martedì 13 ottobre 2009

«Il problema non è la Chiesa ma la politica sottomessa»

Corriere Fiorentino 8.10.09
L’intervista. Il professor Lombardi Vallauri, ordinario di filosofia del diritto
«Il problema non è la Chiesa ma la politica sottomessa»
intervista di David Allegranti

Luigi Lombardi Vallauri, ordina­rio di filosofia del diritto all’Uni­versità di Firenze, è, fra le tante cose di cui si occupa, un attento studioso di bioetica. Da mesi non legge «cose che riguardano l’Italia e la politica italiana, come misura elementare di igiene mentale». Sollecitato, fa un’eccezione con gli articoli sul registro fiorentino del testamento biologico.
Professore, dopo la nota del­l’Arcidiocesi sul voto di lunedì in consiglio comunale, c’è chi ha parlato di nuovo di ingerenza della Chiesa in fatti che non la ri­guardano. Secondo lei sono le­gittimi gli attacchi della Curia?
«Penso che la Chiesa, come tutti, abbia diritto di parlare, e chiunque parla è tutelato dalla libertà di ma­nifestazione del pensiero. Quando io dico quello che penso nessuno lo chiama ingerenza, perché a quel­lo che io dico non c’è acquiescen­za; una manifestazione di pensiero diventa cioè ingerenza non per col­pa di chi parla, ma per colpa di chi segue. Il vero problema non è che la Chiesa manifesti le sue opinioni, ma che ci siano dei politici dipen­denti. Ingerenza è sinonimo di di­pendenza, e non ci sarebbe inge­renza se ci fosse indipendenza. Gandhi aveva una frase molto bel­la: dire un tiranno e dire mille vi­gliacchi è dire esattamente a stessa cosa. In questa fase la Chiesa non potendo più parlare di oggetti dog­matici, trascendenti, si sta riducen­do a una strana politica: erogare sensi di colpa per poter erogare presunte vie di giustificazione, ero­gare perdizione per poter erogare salvezza, erogare peccati per poter vendere assoluzioni. Praticamente la Chiesa è diventata una specie di altoparlante di etica colpevolizzan­te. Questo mostra che è in profon­dissimo imbarazzo».
Al di là delle competenze di Co­mune e Parlamento, di cui pure si è molto discusso, c’è una que­stione di merito sull’istituzione del registro dei biotestamenti. Lei che ne pensa?
«Prima facie , istituire un regi­stro sembra un atto completa­mente innocuo, un semplice stru­mento di pubblicità di atti, la cui validità o non validità giuridica è del tutto indipendente dalla regi­strazione. Nessuno credo preten­de che per il fatto di essere regi­strati, questi testamenti acquisti­no efficacia giuridica maggiore, e quindi bisognerà in ogni caso ri­salire agli atti compiuti presso i notai o altri fiduciari, anche per­ché, se ho ben capito, il registro non ne riprodurrà il contenuto. Dirà solo che il signor X ha fatto testamento biologico e quindi sa­rà impossibile conoscere il conte­nuto di questo testamento, an­dando a vedere nel registro. Dun­que è semplicemente una forma di pubblicità, ripeto, apparente­mente innocua, che facilita l’inda­gine volta al reperimento poi del documento che conta. Ma c’è un livello molto più interessante».
Quale?
«Il problema della legittimità etica e giuridica di questi atti, e cioè del testamento biologico. L’espressione di volontà concer­nente l’ultima fase della vita: il problema è anzitutto etico e poi giuridico. Eticamente devo dire che se l’etica è universalmente condivisibile, come lo sono la ma­tematica e la fisica, allora il prove­nire da un’autorità è senza alcun effetto; Dio non ha compiuto rive­lazioni matematiche e fisiche, e di­rei che se l’etica è universale deve essere anch’essa separata da prin­cipi di autorità. L’etica non conta per chi la emana, fosse anche Dio — e Dio nella storia ne ha dette eticamente di tutti i colori — ma dipende dagli argomenti a favore delle tesi; essa non può essere quindi che laica, come laica è la matematica».
E quindi?
«Se argomentiamo, ho molta difficoltà a pensare che mentre su tutte le fasi della vita la persona ha il diritto-dovere di decidere, questo diritto-dovere cessi di fronte all’ultima fase. Io simpatiz­zo molto con la tesi secondo cui l’ultima fase è come tutte le fasi precedenti e quindi la persona ha il diritto-dovere di organizzarse­la, anche molto prima che si pon­ga il problema eutanasia sì, euta­nasia no. Io vedo la persona, o il suo fiduciario, come un regista dell’ultima fase di cui il medico è semplicemente un attore. E quin­di le dichiarazioni anticipate mi sembrano della stessa natura del testamento normale».
Dunque lei è a favore del testa­mento biologico? Perché?
«Ritengo che gli argomenti a fa­vore del testamento biologico sia­no molto più forti di quelli con­tro, e qui nasce il problema della traduzione dell’etica in termini giuridici; quando si passa al dirit­to, non è affatto detto che si pos­sa trapiantare di sana pianta l’eti­ca in quanto tale. Il diritto si rivol­ge in modo coercitivo a collettivi­tà nelle quali ci possono essere etiche di coscienza diverse e quin­di si pone un problema di consen­so e di tutela delle minoranze. Questo problema non può non es­sere risolto a partire dal principio di libertà. Chiunque limiti la liber­tà di un cittadino ha su di sé l’one­re della prova».
Cioè?
«Deve avere argomenti a favore della limitazione della libertà più forti del valore libertà come tale. Ed è molto difficile trovare argo­menti che non consistano nella di­fesa di altrui libertà minacciate da certi esercizi della mia libertà. Ora in questo caso è ben difficile vede­re quali libertà altrui siano minac­ciate dall’esercizio di questa mia li­bertà sull’ultima fase della mia vi­ta. Quindi ritengo che una tradu­zione giuridica esplicita del princi­pio di libertà e cioè una legittima­zione giuridica del testamento bio­logico sia la soluzione più giusta».