lunedì 21 dicembre 2009

Lo scandalo dei preti pedofili. 
I preti e gli abusi 


Corriere della Sera 21,12.09
Lo scandalo dei preti pedofili. 
I preti e gli abusi 


Lo scorso 26 novembre un rapporto governativo di 720 pagine si certificano 320 casi di abusi sessuali a minori nella sola arcidiocesi di Dublino dal 1975 al 2004.

Colpevoli 46 preti pedofili e quattro arcivescovi responsabili di averli coperti La commissione 

Lo scorso maggio la Child Abuse Commission pubblicò il «Rapporto Ryan»: 9 anni di indagine e 3.500 pagine a descrivere mezzo secolo di violenze «sistematiche» negli istituti cattolici, commesse da «centinaia» di preti e suore dagli anni 30 agli anni 80 Il film 

Nel 2002 il film «The Magdalene sisters» (foto) di Peter Mullan, Leone d’oro a Venezia, raccontò la storia di tre ragazze mandate presso il convento gestito da Madre Bridget (madre superiora dell’ordine) ad espiare i loro presunti peccati Il Papa 

Qualche giorno fa il Papa ha manifestato l’intenzione di scrivere una lettera a tutti i fedeli irlandesi per «indicare con chiarezza le iniziative da prendere in risposta alla situazione». Benedetto XVI ha detto di condividere «lo sdegno, il tradimento e la vergogna dei fedeli»

venerdì 18 dicembre 2009

Coprì decine di preti pedofili si dimette il vescovo irlandese

La Repubblica 18.12.09
Coprì decine di preti pedofili si dimette il vescovo irlandese
Cade la testa di monsignor Murray. Il Vaticano: "Atto imperdonabile"
Sì del Papa all´autosospensione Gli abusi consumati per 30 anni nella diocesi di Dublino
di Orazio La Rocca

CITTÀ DEL VATICANO - Cade la prima testa per lo scandalo dei preti pedofili irlandesi. E´ monsignor Donal Brendan Murray, costretto a dimettersi da vescovo di Limerick perché accusato di aver coperto decine di sacerdoti che, negli anni passati, avevano violentato centinaia di bambini. Crimini consumati nella diocesi di Dublino, dove Murray (69 anni compiuti il 29 maggio scorso) era vescovo ausiliare, secondo quanto riportato dal rapporto della commissione governativa irlandese Murphy, un drammatico dossier di 720 pagine con la descrizione dettagliata delle violenze sessuali perpetrate in quasi 30 anni - dal 1975 al 2004 - da 46 sacerdoti ai danni di 320 piccole vittime. Una indagine pubblicata nei giorni scorsi in Irlanda, dopo un´altra inchiesta svolta dalla Commissione Ryan resa nota 6 mesi fa su analoghi casi avvenuti nelle scuole irlandesi delle congregazioni dei Fratelli Cristiani e delle Suore della Misericordia, nelle quali a partire dagli anni ‘40 sarebbero stati compiute 11.337 violenze sessuali costate circa 34 milioni di euro di risarcimenti.
Ieri la Sala stampa vaticana ha reso noto che il Papa ha accettato le dimissioni, «con effetto immediato», di monsignor Murray, a poco meno di una settimana dall´udienza concessa dallo stesso Ratzinger ai vertici della Conferenza episcopale irlandese per decidere il da farsi alla luce dei due scottanti rapporti. «Chi ha sbagliato dovrà pagare», annunciò papa Ratzinger venerdì scorso, alla fine dell´udienza, dopo aver ascoltato - «con stupore, dispiacere, vergogna» - le rivelazioni dei vescovi islandesi. In particolare, Murray nel Rapporto Murphy è accusato di aver coperto gli abusi sessuali, essendosi limitato solo a spostare in altre parrocchie i preti pedofili. Un modo di agire - si legge nella relazione - «discutibile ed imperdonabile». Per questo motivo, la scorsa settimana il vescovo era stato convocato in Vaticano dal cardinale prefetto della congregazione dei vescovi Giovanni Battista Re, al quale aveva offerto le dimissioni, accolte in seguito dal Papa e rese pubbliche ieri.
È stato lo stesso Murray ad annunciarlo ieri ai dipendenti della diocesi di Limerick, subito dopo la diffusione della nota ufficiale vaticana. «So bene - ha ammesso il vescovo - che le mie dimissioni non possono annullare il dolore che le vittime di quegli abusi hanno sofferto in passato e continuano a soffrire ogni giorno. Chiedo umilmente scusa ancora una volta a tutti coloro che sono stati abusati quando erano bambini. A tutti i sopravvissuti ripeto che la mia principale preoccupazione è quella di aiutare in ogni modo possibile, il loro cammino verso la sperata serenità». Murray è solo il primo vescovo irlandese a farsi da parte per lo scandalo della pedofilia. Ma la lista dei responsabili è molto più lunga. Non è escluso quindi che altri alti prelati saranno puniti in applicazione di quella «tolleranza zero» promessa da Benedetto XVI sulla scia di quanto aveva già assicurato il predecessore Giovanni Paolo II nell´ultima fase del suo pontificato.

Fotografava le bambine nude in ospedale. Ma il vescovo decise di non avvertire Roma

La Repubblica 18.12.09
Il rapporto Murphy, commissionato dal governo irlandese, rivela decenni di violenze
"Così adescavano i bambini e la polizia guardava altrove"
Fotografava le bambine nude in ospedale. Ma il vescovo decise di non avvertire Roma

Quelli che seguono sono stralci del Rapporto Murphy sugli abusi sessuali compiuti da membri del clero in Irlanda
Marie Collins, come tanti altri bambini oggetto di abusi da parte di padre Edmondo (pseudonimo adottato dalla commissione Murphy, ndr), dichiara nella documentazione presentata alla Commissione quanto segue:
«Il Padre (Edmondo) ha tradito la fiducia riposta in lui dai suoi superiori religiosi. Ha tradito la fiducia delle autorità ospedaliere. Ha tradito la fiducia dei miei genitori.
Ero stata affidata alla sua custodia. Ha tradito la mia fiducia e la mia innocenza. Ha abusato del suo potere e sfruttato il rispetto che avevo della sua carica religiosa per umiliarmi e abusare di me, una bambina. Non solo, una bambina malata.
Come si può cadere più in basso? Un uomo del genere merita le nostre preghiere ma non la nostra protezione».
Il caso di padre Edmondo è all´esame della commissione in quanto coinvolge un sacerdote autore di molteplici atti di libidine ai danni di giovani pazienti di età compresa tra gli otto e gli 11 anni presso l´Ospedale pediatrico Our Lady di Crumlin, alla fine degli anni ‘50 e l´inizio degli anni ‘60. Sedici anni dopo, quando risiedeva a Co Wicklow, abusò sessualmente di una bimba di nove anni.
Padre Edmondo, nato nel 1931 e ordinato sacerdote nel 1957, fu cappellano dell´ospedale psichiatrico Our Lady dal 1958 al 1960. Nell´agosto 1960, l´arcivescovo McQuaid fu informato che l´addetto alla sicurezza di un laboratorio fotografico del Regno Unito aveva sottoposto all´esame di Scotland Yard una pellicola a colori inviata allo sviluppo da Padre Edmondo. Scotland Yard sottopose la questione alla polizia irlandese.
Il commissario Costigan incontrò l´arcivescovo McQuaid e, stando al verbale dell´incontro, gli disse che il laboratorio fotografico aveva «consegnato a Scotland Yard una pellicola a colori con etichetta "Rev. Edmondo, Ospedale pediatrico, Crumlin, Dublino", in cui 26 negativi avevano come oggetto le parti intime di bambine di 10 o 11 anni». Il commissario di polizia chiese all´arcivescovo McQuaid di assumere il caso, in quanto vedeva il coinvolgimento di un sacerdote e la polizia «non era in grado di provare nulla». Il commissario disse all´arcivescovo McQuaid che non avrebbe compiuto ulteriori azioni.
Apparentemente non si cercò di stabilire l´identità delle due bambine fotografate.
Il giorno dopo l´Arcivescovo McQuaid si incontrò con padre Edmondo, che ammise di aver fotografato le bambine in pose sessuali, da sole o in gruppo. Le foto erano state scattate nell´ospedale di Crumlin.
L´Arcivescovo McQuaid e il vescovo Dunne convennero che non si ravvisava un reato oggettivo e soggettivo del tipo previsto dalle istruzioni del 1922, e che di conseguenza non era necessario deferire la questione al Santo Uffizio a Roma.(...)

Padre Patrick Maguire è membro della Società Missionaria di San Colombano. Nato nel 1936 e ordinato sacerdote nel 1960, fu missionario in Giappone per vari anni tra il 1961 e il 1974. A quell´epoca trascorreva lunghi periodi di ferie in Irlanda. Operò in seguito nel Regno Unito e in Irlanda; per un breve periodo, anche come vicario in una parrocchia dell´Arcidiocesi di Dublino.
Padre Maguire è stato condannato per reiterati abusi sessuali su minori. È stato condannato per atti di libidine nel Regno Unito e in Irlanda e ha scontato pene detentive in entrambi i paesi. Nel 1997 ha ammesso di aver abusato di 70 bambini maschi in vari paesi e di aver violentato almeno una bambina. Quando fu accusato dei reati, dichiarò alla Società missionaria che una volta reso pubblico il suo nome avrebbero potuto emergere circa 100 vittime di abusi in Irlanda.
Il modus operandi di Padre Maguire è stato così descritto da uno dei suoi terapeuti: «Utilizzava abitualmente una elaborata tecnica di pianificazione e adescamento che coinvolgeva i minori e gli adulti attorno a loro, ad esempio: "Escogitavo modi per conoscere i bambini e parlare con loro, modi per vederli assieme ai loro familiari e verificare il tipo di rapporto che avevano con i genitori. Programmavo incontri assieme ad altri bambini e infine modi per trovarmi solo con loro in luoghi in cui si sentivano al sicuro. Programmavo modi per portarli da soli lontano da altri sguardi, dove spogliarli non sarebbe apparso loro fuori luogo, tipo fare il bagno assieme, cambiarsi in piscina, fare la doccia dopo il nuoto, e infine modi per far loro trascorrere la notte, dormire con me nel letto…" Padre Maguire utilizzava una formula ben collaudata per portare la sua vittima ad assecondare le sue intenzioni, oltre al fatto di detenere una posizione di autorità che in tale situazione rendeva la vittima inerme. Ha descritto gli abusi ai danni delle sue vittime come stare nudo assieme a loro a letto e toccarli, accarezzargli il corpo e i genitali».
Nel 1997, ha ammesso i seguenti abusi.
Prima di diventare sacerdote: un bambino; ha anche ammesso di aver avuto rapporti sessuali con un ragazzo della sua età da adolescente e di aver adescato due altri ragazzi.
1963-1966: tre bambini in giappone; e ne adescò anche altri
1967: sei o sette bambini nei suoi soggiorni in irlanda.
1968-1972: due bambini
1973: dieci bambini in Irlanda e dieci in Giappone.
1974-1975: otto bambini in Irlanda.
1976-1979: otto bambini e una bambina; ha anche ammesso di aver organizzato una rete di vittime e di famiglie in cui poteva commettere abusi.
1984: tre bambini
1984-1989: due bmbini; è inoltre rimasto in contatto con altre vittime e le loro famiglie.
1992-1994: un adulto vulnerabile (21 anni).
1996: adescamento
Ha dichiarato alla Commissione che questa lista non è completa
(Traduzione di Emilia Benghi)

giovedì 17 dicembre 2009

Il sudario dell’anno Uno «diverso dalla Sindone»

Il sudario dell’anno Uno «diverso dalla Sindone»
Giovedì 17 Dicembre 2009 L'ARENA

ACHEOLOGIA. Reperti a Gerusalemme e confronti con il telo di Torino

Un sudario dell’epoca di Cristo è stato scoperto nella Città Vecchia di Gerusalemme e le sue caratteristiche risultano essere molto diverse rispetto a quelle della Sindone conservata a Torino. Le tracce genetiche che ancora conserva hanno inoltre permesso di identificare il più antico caso di lebbra finora noto. È quanto emerge dalla ricerca pubblicata sulla rivista scientifica online Plos One. È il risultato di quasi 10 anni di lavoro di un gruppo internazionale composto da biologi, genetisti, antropologi e archeologi dell’Università ebraica di Gerusalemme, dell’University College di Londra, dell’università canadese di Lakehead e quelle americane di New Haven e North Carolina.
Il sudario è stato scoperto ad Akeldamà, l’area che corrisponde al Campo del sangue acquistato da Giuda con i 30 denari e dove Giuda si suicidò. Considerando che la tomba si trova vicino a quella del sacerdote Anna, secondo gli esperti è probabile che appartenesse a un altro sacerdote o a un aristocratico. Secondo la datazione al radiocarbonio la tomba risale al periodo compreso fra l’1 e il 50 dopo Cristo.
Tre frammenti di telo funebre sono stati scoperti nella stessa tomba in cui nel 1998 era stato trovato un altro sudario. Tutti i tessuti trovati della tomba hanno una trama molto più semplice rispetto a quella della Sindone, come ha rilevato lo storico dei tessuti Orit Shamir. Le caratteristiche del sudario, la cui datazione corrisponde perfettamente a quella dell’epoca di Cristo, sono per gli studiosi motivo di dubbio sull’effettiva originalità della Sindone.

mercoledì 16 dicembre 2009

Il Vaticano di fronte ai preti pedofili

La Repubblica 15.12.09
Il Vaticano di fronte ai preti pedofili
risponde Corrado Augias

Dott. Corrado Augias, «Rabbia e vergogna», così papa Ratzinger si è espresso sull'insabbiamento degli abusi nei confronti dei minori nell'arcidiocesi di Dublino. La stampa anglosassone ha dato risalto al rapporto della Commissione Murphy, indagine durata anni durante i quali la preoccupazione dei quattro arcivescovi che hanno retto la diocesi è stata di «mantenere il segreto, evitare lo scandalo, proteggere la reputazione della chiesa e salvare le sue proprietà. Tutte le altre considerazioni, compreso benessere dei bambini e giustizia per le vittime, erano subordinate a queste priorità». Che questa fosse la vera preoccupazione è provato dal fatto che fin dal 1987 venne stipulata una polizza assicurativa relativa a future spese legali e a risarcimenti. E' il secondo rapporto su questo problema, dopo quello della Commissione Ryan, pubblicato a maggio scorso, che riguardava gli abusi sessuali commessi su 2.500 bambini delle scuole cattoliche tra il 1940 e il 1980. Quasi nulla è trapelato in Italia. Stampa e Tv hanno oscurato o relegato in posizione poco visibile la notizia, salvo rare eccezioni. Ora c'è stata la reazione ufficiale del Vaticano al rapporto Murphy e finalmente se ne parla. Che tempestività e che coraggio!
Massimo Rubboli rubboli@unige.it

Nel maggio scorso Enrico Franceschini scrisse una corrispondenza da Londra per questo giornale che apriva così: « È una delle pagine più nere della storia d'Irlanda, e della storia della Chiesa cattolica: l'abuso sessuale sistematico e ampiamente diffuso ai danni di bambini e adolescenti di entrambi i sessi, in scuole, orfanotrofi, riformatori e altri istituti gestiti da ordini religiosi cattolici irlandesi». Racconti atroci «di uomini e donne oggi adulti che ricordano di essere stati picchiati in ogni parte del corpo, seviziati, stuprati, talvolta da più persone. Una discesa agli inferi nascosta per decenni, solo ora svelata in tutta la sua mostruosa realtà». Il problema è delicatissimo e come tale lo avvertono gli ambienti più avanzati della stessa Chiesa. Nel giugno scorso il cardinale di Vienna Schönborn, ha consegnato a Benedetto XVI un appello dei fedeli austriaci che chiedevano di abolire l'obbligo del celibato. Gianni Gennari, teologo e firma di 'Avvenire', fa notare che « il celibato dei preti non è verità di fede, è una legge della Chiesa latina del 1139 poi fissata dal Concilio di Trento tra l'altro convocato da Paolo III, Farnese, padre di quattro figli, due dei quali legittimati». Il prof Bubboli aggiunge però che nel 2001 il cardinale Ratzinger aveva inviato a tutti i vescovi una lettera riservata per ribadire l'obbligo di mantenere segrete, pena la scomunica, le notizie relative ad abusi sessuali compiuti da preti mettendone al corrente solo il Vaticano.

venerdì 11 dicembre 2009

8 per mille, a chi vanno i soldi dello Stato

La Repubblica 11.12.09
8 per mille, a chi vanno i soldi dello Stato
risponde Corrado Augias

Caro Augias, sull'8 per mille sono laico convinto e la mia scelta è sempre ricaduta sullo Stato, con una punta di orgoglio, ammetto. Scopro adesso che con decreto del presidente del Consiglio buona parte dei soldi dell'8 per mille quest'anno andranno a finanziare restauri e interventi in favore di immobili ecclesiastici, compresi quelli danneggiati dal terremoto in Abruzzo. Se intendo destinare la mia quota alla Chiesa Cattolica e alle sue meritevoli iniziative lo faccio mettendo una croce sull'apposita casella, è intuitivo. Se non lo faccio è evidente che intendo destinare i miei soldi ad altri progetti, spero altrettanto meritevoli. Mi pare addirittura ovvio nella sua semplicità. Invece no, c'è chi della mia volontà si infischia, devotamente. Da tutto ciò traggo una conclusione: chi rappresenta questo nostro povero Stato non perde occasione di colpire alle spalle. La prossima volta che dovrò tracciare una croce eviterò di piegarmi e mi guarderò bene le spalle. Magari farò felice qualche simpatico Valdese.
Luca Olivieri lu.olivieri@libero.it

A inizio novembre la Repubblica (Carmelo Lopapa) rendeva nota la notizia. «L'atto del governo n. 121» relativo all'8 per mille confermava che i soldi vanno sì allo Stato ma sono nella discrezionalità del capo del Governo, per il loro utilizzo. Il "parere parlamentare" è delle commissioni Bilancio. La novità di quest'anno è che gran parte del ricavato sarà destinato a «interventi per il sisma in Abruzzo» con netta preponderanza di parrocchie e monasteri. Il presidente della commissione parlamentare competente, il leghista Giancarlo Giorgetti, ha obiettato: «Le richieste di finanziamento relative all'Abruzzo risultano presentate in data antecedente al sisma ed appare quindi opportuna una verifica e un coordinamento con gli interventi previsti dopo il sisma». C'è insomma il robusto sospetto di un altro pasticcio riparatorio nei confronti della Chiesa cattolica confermato dal fatto che la quasi totalità del restante denaro è destinata a lavori di restauro per diocesi, chiese, parrocchie, monasteri. Sono previsti anche interventi per la Pontificia Università Gregoriana e la Compagnia di Gesù sui quali lo stesso Giorgetti ha obiettato che la priorità doveva essere data a «progetti presentati da enti territoriali», non ecclesiastici. Più che un Atto di Governo sembra insomma un Atto di Contrizione, costoso per il contribuente tanto più che questi denari vanno ad aggiungersi alle cospicue sovvenzioni di cui la Chiesa già gode. Gli italiani che hanno specificato a chi dare i soldi dell'8 per mille sono circa 17 milioni. Di questi, l'89 per cento indica la Chiesa cattolica un po' per fede molto come frutto di una campagna pubblicitaria assai efficace che i vescovi affidano a una delle migliori (e più care) società di promozione.

venerdì 4 dicembre 2009

a quando il carcere per chi masturbandosi uccide spermatozoi?

da radicali.it
Poretti: a quando il carcere per chi masturbandosi uccide spermatozoi?

3 dicembre 2009
Intervento della senatrice Donatella Poretti, Radicali-Pd:

Nella deriva ideologica dei senatori Maurizio Gasparri, Laura Bianconi, Gaetano Quagliarello, resta aperta solo una domanda: a quando il carcere per chi masturbandosi uccide spermatozoi?
La loro proposta di modificare l'art.1 del Codice Civile "per il riconoscimento della soggettivita' giuridica di ogni essere umano fin dal concepimento" e' l'ultimo -in ordine cronologico- atto dello Stato che si impossessa di corpi e coscienze lasciando all'individuo solo il ruolo di passivo spettatore di una vita, nascita e morte, decisa in Parlamento da novelli interpreti della Verita'.
Fingere che cio' non aprira' contenziosi di tipo giuridico con la legge 194 che disciplina l'aborto, e' far torto a chi per anni si e' battuto contro e quindi all'ispiratore del disegno di legge presentato oggi al Senato, cioe' al Movimento per la Vita.

venerdì 27 novembre 2009

Ru486, i talebani abitano al Senato

Ru486, i talebani abitano al Senato

Gli Altri del 27 novembre 2009

Beatrice Busi

L’ennesima puntata della saga nazionalpopolare sulla Ru486 è andata in onda ieri mattina al Senato. La commissione Igiene e Sanità ha concluso i lavori dell’indagine conoscitiva sulla pillola abortiva approvando il documento presentato dal presidente, il senatore del Pdl Antonio Tomassini, con 14 voti a favore e 8 contrari. Una relazione di ventitrè pagine che sembra redatta dall’azzeccagarbugli, dalla quale si evince chiaramente che le venti sedute della commissione dedicate all’indagine e le relative audizioni anziché occuparsi di due decenni di letteratura scientifica e delle esperienze dei numerosi paesi europei nei quali le donne possono ricorrere all’aborto medico da anni, sono state impiegate nella disperata ricerca di espedienti che potessero giustificare l’accanimento politico di questo governo contro la Ru486. Tre le proposte formulate dal documento: sospendere la procedura di commercializzazione per acquisire il parere del Ministero, «consentendo, ove si ritenga necessario, di riavviare la procedura dall’inizio»; stabilire che l’intera procedura abortiva, nelle sue diverse fasi, sia effettuata in regime di ricovero ordinario; presentare una richiesta di arbitrato affinché l’Emea, l’Agenzia europea per i medicinali, avvii una nuova istruttoria sulla Ru486. Peccato che questo documento tecnicamente non sia vincolante per nessuno e che il Ministero competente avrebbe potuto esprimere prima il suo parere sulla compatibilità tra aborto medico e 194 sull’interruzione di gravidanza, evitando la farsa dell’indagine conoscitiva e altri due mesi di ritardo. Peccato che non ci siano dati scientifici in grado di suffragare l’ipotesi di arbitrato - sulla quale ieri il quotidiano dei vescovi Avvenire concentrava le proprie speranze -, nonostante gli sforzi interpretativi esibiti nel corso della sua audizione in commissione dalla professoressa Assuntina Morresi, da sempre sodale della sottosegretaria Roccella nella crociata contro la Ru486. Peccato che le dichiarazioni della stessa Roccella e di Sacconi lascino intendere che l’opzione di riavviare la procedura di autorizzazione alla commercializzazione della Ru486 non esiste e che l’unico obiettivo realistico ancora in piedi è quello di rendere obbligatorio il ricovero ospedaliero, escludendo la possibilità di ricorrere all’aborto medico in regime di day hospital. Su questo, nonostante le dichiarazioni indignate di ieri dell’opposizione, il "compromesso" bipartisan in Commissione è già stato raggiunto: anche il documento presentato dal Pd alla commissione come "alternativa" al documento di Tomassini chiedeva al Governo di emanare delle linee guida che prevedessero il ricovero ordinario per l’intera durata dell’intervento abortivo. Ma come ha ricordato la senatrice radicale del Pd, Donatella Poretti - che proprio per questo motivo non ha sottoscritto il documento del suo gruppo -, «un atto medico sanitario non può che essere organizzato e gestito dai medici a seconda delle condizioni cliniche e sanitarie della donna » e la parola finale sul regolamento spetterà comunque alla Conferenza Stato Regioni. Del resto, che l’unico intento dell’indagine fosse principalmente quello di prendere tempo per fare un altro bel po’ di vuota propaganda ideologica antiabortista, era apparso subito evidente. Lo stesso Tommassini, alla fine di settembre, prima ancora che arrivasse l’autorizzazione del Senato all’indagine, aveva inviato una lettera al presidente dell’Agenzia italiana del farmaco - unico organismo tecnico preposto ad autorizzare o meno la commercializzazione dei farmaci nel nostro paese -, chiedendo la sospensione della procedura fino alla conclusione dei lavori della Commissione. A metà ottobre, il cda dell’Agenzia aveva comunque deliberato la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’autorizzazione all’immissione in commercio della Ru486. Un atto formale dovuto che l’indagine è servita solo a rallentare e che la nuova riunione del Cda dell’Alfa richiesta da Sacconi e Roccella non potrà far altro che confermare. Intanto, la saga della Ru486 continua ad ulteriore riprova - se ce ne ancora fosse bisogno -, dell"‘uso improprio delle istituzioni" che caratterizza questo governo, come ha sintetizzato efficacemente la Poretti.

Viale: "E' un bluff antiabortista pronto a ripartire anche senza registrazione"

Viale: "E' un bluff antiabortista pronto a ripartire anche senza registrazione"

Liberazione del 27 novembre 2009

Castalda Musacchio

«E solo dell’ennesimo spot antiaborto. Se avesse voluto il Governo avrebbe potuto opporsi alla Ru486 in sede europea e non l’ha fatto. Del resto, se l’avesse fatto si sarebbe esposto al ridicolo. In Europa è da venti anni che si usa». Silvio Viale, ginecologo che ha condotto la sperimentazione sulla Ru486 all’ospedale S.Anna di Torino, si dichiara «pronto a ripartire» con l’uso del farmaco «anche senza la registrazione», assicura. «Quello del Senato non è uno stop perché per negare l’uso della pillola ci vogliono delle leggi. Non basta il parere di una Commissione».

La commissione Sanità di Palazzo Madama ha bloccato la vendita della Ru486. Cosa succederà?

Innanzitutto bisogna discernere. Non si tratta certo di uno stop perché non lo è tecnicamente. Per bloccare la vendita della Ru486 ci vuole una legge. Non basta il parere di una commissione, parere tra l’altro espresso da una maggioranza dichiaratamente antiabortista su un documento che tutto è tranne che scientifico. Inoltre vorrei precisare alcune cose...

Prego...

L’unica questione davvero tecnica che si potrebbe obiettare è solo basata sulla possibilità che l’Italia sollevi un arbitrato a livello europeo. Cosa che il Governo avrebbe potuto sicuramente fare negli ultimi anni e che non ha fatto perché si sarebbe esposto sicuramente al ridicolo.

Quindi, da un punto di vista “tecnico”; questa decisione non pesa?

Non dico questo. Dico che possono accadere due cose. O il Governo solleva un arbitraggio sulla scorta delle valutazioni dell’Agenzia europea del farmaco (Emea, ndr) o modifica le leggi. Vi sarebbe anche una terza possibilità in effetti...

Quale?

Che l’Aifa si fermi di sua iniziativa. Il che comporterebbe che tutto si congeli. In Italia si continuerebbe comunque ad utilizzare la pillola come si è fatto fino ad ora importando la singola pastiglia per ogni caso trattato.

E... perle donne?

Ecco questo comporterebbe il fatto che le donne continueranno sempre di più a recarsi all’estero. Chi mi sorprende di più è Gasparri.

Perché?

E’ stato il primo ad applaudire all’ok del Senato senza evidentemente sapere neppure di cosa si sta parlando. Dal punto di vista scientifico il problema è già stato da anni ampiamente risolto. Insomma è solo un bluff, un polverone sollevato dagli antiabortisti... per dire: "Ci abbiamo provato fino alla fine".

IRLANDA: ABUSI PRETI CATTOLICI, PROBABILI NUOVE INCHIESTE

IRLANDA: ABUSI PRETI CATTOLICI, PROBABILI NUOVE INCHIESTE

(ASCA-AFP) - Dublino, 27 nov - L'inchiesta sugli abusi sessuali compiuti da preti e coperti dall'Arcidiocesi di Dublino andrebbe estesa a tutta l'Irlanda. Lo chiedono stampa e vittime degli stupri, insieme alle associazioni delle loro famiglie, che hanno accolto con sdegno la pubblicazione del rapporto voluto dal governo e frutto di tre anni di indagini.

''Si parla del rapporto come se il lavoro fosse finito. Io chiedo, immediatamente, che l'inchiesta sia allargata a tutte le diocesi del paese'', ha detto Marie Collins, che da ragazza ha subito violenze da parte di un sacerdote che il rapporto indica come Padre Edmondo.

Il ministro per l'Infanzia, Barry Andrews, ha detto che il governo potrebbe patrocinare altri indagini in futuro, ma ha invitato a ricordare che in Irlanda ci sono almeno altre 25 diocesi e che indagare su tutte sarebbe un lavoro senza fine.

La massima autorita' cattolica in Irlanda, il cardinale Sean Brady, e l'attuale arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, hanno presentato ieri le loro scuse alle vittime. Ma i giornali di oggi danno voce all'oltraggio. ''Qualche anno fa'', ha scritto l'Examiner, ''le storie degli abusi sessuali e fisici nei confronti dei bambini erano state descritte come l'Olocausto irlandese. All'epoca, il paragone sembrava estremo. Purtroppo il tempo lo ha giustificato''. Per l'Irish Times, ''la corruzione del potere e la natura fondamentalmente marcia delle relazioni fra la Chiesa Cattolica e lo Stato e' stata messa a nudo''.

red-uda/mcc/rob

Gli orrori dell´arcidiocesi raccontati in un documento di 700 pagine Irlanda, rapporto sui preti pedofili "Omertà su decenni di abusi e stupri"

La Repubblica 27.11.09

Gli orrori dell´arcidiocesi raccontati in un documento di 700 pagine Irlanda, rapporto sui preti pedofili "Omertà su decenni di abusi e stupri"

DUBLINO - La Chiesa cattolica irlandese ha coperto per decenni abusi pedofili e crudeltà compiuti da sacerdoti. È il contenuto di un rapporto di 700 pagine sull´arcidiocesi di Dublino, presentato dal ministro della Giustizia irlandese, Dermot Ahern. Secondo il documento, quattro arcivescovi «ossessionati» dalla segretezza hanno protetto i colpevoli e la loro reputazione ad ogni costo. Il ministro ha garantito che «i colpevoli verranno perseguiti». È la terza inchiesta del genere: nello scorso maggio un altro rapporto shock aveva rivelato abusi, violenze e stupri per decenni nelle scuole e nelle istituzioni per ragazzi "difficili" gestiti da ordini religiosi.

giovedì 26 novembre 2009

Tempi bui per le donne se il politico fa il dottore. Stop solo se l'AIFA non tiene la schiena dritta

Radicali Italiani 26.11.09
RU486, Silvio Viale: svolta antiabortista al Senato.
Tempi bui per le donne se il politico fa il dottore. Stop solo se l'AIFA non tiene la schiena dritta

Silvio Viale, membro della Direzione di radicali Italiani, dopo l’approvazione notturna della relazione del Presidente Tomassini da parte della Commissione Igiene e sanità del Senato, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

“Quella del senato è una svolta antiabortista che allinea l’Italia alle posizioni di Polonia, Malta e Irlanda, dove l’aborto è vietato. Sul piano scientifico si tratta di un documento di mero oscurantismo politico che prefigura tempi bui per le donne italiane con il politico che si sostituisce al medico. E’ il sintomo di come la donna sia sempre più lasciata sola in balia di posizioni antiabortiste che manipolano la scienza per i propri scopi politici. E’ una vergogna per il Senato, ma lo è sopratutto per il collega Tomassini che ha sacrificato all’interesse politico la propria figura professionale prendendo per incontestabili le dichiarazioni di esperti che non fanno aborti e sono contro l’aborto. Sulla RU486 vi è stata una disinformazione sistematica da parte di molti giornali ed una pigrizia di quasi tutti gli altri, con il timore di occuparsene per non alterare equilibri politici a destra come a sinistra. Ancora questa mattina l’Avvenire invocava l’arbitrato, confondendo una legislazione contro l’aborto come quella di Malta e quella italiana in cui la RU486 è stata legalmente usata e continuerà, comunque, ad essere usata. Ancora questa mattina Libero ripeteva che non sarà venduta in Farmacia, quando l a questione non è mai esistita trattandosi di un farmaco ospedaliero. Sono indignato, ma come medico non mi arrendo. Sono indignato anche per il documento del PD laddove cede alla tesi del ricovero come ad una possibile mediazione interna ed esterna non curante delle donne, come pazienti e come donne.
Comunque il pronunciamento politico della Commissione Igiene e Sanità del Senato non ha il potere di modificare le evidenze scientifiche – solo i regimi totalitari ce l’hanno – e non cambia l’impianto legislativo. Solo l’avvio formale di una procedura di arbitrato europeo, che il ministero poteva già fare, può interrompere la procedura dell’AIFA, ma il governo sa che tale procedura, che in Europa ha tempi più brevi e certi di quelli italiani, finirà per esporre al ridicolo chi l’ha promossa. In sostanza la decisione del Senato è solo un ricatto politico all’AIFA e vedremo se l’AIFA saprà davvero mantenere la schiena dritta dopo le tante reazioni offese a chi osava mettere un punto interrogativo. E’ probabile che ora il governo avvii davvero quella pratica di arbitrato suicida a perdere in Europa per mere questioni politiche, poiché il loro vero interesse non è la scienza, non è la giustizia, non è la sanità, non sono le donne e i loro problemi, non sono gli operatori della 194, ma solo gli equilibri politici con la minoranza antiabortista. Preoccupazione che, purtroppo per le donne italiane, accomuna entrambi gli schieramenti, per cui tutti urleranno allo STOP, anche se tecnicamente quello del Senato non è affatto uno STOP.

mercoledì 25 novembre 2009

Sull´urbanistica vecchie idee risciacquate nell´acqua santa

Sull´urbanistica vecchie idee risciacquate nell´acqua santa
LUCA BELTRAMI GADOLA
MARTEDÌ, 24 NOVEMBRE 2009 LA REPUBBLICA - Milano

Pgt, il gran ritorno ai "cattivi maestri"

Giusto una settimana fa il sindaco Letizia Moratti, introducendo i lavori per la presentazione finale del Piano di governo del territorio, ne ha sintetizzato gli obiettivi in tre punti: città più vivibile, città più verde, città più densa: ossia un´ovvietà, uno slogan e un´affermazione in parte contraddittoria con la prima. Dopo aver parlato se n´è andata: l´ascolto delle parti sociali – da cui la manifestazione – la interessa poco o nulla. Eppure questo ascolto, come ha sottolineato l´assessore Carlo Masseroli, è un adempimento previsto dalla legge regionale 12/2005, quella che ha istituito i Piani di governo del territorio cancellando i vecchi piani regolatori.
Quali erano, però, le "parti sociali" presenti all´incontro? Sostanzialmente una: gli operatori immobiliari. Il resto della platea era costituito da professionisti, architetti e avvocati amministrativisti, ossia i professionisti degli operatori immobiliari: una rappresentanza molto parziale delle parti sociali. Peraltro anche nelle fasi precedenti va notato che il termine per la presentazione delle osservazioni preliminari scadeva tre settimane prima del passaggio in giunta del Pgt ed è legittimo domandarsi se in tre settimane fosse possibile rimettere mano a un documento di più di mille pagine e ricchissimo di tavole e grafici.
L´eterna finzione della partecipazione pubblica. Non è questo lo spazio per addentrarci nei dettagli tecnici ma solo per considerazioni di tipo politico. L´operazione Piano di governo del territorio è partita al grido: il vecchio piano regolatore frena lo sviluppo della città. Però Santa Giulia, Citylife, Garibaldi Repubblica (oggi Milano Porta Nuova) e, per finire il grattacielo della Regione, più altre cosette, sono nati col vecchio piano regolatore e se non si è fatto di più lo si deve al "mercato" che non tira, quello stesso mercato che ha lasciato tanti vuoti cadaveri sul territorio milanese a cominciare dagli edifici di via Stephenson della galassia Ligresti.
Dunque la ragione è un´altra: il tentativo di questa destra di accreditarsi come innovatrice, ideologicamente più vicina al Paese e alle sue necessità. Allora se la questione è di tipo ideologico vediamola sotto quest´ottica. In questo migliaio di pagine, comunque troppe rispetto agli obiettivi e alla praticabilità di uno strumento urbanistico, si ritrovano tutti gli slogan di un certo tipo di urbanistica della passata sinistra i cui mentori furono allora indicati come "cattivi maestri" da quella stessa destra che, insieme alla progenie mutante di quelli, oggi risciacqua gli stessi panni nell´acqua di Comunione e Liberazione con un occhio alla Compagnia delle Opere. Niente di grave nell´aver ripescato vecchie cose ma non bisogna gridare alla novità, almeno non gridarlo pensando di farla franca quando c´è chi può divertirsi con operazioni di esegesi delle fonti.
Ancora un´osservazione. Il nuovo Pgt dispiegherà i suoi effetti, buoni o cattivi, a condizione che il mercato riprenda vigorosamente: senza mercato niente nuovo verde, niente generale riassetto della città, niente densificazione ma solo parole. Ma quando riprenderà il mercato, con il nuovo scenario fatto di meno regole, gli esiti saranno assai poco diversi da quelli del passato: gli interessi di pochi, gli uomini del mordi e fuggi immobiliare, determineranno il futuro di Milano.

domenica 15 novembre 2009

Croci nere dipinte su casa Albertin

Croci nere dipinte su casa Albertin

Il Mattino di Padova del 13 novembre 2009

Quattro croci disegnate con la vernice spray nera e la scritta «Cristo» sotto una di esse. E’ l’inquietante messaggio ricevuto dalla famiglia Albertin, che ha avviato la causa approdata alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo da cui è scaturito l’o bbligo di togliere il crocifisso dalle aule delle scuole pubbliche italiane. La sgradevole scoperta è stata fatta, nella prima mattinata di ieri, dal dottor Massimo Albertin, ematologo della Casa di cura, che si stava recando al lavoro.
Ignoti, nel corso della notte, avevano imbrattato la recinzione della casa di via Primo Maggio. Quando Albertin - che assieme alla moglie Soile Lautsi ha intrapreso il percorso giudiziario contro la presenza del massimo simbolo della cristianità nelle aule pubbliche - ha visto le scritte tracciate sui muri esterni dell’abitazione, ha avvisato i carabinieri della stazione di Abano Terme, che sono intervenuti sul posto per raccogliere la segnalazione e avviare le indagini. Un fatto grave, che suona come un vero e proprio «avvertimento» agli Albertin.
«Dopo quello che è accaduto - esordisce l’uomo - mi auguro che le forze dell’ordine prendano seriamente in considerazione misure che proteggano me e i miei cari». Di più, al momento, non vuole aggiungere, palesemente turbato dalle ricadute di una vicenda che mette da giorni a serio rischio la tranquillità della sua famiglia. Telefonate anonime a ogni ora del giorno e della notte, minacce pesanti a lui e alla moglie. Nemmeno ai due figli sono state risparmiate le offese. Un clima pesantissimo che ha avuto conseguenze anche a livello nazionale. I Radicali, riuniti a Chianciano, hanno chiesto al ministero dell’Interno un’adeguata protezione per Massimo Albertin e i suoi familiari.
Il senatore Marco Perduca ha presentato anche un’interrogazione parlamentare. «Avevamo visto giusto - ha affermato Michele Bortoluzzi, veneto nella direzione nazionale del partito - i Torquemada sono entrati in azione, magari istigati dalle azioni propagandistiche di persone come il sindaco leghista di Cittadella Massimo Bitonci (che domenica ha organizzato ad Abano una distribuzione di crocifissi)». Nella sua interrogazione, il senatore Perduca chiede di sapere quali misure intenda adottare il Viminale per «garantire la sicurezza personale dei cittadini italiani che hanno presentato ricorsi contro la supposta violazione di norme a garanzia della non discriminazione per motivi religiosi». Fra polemiche politiche, liti televisive (fra cui quella su Canale 5 di domenica scorsa) e scontri ideologici, le scritte scoperte ieri difronte alla casa degli Albertin rappresentano un segnale inquietante.

Croci sulla casa di Albertin, minacce agli autori del ricorso sul crocifisso Tracciati tre simboli con la vernice nera sulla recinzione della famiglia

Croci sulla casa di Albertin, minacce agli autori del ricorso sul crocifisso
Tracciati tre simboli con la vernice nera sulla recinzione della famiglia padovana. Interrogazione del Pd Perduca.

Corriere del Veneto del 13 novembre 2009

PADOVA - Tre croci e, vicino, la scritta «Cristo» sono state tracciate con la vernice nera sulla recinzione della casa della famiglia Albertin ad Abano Terme (Padova) dopo la sentenza della Corte europea favorevole al ricorso contro l’esposizione del simbolo cristiano nelle classi. Insieme alle scritte ed alle croci inchiodate o disegnate sugli edifici, sarebbero arrivate le lettere anonime, dai contenuti minacciosi, in particolare rivolte agli Albertin per aver dato avvio al ricorso. Sul caso investigano i carabinieri. «Avevamo visto giusto, i Torquemada sono entrati in azione», afferma Michele Bortoluzzi (Radicali Italiani) che qualche giorno fa aveva chiesto protezione per i ricorrenti. Bortoluzzi ha fatto approvare al Congresso nazionale di Chianciano una mozione di solidarietà alla famiglia di Abano e di condanna di tutte le manifestazioni di intolleranza. Un’interrogazione parlamentare urgente è stata invece avviata dal senatore Marco Perduca (Pd): «Urgente come urgente è una risposta ai fatti che stanno accandendo in queste ore - ha detto - è infatti stata violata la sede di Radicali Italiani a Roma, oltre alla casa della famiglia Albertin». Nell’interrogazione, presentata insieme alla senatrice Poretti, si chiede al ministro dell’Interno quali misure intenda adottare per garantire la sicurezza personale nei confronti dei cittadini italiani che hanno presentato ricorsi ad organi internazionali contro la supposta violazione di norme a garanzia della non discriminazione per motivi religiosi e che sono stati al centro di campagne di intimidazione.

mercoledì 4 novembre 2009

Nessuna legge lo prevede

Nessuna legge lo prevede

La stampa del 4 novembre 2009

Michele Ainis

Doveva arrivare un giudice d’Oltralpe per liberarci da un equivoco che ci portiamo addosso da settant’anni e passa. In una decisione che s’articola lungo 70 punti (non proprio uno scarabocchio scritto in fretta e furia) ieri la Corte di Strasburgo ha messo nero su bianco un elenco di ovvietà.
Primo: il crocifisso è un simbolo religioso, non politico o sportivo. Secondo: questo simbolo identifica una precisa religione, una soltanto. Terzo: dunque la sua esposizione obbligatoria nelle scuole fa violenza a chi coltiva una diversa fede, o altrimenti a chi non ne ha nessuna. Quarto: la supremazia di una confessione religiosa sulle altre offende a propria volta la libertà di religione, nonché il principio di laicità delle istituzioni pubbliche che ne rappresenta il più immediato corollario.
Significa che fin qui ci siamo messi sotto i tacchi una libertà fondamentale, quella conservata per l’appunto nell’art. 9 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo? Non sarebbe, purtroppo, il primo caso. Ma si può subito osservare che nessuna legge della Repubblica italiana impone il crocifisso nelle scuole.

Né, d’altronde, nei tribunali, negli ospedali, nei seggi elettorali, nei vari uffici pubblici. Quest’obbligo si conserva viceversa in regolamenti e circolari risalenti agli Anni Venti, quando l’Italia vestiva la camicia nera. Fu introdotto insomma dal Regime, ed è sopravvissuto al crollo del Regime. Non è, neppure questo, un caso solitario: basta pensare ai reati di vilipendio, agli ordini professionali, alle molte scorie normative del fascismo che impreziosiscono tutt’oggi il nostro ordinamento. Ma quantomeno in relazione al crocifisso, la scelta normativa del Regime deve considerarsi in sintonia con la Costituzione all’epoca vigente. E infatti lo Statuto albertino, fin dal suo primo articolo, dichiarava che «la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato». Da qui figli e figliastri, come sempre succede quando lo Stato indossa una tonaca in luogo degli abiti civili.
Ma adesso no, non è più questa la nostra divisa collettiva. L’art. 8 della Carta stabilisce l’eguale libertà delle confessioni religiose, e stabilisce dunque la laicità del nostro Stato. Curioso che debba ricordarcelo un giudice straniero. Domanda: ma l’art. 7 non cita a sua volta il Concordato? Certo, e infatti la Chiesa ha diritto a un’intesa normativa con lo Stato italiano, a differenza di altre religioni (come quella musulmana) che ancora ne risultano sprovviste. Però senza privilegi, neanche in nome del seguito maggioritario del cattolicesimo. D’altronde il principio di maggioranza vale in politica, non negli affari religiosi. E d’altronde la stessa Chiesa venne fondata da Cristo alla presenza di non più di 12 discepoli. Se una religione è forte, se ha fede nella sua capacità di suscitare fede, non ha bisogno di speciali protezioni.

giovedì 29 ottobre 2009

Lo Stato laico e l’ora di religione

La Repubblica 29.10.09
Lo Stato laico e l’ora di religione
risponde Corrado Augias

Egregio Augias, vedo nella sua rubrica lettere contrarie all'ora di religione cattolica, si propone lo studio di tutte le religioni. Mi domando se la proposta non nasconda il proposito di emarginare l'ora di religione cattolica. A suo tempo si propose, in alternativa all'ora di religione cattolica, la storia delle religioni, ma dopo attenta valutazione l'ipotesi fu scartata proprio da alcuni laici i quali temevano che una esposizione approfondita degli aspetti più controversi del Corano per esempio, potesse causare ostilità nei confronti dei musulmani. D'altra parte l'eventuale abolizione dell'ora di religione cattolica, scelta volontariamente dal 91% degli studenti, renderebbe più difficile comprendere la letteratura, l'arte e la storia del nostro paese. Attualmente questo insegnamento non è confessionale, ma solo una spiegazione di questa religione nella sua realtà. Certamente lei non spiegherebbe la religione cattolica ufficiale ma una sua interpretazione che non sarebbe più quella cattolica. Per questo gli insegnanti di questa religione sono scelti dai Vescovi. Per me padre di due figli questa è una garanzia perché desidero che conoscano la vera religione cattolica. Sappia che non sono il solo a pensarla così.
Carlo A. Innocenti ecofar2000@yahoo.it

Pubblico volentieri la lettera del signor Innocenti che racchiude buona parte dei pregiudizi sull'insegnamento confessionale della religione. Non mi risulta che siano stati "proprio alcuni laici" a dichiararsi contrari alla storia delle religioni. Ammesso che sia vero, la motivazione addotta mi pare debolissima. Nel Corano, come nella Bibbia e altrove, si trova tutto ciò che si vuole. Basta scegliere la citazione giusta e ogni fatto e misfatto può trovare un riferimento, se non una giustificazione, in un qualche testo sacro. La percentuale del 91 per cento di "scelta volontaria" scenderebbe notevolmente se la religione fosse collocata alla prima o all'ultima ora della giornata. A non farla scendere contribuirà anche l'eventuale inserimento della "religione" nella valutazione complessiva del profitto. Con quale rispetto della laicità non c'è bisogno di dire. Il signor Innocenti dice di desiderare che i suoi figli "conoscano la vera religione cattolica". È un suo diritto e va difeso non solo da lui ma da tutti. La vera questione però è se sia la scuola pubblica di uno Stato laico il posto più indicato dove essere istruiti non su una disciplina ma su una fede. L'entrata della religione nello spazio pubblico non significa che una particolare confessione debba assumere una posizione "dominante" e accaparrare per sé l'intero tempo disponibile. Mi dispiace constatare come questi elementari principi di un liberalismo affermatosi altrove fin dal XVIII secolo stentino in tal modo da noi.

sabato 24 ottobre 2009

In Toscana i preti del genocidio

La Repubblica 22.10.09
In Toscana i preti del genocidio
Arrestati due sacerdoti ruandesi: "Hanno massacrato i tutsi"
Dopo Seromba, finisce in carcere anche Uwayezu, vice parroco vicino ad Empoli: "Sono innocente"
di Laura Montanari

FIRENZE - Stessa accusa, genocidio. E stesso rifugio, le chiese della diocesi fiorentina. Dopo padre Athanase Seromba, condannato all´ergastolo per i massacri della guerra civile in Ruanda, l´ultimo caso è quello che ha portato nel carcere di Sollicciano padre Emanuel Uwayezu, 47 anni, il sacerdote ruandese di etnia hutu, vice parroco in una chiesa di Ponzano (Empoli). Uwayezu è stato arrestato dai militari in esecuzione di un mandato di cattura internazionale: la procura generale in Ruanda lo accusa di essere coinvolto nel massacro dei tutsi nel maggio 1994, una primavera di sangue con centinaia di migliaia di vittime.
Padre Emanuel era direttore della scuola di Misericordia di Maria di Kibeho: ottanta studenti fra i 12 e i 20 anni tutsi vennero uccisi. Secondo la denuncia dell´Africa Rights, ong con sede a Londra, il sacerdote non avrebbe fatto nulla per difendere quei giovani circondati dai miliziani hutu e finiti a colpi di machete senza che i gendarmi schierati in loro difesa intervenissero. In pochissimi si salvarono. Uwayezu si è sempre proclamato innocente e l´ha ribadito anche ieri: «Non ero al collegio, ma a colloquio con il vescovo proprio per cercare un modo per mettere in salvo i ragazzi». Il sacerdote ruandese dopo il massacro si è rifugiato prima in Congo e poi è arrivato in Toscana grazie a una convenzione fra le diocesi, Fidei donum. La stessa che soltanto pochi anni prima aveva probabilmente portato a Firenze un altro sacerdote ruandese accusato e poi condannato nel 2008 per genocidio, padre Athanase Seromba. Anche Seromba si era sempre dichiarato innocente ed era scappato dal Paese trovando rifugio prima a Prato e poi a Firenze. Aveva cambiato nome, ma era stato individuato e denunciato dal procuratore del tribunale dell´Onu e alla fine si era costituito. Condannato in primo grado a 15 anni di carcere nella sentenza d´appello la corte del tribunale internazionale per il Ruanda (con sede in Tanzania) aveva trasformato la pena in ergastolo. La presenza di sacerdoti stranieri in Italia, di solito legata alla mancanza del clero necessario a coprire tutte le esigenze pastorali, è regolata da accordi fra vescovi. I legali di don Uwayezu, presenteranno oggi alla corte d´appello di Firenze l´istanza per ottenere gli arresti domiciliari.

Pillola abortiva, i vescovi chiedono obiezione di coscienza per i farmacisti

l’Unità 24.10.09
Il congresso nazionale l’intervento di monsignor Crociata sottolinea il «diritto-dovere»
L’invito della Cei per analogia con quanto è già previsto per il servizio di leva e per i medici
Pillola abortiva, i vescovi chiedono obiezione di coscienza per i farmacisti
Obiezione di coscienza per i farmacisti chiamati a vendere la pillola del giorno dopo o la Ru 468. La chiede la Cei con il segretario monsignor Crociata. Secca reazione degli organismi di categoria. Critiche dalla sinistra.
di Roberto Monteforte

Diritto alla libertà di obiezione di coscienza anche per i farmacisti chiamati a vendere prodotti che possono interrompere la vita, causare aborti come le pillola del giornodopoolaRu486.Anomedei vescovi italiani lo chiede il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata che ieri, intervenendo al congresso nazionale dei farmacisti cattolici dedicato proprio al riconoscimento per questa categoria del «diritto-dovere» all’obiezione di coscienza. Dalla Conferenza episcopale è giunto qualcosa di più di un semplice incoraggiamento a questa battaglia. Un convinto invito ad andare sino in fondo nella loro richiesta di avere una legge che lo consenta e un messaggio chiaro rivolto al mondo politico: consentitelo.
LA CHIESA INVOCA L’«ANALOGIA»
Parte dal fatto che l’aborto è considerato «un delitto» e che l’obiezione di coscienza è consentita in due soli casi, «legati al principio di non uccidere»: per chi è chiamato al servizio di leva obbligatorio e, con la legge 194 che ha introdotto l'interruzione di gravidanza, per il medico e per il personale sanitario coinvolto, ma non per il farmacista. Ora con la «pillola del giorno dopo», accanto all'aborto chirurgico è stato introdotto anche un prodotto farmacologico (nell'eventualità che l'embrione si sia formato, ndr) che lo consente e quindi «per analogia deve spettare anche ai farmacisti lo stesso diritto all'obiezione». «L'obiezione di coscienza è un diritto che deve essere riconosciuto anche ai farmacisti, permettendo loro di non collaborare direttamente o indirettamente alla fornitura di prodotti che hanno per scopo scelte chiaramente immorali come l'aborto e l'eutanasia», ha scandito monsignor Crociata. «In Italia ha spiegato il problema è avvertito soprattutto riguardo alla vendita della cosiddetta pillola del giorno dopo». Ma deve riguardare anche i farmacisti ospedalieri che potrebbero somministrare la Ru 486. Argomenta il segretario della Cei. Cita prese di posizione del Comitato nazionale di bioetica, ma non convince l'Ordine dei Farmacisti e di Federfarma. «Massimo rispetto per le preoccupazioni morali della Cei», gli risponde il presidente dell' Ordine Andrea Mandelli ma «credo che questo sia un tema delicato e che debba essere regolamentato da una legge che chiarisca nei dettagli gli ambiti di applicazione all' interno dei quali deve operare un responsabile donne del partito. Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista-sinistra europea denuncia «l'intollerabile ingerenza della Chiesa». Opposte le reazioni dell’Udc che con il presidente, Rocco Buttiglione ha pienamente accolto la richiesta di un diritto all'obiezione di coscienza dei farmacisti, mentre l'on. Luca Volontè, ha accusato il Pd di «intolleranza verso i diritti più intimi e sacri di libertà».

mercoledì 14 ottobre 2009

Religione: voto e non giudizio

Religione: voto e non giudizio

Il Manifesto del 14 ottobre 2009, pag. 3

Voto invece del giudizio anche per l’insegnamento della religione. E’ questo l’orientamento del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. «Il voto di religione - ha detto il ministro rispondendo ai cronisti a margine di un’iniziativa contro la violenza - oggi non c’è ancora, esiste un giudizio. Il nostro intendimento è quello di chiedere un parere al Consiglio di Stato, onde evitare contenziosi, ma la mia opinione è che essendo passati dai giudizi ai voti in tutte le materie questo debba valere anche per l’insegnamento della religione». Il ministro quindi, ricordando che oggi si celebra l’VIII Giornata europea dei genitori e della scuola, ha sottolineato l’opportunità di ripristinare, «anche su suggerimento della Cei, una alleanza tra il mondo della scuola e i genitori». «Sono molte - ha detto il ministro - le iniziative in cantiere per favorire questa collaborazione: dagli sms per segnalare le assenze a scuola, alle pagelle on-line, alla possibilità di avere più flessibilità negli orari di lavoro per poter accedere ai colloqui con gli insegnanti». Protesta la Rete degli studenti. «Siamo contrari alla parificazione del voto di religione con gli altri voti», hanno affermato. Giudicando l’intervento della Gelmini «vicino al fondamentalismo religioso». Donatella Poretti dei radicali ha invece commentato: «Voto all’ora di religione? Alla Gelmini: 0 in laicità, 10 in clericalismo bigotto e baciapile».

Zero in laicità è il voto che le dà Donatella Poretti. Dieci, invece, in clericalismo bigotto

l’Unità 14.10.09
Zero in laicità è il voto che le dà Donatella Poretti. Dieci, invece, in clericalismo bigotto
Gli studenti «L’ora di religione è un residuo medievale, già oggi chi non la fa è discriminato
Gelmini: mettiamo il voto in religione Pd: è propaganda contro lo stato laico La Consulta ha già stabilito che è un insegnamento facoltativo. E, con il ministro Carfagna vuole vietare il velo, «per identificare le ragazze». Il collega Pdl Consolo: «Si impegnino contro le mutilazioni femminili»
di Jolanda Bufalini

Visto che alla Gelmini piacciono tanto i voti «le diamo zero in laicità e dieci in clericalismo bigotto e baciapile». La battuta è della senatrice radicale-Pd Donatella Poretti. Il ministro infatti se ne è uscita con un’altra spallata all’impianto della scuola pubblica che dovrebbe garantire l’eguaglianza delle diverse religioni o dei non credenti. Ed ha annunciato la reintroduzione del voto in religione: «La mia opinione è che essendo passati dai giudizi ai voti in tutte le materie questo debba valere anche per l'insegnamento della religione», Poi ha messo le mani avanti: «Chiederò un parere al consiglio di Stato».
Ma non si vede perché rendere uniforme in pagella ciò che non è uniforme nel merito, visto che l’ora di religione è facoltativa in forza di quel trattato internazionale che va sotto il nome di Concordato, articolo 9, comma 2: «Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento... senza dar luogo ad alcuna forma di discriminazione». E quindi non può fare media.
Quasi incredule le reazioni. «Cosa fa propaganda?» chiedono dal Pd Manuela Ghizzoni e Maria Coscia, oppure, ipotizzano, «non sa di cosa parla»: c’è una sentenza recente della Corte Costituzionale che «ha già stabilito il principio di facoltatio, nel rispetto della laicità dello Stato e della pari dignità ai ragazzi di ogni culto». «L'ora di religione spiega Mimmo Pantaleo, segretario della Flc Cgil non può determinare vantaggi di alcun genere, a cominciare dai crediti formativi e, quindi, non può essere valutata come una normale materia curriculare». Pantaleo e il collega della Cisl Francesco Scrima ne approfittano per ricordare che i pesanti tagli hanno falcidiato le ore alternative. Per Scrima, però, «tutto ciò che si fa a scuola, opzionale o obbligatorio, deve fare parte del curricolo e «devono essere garantite alternative altrettanto significative e valide».
DISCRIMINAZIONI
A denunciare che già oggi c’è un atteggiamento discriminatorio sono gli studenti della Rete. L’ora di religione dicono «è un residuo medievale che ha corrispettivi solo nei regimi teocratici» e «va risolto il trattamento già oggi discriminatorio riservato a chi non si avvale dell'ora di religione». Altrettanto duro il responsabile Pdci della scuola Piergiorgio Bergonzi: «Si ricordi di essere un ministro della Repubblica e non un portavoce dell Stato Vaticano, l’ora di religione non dovrebbe proprio esistere».
Ma non è finita qui, perché il ministro ha pure espresso la propra contrarietà non solo al burqa ma anche al velo e al chador a scuola. Non in nome della libertà delle ragazze ma perché «devono poter essere identificate». Per la verità solo il burqa impedisce di vedere il volto. Dice Luca De Zolt della Rete degli studenti: «Sono modi xenofobi» mentre a scuola «non si fa nulla per l’integrazione».

martedì 13 ottobre 2009

«Il problema non è la Chiesa ma la politica sottomessa»

Corriere Fiorentino 8.10.09
L’intervista. Il professor Lombardi Vallauri, ordinario di filosofia del diritto
«Il problema non è la Chiesa ma la politica sottomessa»
intervista di David Allegranti

Luigi Lombardi Vallauri, ordina­rio di filosofia del diritto all’Uni­versità di Firenze, è, fra le tante cose di cui si occupa, un attento studioso di bioetica. Da mesi non legge «cose che riguardano l’Italia e la politica italiana, come misura elementare di igiene mentale». Sollecitato, fa un’eccezione con gli articoli sul registro fiorentino del testamento biologico.
Professore, dopo la nota del­l’Arcidiocesi sul voto di lunedì in consiglio comunale, c’è chi ha parlato di nuovo di ingerenza della Chiesa in fatti che non la ri­guardano. Secondo lei sono le­gittimi gli attacchi della Curia?
«Penso che la Chiesa, come tutti, abbia diritto di parlare, e chiunque parla è tutelato dalla libertà di ma­nifestazione del pensiero. Quando io dico quello che penso nessuno lo chiama ingerenza, perché a quel­lo che io dico non c’è acquiescen­za; una manifestazione di pensiero diventa cioè ingerenza non per col­pa di chi parla, ma per colpa di chi segue. Il vero problema non è che la Chiesa manifesti le sue opinioni, ma che ci siano dei politici dipen­denti. Ingerenza è sinonimo di di­pendenza, e non ci sarebbe inge­renza se ci fosse indipendenza. Gandhi aveva una frase molto bel­la: dire un tiranno e dire mille vi­gliacchi è dire esattamente a stessa cosa. In questa fase la Chiesa non potendo più parlare di oggetti dog­matici, trascendenti, si sta riducen­do a una strana politica: erogare sensi di colpa per poter erogare presunte vie di giustificazione, ero­gare perdizione per poter erogare salvezza, erogare peccati per poter vendere assoluzioni. Praticamente la Chiesa è diventata una specie di altoparlante di etica colpevolizzan­te. Questo mostra che è in profon­dissimo imbarazzo».
Al di là delle competenze di Co­mune e Parlamento, di cui pure si è molto discusso, c’è una que­stione di merito sull’istituzione del registro dei biotestamenti. Lei che ne pensa?
«Prima facie , istituire un regi­stro sembra un atto completa­mente innocuo, un semplice stru­mento di pubblicità di atti, la cui validità o non validità giuridica è del tutto indipendente dalla regi­strazione. Nessuno credo preten­de che per il fatto di essere regi­strati, questi testamenti acquisti­no efficacia giuridica maggiore, e quindi bisognerà in ogni caso ri­salire agli atti compiuti presso i notai o altri fiduciari, anche per­ché, se ho ben capito, il registro non ne riprodurrà il contenuto. Dirà solo che il signor X ha fatto testamento biologico e quindi sa­rà impossibile conoscere il conte­nuto di questo testamento, an­dando a vedere nel registro. Dun­que è semplicemente una forma di pubblicità, ripeto, apparente­mente innocua, che facilita l’inda­gine volta al reperimento poi del documento che conta. Ma c’è un livello molto più interessante».
Quale?
«Il problema della legittimità etica e giuridica di questi atti, e cioè del testamento biologico. L’espressione di volontà concer­nente l’ultima fase della vita: il problema è anzitutto etico e poi giuridico. Eticamente devo dire che se l’etica è universalmente condivisibile, come lo sono la ma­tematica e la fisica, allora il prove­nire da un’autorità è senza alcun effetto; Dio non ha compiuto rive­lazioni matematiche e fisiche, e di­rei che se l’etica è universale deve essere anch’essa separata da prin­cipi di autorità. L’etica non conta per chi la emana, fosse anche Dio — e Dio nella storia ne ha dette eticamente di tutti i colori — ma dipende dagli argomenti a favore delle tesi; essa non può essere quindi che laica, come laica è la matematica».
E quindi?
«Se argomentiamo, ho molta difficoltà a pensare che mentre su tutte le fasi della vita la persona ha il diritto-dovere di decidere, questo diritto-dovere cessi di fronte all’ultima fase. Io simpatiz­zo molto con la tesi secondo cui l’ultima fase è come tutte le fasi precedenti e quindi la persona ha il diritto-dovere di organizzarse­la, anche molto prima che si pon­ga il problema eutanasia sì, euta­nasia no. Io vedo la persona, o il suo fiduciario, come un regista dell’ultima fase di cui il medico è semplicemente un attore. E quin­di le dichiarazioni anticipate mi sembrano della stessa natura del testamento normale».
Dunque lei è a favore del testa­mento biologico? Perché?
«Ritengo che gli argomenti a fa­vore del testamento biologico sia­no molto più forti di quelli con­tro, e qui nasce il problema della traduzione dell’etica in termini giuridici; quando si passa al dirit­to, non è affatto detto che si pos­sa trapiantare di sana pianta l’eti­ca in quanto tale. Il diritto si rivol­ge in modo coercitivo a collettivi­tà nelle quali ci possono essere etiche di coscienza diverse e quin­di si pone un problema di consen­so e di tutela delle minoranze. Questo problema non può non es­sere risolto a partire dal principio di libertà. Chiunque limiti la liber­tà di un cittadino ha su di sé l’one­re della prova».
Cioè?
«Deve avere argomenti a favore della limitazione della libertà più forti del valore libertà come tale. Ed è molto difficile trovare argo­menti che non consistano nella di­fesa di altrui libertà minacciate da certi esercizi della mia libertà. Ora in questo caso è ben difficile vede­re quali libertà altrui siano minac­ciate dall’esercizio di questa mia li­bertà sull’ultima fase della mia vi­ta. Quindi ritengo che una tradu­zione giuridica esplicita del princi­pio di libertà e cioè una legittima­zione giuridica del testamento bio­logico sia la soluzione più giusta».

domenica 11 ottobre 2009

Quel film su Ipazia che non si deve vedere

La Repubblica Lettere 11.10.09
Quel film su Ipazia che non si deve vedere
di Paolo Izzo
E così nessun produttore italiano ha il coraggio di comprare i diritti per distribuire nel nostro Paese il film su Ipazia, del regista spagnolo Alejandro Amenenabar. Eppure, la storia di una matematica, scienziata, filosofa che viene uccisa a sassate da un gruppo di monaci per le sue "eresie", in questo tempo solcato da nuovi fondamentalismi sarebbe molto utile da vedere.
E invece no, non lo vedremo. Facciamo una colletta di cittadini laici e importiamo il film. Facciamo un po' di resistenza attiva contro questo fondamentalismo strisciante che ci prenderebbe ancora a sassate pur di salvaguardare la sua stoltezza.

«Ru-486, ogni scusa è buona per mettere in dubbio l’aborto»

l’Unità 11.10.09
Lisa Canitano:
«Ru-486, ogni scusa è buona per mettere in dubbio l’aborto»
di Ma. Ge.

Uno Stato che pensa che più l’aborto è traumatico meno le donne abortiscono mi fa paura da qui a frustrarle in pubblico non ci manca moltissimo», reduce da un raduno di ginecologi pro Ru486.
In Italia siamo davvero all’anno zero?
«La Ru486 è del 1980, in Francia è in uso dal 1988, è stata adottata anche da Cina e Uzbekistan, l’Oms l’ha inserita tra i farmaci essenziali. E sicuri. Anche in Italia, dopo la sperimentazione di Torino, è in uso a Pontedera, a Bologna a Parma. Non si capisce cosa si debba sapere di più».
Perché l’indagine del senato?
«La strumentalità degli ostacoli che vengono frapposti alla Ru486 è evidente. Vogliono costringere le donne a subire un intervento chirurgico? Da qui alle frustrate ci vuole poco». Perché allora le donne non scendono in piazza?
«Il diritto al farmaco è un concetto complesso e non automatico, passa attraverso l’informazione. Non a caso chi è contrario alla Ru486 strilla così tanto la sua disinformazione. E non a caso le donne che vanno a Pontedera per abortire con la Ru486 sono mediamente molto istruite».
In ogni caso l’Aifa restringe l’uso all’ospedale. Perché? «Sbaglia. Noi medici siamo obbligati a fare gli stessi raschiamenti in day hospital».

giovedì 17 settembre 2009

Ora di religione La Santa Sede «Sia quella cattolica»

l’Unità 10.9.09
La Congregazione per l’educazione cattolica: «Studio di diverse fedi creerebbe confusione»
Messa in discussione la sentenza del Tar del Lazio: «I figli devono seguire la fede dei genitori»
Ora di religione La Santa Sede «Sia quella cattolica»
L’ora di religione «cattolica» non si tocca. Non può essere sostituita da insegnamenti «multiconfessionali». All’apertura dell’anno scolastico il Vaticano dà la linea a tutte le conferenze episcopali, non solo alla Cei.
di Roberto Monteforte

All’ora di religione «cattolica» nelle scuole il Vaticano non intende proprio rinunciare. È troppo importante quel «contatto» formativo con le giovani generazioni, e non solo in Italia. All’inizio dell’anno scolastico la Santa Sede pone ufficialmente il problema. Davanti alle esigenze poste da società sempre più multietniche e plurireligiose che hanno messo in discussione «la natura e il ruolo dell’insegnamento della religione nella scuola» mette le mani avanti. Fa muro contro le tendenze a sostituirlo con insegnamenti multiconfessionali sul fatto religioso o di etica e cultura religiosa. Con una «lettera circolare» sull’insegnamento della religione nella scuola, inviata il 5 maggio dalla Congregazione vaticana per l’Educazione Cattolica dà la linea alle «conferenze episcopali» dei paesi di tradizione cattolica o dove i cattolici sono minoranza. «Il rispetto della libertà religiosa esige la possibilità di offrire agli alunni nelle scuole pubbliche e private un’educazione religiosa coerente con la loro fede» puntualizza il documento che reca le firme del cardinale Zenon Grocholewski e monsignor Jean-Louis Brugues, prefetto e segretario della Congregazione. Il punto è quello della libertà religiosa e di indirizzo educativo dei giovani cui sono «primi responsabili» i genitori. «I diritti dei genitori sono violati insiste la lettera se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori o se viene imposta un’unica forma di educazione dalla quale sia completamente esclusa la formazione religiosa». Da qui lo sbarramento anche verso un insegnamento «limitato ad un’esposizione delle diverse religioni comparativo o neutro». «Potrebbe creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso». Il punto è chiaro: in Italia ed anche altrove, non deve essere messo in discussione quell’insegnamento che non presuppone l’adesione alla fede, ma «intende trasmettere le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana». Si chiede abbia «lo status di disciplina scolastica», con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline» e deve svilupparsi in «necessario dialogo interdisciplinare». La Chiesa ribadisce pure la sua prerogativa di stabilire i contenuti autentici dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola». Che è poi quanto prevede il Concordato tra l’Italia e la Santa Sede ratificato nel 1984.
Scatta immediato l’allineamento del ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini: «Condivido questa posizione e credo che nel nostro paese questo avvenga regolarmente». «L’ora di religione aggiunge non deve essere un’ora di catechismo, ma sicuramente un’ora in cui si insegna la religione cattolica».
Chiude così in modo sbrigativo un confronto sulla laicità dello Stato e sull’uguaglianza dei diritti dei cittadini non cattolici che ha portato alla recente sentenza del Tar del Lazio proprio sulla rilevanza dell’insegnamento della religione cattolica nella valutazione degli studenti. Che quell’insegnamento non debba essere strettamente confessionale lo pensa anche il sindaco di Venezia Massimo Cacciari e la moderatora della Tavola Valdese, pastora Maria Bonafede. Le comunità islamiche in Italia, con l’Ucoii chiedono che all’ora di religione cattolica ne sia affiancata una di storia delle religioni, gestita dalle stesse comunità. Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni osserva che nella Italia a maggioranza cattolica «è giusto insegnare a scuola questa confessione», ma che non deve essere discriminato chi chiede l’esenzione.

Il Vaticano ai farmacisti cattolici: «Non vendete la pillola abortiva»

l’Unità 14.9.09
Il Vaticano ai farmacisti cattolici: «Non vendete la pillola abortiva»
Il farmacista cattolico sia al servizio della vita e rispetti la morale della Chiesa, non tenga conto solo del business. Dal «ministro» vaticano della Sanità monsignor Zimowski un invito: non distribuite la pillola abortiva Ru 486.
di Roberto Monteforte

CITTÀ DEL VATICANO Obiezione di coscienza e opera di dissuasione. Questa deve essere la scelta dei farmacisti cattolici qualora venissero loro richiesti farmaci che mettono in discussione la vita, come la pillola abortiva Ru 486, gli anticoncezionali o farmaci in grado di favorire di fatto l'eutanasia. Lo ribadisce l'arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, intervenendo al Congresso Mondiale dei farmacisti cattolici in corso a Poznan, in Polonia e dai microfoni di Radio Vaticana. I farmacisti non devono piegarsi alle logiche del businness. Una cosa, puntualizza, è il giusto guadagno altro è compiere scelte che sarebbero in contraddizione con i principi della morale cristiana. Lo fa rilanciando una presa di posizione del 2007 di papa Ratzinger ed una del suo predecessore, Giovanni Paolo II sul ruolo di servizio alla vita del farmacista cattolico. «Nella distribuzione delle medicine affermava papa Wojtyla il farmacista non può rinunciare alle esigenze della sua coscienza in nome delle leggi del mercato, nè in nome di compiacenti legislazioni. Il guadagno, legittimo e necessario, dev' essere sempre subordinato al rispetto della legge morale e all'adesione al magistero della Chiesa». Quindi ribadiva i punti fermi della Chiesa «sul rispetto della vita e della dignità della persona umana, sin dal suo concepimento fino ai suoi ultimi momenti» che «non può essere sottoposto alle variazioni di opinioni o applicato secondo opzioni fluttuanti». È più esplicita la riproposizione del pensiero di Benedetto XVI che fa riferimento proprio allo smercio di farmaci come la pillola «abortiva» Ru 486. «Non è possibile anestetizzare le coscienze, ad esempio sugli effetti di molecole scriveva nel 2007 che hanno come fine quello di evitare l'annidamento di un embrione o di abbreviare la vita di una persona. Il farmacista deve invitare ciascuno a un sussulto di umanità, affinché ogni essere sia tutelato dal suo concepimento fino alla sua morte naturale e i farmaci svolgano veramente il ruolo terapeutico». Il
Vaticano rilancia il suo affondo per contrastare lo smercio di farmaci come la pillola abortiva Ru 486 e torna ad ipotizzare l’invito all’obiezione di coscienza dei farmacisti cattolici.
LA RISPOSTA DEGLI OPERATORI
Gli operatori del settore rispondono che per il farmacista questo, a differenza di medici e infermieri, non è consentito. «Il farmacista è tenuto per legge a dispensare un farmaco, o a procurarlo entro il più breve tempo possibile, a fronte della prescrizione del medico» precisa la presidente di Federfarma, l'associazione che riunisce i titolari di farmacie private, Annarosa Racca. E il presidente di Farmindustria, l’associazione dei produttori di farmaci, Sergio Dompé esprime «grande rispetto per il magistero della Chiesa e per il Papa», ma puntualizza«i farmaci sono fatti e pensati per risolvere problemi e aiutare le persone, e se la farmacologia e le aziende del farmaco possono mettere a disposizione soluzioni in tale direzione, è dovere delle aziende e del mondo scientifico farlo». Senza escludere soluzioni a problemi come il fine vita o il concepimento.
Il senatore del Pd, Ignazio Marino, cattolico e medico, osserva: «I farmacisti devono svolgere il loro lavoro obbedendo alle leggi dello stato laico. Se non se la sentono possono rinunciare ad avere una farmacia»

Ora di religione. Quella disputa che divide lo Stato dalla Chiesa

La Repubblica 15.9.09
Ora di religione. Quella disputa che divide lo Stato dalla Chiesa
Le decisioni del Tar e del ministro Gelmini hanno riaperto le polemiche sulla laicità della scuola italiana
di Filippo Ceccarelli

Ci sono questioni nel nostro paese che sembrano create apposta per dimostrare l´impossibilità di essere risolte. E che riemergono con inutile regolarità
I ricordi scolastici si affollano: scoperte, discussioni libri letti sotto il banco partite a carte, tante chiacchiere e anche qualche dormitina

Circolari ministeriali, Tar, Consiglio di Stato, protocolli addizionali, vertenze sindacali, vertici di maggioranza, dibattiti in Parlamento, incontri segreti, presidenti e monsignori scarrozzati in giro per l´Italia a bordo dell´aereo – si è poi saputo – di Calisto Tanzi.
Ci sono in Italia questioni che sembrano create apposta per dimostrare non solo l´impossibilità di essere risolte, ma anche destinate a riemergere con vana regolarità in una dimensione misteriosa, senza più confini. Ecco: l´ora di religione, che in questi giorni il governo di centrodestra ha scelto come merce di scambio per farsi perdonare i peccati del premier, è una di queste storie senza fine nelle quali in realtà rifulge, debitamente ammantata di sacri principi, la tignosissima inconcludenza nazionale.
Solita solfa, dunque, e iper-groviglio a più voci. Il classico "relitto concordatario" (Vittorio Messori), imposto alla Repubblica dai negoziatori vaticani per dovere di firma, estremo avamposto dell´ex religione di Stato. E come tale accolto dai governanti italiani, Craxi in testa, con un sovrappiù di furbizia tipo: vedremo poi come aggiustare la faccenda. E si vede, infatti.
Il nuovo Concordato è del 1984. Già nell´estate del 1986 si mosse il Tar del Lazio, terrore di ogni legislatore, precipitando l´ora di religione in pieno marasma. Tra moduli ritirati e fiammate anticlericali, dopo un plebiscito di adesioni (oltre il 90 per cento) si compresero le insidie deposto all´articolo 9 di quel celebratissimo "accordo di libertà": nella loro ambigua nettezza, ce n´era a sufficienza per esercizi di laicismo, scherzi da prete e pretesti per una guerra di religione.
Fin dall´inizio il caos attuativo si articolò su vari livelli d´incandescenza: materia alternativa, orario delle lezioni, destino degli alunni esonerati. Ma sopra tutto divampava – come oggi – la disputa sul carattere obbligatorio e confessionale dell´insegnamento.
Nulla di drammatico, per la verità, a generazioni di italiani aveva comportato la vecchia e cara oretta di religione, prossima per importanza a quella di musica o di ginnastica. Innocui ricordi: scoperte, discussioni, omelie, libri letti sotto il banco, partite a carte, chiacchiere e dormitine, anche. In una loro preistorica canzone, Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni raccontano di un amore nato durante l´ora di religione – esito non sai bene se gradito ai cardinali Bagnasco e Bertone.
Anche rispetto agli insegnanti vale il detto: a ciascuno il suo. Ecco dunque una gamma vastissima di figure, autentiche e anche immaginarie, dal sacerdote orbo di Amarcord a don Giussani, che nelle aule del Berchet conquistò il futuro gruppo dirigente di Cl. Pochi libri e niente voti (che l´ineffabile Gelmini vuol riproporre). Condizione scolastica a suo modo proverbiale come dimostra il titolo di quel film di Bellocchio, L´ora di religione appunto, che pure con la materia non c´entra nulla.
E forse le cose vanno meglio quando non ci si pensa troppo. Fatto sta che nell´autunno del 1987 la Santa Sede depositò la sua prima bomba a orologeria. C´entrava l´obbligatorietà e l´ordigno faceva tic-tac sotto il tavolo del povero Goria che tampinando l´allora Segretario di Stato cardinal Casaroli cercò affannosamente di disinnescare la crisi di governo, come si è detto anche grazie alla diplomazia aeronautica della Parmalat.
Dalle cronache vien fuori un rimarchevole cammeo della Prima Repubblica: cardinalizio Spadolini; sfuggente Andreotti; facile profeta Almirante nel prevedere l´ennesimo "pateracchio". L´onorevole Ilona Staller, al secolo Cicciolina, propose un´ora di educazione sessuale alternativa; mentre a gestire l´improvvida matassa alla Pubblica Istruzione c´era il ministro Galloni, per la sua specchiata calvizie detto "la testa più lucida della Dc", invocatissimo in tv da un´attrice satirica travestita da insegnante che con isterico abbandono esplodeva: «Galloooni! Oh Galloooni!».
Sul risultato per così dire finale ci si affida alla caustica penna di Ghino di Tacco, cioè Craxi: «Ho vinto io. No, abbiamo vinto noi. Hanno vinto tutti. Non ha vinto nessuno. È finita pari. È finita pari e dispari. Poi di seguito un crescendo di intrighi, strategie raffinate, storie di scavalcamenti, appiattimenti, confessioni, sconfessioni, revisioni e conversioni. Nel frattempo, nel campo di battaglia invaso dal fumo, è scomparsa proprio la principale materia che ha originato il contendere, e cioè l´ora di religione».
Si fece allora notare per la prima volta un giovane prelato, a nome Camillo Ruini, tanto ambizioso quanto terrorizzato dai processi di secolarizzazione. Dopo di che nella ricostruzione è necessario farsi schematici per evitare la più martellante ripetitività.
Nel 1988 intervenne di nuovo il Tar del Lazio, e poi il governo, e poi il Consiglio di Stato, e poi anche la Corte costituzionale, ogni entità dando sostanzialmente torto a quella che la precedeva in giudizio. Ed era di sicuro una grande questione di principio, ma nel frattempo urgeva l´incerto destino degli insegnanti, nominati dai vescovi e retribuiti dallo Stato; per cui ai già bastevoli contendenti si aggiunse la più abbondante varietà di sindacati, oltre ai presidi, ai provveditorati e alla magistratura che tutelava singoli studenti esonerati che venivano rispediti a casa o tenuti a scuola.
Quindi ancora il Tar, ancora il governo, ancora il Consiglio di Stato e la Corte costituzionale, oltre alla Cei che cominciava anche a preoccuparsi per una lenta erosione.
Non c´era più la Dc, oltretutto: e ciò spinse monsignor Ruini a riaffermare il carattere dell´insegnamento contro "l´ora del nulla". Con il che, anche per battere il nichilismo, nel 1994 l´ora di religione divenne "Insegnamento della religione cattolica", Irc. Come se per salvare la fede e le opere di Santa Romana Chiesa bastasse una sigla – e lo Spirito fosse un optional o un pretesto per attaccare briga (in attesa del prossimo Tar del Lazio).

Il Vaticano e la legge del peccato

l’Unità 15.9.09
Bioetica e diktat
Il Vaticano e la legge del peccato
di Maria Antonietta Coscioni

Il Pontefice istiga i farmacisti a non vendere quelle che definisce “medicine anti-vita”, cioè le pillole antifecondative e la RU 486; in pratica a violare le leggi dello Stato; giorni fa dal Vaticano arrivava un ukase contro alcuni sacerdoti “colpevoli” di non aver condiviso la posizione assunta dalle gerarchie sul caso Englaro e il testo di legge sul testamento biologico della maggioranza: una pessima legge che non tiene conto la volontà del paziente, e contraddice il principio di libertà di cura. Quei sacerdoti hanno rivendicato il diritto di ognuno di vivere la propria vita, e di poter anche di morire in pace, «quando non c’è speranza di migliorare le proprie condizioni di esistenza umana». Li ringrazio quei sacerdoti: sono la prova che c’è un mondo di credenti sommerso, mortificato; che si vorrebbe restasse tale, ignorato; un mondo che vive con sofferenza le scelte della gerarchia; cristiani adulti, che sanno coniugare fede a misericordia, buon senso e senso buono. Intanto il Governo si affanna in rassicurazioni: fa sapere che si verificherà con rigore la compatibilità della legge sull’aborto con l’uso della pillola RU 486; e per quanto riguarda il testamento biologico conferma che non sono discutibili alimentazione e idratazione anche contro la volontà dell’interessato; il ministro Sacconi propone perfino una sorta road map per il Parlamento: immediata approvazione di quelle norme, e rinvio a soluzioni più condivise quelle relative alle dichiarazioni anticipate di trattamento. Proposta inaccettabile, da rinviare al mittente.
Come sempre, è un problema di informazione. Basterebbe che ci fosse adeguata informazione da parte del servizio pubblico e tutto sarebbe diverso: l’opinione pubblica vigilerebbe e ne chiederebbe conto. Abbiamo inoltre la conferma che il problema di questo Paese è la sostanziale incapacità di saper distinguere fra legge e precetto morale; fra reato e peccato, fra pena e penitenza.
Un po’ tutti abbiamo salutato con speranza la nuova presidenza americana; bene: una delle prime cose che Obama ha fatto è di restituire alla scienza e alla libertà della ricerca il suo giusto posto e la sua autonomia. La battaglia da combattere è per la libertà della ricerca scientifica e per affermare i diritti umani fondamentali alla vita, alla salute, a una vita dignitosa fino all’ultimo istante che ciascuno considera degno di essere vissuto, scegliere di vivere senza sentirsi dire da altri: questo lo puoi o non lo puoi fare. Questa è la posta in gioco, è bene che se ne sia tutti consapevoli e coscienti.
Maia Antonietta Farina Coscioni è deputata radicale e membro della Commissione Affari Sociali

lunedì 7 settembre 2009

Il Grande Scambio sui diritti civili

La Repubblica 7.9.09
Il Grande Scambio sui diritti civili
di Chiara Saraceno

Il Vaticano vuole esercitare la sua influenza sulle questioni definite "non negoziabili"
Bossi si propone come paladino cattolico, ma rafforza le pulsioni anti migratorie

Non è chiaro chi uscirà vincitore dalla complessa partita che si sta giocando nel rapporto Stato (o meglio governo) e Chiesa cattolica in queste settimane, tra minacce, aggressioni, ricatti e promesse. I giocatori sono troppi, ciascuno con un suo interesse e motivazione specifica. Berlusconi vuole mettere una pietra tombale su ogni critica non tanto ai suoi comportamenti privati, quanto alla sua disinvolta confusione tra pubblico e privato, in questioni che riguardano sesso, ospitalità, candidature e incarichi politici, affari.
Perciò, così come è disposto ad usare ogni mezzo, pubblico e privato, per mettere a tacere chi lo critica, è anche disposto ad utilizzare il proprio ruolo pubblico per offrire in cambio alla Chiesa il potere di regolare le scelte private dei cittadini sulle questioni che ad essa stanno più a cuore. Bossi vuole utilizzare il richiamo al cattolicesimo ed ai suoi valori sia per tenersi buono il suo elettorato che per rafforzarne le pulsioni anti migratorie e talvolta un po´ razziste. Proprio per questo, mentre rassicura la Chiesa sulle questioni che riguardano la famiglia e la sessualità, e si propone quale novello crociato contro l´Islam, mantiene duramente la posizione sulla legge sull´immigrazione, i respingimenti senza verifiche e il reato di clandestinità - certo che la Chiesa non romperà su questo. La Chiesa da un lato è intenta a fare i propri i conti interni, nel processo di ridefinizione degli equilibri e delle alleanze iniziato con il nuovo pontificato. La destabilizzazione che questo processo ha provocato, insieme al narcisismo mediatico cui non sono insensibili neppure i monsignori, ha consentito che venissero alla luce in modo molto più esplicito di quanto non fosse mai avvenuto prima dissensi e conflitti interni, come notato anche ieri su questo giornale da Scalfari. In questa partita, anche nella Chiesa ciascun gruppo sembra giocare per sé e utilizzare i rapporti con la politica per regolare, appunto, i conti interni. Dall´altro lato, la gerarchia mantiene una forte continuità con la gestione tutta politica instaurata da Ruini, nonostante questi sia segnalato come perdente nella vicenda del direttore dell´Avvenire. Perché un conto sono i conflitti e i rapporti di potere interni, un conto è la volontà di influenzare direttamente la politica sulle questioni definite come non negoziabili. Esse riguardano appunto la sessualità riproduttiva, la famiglia (o meglio il matrimonio, che è cosa diversa dalla famiglia), le cosiddette questioni di bioetica, che sarebbe forse meglio chiamare questioni che riguardano l´inizio e la fine della vita. Il modo di trattare l´immigrazione e gli immigrati non fa parte di queste questioni non negoziabili, come non ne fanno parte il contrasto alla povertà e neppure alla guerra. Perciò su queste si può transigere o rimanere in un atteggiamento di testimonianza critica. Il caso Boffo, da questo punto di vista, può apparire addirittura provvidenziale: ha segnato un punto nei conflitti di potere interni mentre ha consegnato a tutta la Chiesa un agnello sacrificale da giocare pesantemente nei suoi rapporti con Berlusconi. Può darsi, come hanno scritto diversi commentatori, che la gerarchia si sia lasciata trovata impreparata e divisa di fronte all´attacco al direttore dell´Avvenire. Ma non sarà affatto impreparata a utilizzarlo a fini di negoziazione politica.
Accanto a questi attori principali ce ne sono altri, innanzitutto gli aspiranti costruttori del Grande Centro. Questi sperano di utilizzare il conflitto tra pezzi dell´attuale governo e la Chiesa per guadagnare l´investitura di autentici defensor fidei e di più affidabili esecutori politici dei desideri della Chiesa sulle questioni «non negoziabili». Qualcuno tenta anche la strada della competizione sulla moralità privata. Tuttavia è un terreno, non solo sempre più scivoloso, ma neppure utile o necessario. Perché, come ha chiarito a suo tempo Ruini ed è continuamente ripetuto in queste settimane, la Chiesa è interessata non ai comportamenti privati dei politici ma alle loro azioni politiche nei settori che le stanno a cuore.
Se non è chiaro chi e come vincerà, è chiaro chi perderà: noi cittadini. Perché la merce che i nostri governanti (e coloro che aspirano a sostituirli) sono disposti a scambiare in cambio della benevolenza della Chiesa è la nostra libertà non solo di opinione, ma di comportamento su questioni rilevanti per la nostra vita e per il senso che le attribuiamo: che tipo di coppia fare, se e quando fare figli e se accettare di portare a termine una gravidanza non desiderata, come essere curati e come essere accompagnati alla morte (ovvero lasciati andare) quando ogni cura non è più possibile. Lo scambio cui tutti questi attori si accingono non è solo l´importantissima libertà di stampa e di opinione. È il fondamento stesso di ogni diritto civile: l´habeas corpus e il diritto di poter dire e decidere su di sé.

sabato 5 settembre 2009

Il Pd e la laicità per litigare basta la parola

Il Pd e la laicità per litigare basta la parola
Il Manifesto del 1 settembre 2009, pag. 7

Laicità? «E’ non aver paura delle ingerenze». Parola di Francesco D’Agostino, cattolicissimo presidente del comitato nazionale di bioetica, il massimo organismo pubblico sulle questioni eticamente sensibili. Va da sé che non tutti, sul palco e soprattutto sotto il palco, della festa nazionale del Pd a Genova la pensano allo stesso modo, anzi. Attorno a D’Agostino, democratici per tutti i gusti: dall’ex diessina Vittoria Franco al teodem Enzo Carra, da Ivan Scalfarotto alla radicale Maria Antonietta Farina Coscioni, Marco Ventura e Victor Rasetto. A coordinarli Giorgio Zanchini di Radio Rai e Miguel Mora de El Pais, Mora offre subito tutta la distanza tra Roma e Madrid, dove le unioni omosessuali sono state legalizzate per la prima volta dal governo conservatore di Aznar: «In Spagna sulla laicità si fa più di quanto si parli, chiunque governi governa per la gente e non per la Chiesa». In Italia invece accade tutto il contrario. Carra e D’Agostino provano a tenere la barra al centro. Per Carra è naturale: i cattolici sono la maggioranza nel nostro paese e dunque è ovvio tenere in conto le posizioni della chiesa secondo il quadro del concordato. Per Vittoria Franco, invece le ingerenze ci sono eccome. Tra voto segreto e voto palese, dei resto, i parlamentari esprimono i voti diversamente. «Al senato si è votato non secondo coscienza ma secondo un ordine di scuderia», dice Franco. E che la chiesa cattolica, soprattutto negli ultimi anni abbia avuto un ruolo diretto nelle vicende politiche lo dimostra lo zelo astensionista per il referendum sulla fecondazione assistita del 2005 di cui fu capofila, tra l’altro, proprio Avvenire. Le posizioni che si alternano sul palco sui diritti civili non convincono affatto Rita De Santis, dell’Associazione genitori di figli omosessuali. «Cos’è mio figlio, uno scarto umano? - attacca dalla platea - mio figlio ha diritto a esprimere la sua affettività e rispetto al matrimonio ha gli stessi diritti e gli stessi doveri di chiunque altro. Non può donare il midollo, non può donare il sangue, non può fare nemmeno il seminarista, se ne ha voglia. Ma di quale famiglia parlate, quella del family day a cui è andato Berlusconi?». Ivan Scalfarotto concorda: «Il parlamento non riesce ad approvare nemmeno una legge contro l’omofobia. Si può concludere - si chiede - che il parlamento è a favore dell’omofobia?». E sul Pd: «A differenza di Rossi e Turigliatto, nella scorsa legislatura Paola Binetti votò formalmente contro la fiducia al governo Prodi proprio sulle norme sull’omofobia del pacchetto Amato».

venerdì 4 settembre 2009

La sentenza del Tar sull’ora di religione risponde Corrado Augias

La Repubblica 3.09.2009
La sentenza del Tar sull’ora di religione risponde Corrado Augias

Caro Augias, il 12 agosto mons. Coletti definì la sentenza del Tar del Lazio sull'ora di religione bieco e negativo Illuminismo perché favorisce la perdita di identità dei popoli. Il bieco risvolto sarebbe la separazione del potere legislativo e giudiziario tra loro e da quello religioso. Il 26 agosto si sono compiuti 220 anni dalla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino, in base alla quale ognuno è libero di professare una religione o di non averne alcuna. Professare il Cristianesimo è consentito, non è consentito imporlo. Ci fu un tempo in cui esso fu perseguitato, ma i persecutori non erano certo illuministi.

Seguì un tempo (lunghissimo) in cui gli ex perseguitati riuscirono a imporsi tanto da far perdere ad altri la loro identità: nelle Americhe e non solo. C'è stato infine un tempo recente, dal 1870 al 1929, nel quale l'ora di religione nelle scuole non era prevista. Non ci sono state perdite d'identità religiosa negli italiani perchè un illuminismo ormai radicato e non bieco rispettò la religione di maggioranza in questo paese. E' vero che poi ci toccò un Fascismo che illuminista non era e fu bieco con altre religioni, ma Mons. Coletti sa che non è la bontà di una idea religiosa o meno a deciderne la sorte, bensì i rapporti di forza tra chi la sostiene e chi no, altro aspetto del Relativismo che talora dà, talora toglie.

Giovanni Moschini giovanni.moschini4@tin.it

T ra le molte polemiche di questa agitatissima estate dobbiamo registrare anche le reazioni alla sentenza del Tar del Lazio che escludeva l'insegnamento della religione dalla valutazione del profitto. Una circolare del precedente ministro della Pubblica Istruzione, Fioroni, aveva inserito la 'religione' fra le materie curricolari. Chi non voleva avvalersene veniva quindi discriminato in quanto le materie alternative non c'erano o non avevano uguali prerogative. I giudici amministrativi dovevano rispondere al quesito se la Circolare Fioroni del 2007 finiva o no per discriminare gli studenti che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica. La risposta è stata affermativa con questa motivazione: «Un insegnamento di carattere etico e religioso attinente alla fede individuale non può essere oggetto di valutazione sul piano del profitto scolastico per il rischio di valutazioni di valore proporzionalmente ancorate alla misura della fede. Sotto tale profilo è dunque evidente l'irragionevolezza dell'Ordinanza che, nel consentire l'attribuzione di vantaggi curriculari, inevitabilmente collega in concreto tale utilità alla misura dell'adesione ai valori dell'insegnamento cattolico». Un recente sondaggio ha registrato che il 70 per cento dei lettori erano favorevoli alla sentenza. E' davvero un problema?

lunedì 31 agosto 2009

Aborto. Altro che moratoria, in gioco sono i diritti

l’Unità 31.8.09
Aborto. Altro che moratoria, in gioco sono i diritti
di Carlo Flamigni

L’aula della Camera ha approvato una mozione che impegna il Governo a farsi promotore presso le Nazioni Unite di una risoluzione che condanni l’uso dell’aborto come strumento demografico e come strumento di una «nuova eugenetica», promuovendo una «moratoria». Il buon senso mi impone di considerare questa richiesta come un ennesimo tentativo, tortuoso e ingenuo, di rinnovare l’ormai stanco assalto alla legge 194, quella che in Italia regolamenta le interruzioni volontarie della gravidanza.
In verità, i primi a criticare questa nuova forma di provocazione sono stati alcuni riflessivi cattolici italiani: «Il voto del Parlamento non scalfisce nemmeno il bunker di idee sbagliate intorno all’aborto, anzi le accetta e le assume come piattaforma comune di dialogo e di confronto... questo voto può trasformarsi addirittura in un colossale autogol... [in quanto dà per scontata] l’idea che il diritto di aborto sia indiscutibile, e che si possa soltanto garantire la “libertà della donna di non abortire”» (Verità e Vita, comunicato 76).
Questa mozione dimostra comunque alcune cose, che elenco: 1) i parlamentari italiani (ne sutor supra crepidam!) sanno poco di queste cose: il vero dramma di molti Paesi che non fanno parte delle nazioni canaglia, quelle che hanno approvato leggi sull’aborto volontario, è il cosiddetto «controllo mestruale», che sfugge a ogni regola e a ogni norma; in altri comincia a prevalere l’uso di farmaci (che, al contrario di quanto accadrà con la pillola abortiva, si trovano già in farmacia anche in Italia); 2) nel nostro Paese l’interruzione della gravidanza non viene utilizzata come metodologia contraccettiva dalla stragrande maggioranza della donne (gli aborti ripetuti sono il 38% per le donne straniere e il 21% per le italiane, uno dei dati più bassi del mondo); 3) sempre nel nostro Paese la maggior parte delle donne pensa all’interruzione di gravidanza come a una scelta difficile, nella quale occorre cimentare la propria coscienza, ma anche come a un diritto; sempre da noi, l’idea di eugenetica che la gente si è fatta non ha niente a che fare con il desiderio di avere figli sani e normali.
Chiunque voglia parlare ancora di «moratoria» dovrà prima ragionare su altre, essenziali «interruzioni a tempo indeterminato»: dovrà chiedere una moratoria sulla violenza sulle donne, sulla ingiustizia sociale, sulla mancanza di cultura e di educazione sessuale, sulla protervia di tanti maschi, sulla discriminazione. L’elenco è molto lungo, lo dovrete completare voi.
Buon lavoro.

sabato 29 agosto 2009

Quali spazi per gli atei?

il Riformista 29.8.09
Quali spazi per gli atei?
di Marco Bertinatti

Dopo aver letto l'ultimo editoriale di Marcello Sorgi "Tutti cattolici se i laici non parlano", pubblicato su La Stampa, mi sono chiesto se l'autore intendesse fare della sottile ironia o se fosse serio. Nel secondo caso desidererei domandargli quali siano gli spazi riservati ai laici per esprimere la loro opinione. Già la scelta del vocabolo utilizzato per definire chi non ha ricevuto il "dono della fede" è indicativa del suo timore nei confronti di quell'aggettivo maledetto, "ateo", riservato a chi crede solo nella natura e nell'uomo. E se invece fossero i credenti ad avere qualcosa di troppo? Qual'è il rapporto tra lo spazio riservato agli atei per presentare le loro tesi e quello dedicato ai credenti dai mass media? Dal momento che i decimali per scriverlo sono molti, mi limiterò alla mia personale esperienza proprio con il giornale del quale l'autore è stato anche direttore. Essendo per l'appunto ateo, conosco i fondamenti del cristianesimo meglio della maggioranza dei credenti (secondo Mark Twain le Sacre Scritture sono la base per divenire atei) e pertanto mi è naturale evidenziarne le incongruenze correlandole con i fatti di cronaca. Purtroppo con i miei interventi che La Stampa ha rifiutato di pubblicare potrei realizzare un intero volume. Questa mia esperienza è condivisa da tanti altri che, come me, sono riusciti a liberarsi dal "dono della fede" e desidererebbero confrontarsi con chi non ci è ancora riuscito. Senza questo "dono" il mondo sarebbe certamente un posto migliore in cui vivere (con meno guerre e meno tasse) e questa opinione viene condivisa dalle più brillanti menti, passate e presenti, dell'umanità. Pensieri pericolosi, meglio lasciarli sepolti in quei libri che pochi ormai leggono e che mai troveranno spazio in quell'elettrodomestico che crea le nostre opinioni e dirige la nostra vita.

Aborto, Ru486 negli ospedali dal 15 ottobre

La Repubblica 29.8.09
L’Aifa replica al governo: indietro non si torna. Il 30 settembre il via libera definitivo alla pillola
Aborto, Ru486 negli ospedali dal 15 ottobre
di Michele Bocci

ROMA - A metà ottobre la Ru486 arriverà negli ospedali italiani. Intorno al 15 infatti dovrebbe esserci la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della delibera Aifa sulla pillola abortiva. La trasmissione dell´atto avverrà dopo la riunione del Cda dell´Agenzia per il farmaco che si terrà il 30 settembre e durante la quale sarà riletto il testo già approvato a luglio. Non si torna più indietro: lo sottolineano dall´Aifa. «Abbiamo regolamentato l´utilizzo del farmaco che in alcune regioni si stava già usando - è scritto in un comunicato - L´autorizzazione, fatti i debiti passaggi, è stata un atto dovuto, vista la normativa sul mutuo riconoscimento». Più netto Giovanni Bissoni, assessore alla salute dell´Emilia Romagna e membro del Cda: «L´Aifa ha finito il suo lavoro, non si può discutere la decisione di un organo tecnico. Semmai lo Stato-Regioni potrà lavorare su linee guida sull´utilizzo del farmaco».
Si tratta di risposte alle polemiche sulla pillola abortiva rinfocolatesi di recente, e partite dalla proposta del capogruppo Pdl in Senato Maurizio Gasparri di una inchiesta parlamentare per valutare gli effetti della Ru486 in riferimento alla 194. Tale attività, dicono i tecnici, non impedirà la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, data per scontata anche da Sergio Dompé, presidente Farmindustria: «L´autorizzazione dell´Aifa è stata doverosa - dice - altrimenti chiunque avrebbe potuto fare causa al servizio sanitario nazionale per non averla messa a disposizione. Si tratta di un farmaco usato altrove da anni».
L´Aifa ieri ha riassunto gli effetti della sua decisione. Tra l´altro diventerà illegale prescrivere la pillola fuori dalla 194, si potrà utilizzare entro 49 giorni dall´inizio della gravidanza e non più entro 63, il medico avrà una possibilità di scelta in più, verranno segnalate tutte le complicanze. l´Aifa non cita più il ricovero. A luglio si disse dell´obbligo di 3 giorni in ospedale. Oggi si parla di «maggiore sicurezza della donna, grazie al percorso in ambiente sanitario protetto e ad uno stretto monitoraggio».
Ieri Gasparri ha ribadito la necessità di una inchiesta. Il tema provoca una polemica interna al Pd. Dorina Bianchi, capogruppo del partito in commissione sanità al Senato contesta la contrarietà all´indagine di Livia Turco: «Ci sorprende che la sua pur autorevole posizione sia registrata come quella dell´opposizione e del Pd. Io non sarei contraria a tale indagine». Cesare Cursi, senatore responsabile salute del Pdl, spiega che «l´Aifa ha fatto un passaggio tecnico dovuto. Ma ognuno ha il diritto di chiedersi se il farmaco è dannoso e ogni iniziativa parlamentare o scientifica è utile».