Guerre sante
Quando una religione monoteista si investe del potere terreno oppure vi si accorda, la strage in nome di Dio è sicura
L'eterna bestemmia in nome di Dio«Cristiani in armi. Da sant'Agostino a papa Wojtyla» la ricostruzione di come cristianesimo e pace non sono sinonimi.
Il saggio di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri per l'editore Laterza
di Rossana Rossanda
Impugnando il vessillo della croce nella mano sinistra e nella destra una spada sguainata, un angelo biondo si libra con ali immense sopra i crociati sulla strada di Gerusalemme, simile all'uccellaccio che in un turbinio di vesti, ali e spade minaccia Roma dagli spalti di Castel Sant'Angelo. E' Michele, l'arcangelo guerriero, simbolo di un dio vendicatore e sterminatore. Lo ha scelto Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri per la copertina del suo Cristiani in armi (Laterza, 226 pagine, euro 16), dedicato con speranza ai nipotini perché riflettano, suppongo, come cristianesimo e pace non siano sinonimi. La tradizione belligerante viene dai fratelli maggiori. In un passo del Deuteronomio Jahvé, assicurandogli la vittoria, invita il suo popolo a prendere d'assedio una città, e poi: «Passa a fil di spada ogni maschio, prendi per te le donne i bambini le bestie e tutto quel che vi trovi ... non lasciare in vita nessuno, votali tutti allo sterminio, demolisci i loro altari, spezza le loro stele, brucia le loro sculture...». Ma si potrebbe andare molto avanti: le conquiste di Giosuè, a cominciare da quella che a scuola mi raccontavano come pacifica (le mura che crollano al suono di tromba) è seguita dallo stesso sterminio, e così le altre vittorie di quel generale di Dio. Grondano di sangue le visioni dei più fra i profeti. La Jihad non ha inventato niente di nuovo, né parole né fatti. E anch'essa è persuasa di avere Dio dalla sua parte.La parola di Cristo non ha segnato dunque una discontinuità? Non lo ammette il biblista Giuseppe Barbaglio, che pure ne ha scritto Il dio violento (1990): egli vede correre anche nel Vecchio Testamento, come un filo rosso, accanto all'immagine del Dio terribile quella d'un Dio amoroso.Sta di fatto che nei Vangeli non c'è che questo. Più che un paio di frustate Gesù non somministra ai mercanti nel tempio, invita l'offeso a porgere l'altra guancia e a guardarsi dal ferire di spada, conversa con gli infedeli come con chi ancora non sa, non invoca dal Padre suo alcuna vendetta - messaggio che in quei tempi calamitosi e nel ribollire della Palestina dovette suonare scandaloso, ma fu certo all'origine della sua straordinaria diffusione. Ma ecco che mille anni dopo il cristianissimo vescovo Guglielmo di Tiro descrive così le gesta dei crociati una volta presa Gerusalemme: «... Coperti di elmi e corazze percorsero strade e piazze della città uccidendo indistintamente tutti gli infedeli che capitavano, senza riguardo né all'età né al rango. Da ogni parte si vedevano nuove vittime, teste staccate dai corpi, non era possibile camminare senza traversare mucchi di cadaveri ... Poi, avendo saputo che gran parte della popolazione s'era rifugiata al di là dei bastioni del Tempio corsero sul posto in grande moltitudine colpendo con le spade chiunque incontrassero e inondando di sangue le strade. Essi compivano così i giusti decreti del signore ... poi si cambiarono le vesti, si lavarano le mani e camminando a piedi nudi con cuore umile gemevano e piangevano con devozione». Questo succedeva nel 1099, poco prima che Gregorio nascesse, per cui il pio vescovo si dette molto da fare per la terza crociata. Scene simili si producevano anche fuori della Terra Santa per il fiorire di pellegrinaggi, diciamo così, non autorizzati, nei quali qualche nobile raccoglieva tutto quel che trovava per strada e in cammino verso il Santo sepolcro faceva strage degli ebrei che capitavano a tiro. Di questa temperie selvaggia partecipano anche, nelle predicazioni, uomini di spirito elevato come Bernardo di Clairvaux e Pietro l'Eremita. Come è accaduto?E' accaduto che nel 312 - mentre i cristiani erano ancora in clandestinità - l'imperatore Costantino sogna, la notte prima della battaglia di ponte Milvio, il solito angelo che gli addita la croce: In hoc signo vinces. Vince, e dichiara il cristianesimo religione di stato. I cristiani, che allora vivevano senza esporsi in un loro costume di solidarietà e preghiera, escono allo scoperto e la loro chiesa si scambia favori con l'imperatore. Essa ordina ai fedeli di esser soldati (garantendogli che se muoiono ammazzando il nemico volano dritti in paradiso) mentre domanda al potere di interdire le altre religioni. Da allora al secolo scorso i rapporti fra chiesa e impero o stato restano stretti, anche se fra non pochi conflitti non di fedi ma di potere, e c'è voluto papa Wojtyla per condannare senza mezzi termini la guerra (che resta però come extrema ratio, tale e quale la pena di morte, nel catechismo).Insomma, quando una religione monoteista si investe del potere terreno o vi si accorda, la strage in nome di Dio è sicura. Non che per il cristianesimo sia stato semplicissimo. L'antico interdetto del V comandamento, non ucciderai, assume un'altra valenza nella predicazione cristiana, per la quale è fondativo l'amore per l'altro, e la guerra non era neppure contemplata. La cultura di allora vede ogni conflitto in termini militari, scrive Maria Teresa Fumagalli, neanche Paolo vi sfugge e ogni conflitto anche interiore, fra fede e non fede, bene e male, culto di Dio e culto di sé, lotta a Satana e perfino nel famoso «Morte, dov'è la tua vittoria?» prende con naturalezza il linguaggio bellico. Ma con Paolo siamo soltanto alla forma. Più tardi i Padri si interrogano. Si interroga Ambrogio: perché, mio Signore, mi dici di vendere la tunica e comprare la spada, ma mi interdici di usarla? Sarà - prima scivolata - per legittima difesa? Agostino, suo discepolo e animo tragico, va molto oltre: se c'è il male nel mondo deve essere stato previsto dall'infinita sapienza di Dio, dunque è in qualche modo concesso - quasi obbligato. Il pessimismo di Agostino è radicale. Nella notte tenebrosa del creato dopo la Caduta c'è dunque anche la guerra, scriverà al dubbioso Fausto, essa è inevitabile come la tempesta, la sofferenza, la morte. Affermazione fatale, perché se connessa alla umana natura per volere di Dio, potrebbe anche, in certi casi, essere giusta.In quali casi, che non siano la difesa - anch'essa non contemplata dai primi cristiani? Su questo si piegheranno i giuristi, specie dopo secoli di conflitti efferati e in seguito alla conquista spagnola delle Indie, per la quale, dopo un breve tentativo di dimostrare che gli indiani non sono specie umana, non esiste legittimazione alcuna. Il grande legittimatore sarà il domenicano Francisco de Vitoria, argomentatore inquieto la cui dottrina attraversa i secoli, e influenzerà anche i gesuiti inducendoli a rovesciare una loro prima posizione in difesa degli indigeni: il molinismo non lascerà scampo.Così, se è rimasto sempre fra i cristiani chi non accetta la liceità della guerra, si troverà di regola fra i malpensanti o gli eretici. Contro la «peste» degli albigesi Innocenzo III reclama l'intervento dell'imperatore. E così dopo lunghe guerre periranno i catari. L'arcivescovo di Milano, scoperta nella diocesi di Torino una comunità pacifica, che perdipiù metteva i beni in comune, li manda al rogo tutti. Un punto particolarmente dolente accompagna la condanna della guerra: il suo più lucido contestatore, John Wyclif di Oxford e i suoi seguaci, i lollardi, la collegano alla volontà di dominio, che si radica nella proprietà. La persecuzione di Wyclif e dei suoi seguaci non avrà fine. Insomma il filone pacifista sarà assai minoritario nella chiesa. E per lungo tempo anche in quella riformata.Ma non è diffuso neanche fra i pensatori laici. Esita il lucido Erasmo da Rotterdam, la guerra sta anche nell'Utopia di Tommaso Campanella; soltanto Marsilio Ficino, credente, non demorde e sarà condannato. Nel Seicento e nel Settecento la più brillante intellettualità francese non è pacifista. Ma il lavoro della Fumagalli Beonio Brocchieri riguarda soprattutto la chiesa e arriva fino ai nostri giorni. Nessuno dei grandi pacifisti, da Milani a Balducci, per non parlare di Capitini e Buonaiuti, è stato amato. Della posizione dei papi davanti alle guerre è meglio tacere. Quanto è appassionante, e fin tragica, la discussione fra i Padri dopo l'editto di Costantino, tanto è fredda sotto il profilo religioso quella che segue con la modernità. Gli atei devoti vi possono trovare materia di consolazione.Per non parlare degli stolidi araldi delle guerre di civiltà. E' roba nostra, europea, quella che ci torna in quelle che sentiamo come farneticazioni di Bin Laden o Al Zarkawi. La chiesa le aveva benedette quando con l'impero si scambiavano reciproci doni. Soltanto Agostino, credo, ha inserito la guerra nella sua tragica teologia della Caduta - peraltro sempre all'orlo dell'eresia - appena si lascino i suoi pensieri, nella banalità della storia anche ecclesiale, la guerra si rivela sempre passione di dominio. Che fra dominio e dominio ci possa essere una guerra giusta, è una terrestre e non altissima, controversia. Che possa essere Santa, come talvolta ha detto il Sacro soglio, è una bestemmia. Quanto alla guerra umanitaria è un ossimoro del presente - neanche ai papi più virulenti era venuto in mente.