quindi in aperta violazione di un'altra norma che impedisce a donne islamiche di sposare uomini appartenenti ad altre fedi.

La prima condanna in contumacia arriva nel 2000. Poi viene arrestata e il caso viene riaperto. Mercoledì, alla fine, la condanna definitiva. L'Alta Corte del Cairo non ha dubbi e "in una rapida udienza processuale - scrive il quotidiano - decide confermare la pena di tre anni di carcere". A poco valgono le sue proteste. "Io all'epoca avevo solo due anni - si lamenta la donna - e non potevo certo sapere che mio padre si era convertito all'Islam per un breve periodo". Ma la legge, si sa, non ammette ignoranza.