venerdì 30 aprile 2010

25 sacerdoti e un vescovo accusati a Verona di violenze su ex allievi sordi, ma i reati non sono più perseguibili

il Fatto 7.4.10
Gli abusi dei sacerdoti sui sordi
Prescrizione colpevole
25 sacerdoti e un vescovo accusati a Verona di violenze su ex allievi sordi, ma i reati non sono più perseguibili
di Vania Lucia Gaito

L’ agghiacciante vicenda dell’Istituto Provolo per sordi, di Verona, sfociata nella testimonianza pubblica di 67 ex allievi che denunciano le violenze sessuali subite, rievoca il caso americano di padre Murphy, venuto recentemente alla ribalta delle cronache.
Testimonianze precise, che coinvolgono 25 sacerdoti e un vescovo, tutti citati per nome. Il vescovo è monsignor Giuseppe Carraro, vescovo di Verona morto nel 1981, per il quale è in corso un processo di beatificazione. Dagli anni ’50 fino al 1984, una sequenza di orrori. Eppure non ci saranno indagini e processi per i sacerdoti coinvolti, neppure per quelli ancora in vita: è intervenuta la prescrizione e i reati non sono più perseguibili.
La legge italiana prevede infatti tempi precisi entro i quali i procedimenti per abusi sessuali ai danni di minori possono essere perseguiti: 10 anni.
“La prescrizione decorre dalla data in cui viene consumato il reato”, afferma l’avvocato Paola Rubino, difensore di parte civile nel processo a carico di padre Turturro (sacerdote antimafia di Palermo, accusato nel 2003 di aver compiuto abusi sessuali ai danni di alcuni bambini della sua parrocchia), conclusosi con la condanna in primo grado a sei anni e mezzo. “Quella della prescrizione è una problematica legata a tutti i tipi di reato, in particolar modo i tempi diventano problematici quando si parla di abusi sessuali. Si tratta di reati consumati con modalità particolari, spesso la vittima è già di suo psicologicamente debole, perché viene da situazioni personali o familiari problematiche. Si instaura poi tra abusante e abusato un meccanismo simile a quello del plagio. Non di rado occorre parecchio tempo, anche anni, prima che la persona offesa sia capace di denunciare l’abuso.”
Come nel caso dei bambini sordi dell’istituto Provolo, come per i bambini delle scuole irlandesi del rapporto Ryan, come per i casi americani, trascorrono spesso anni. Molto però dipende dalla volontà politica di perseguire realmente certi crimini. Negli Stati Uniti, per esempio, lo stato della California approvò una legge che creava una finestra di un anno durante la quale potevano essere presentate denunce senza limiti retroattivi di tempo, in modo che anche abusi commessi decenni prima potessero essere perseguiti e risarciti. In Italia, al contrario, spesso non si riesce ad arrivare a sentenza definitiva prima che siano trascorsi i fatidici dieci anni della prescrizione. Come nel caso di don Giorgio Carli che, condannato in appello a sette anni e mezzo, ha visto prescriversi il reato prima della fine del processo in Cassazione.
“Non è soltanto un problema legato alla tardività delle denunce” prosegue l’avvocato Rubino. “I fattori concomitanti sono molti, le indagini che si dispiegano in lunghi archi temporali, il fatto che molti magistrati siano oberati di lavoro, e poi ovviamente i tempi tecnici tra l’avviso di conclusione delle indagini, il rinvio a giudizio, l’udienza preliminare e tutti quei passaggi previsti dalla procedura. Ovviamente si tratta di un problema che investe sia il denunciante che il denunciato: nel primo caso perché potrebbe intervenire la prescrizione e il reato non sarebbe più punito, nel secondo perché se l’imputato non è colpevole dei reati a lui ascritti la sua innocenza dovrebbe essere riconosciuta il prima possibile.” Spesso le vittime non denunciano perché non hanno la certezza che un eventuale processo si concluda nei termini previsti dalla legge, quindi, ma anche perché temono il giudizio sociale. “Gran parte della società è impreparata, incapace di fronteggiare l’abisso oscuro della pedofilia. Certo, si affronta come tematica astratta, ma quando si ‘incarna’ nel vicino di casa, nel collega di lavoro o nel proprio parroco non si riesce più a coniugare l’immagine pubblica di quella persona con le accuse. E’ uno dei motivi per cui la società si schiera spesso al fianco dell’accusato, non della vittima, emarginando chi, con grande difficoltà, è riuscito a denunciare quanto subito” afferma Massimiliano Frassi, presidente dell’associazione antipedofilia “Prometeo”, che da anni chiede l’allungamento dei tempi di prescrizione del reato, se non che la prescrizione sia del tutto abolita. Frassi è stato fra i primi a schierarsi a sostegno delle vittime della pedofilia clericale e a rompere il muro del silenzio, organizzando già nel 2001 una conferenza con l’associazione “Snap”, che riunisce le vittime statunitensi dei preti pedofili. “Come altre associazioni, anche noi abbiamo ricevuto diverse segnalazioni di vittime di abusi da parte di religiosi, ma in particolare in questi casi ci viene chiesto di aiutare la vittima ma non si vuole sporgere denuncia. Quando si tratta di preti accusati di abusi sessuali, si arriva a situa-
zioni veramente difficili, per la tendenza delle realtà locali a chiudersi in difesa dei propri sacerdoti.”
Resta però aperta la possibilità di un risarcimento dei danni attraverso una causa civile: un danno infatti può manifestarsi anche parecchio tempo dopo, soprattutto laddove risulti di ordine soggettivo. Ma non serve assolutamente a condannare i colpevoli e, soprattutto, a tenerli lontani dai bambini.

giovedì 29 aprile 2010

Il ruolo di Cantalamess

l’Unità 9.4.10
Il ruolo di Cantalamessa. È stato affidato fin dal 1743 ai frati dell’ordine dei cappuccini
Le funzioni solenni Tra gli altri, il compito di tenere l’omelia in occasione del venerdì santo
«Predicatore apostolico»: il frate che “parla” ai papi
Un ruolo chiave per la Chiesa quello ricoperto da Raniero Cantalamessa. Il «predicatore della Casa pontificia» è un interlocutore della curia e del papa, è il frate che stimola l’esame di coscienza sulla coerenza col Vangelo.
di Roberto Monteforte

Quella del predicatore della Casa pontificia è una funzione di grande prestigio e delicatezza. Egli è il frate che, proprio per la forza e la condizione del monaco, “parla” alla Curia e al Papa. Che aiuta il pontefice, i cardinali e i superiori degli ordini religiosi a meditare il Vangelo, sollecitando e stimolando la riflessione personale, l’esame di coscienza sulla coerenza con le verità evangeliche. È dal 1743, per volontà di Papa Benedetto XIV, che questo compito è assegnato ai padri cappuccini. In precedenza veniva svolto a turno dai Procuratori generali dei quattro ordini mendicanti (i Predicatori ossia i Domenicani, i Minori ossia i
Francescani, gli Eremitani di Sant’Agostino e i Carmelitani).
Le meditazioni del predicatore si tengono nella Cappella Redemptoris Mater nel Palazzo apostolico e avvengono in due momenti particolari dell’anno liturgico: tutti i venerdì di Quaresima e in quelli di Avvento. Spetta al predicatore della Casa pontificia tenere l’omelia il giorno del venerdì santo. Le riflessioni del predicatore apostolico sono le parole della Chiesa che giungono ai fedeli. Vengono, infatti, rilanciate dai media cattolici. Sono rivolte al Papa e alla curia, ma che hanno anche un preciso intento divulgativo.
L’esperienza di divulgatore della Parola padre Raniero Cantalamessa (che è predicatore apostolico dal 1980) l’ha maturata anche come conduttore televisivo. Per una decina d’anni, sino alla fine dello scorso anno, con la trasmissione di RaiUno “A sua immagine. Le ragioni della speranza” ogni sabato pomeriggio ha spiegato al grande pubblico il Vangelo della domenica.
Padre Cantalamessa è figura autorevole e stimata non solo Oltretevere. Non fu certo un caso se la congregazione generale dei cardinali, in occasione del conclave dell’aprile 2005 che portò all’elezione di Benedetto XVI come successore di Giovanni Paolo II, chiese a lui, oltre che al cardinale Špidlíkdi, di svolgere le «esortazioni» al collegio cardinalizio.

mercoledì 28 aprile 2010

Il reverendo Jeypau accusato di abusi da una quattordicenne è pronto a farsi giudicare

il Fatto 7.4.10
Il reverendo Jeypau accusato di abusi da una quattordicenne è pronto a farsi giudicare

Sarebbe pronto a fare piena chiarezza di fronte a una corte di Giustizia il reverendo Joseph Palanivel Jeypaul, accusato di abusi sessuali da una ragazza quattordicenne in Minnesota. E questo contrariamente alle prime corrispondenze giornalistiche, che raccontavano delle resistenze del sacerdote indiano a tornare negli Stati Uniti per affrontare un processo. La quattordicenne avrebbe accusato Jeypaul di averla minacciata di uccidere la sua famiglia se lei non fosse andata con lui nel rettorato, dove l’ha poi forzata ad avere un rapporto orale. Il Vaticano, informato delle accuse, si sarebbe limitato a rispedirlo nella sua diocesi di origine. Monsignor Almaraj, il vescovo che ha sotto la sua giurisdizione Jeypaul, ha dichiarato che questi lavora nel suo ufficio e che non si occupa di bambini. L’allerta in Vaticano è altissima, e la linea è quella di cercare di fare chiarezza e parare ogni nuovo colpo. Scende in campo per difendere il Papa Donald Wuerl, arcivescovo di Washington, che scrive in una lettera
aperta ai fedeli l’impegno di Ratzinger sulla pedofilia. L’attuale Papa – scrive Wuerl – è stato fermo nel suo aiuto a tutti i vescovi americani quando abbiamo chiesto dei cambiamenti nelle norme canoniche in modo da rendere più celere ed efficace la rimozione di sacerdoti coinvolti in abusi sessuali su minori. Ed è profonda la sua preoccupazione per chi è stato oggetto di abusi sessuali”.
Intanto una petizione sul sito ufficiale del governo britannico chiede che il Primo Ministro “dissoci il governo britannico dalle visioni intolleranti del Papa prima della sua visita in Inghilterra del Settembre del 2010”. Il documento – on line da un po’ di tempo – è stato postato da Peter Thatchell, attivista dei diritti umani, fondatore dell’ala sinistra del Green Party inglese. La petizione ha raccolto già 12245 firme. E torna d’attualità per una delle (tante) accuse rivolte al Papa nel testo: “Chiediamo al Primo Ministro di esprimere il suo disaccordo con il ruolo del Papa nella copertura degli abusi sessuali da parte del
clero”. Subito, per contraltare, i cattolici inglesi hanno creato un altro sito: Support the Pope, nel quale si raccolgono espressioni di amore al Pontefice. La stampa anglosassone aspettava al varco Benedetto XVI: si attendeva, per Pasqua, una presa di posizione netta del Papa riguardo lo scandalo degli abusi. Ogni singolo passo è sotto la lente di ingrandimento, a cominciare dal prossimo viaggio a Malta, dove sono 45 i sacerdoti accusati di abuso sessuale.
Negli Stati Uniti, è il blog di Usa Today – uno dei più diffusi quotidiani tabloid americani – a riprendere il dibattito, con un post dal titolo eloquente: “La crisi della Chiesa riguarda gli abusi sessuali ... o la leadership?” E Bob Schieffer, nella trasmissione televisiva Face the Nation della Cbs, ha sostenuto che la Chiesa dovrebbe sistemare il suo reparto di pubbliche relazioni, dato che prominenti voci Vaticane hanno fatto le maggiori gaffes durante la Settimana Santa.

martedì 27 aprile 2010

Roma, vittime accusano il cardinal vicario: non agì contro gli abusi

l’Unità 9.4.10
I legali delle vittime di pedofilia chiamano in causa AgostinoVallini
La difesa: «Ho agito con rigore». L’Economist: Chiesa medievale
Roma, vittime accusano il cardinal vicario: non agì contro gli abusi
Vittime di un prete pedofilo morto suicida accusano il cardinale vicario del Papa, Vallini: quando era vescovo di Albano non intervenne. La replica: quel prete è stato subito sospeso a divinis. Si è scelto il rigore.
di Roberto Monteforte

Lo scandalo pedofilia rischia di colpire anche il vicario del Papa per la diocesi di Roma, cardinale Agostino Vallini. L’accusa è pesante. Riguarda il periodo in cui il porporato era vescovo di Albano. Nel 2006 avrebbe «coperto» un prete pedofilo, don Marco Agostini, ex parroco a Pomezia (Roma), poi arrestato e morto suicida. Nega ogni responsabilà o sottovalutazione il porporato, che anzi, sottolinea: «Ho agito con rigore».
«Quando alcuni anni fa ci rivolgemmo al vescovo di Albano di allora, ora cardinale vicario Agostino Vallini, per denunciare gli atti di pedofilia di don Marco, il vescovo ci disse che “al momento erano solo chiacchiere”. Poi ci spiegò che avrebbe preso provvedimenti, ma don Marco non fu denunciato alla polizia nè interdetto dal sacerdozio, fu solo trasferito ad Assisi, dove vedeva altri giovani». Parla così una delle presunte vittime dell'ex parroco coinvolto nell'aprile 2006 in un'indagine sulla pedofilia condotta dagli agenti della squadra mobile di Roma. Don Marco è morto suicida a Roma nell'agosto 2006 mentre era agli arresti domiciliari. Era stato arrestato il 5 aprile dello stesso anno dagli agenti che avevano fatto luce su una brutta storia di violenze e soprusi a danno di minori. L’arresto è avvenuto ad Assisi, dove il religioso era stato trasferito nel 2002. «Stiamo valutando un’azione civile autonoma nei confronti della curia di Albano afferma l’avvocato Romano, legale delle vittime perché all’epoca dei fatti non avrebbe fatto nulla per impedire gli abusi per cui è responsabile civile». La richiesta è di risarcimento dei danni morali.
LA VERITÀ DEL CARDINALE
Completamente diversa è la ricostruzione dei fatti fornita dal cardinale Vallini. Intanto si chiarisce che don Marco non era un prete della diocesi, ma apparteneva all’Ordine degli Oblati di San Francesco di Sales e che svolgeva il ministero pastorale nella parrocchia di San Benedetto a Pomezia affidata a quei religiosi. Quindi non dipendeva «direttamente» dal vescovo. Il quale però, informato dei fatti, intervenne tempestivamente. Il prete fu immediatamente sospeso «a divinis» e che ne fu chiesto al legittimo superiore (quindi al superiore del suo Ordine) «l’immediato trasferimento ad altra sede, senza l'esercizio del ministero». Nei fatti don Marco non avrebbe potuto più svolgere attività da sacerdote. Comunque non sarebbe stato l’allora monsignor Vallini a trasferirlo ad Assisi. In conclusione si sarebbe praticata la via del rigore e questo malgrado «le forti reazioni al trasferimento dell’ex parroco da parte della popolazione di Pomezia». Questo, ribadisce in una nota Vallini, ancora prima che venisse appurata la «veridicità dei fatti». Nessuna sottovalutazione, quindi. Due verità a confronto. Andrebbero meglio chiarite date e circostanze, azione canonica e collaborazione con la magistratura. Quello che emerge è che il bubbone pedofilia rischia di esplodere anche in Italia, anche nella diocesi del Papa. Proprio nel giorno in cui il segretario di Stato, cardinale Bertone parla del «profondo dolore di Papa» per «i sacerdoti infedeli» e rilancia la teoria del «complotto» evocata dal decano del collegio, cardinalizio Angelo Sodano. La curia fa muro proprio mentre lo scandalo cresce. Ieri vi è stato
il «mea culpa» dei vescovi di Malta.
IL COMPLOTTO TEORIA SBAGLIATA
Il gridare al «complotto», alla «cospirazione» e al «chiacchiericcio» danneggia, anziché aiutare, l'immagine del Vaticano. Lo scrive l’Economist che parla di Chiesa medievale. Mentre si hanno argomenti robusti da utilizzare, si preferisce seguire lo stile usato con successo da Berlusconi: «Gli accusati nei vari scandali che adottano il ruolo delle vittime». Sui buoni argomenti del Papa e della Chiesa, interviene anche Famiglia Cristiana. Titola: «Il Papa agisce, gli Stati no».

lunedì 26 aprile 2010

Rivelazioni. “Così proteggevano gli indesiderati”

il Fatto 6.4.10
Rivelazioni. “Così proteggevano gli indesiderati”

“All'epoca la Chiesa funzionava così. Prestavamo servizio. Se ci veniva chiesto di accogliere un prete indesiderabile, lo accettavamo. Era così vent'anni fa. Ed era un errore”. Sono parole di Monsignor Jacques Gaillot, ex vescovo di Evreux (un centinaio di km a ovest di Parigi) destituito dal Vaticano nel 1995 per dichiarazioni troppo esplicite contro le leggi anti-immigrazione e inviato in Algeria, che racconta al quotidiano francese “Le Parisien” come fu costretto, nel 1987, ad accettare nella propria diocesi un prete canadese condannato per pedofilia. “Non avevo molta voglia di farlo esercitare nella mia diocesi”, ricorda Mons. Gaillot. Che dice anche di rimpiangere la decisione. “Non avrei mai dovuto accoglierlo. Non me lo avrebbero dovuto proporre – dichiara – non si sarebbe mai dovuto farlo curato”.

domenica 25 aprile 2010

Ma l´avvocato antipedofili va avanti e minaccia di promuovere una causa contro la Santa Sede

La Repubblica 7.4.10
Il Wall Street Journal rompe il fronte della stampa americana e critica gli attacchi del NYT
Usa, prete indiano accusato di abusi ora la Chiesa collabora alle indagini
Ma l´avvocato antipedofili va avanti e minaccia di promuovere una causa contro la Santa Sede, mentre il sacerdote nega ogni addebito
di Arturo Zampaglione

NEWYORK - Duro e implacabile, l´avvocato Jeff Anderson, che da tempo guida l´offensiva delle vittime americane contro i sacerdoti pedofili, ha aperto un altro fronte. Dopo aver ottenuto decine di milioni di dollari di risarcimento danni e dopo aver denunciato gli abusi di padre Lawrence Murphy sui bambini sordomuti di Milwaukee, il legale ha sollevato il caso di Joseph Jeyapaul, prete indiano che, durante una permanenza nel Minnesota dove era andato ad aiutare la chiesa locale, avrebbe costretto una ragazza di quattordici anni a fare sesso orale.
Tornato nella diocesi di Ootacamund, in India, Padre Jeyapaul, 55 anni, nega ogni addebito. Ma di fronte ai due capi di imputazione dei magistrati della contea di Roseau, nel Minnesota, e alle loro richieste di estradizione, il Vaticano per la prima volta sta collaborando attivamente alle indagini delle autorità americane e ha fornito le informazioni necessarie per rintracciare il prete. Un avvocato californiano della Santa Sede, Jeffrey Lena, ha anche ricordato che la Congregazione per la dottrina della fede, che è l´organismo di vigilanza della Curia romana, aveva già proposto che Jeyapaul venisse spretato, affidando la decisione finale al vescovo locale.
Jeff Anderson, ovviamente, non si accontenta di queste spiegazioni. E già tenta di puntare più in alto, promuovendo una causa nei tribunali americani contro la Santa Sede in quanto responsabile civilmente dei reati commessi dai suoi sacerdoti. Un´ipotesi, questa, che spaventa l´entourage del Papa e che conferma la delicatezza della questione. Non c´è dubbio, infatti, che la moltiplicazione dei casi di preti pedofili, dagli Usa alla Germania, metta in difficoltà la Chiesa e soprattutto Benedetto XVI per il suo ruolo prima nell´arcidiocesi di Monaco, poi come responsabile della Congregazione per la dottrina della fede. Di qui gli sforzi del Vaticano di reagire alle polemiche e il recente intervento dell´arcivescovo di Washington in difesa del Papa.
Intanto la stampa americana, che all´inizio sembrava compatta nel denunciare i tentennamenti e le ambiguità della chiesa cattolica, comincia ad avere posizioni più articolate. A rompere il fronte è stato il Wall Street Journal: a pochi giorni del lancio della cronaca newyorkese, nuova arma di Rupert Murdoch per contrastare il New York Times, il quotidiano finanziario (e conservatore) pubblica un lungo editoriale di William McGurn in cui viene attaccato il giornale rivale. Il Journal accusa il Times di aver sottaciuto il vero ruolo dell´avvocato Anderson nella sua guerra contro i cattolici. «Quando si tratta di fare causa alla Chiesa - scrive McGurn - Anderson è il primo avvocato d´America». Come dire: agisce per interesse privato e con una violenza viscerale. L´editoriale del WSJ si riferisce soprattutto alla vicenda di padre Lawrence Murphy nella scuola dei sordomuti di Milwaukee, ma le stesse considerazioni potrebbero valere per il caso del prete indiano.
Spedito nell´ottobre 2004 nella diocesi di Crookston, nel Wisconsin, per sopperire alla penuria di vocazioni, padre Jeyapaul vi rimase fino al settembre del 2005. Poco dopo il suo arrivo - secondo la denuncia presentata dalla vittima, il cui nome è tenuto segreto - il sacerdote indiano avrebbe chiesto alla ragazza, che aveva appena di 14 anni, di seguirlo nella sagrestia e lì avrebbe minacciato di ucciderla se non avesse obbedito alla sua richiesta di sesso orale. «Tutto falso», protesta Jeyapaul dall´India, ricordando che la sua diocesi indiana ha condotto una inchiesta sul suo conto in cui non è emerso alcun episodio di molestie sessuali. Ma i magistrati del Wisconsin continuano imperterriti per la loro strada, mentre Anderson promette che andrà fino in fondo.

sabato 24 aprile 2010

Chiesa canadese-abusi. Incontro alla Camera

Chiesa canadese-abusi. Incontro alla Camera

Il manifesto del 7 aprile 2010

Per oltre un secolo, dalla fine dell’Ottocento alla fine del Novecento, centinaia di migliaia di indigeni canadesi hanno subito terribili abusi nelle "scuole residenziali" gestite dalla chiesa cattolica e dalle varie chiese protestanti. Violenze fisiche, sessuali, elettroshock, sperimentazioni di psicofarmaci, sterilizzazioni, costretti a dimenticare la propria lingua, la famiglia, le tradizioni, la propria religione e a cristianizzarsi. Stime realistiche padano di 50.000 bambini scomparsi. Oggi, 7 aprile, alle 14,30, incontro alla Camera (ingresso via Poli 19), organizzato da Anticlericale.net e Radicali italiani. Con la partecipazione di Kevin Annett, ex sacerdote della Chiesa Unita del Canada da cui è stato espulso nel 1995 per aver diffuso notizie su ciò che accadeva nelle Residential Schools canadesi, Interverranno anche due testimoni diretti: Clarita Vargas della Tribù Colville ed Henry Charles Cook della nazione Ojibway. Introdurrà l’on. Maurizio Turco e parteciperanno Cado Pontesilli, segretario di Anticlericale.net, Mario Staderini, segretario di Radicali italiani, e Michele De Lucia, tesoriere di Anticlericale.net e dei Radicali italiani.

venerdì 23 aprile 2010

Primo Piano. La Chiesa nella bufera

l’Unità 9.4.10
Primo Piano. La Chiesa nella bufera
Da predicatore vaticano a supporter di Arkeon l’associazione accusata di violenze sui minori
Padre Cantalamessa, il frate che ha accostato lo scandalo pedofilia con l’antisemitismo, è tra i sostenitori del leader del gruppo Sacred Path, Vito Carlo Moccia, a giudizio a Bari per associazione a delinquere. E non solo
di Giovanni Maria Bellu

l processo è in corso a Bari. Gli imputati sono undici, accusati di reati quali associazione a delinquere, truffa, violenza privata, maltrattamento di minori. Il decreto che dispone il giudizio di Vito Carlo Moccia, inventore del metodo Arkeon, e presidente dell’associazione “Sacred Path”, è un repertorio di violenze psicologiche atroci. La più perfida consisteva nel fare credere agli adepti di aver subito nell’infanzia una violenza sessuale. Per questo si resta di stucco quando, nel leggere l’enorme materiale di documentazione sul “caso Arkeon”, si scopre che il più autorevole sostenitore di questa organizzazione è stato padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, il frate cappuccino che lo scorso 2 aprile, parlando in presenza di Benedetto XVI, ha scatenato uno scandalo planetario paragonando la campagna di stampa sulla pedofilia nella Chiesa con «gli aspetti più vergognosi dell’antisemitismo».
È una storia complicata che si sviluppa in un lungo arco di tempo. Conviene, dunque, andare con ordine. Fondata da Vito Carlo Moccia nel 1999, l’associazione “Sacred Path” (cioè “il sentiero sacro”) nel Duemila, con l’invenzione del metodo Arkeon, assume la natura che l’ha portata in tribunale. Ma in quei primi anni opera con discrezione, aumentando proseliti e profitti attraverso un discreto passaparola. Ha anche una buona stampa. La popolarità televisiva arriva l’11 settembre del 2004. E quel giorno che il nome di padre Raniero Cantalamessa compare per la prima volta accanto a quello di Vito Carlo Moccia. Il predicatore dedica una puntata della sua rubrica televisiva “A sua immagine, le ragioni della speranza”, che va in onda tutti i pomeriggi del sabato su RaiUno, al metodo Arkeon e conduce un'intervista encomiastica a Moccia sul rapporto padre-figlio.
Ancora del lato oscuro di Arkeon non si è parlato. Cantalamessa, dunque, potrebbe essere ignaro di tutto. Deve infatti passare un altro anno e mezzo prima che lo scandalo esploda. Il 20 gennaio del 2006, Maurizio Costanzo ospita nel suo “Tutte le mattine”, che va in onda su Canale5, la psicologa Lorita Tinelli, presidente del Cesap (Centro studi sugli abusi psicologici) e due ex adepti di Arkeon: un “maestro” e una “allieva”. La denuncia dei metodi di Moccia è precisa e circostanziata: le accuse che sono alla base del processo in corso a Bari per la prima volta diventano pubbliche.
Ma Padre Cantalamessa non cambia idea. Al contrario. Un mese dopo a Milano, nella chiesa di S. Eustorgio, celebra una messa alla quale assistono Vito Carlo Moccia e centinaia di suoi discepoli. La cosa colpisce e sorprende quelli che già nutrono molti dubbi sulla vera natura di “Sacred path”. Perché il presentarsi come associazione non solo tollerata ma addirittura approvata dalla Chiesa è uno degli argomenti più forti di una campagna di proselitismo sempre più intensa: il numero degli adepti arriverà a sfiorare la ragguardevole cifra di ventimila.
L'Unità è in grado di raccontare quale fu il comportamento di padre Cantalamessa quando alcune persone si rivolsero a lui per segnalargli specifiche tragedie familiari prodotte dal metodo Arkeon. L’autenticità di questi documenti che aiutano a ricostruire quale retroterra culturale e anche spirituale ci sia dietro la clamorosa gaffe su pedofilia e antisemiti-
smo è certificata. Sono stati, infatti, prodotti dai legali di Vito Carlo Moccia a sostegno di un atto di citazione contro il Centro studi sugli abusi psicologici. In sostanza Moccia, per difendersi, ha chiamato in causa e difficilmente può averlo fatto senza esserne stato autorizzato il predicatore della Casa pontificia.
«Reverendo Padre», comincia così la lettera di un “musicista e studioso cattolico” di Rovereto (abbiamo i nomi degli autori di tutte le missive citate, ma li omettiamo per evidenti ragioni di discrezione, nda), il quale segnala a Cantalamessa il caso di una sua conoscente madre di un ragazzo che «da qualche tempo frequenta il movimento». «È preoccupata scrive perché il figlio «crede ciecamente ai poteri di Moccia, è aggressivo, ha abbandonato la fede e la parrocchia, sostiene la non divinità di Cristo e la sua equiparabilità ai vari profeti e santoni della storia. Sostiene, e qui sta il problema, che il movimento e il Moccia sono “benedetti” da lei padre Cantalamessa che di recente avrebbe celebrato una Santa messa con i diaconi di S. Eustorgio in Milano con il gruppo condividendone gli intenti». Quindi l’autore della lettera chiede al predicatore della Casa pontificia «il giusto consiglio da dare a quella mamma che da poco ha perso il marito e che, da buona cristiana, vorrebbe aiutare il figlio a recuperare la Verità e la Vita».
La risposta arriva poco più di due settimane dopo, il 24 marzo 2006. È una difesa accorata di Moccia e dei suoi metodi. C’è solo una vaghissima, e reticente, presa di distanze; «Non ho celebrato la messa per loro. Hanno chiesto di partecipare a una messa da me celebrata per la parrocchia di S. Eustorgio e sono stati accolti da me e dal parroco. Erano in 400 e hanno edificato tutti: molti si sono confessati e moltissimi hanno fatto la comunione». È vero. Cantalamessa, però, non dice che l’incontro con Moccia si protrasse oltre la celebrazione, proseguì nella sacrestia. Forse non sapeva, né immaginava, che quei momenti erano stati filmati e trasferiti in un Cd promozionale poi diffuso da “Sacred path”.
Il successivo capoverso della lettera è significativo per le analogie che presenta con gli argomenti utilizzati da chi, all’interno della Chiesa, vorrebbe negare il problema della pedofilia. È la tesi del “caso singolo”. «Il campo in cui opera Vito scrive Cantalamessa chiamando confidenzialmente per nome il capo di Arkeon è delicato e non meraviglia che ogni tanto ci sia qualcuno che, per motivi umani spesso complessi e talvolta inconfessati, sparga sul suo conto le voci più allarmanti, giudicando da un caso singolo tutto il complesso dell’opera». Ma la vera sorpresa è alla fine: il predicatore della Casa pontificia non si limita a difendere il capo di “Sacred path” ma si premura di informarlo della denuncia che gli è stata confidenzialmente rivolta. In calce alla lettera c’è, infatti, una nota manoscritta: «Caro Vito, ti invio una lettera che ho ricevuto e la mia risposta, perché, penso, è giusto che sia informato. Con affetto ti abbraccio e ti benedico. P. Raniero».
Qualche tempo dopo, a Cantalamessa giunge un’altra segnalazione allarmata. A inviargliela, il 5 aprile del 2006, è una signora di Magenta: «Molto reverendo padre, mi rivolgo a lei per chiederle aiuto. Una mia cara amica è disperata perché i suoi due figli, entrambi laureati e coniugati, con le loro rispettive famiglia hanno da tempo aderito ad una organizzazione che ha completamente stravolto in senso negativo la loro mente, il loro comportamento e il loro modo di vivere. Essi dicono di dover obbedire ad un certo “maestro”, fondatore e capo, rifiutano i contatti con la loro madre, non le lasciano avvicinare i nipoti. Seguono riti strani e pericolosi ... L’organizzazione si chiama Arkeon».
Il comportamento di padre Cantalamessa è sbalorditivo. Nella documentazione non c’è, come ci si aspetterebbe, la sua risposta. C’è invece (datata 19 aprile 2006) una lettera, scritta dalla stessa città, di un signore che poi è il marito dell’amica disperata della signora di Magenta. Questo signore, al pari dei due figli, ha aderito ad Arkeon o, almeno, ce l’ha in grande simpatia. E fa riferimento al contenuto della lettera inviata a Cantalamessa dall’amica della moglie. Come è potuto succedere? L’unica spiegazione è che anche questa volta Moccia sia stato informato e che abbia chiesto all’adepto di Magenta di scrivere qualcosa di rassicurante all’autorevole sponsor cattolico.
Nel giugno del 2006 viene avviata l’inchiesta giudiziaria. E a ottobre di quello stesso anno, il “caso Arkeon”, come ormai si chiama, riesplode sugli schermi. Questa volta in una puntata di “Mi manda Rai 3” dove sono presenti gli accusatori (tra i quali la psicologa Lorita Tinelli) e il leader degli accusati, Vito Carlo Moccia. C’è anche un ragazzo che racconta di essere stato obbligato a chiedere l’elemosina con appeso al collo un cartello con su scritto «sono schizofrenico». Sua madre in seguito racconterà di aver segnalato il dramma del figlio a padre Cantalamessa fin dal 2004, dopo aver assistito sgomenta all’intervista di Moccia nella rubrica del predicatore, e di non aver mai avuto risposta. L’immagine dell’associazione ne esce a pezzi davanti all’opinione pubblica. Ma, ancora una volta non davanti al predicatore della Casa pontificia.
Ecco come risponde a una lettera inviatagli qualche giorno dopo da un’aderente al Cesap: «Ho visto la trasmissione e mi ha dato l’impressione di un penoso linciaggio. Agli accusati non è stato permesso di terminare una sola frase. C’è stato, mi sembra di capire, un caso di un operatore che ha effettivamente abusato della propria posizione che, però, è stato per questo sospeso (...) Non si dovrebbe fare di ogni erba un fascio. Chi si sognerebbe di voler mettere fuori legge la Chiesa cattolica o l’associazione degli psichiatri perché qualche loro membro ha abusato del suo ufficio?».
Due mesi dopo, il 30 dicembre 2006, si verifica l’evento televisivo più importante. E anche più significativo rispetto ai rapporti tra Cantalamessa e “Sacred path”. Nella settimanale puntata della sua rubrica, il predicatore pontificio manda in onda la registrazione di un’intervista. Nello schermo appare una giovane coppia con un bambino di circa tre anni tenuto in braccio dal padre. Il padre dice di chiamarsi Luca, afferma di «essere stato» omosessuale e di essere «guarito» grazie ad Arkeon. Curiosamente, nel presentare il filmato, Cantalamessa non nomina l’organizzazione ma la definisce semplicemente «gruppo di sostegno». Né, naturalmente, dice chi ha realizzato il filmato, né di chi è la voce fuori campo che pone a Luca domande sul suo percorso. Eppure lo conosce benissimo: è, infatti, Vito Carlo Moccia.
La puntata non passa inosservata. E non solo perché, in seguito, molti riconosceranno in quel Luca il «Luca era gay» della canzone di Povia. Interviene il garante della privacy che rivolge alla Rai e al conduttore un ammonimento per aver violato le regole deontologiche che tutelano i minori. Il bambino di Luca non solo era perfettamente riconoscibile ma, osserva il garante, ha dovuto assistere a un’intervista che riguardava «anche aspetti estremamente delicati relativi a vissuti dolorosi di uno dei genitori: gli abusi sessuali subiti da parte di un familiare».
Se potevano esserci ancora dei dubbi sulla gravità e sulla serietà delle accuse a “Sacred path”, essi vengono a cadere il 10 ottobre del 2007 quando a Moccia e agli altri dirigenti vengono notificati gli avvisi di garanzia. La notizia fa clamore e la tv torna ad occuparsene. Questa volta è Striscia la notizia che scopre e manda in onda spezzoni dell’intervista-spot a Moccia andata in onda nel 2004. L’effetto è sconvolgente per il contrasto tra la figura del predicatore e i fatti raccontati dai testimoni. Cantalamessa è costretto a intervenire.
È una presa di distanze imbarazzata e tardiva, come le scuse alla comunità ebraiche dopo la gaffe sull’antisemitismo. Scrive il predicatore: «Personalmente io non sono venuto a conoscenza di nessun abuso, che altrimenti sarei stato il primo a denunciare e condannare».
È falso. Padre Raniero Cantalamessa fu informato dei comportamenti di “Sacred path” sicuramente nelle due lettere che abbiamo riportato. Non solo non fece alcuna denuncia ma, come abbiamo visto, informò il capo dell’organizzazione. Proprio come quei prelati che, davanti alle denunce di casi di pedofilia, non si rivolsero alla magistratura ma alle autorità ecclesiastiche gerarchicamente superiori.

giovedì 22 aprile 2010

Padre Murphy continuò negli abusi anche «in esilio»

l’Unità 4.4.10
New York Times
Padre Murphy continuò negli abusi anche «in esilio»
Padre Lawrence Murphy, accusato di aver abusato sessualmente di almeno 200 ragazzini sordomuti quando lavorava alla St. John School di Milwaukee, avrebbe proseguito con le sue violenze sino alla sua morte, quindi anche dopo essere stato mandato «in esilio» nel 1974, in un cottage in Wisconsin. Lo scrive il New York Times citando le testimonianze di diverse vittime. Il sacerdote pedofilo fu libero di fare il catechismo ai cresimandi di una scuola religiosa della zona, ospitarli a casa sua e organizzare delle gite. Inoltre ha potuto frequentare i ragazzi di un riformatorio vicino, il Lincoln Hills School for Boys. Nonostante le accuse. gli abusi sono continuati.

mercoledì 21 aprile 2010

Malta, gli orrori nell'orfanotrofio "E i preti pedofili sono ancora qui"

La Repubblica 3.4.10
Alla vigilia della visita del pontefice, la rabbia delle vittime: "Benedetto XVI ci chieda scusa"
Malta, gli orrori nell'orfanotrofio "E i preti pedofili sono ancora qui"
Lawrence Grech ha implorato aiuto al Vaticano: "Nell´isola non ci hanno mai voluto ascoltare"
Tra il 2001 e il 2009 ben 845 i casi di abusi su minori E almeno undici religiosi coinvolti
di Davide Carlucci

LA VALLETTA - Due settimane fa Lawrence Grech ha implorato aiuto al Vaticano. «Sono cresciuto per vent´anni in un orfanotrofio a Malta. Voglio raccontarvi la mia storia e quella di altre nove vittime di abusi sessuali come me. Lo abbiamo già fatto con le autorità ecclesiastiche maltesi, non è servito a niente». Gli autori delle violenze, spiega, sono quattro. «Uno è fuggito in Italia, gli altri tre hanno ammesso le loro responsabilità alla polizia. Ma la Chiesa qui è molto potente, hanno i migliori avvocati…». Finora Grech non ha ricevuto risposte alla sua mail. Ma continua a sperare: la sua grande occasione è la prima visita di Benedetto XVI nell´arcipelago, prevista per il 17 e il 18 aprile. «Vorrei che prima del suo arrivo il papa riflettesse e chiedesse scusa».
L´appello di Grech, costretto, tredicenne, a farsi toccare dai frati dell´orfanotrofio di Santa Venera o a vestirsi da donna - per non dire dei veri e propri stupri denunciati da altri suoi compagni - arriva dopo i continui rinvii di un processo che si trascina ormai da sette anni. La pedofilia tra i sacerdoti a Malta non è purtroppo una novità: una commissione d´indagine diocesana sul fenomeno calcola che siano 45 i religiosi coinvolti negli ultimi undici anni. Nessuno di loro, però, è stato mai condannato né ha mai scontato un giorno di carcere. E il giudice che presiede la commissione, Victor Colombo Caruana, in un´intervista al Times of Malta ha difeso la linea della Chiesa: «Denunciare i casi alla polizia sarebbe inutile, senza il consenso delle vittime».
Ma quando nel 2003 un assistente sociale scoprì gli orrori nell´orfanotrofio di Grech, la Chiesa maltese tentò di bloccare l´inchiesta, appellandosi a un concordato con il governo che sottrarrebbe i preti alla giurisdizione ordinaria. Il tribunale respinse il ricorso ma assicurò che gli atti sarebbero rimasti segreti. Nessuno ha potuto così leggere i verbali con le confessioni di uno dei frati, Joseph Bonnet: «A Leonard (una delle vittime, ndr) piaceva stare sulle mie gambe… Un giorno eravamo tutti e due nudi… Può darsi che in quel momento io mi sia toccato davanti a lui…». O l´ammissione di Charles Pulis: «La mia camera era come un club, tutti i ragazzini venivano a stare sul mio letto. E da allora è cominciata tra il 1982 e il 1983, la mia debolezza. Questi abusi sessuali sfortunatamente erano molto frequenti». Pulis dice di aver cercato di contenere i suoi impulsi. «Volevo uscirne. Così sono andato a Roma a visitare la Casa dei bambini. E lì mi hanno suggerito di seguire un programma di recupero. La terapia mi ha fatto molto bene, sono diventato sensibile ai bambini vittime di abusi».
Tra gli imputati c´è anche padre Godwin Scelli, sfuggito a un arresto in Canada per altri abusi. Scelli trovò facilmente riparo a Roma e a Malta: l´arcivescovo dell´epoca, pur essendo a conoscenza dei suoi precedenti, lo aveva accolto nella sua diocesi, bollando le notizie su Scelli come «indiscrezioni giornalistiche».
L´agenzia Appogg si è occupata, tra il 2001 e il 2009, di ben 845 casi di abusi, sessuali e non, su minorenni. «Ma se a commetterli sono preti e suore, quasi sempre le denunce restano in parrocchia», accusa Grech. A Gozo, nel villaggio contadino di Nadur, incontriamo un sacerdote sospeso dalla Curia: non può recitare messa in pubblico ma continua a farlo in privato. «Fu la madre di un ragazzo a denunciarmi. Aveva avuto un esaurimento, povera donna…». La gente del paese è con lui: «E´ innocente - assicura una fedele - e comunque, chi siamo noi per giudicare?».
È finita con le scuse dell´arcivescovo di Gozo - ma senza nessuna conseguenza penale - anche l´inchiesta interna sul convento di Ghajnsielem, che nel 2008 confermò le accuse sulle sevizie alle quali erano sottoposte le bambine, costrette a ingoiare il loro vomito e frustate con la cinghia sin dagli anni Settanta.
A Gozo, nel capoluogo Victoria, vive anche padre Anthony Mercieca, divenuto famoso, nel 2006 per aver molestato il deputato repubblicano Mark Foley quando era ancora tredicenne. Fu Foley a fare il suo nome dopo essersi dimesso perché accusato, a sua volta, di aver importunato i suoi giovani collaboratori. «Facevamo il bagno nudi e forse una volta lo toccai…», ammise poi Mercieca in un´intervista. Poi si fecero avanti altre due presunte vittime, una delle quali raccontò di essere stato costretto anche a rapporti orali. «Ho negato tutto. E non ho voglia più di resuscitare questi fantasmi, ormai è acqua passata: ho già sofferto molto», taglia corto ora Mercieca, che a Victoria è ancora molto rispettato: una foto che lo ritrae da giovane è in bell´evidenza nella fornitissima - grazie alle sue donazioni - biblioteca della Cattedrale.
In questi giorni molti, a Malta, chiedono verità. Nei forum e nei gruppi Facebook che da tempo chiedono l´istituzione di un registro dei pedofili - da poco approvato dal parlamento maltese - si parla apertamente di «omertà» e si propone una commissione d´indagine come in Irlanda. Ma dal governo fanno sapere: «Non è nella nostra agenda».

La stampa Usa moltiplica le accuse sugli insabbiamenti dei casi di pedofilia nella Chiesa: ultimo caso a Tucson

il Fatto 4.4.10
La valanga vaticana
La stampa Usa moltiplica le accuse sugli insabbiamenti dei casi di pedofilia nella Chiesa: ultimo caso a Tucson
di Angela Vitaliano

Il futuro Pontefice fece passare 12 anni prima di cacciare il reverendo dell’Arizona Teta

In una domenica di Pasqua assolata e primaverile, molti cattolici, da questa parte dell’oceano, si recheranno in Chiesa augurandosi, silenziosamente, pace prima di tutto per sé stessi, da settimane sotto il fuoco incrociato di tutta la stampa, a partire dal New York Times, per gli scandali legati alla pedofilia e “coperti” da chi aveva il compito di intervenire e punire. Una situazione estremamente difficile, aggravata, ieri, da due nuovi cicloni che hanno travolto il Vaticano e inasprito il disappunto di molti fedeli e, questa volta, anche dell’intera comunità ebraica offesa per il paragone, avanzato durante la messa del venerdì Santo, dal predicatore papale Rainero Cantalamessa che ha messo sullo stesso piano gli “attacchi” a papa Ratzinger alle persecuzioni contro gli ebrei. Un intervento che il portavoce Vaticano, padre Federico Lombardi, ha definito “non in linea con la posizione della Chiesa” ma che qui, negli Stati Uniti, è stato recepito come un vero e proprio oltraggio, soprattutto nella settimana in cui gli ebrei celebrano il Passover (per commemorare la fuga dall’Egitto e la fine della loro schiavitù).
Alan Elsner, giornalista che ha dedicato parte della sua carriera alla ricerca delle storie delle persecuzioni naziste sugli ebrei, scriveva ieri nel suo blog “per favore lasciate gli ebrei fuori dalle storie di abusi sui bambini dei cattolici”. Insomma, un autogol non da poco che diventa una vera e propria goleada se si considera che nelle stesse ore, l’Associated Press, riferisce, documenti alla mano, di due casi di abusi, avvenuti in Arizona e che, l’allora cardinale Joseph Ratzinger avrebbe fatto scivolare nel dimenticatoio per un decennio. La storia riportata dall’Ap, si riferisce all’episodio avvenuto a Tucson e riguardante l’allora reverendo Michael Teta, responsabile di abusi sessuali su due bambini di 7 e 9 anni che frequentavano la diocesi per prepararsi alla prima comunione. Nel 1990, un tribunale ecclesiastico aveva riscontrato la responsabilità di Teta, descritto come un uomo “con qualità sataniche nel suo agire nei confronti di ragazzi e bambini”. Il tribunale riferì dell’accaduto all’allora responsabile della Congregazione della Dottrina della Fede, cardinal Ratzinger, futuro papa che, però, impiegò 12 anni per intervenire con la scomunica ufficiale di Teta, passo che solo il Vaticano può compiere. Nonostante una lettera datata 8 giugno 1992, fornita all’Associated Press dall’avvocato delle due vittime di abusi Lynne Cardigan, in cui Ratzinger, informava l’allora vescovo di Tucson, Manuel Moreno, che premeva per la risoluzione del caso, che si sarebbe occupato rapidamente della questione, nessun passo venne compiuto e Teta, sebbene sospeso dalle sue funzioni dal vescovo, continuò per anni a essere retribuito e a occuparsi di ragazzi, fuori dalla chiesa. Moreno, continuò a scrivere periodicamente chiedendo l’intervento di Ratzinger; in una lettera del 10 febbraio 2003, facendo riferimento ad un articolo dell’Arizona Daily Star in cui si descriveva Teta alla guida di una Mercedes con interni in pelle e un rosario appeso allo specchietto retrovisore, implorò l’intervento del Vaticano così come, dopo il suo pensionamento per cause di salute, fece il suo successore Girald Kicanas. La laicizzazione di Teta avvenne solo nel 2004.
Quello di Tucson, tuttavia, è solo l’ultimo di una serie di casi denunciati, in prima istanza dal New York Times che in un’inchiesta a firma di Laurie Goodstein, ha portato alla luce lo scandalo dei 200 bambini sordi molestati alla St. John School nel Wisconsin. Le molestie furono tutte perpetrate dall’allora reverendo Lawrence C. Murphy che, come raccontato da una delle vittime, Steven Geier, diceva ai bambini che provavano a ribellarsi di “essere stato mandato da Dio”. Le molestie, avvenute fra il 1950 e il 1974 (e, secondo il New York Times di ieri proseguite anche dopo l’esilio in cui fu mandato), furono denunciate, come per il caso di Tucson, al cardinale Ratzinger, sempre in virtù del suo ruolo di capo della Congregazione per la dottrina della fede. Ancora una volta, però, le segnalazioni giunte sulla scrivania del cardinale nel 1996 restarono lettera morta per almeno 8 mesi fino a quando, cioé il cardinale Tarcisio Bertone, oggi segretario vaticano, diede indicazioni al vescovo del Wisconsin d’iniziare un processo canonico interno riservato, che venne poi bloccato dallo stesso Bertone a seguito d’una lettera che Murphy scrisse personalmente a Ratzinger pregandolo, per rispetto della sua salute precaria di “lasciargli vivere dignitosamente i suoi ultimi anni di vita”. Sebbene non ci siano tracce di risposta da parte di Ratzinger, il caso venne lasciato languire e nessun procedimento venne intrapreso nei confronti del prete.
Sin dalla prima denuncia del New York Times, fino a quella di ieri dell’Associated Press, passando per il botta e risposta con il Vaticano, ciò che appare evidente, qui negli Stati Uniti, è che ci sia una debolezza da parte dei vertici vaticani che rischia di gettare discredito sulla sacralità della Chiesa cattolica e la sua stessa istituzione.
Le responsabilità di Ratzinger e degli altri dirigenti sono sì legate al mancato intervento in casi gravissimi che richiedevano procedimenti esemplari ma sono anche, e soprattutto, connesse al fatto che una leadership che copre misfatti o se ne rende protagonista non può che indebolire l’istituzione stessa che rappresenta.
Per questo, la Chiesa cattolica americana sta chiedendo, in maniera pressante, una revisione della legge canonica che possa portare ad una severità pari a quella attuata, a livello locale, dopo lo scandalo del 2002 che travolse la chiesa di Boston nel Massachusetts e costò cifre astronomiche in risarcimenti alle vittime.

martedì 20 aprile 2010

Alejandro Amenábar: Il Vaticano ha nascosto la mia «Ipazia» con una coltre di silenzio

l’Unità 20.4.10
Esce finalmente anche in Italia, «Agorà» il film dedicato all’astronoma e filosofa greca, uccisa da fanatici cristiani nel 391 dopo Cristo. Lo porta in sala Mikado che parla di «stizza e silenzio» da parte della Chiesa
Il regista: «Ho trattato un periodo del cristianesimo mai portato al cinema»
La Commissione «Dalla Cei ci è arrivata solo qualche espressione stizzita»
Alejandro Amenábar: Il Vaticano ha nascosto la mia «Ipazia» con una coltre di silenzio
«Dopo duemila anni il fanatismo religioso continua ad uccidere»
di Gabriella Gallozzi

Stizza e silenzio. Questa la reazione della Commissione della Cei, preposta alla valutazione dei film da destinare alle sale del circuito cattolico, di fronte ad Agorà, la pellicola di Alejandro Amenábar sulla vita di Ipazia, filosofa greca uccisa dagli integralisti cattolici nel 391 dopo Cristo.
Evidentemente alla Commissione di prelati non deve proprio essere andato giù vedere quell’orda di fanatici cristiani assalire e distruggere la storica Biblioteca di Alessandria d’Egitto, simbolo universale della cultura, alla stregua dei talebani che distruggono Buddha secolari ed ogni iconona del sapere. Per non parlare poi del vescovo Cirillo, riconosciuto tra i padri fondatori della chiesa, descritto come uno spietato carnefice che usa la religione per controllare il potere politico e mandare a morte Ipazia, simbolo di tolleranza e fede nella conoscenza. Anche se è storia, è troppo scomoda per la Chiesa quella che racconta Agorà.
Tanto che l’uscita del film, così in ritardo rispetto alla sua presentazione allo scorso Cannes, è stata anticipata da infinite polemiche.
POLEMICHE E PRESSIONI
Con tanto di petizione in rete per sollecitarne una distribuzione in Italia. Alla fine è stata Mikado a scegliere di potarlo in sala (esce il 23 in 200 copie), come sottolinea la nuova ad Sonia Raule, sfidando eventuali pressioni vaticane: «non ci siamo posti questo problema», spiega. Ma anzi, al contrario, «abbiamo tentato di aprire un dialogo con l’ambiente cattolico», dice stavolta Andrea Cirla, responsabile marketing della Mikado. Per questo hanno anticipato la proiezione per la Commissione della Cei già alcuni mesi fa. «Da parte loro, però prosegue Cirla ci è arrivata solo qualche espressione stizzita di dissenso. E poi una voluta coltre di silenzio sui loro organi di stampa. Secondo noi un atteggiamento studiato».
Consapevole delle polemiche che avrebbe suscitato il film si dice lo stesso regista: «Quello che abbiamo raccontato spiega l’autore di Mare dentro è un periodo del cristianesimo mai portato al cinema. Ma il film non vuol essere offessivo nei confronti dei cristiani, piuttosto un forte atto di denuncia contro l’intolleranza. Volevo far vedere che la storia di allora non è così diversa dal nostro presente: certo, il cristiano di oggi non uccide, ma altre forme di estremismo sì». Pensate a proposito, prosegue Amenábar, «che Agorà è stato vietato ad Alessandria d’Egitto per timore che potesse scatenare violenze da parte dei musulmani nei confronti della minoranza cristiana. Come vedete la storia si ripete».
DONNE E INTOLLERANZA
Così come la violenza nei confronti delle donne. «I primi obiettivi dell’intolleranza prosegue il regista sono le donne e la scienza. In questo senso la storia di Ipazia ha una forte componente femminista, poiché tiene in sè le due cose: lei è l’unica scienziata, l’unica astronoma tra tanti uomini. Anzi i suoi allievi sono degli uomini e questo è intollerabile per il potere. Forse se fosse stata un uomo non l’avrebbero neanche uccisa». Invece la sua fine è stata atroce: scarnificata viva. Ma Amenábar ha scelto un finale più «soft»: la lapidazione. «Sempre per ricollegarmi all’attualità conclude perché purtroppo questo accade ancora oggi a molte donne, in molte parti del mondo».

Elaborare linee guida per fare un «favore» al Vaticano e un dispetto alle donne è controproducente

l’Unità 7.4.10
Ru486, tutto quello che non si dice del farmaco e del ricovero
La degenza? Inutile, non necessaria, inapplicabile, svantaggiosa per le donne. La stessa legge 194 parla di eventualità. Elaborare linee guida per fare un «favore» al Vaticano e un dispetto alle donne è controproducente
di Carlo Flamigni

Le dichiarazioni dei due Governatori leghisti che hanno affermato di non voler consentire l’uso della pillola abortiva Ru486, come del resto le esternazioni di alcuni vescovi in loro appoggio, fanno parte della quota di sciocchezze che siamo ormai abituati ad attenderci dai dirigenti della Lega (e, purtroppo, anche da alcuni esponenti della Chiesa Cattolica), persone altrettanto improvvide quanto rapide nella ritrattazione, e non mi pare che meritino particolare attenzione, la legge non dà loro alcun potere del genere e l’elettorato leghista non merita dirigenti così poco assennati. Di ben diverso rilievo è l’intervento del Consiglio Superiore di Sanità (Css), che ha approvato un documento inusuale (ad esempio, riporta complessivamente 170 voci bibliografiche che non sono mai citate nel testo e che contengono, diciamo per il 90%, opinioni completamente difformi dalle conclusioni del Css) che prevede il ricovero ordinario per tutte le donne che sceglieranno di abortire con il metodo farmacologico. Per capirci, si tratta di un tentativo di rendere poco applicabile l’aborto farmacologico costringendo le donne a un lungo, inutile e fastidioso soggiorno in Ospedale. Non mi dispiacerebbe che il Consiglio Superiore di Sanità, che se non sbaglio non è organo di una Loggia Massonica ma, più modestamente, una Istituzione dello Stato, rinunciasse a vietare la diffusione dei verbali delle riunioni e dei documenti interni. Voci di corridoio (voci femminili di corridoio) riferiscono che il Presidente del Css ( Il professor Garaci, Presidente anche dell’Istituto Superiore di Sanità) ha inviato a tutti i membri una lettera nella quale chiedeva (esigeva?) che il documento fosse approvato all’unanimità; le stesse voci riferiscono che l’unanimità non c’è stata e che al contrario ci sono state voci di protesta. Basterebbe un po’ di trasparenza per evitare la diffusione di queste chiacchiere (calunnie?).
Ma parliamo dell’obbligo di ricovero ordinario, una scelta che certamente sarà causa di un contenzioso, almeno con alcune Regioni. La prima cosa da rilevare è che un ricovero ordinario non è necessario, la maggior parte dei Paesi che utilizzano l’Ru486 preferisce il ricovero in Day Hospital e molti altri non ricoverano e lasciano che tutto si svolga a domicilio. Ci sono esperienze amplissime che lo dimostrano e le stesse esperienze italiane lo confermano. Il secondo rilievo è che si tratta di un ricovero inutile, che viene proposto, almeno in teoria, per evitare possibili complicazioni senza tener conto del fatto che, se complicazioni si verificano, sono sempre molto tardive e si manifestano giorni dopo che il ricovero è finito. Terza cosa, si tratta di una scelta in gran parte inapplicabile, la nostra Costituzione ci consente di rifiutare i ricoveri obbligatori, salvo casi che non hanno niente a che fare con questo. Poi è una scelta che va tutta a sfavore delle donne che, quando avranno deciso di firmare la cartella e di tornarsene a casa, cosa che faranno in molte, saranno veramente sole perché la responsabilità delle strutture sanitarie cesserà di esistere. E ancora, è una cosa che va contro il buonsenso clinico e l’esperienza dei medici, l’aborto farmacologico riproduce una situazione frequente nella patologia ostetrica spontanea, l’aborto interno, che nessun medico, nelle stesse iniziali settimane di gravidanza, si sognerebbe mai di ricoverare.
Andiamo avanti. La nostra Costituzione stabilisce l’esistenza di notevoli limiti per tutti i legislatori – e quindi sia per quelli statali che per quelli regionali – per tutto quanto ha a che fare con le modalità di cura e i trattamenti sanitari e non credo che possa essere il Ministro della Salute a poter intervenire nei problemi che riguardano la libertà professionale del medico e il rapporto tra costui e i suoi pazienti, anche tenuto conto del fatto che in questa materia esiste un unico possibile limite, che ha a che fare con la tutela della salute del cittadino-paziente. Ancora: la legge 194, che regolamenta le interruzioni volontarie della gravidanza,non fa mai riferimento a un ricovero ordinario, descrive la degenza come “eventuale”, consente l’esecuzione degli interventi chirurgici negli ambulatori (che non hanno possibilità di ricoverare pazienti). La stessa legge lascia inoltre aperta una strada alla innovazione, quando affida alle Regioni il compito di promuovere l’impiego di tecniche più moderne e più rispettose della integrità fisica della donna (e questo è esattamente il caso). E ancora. Stiamo parlando di trattamenti che appartengono alla categoria dei livelli essenziali di assistenza, cioè di cure che ammettono l’intervento del Ministero solo per quanto riguarda l’idoneità delle strutture, non la modalità con la quale debbono essere erogate. E stiamo parlando del Css, che è autorizzato a dare pareri privi di conseguenze giuridiche specifiche. Insomma saranno le Regioni, molte delle quali hanno già istituito gruppi di esperti capaci di preparare specifiche linee guida, a decidere i comportamenti che sarà saggio adottare. Elaborare linee guida generali basate sul desiderio di fare un dispetto alle donne e un favore al Vaticano non è solo sbagliato, è controproducente. Temo, per concludere, che molte brave persone si siano lasciare confondere da un libro recentemente pubblicato da due gentili signore, nel quale erano contenuti dati peculiari e altrettanto poco credibili suidrammichepotrebberoconseguire all’impiego del farmaco in questione. Il medesimo testo afferma che l’aborto farmacologico determinerà un aumento delle richieste di interruzione della gravidanza, affermazione lesiva della intelligenza delle nostre donne e comunque contraddetta dalle esperienze di tutto il mondo. Secondo questo testo, infine, la totalità di coloro che sostengono che si tratta di un metodo con vantaggi e svantaggi ma che è comunque conveniente utilizzare anche nel nostro Paese, avrebbe venduto l’anima all’Industria Farmaceutica. Poiché personalmente nutro, per l’Industria Farmaceutica, la stessa fondamentale antipatia che provo per le due suddette signore, credo di poter essere assolto da questa accusa. E a proposito del libro in questione, userei una espressione cara agli spagnoli: corramos tupido velo, meglio lasciar perdere.

lunedì 19 aprile 2010

Iniziativa contro il magistrato milanese Pietro Forno, che indaga sui casi di molestie

l’Unità 3.4.10
Iniziativa contro il magistrato milanese Pietro Forno, che indaga sui casi di molestie
La denuncia dell’omertà dei sacerdoti raccolta dal “Giornale”. Per il Guardasigilli è diffamazione
La denuncia: «Mai una segnalazione dalla Chiesa, solo dai familiari delle vittime»
Come i leghisti anti-pillola. Anche il ministro tenta di ingraziarsi le gerarchie vaticane
Pedofili, pm: Chiesa omertosa
E Alfano manda gli ispettori
La solita storia: o l’inchiesta piace al governo, e ai suoi sponsor, oppure il ministro Alfano manda gli ispettori. E così il guardasigilli paga la cambiale alla chiesa dopo l’appello al voto contro Bresso e Bonino.
di Oreste Pivetta

Il ministro Angelino Alfano si sta inventando un nuovo modo di far giustizia, senza aspettare le riforme di Berlusconi. La sua idea è che un’inchiesta giudiziaria si possa fare, ma solo con il suo nihil obstat governativo. Procede con giudizio, per il momento solo inviando i suoi ispettori dove qualcosa non gli garba o non garba al suo padrone. In Puglia piuttosto che a Milano. Il ministro non si scandalizza per i colpi di Cota o di Zaia contro una legge della Repubblica. Se la prende con un magistrato che indaga su casi di pedofilia e che chiama in causa le gerarchie della Chiesa. Il caso è ben raccontato dal Giornale della famiglia Berlusconi: l’altro ieri in un’intervista con il magistrato, il procuratore aggiunto Pietro Forno, cattolico, capo del pool specializzato in molestie e stupri, ieri dando la parola addirittura al padre, il signor G., di una piccola vittima. Spiegava Forno che certi vescovi coprivano quanto avveniva nella loro diocesi: «Nei tanti anni in cui ho trattato l’argomento non mi è mai, e sottolineo mai, arrivata una sola denuncia nè da parte dei vescovi nè da parte dei singoli preti. Le indagini sono sempre partite da denunce dei familiari delle vittime che si rivolgono all’autorità giudiziaria dopo che si sono rivolti all’autorità religiosa, e questa non ha fatto assolutamente niente». E ancora: «Si creano legami di difesa, di protezione. E c’è soprattutto la paura dello scandalo». Raccontava il padre che la bimba frequentava un oratorio dei salesiani, che la bimba era stata oggetto di attenzioni poco simpatiche, che lui stesso ne aveva parlato con i religiosi, che aveva atteso per mesi una reazione, di aver subìto per ripicca ogni genere di angherie, di essersi alla fine deciso alla denuncia. Leggiamo: «...a parlare con il signor G. si direbbe che Forno sia stato fin troppo cauto. Perché in questo caso i superiori del prete sotto accusa non si sono limitati a insabbiare. Hanno reagito ribaltando le parti, trasformando la vittima in colpevole, isolando lei e la sua famiglia...». «Mi aizzarono contro gli altri parrocchiani – queste son parole del signor G. – Ordinarono a tutti di chiudermi le porte in faccia». Nel frattempo le indagini proseguono. La Procura mette sotto controllo alcuni telefoni. Intercettazioni. Qui già si immagina Alfano inorridire. Il parroco, riferisce ancora il Giornale di Feltri, che avrebbe dovuto vigilare sul prete in sospetto di pedofilia, viene intercettato mentre fa sesso al telefono. L’ispettore dei salesiani, che avrebbe dovuto governare le indagini, viene ascoltato mentre orchestra
le testimonianze «per addomesticare» quelle indagini. Sembra Il nome della rosa. Sembra una mafia, commenta il signor G. , che poi riferisce altri particolari della brutta storia, ormai riassunta in un processo che andrà presto a sentenza. Il Giornale, con un sorprendente senso della par condicio, cita le reazioni del solito cardinal Bagnasco: «Le ombre non cancellano i meriti della Chiesa». Nessuno si sognerebbe di negare i meriti di Tettamanzi (delle diocesi di Milano, appunto, si parla) e di tanti preti. Il Giornale intervista pure monsignor Girolamo Grillo, vescovo di Civitavecchia, che critica le generalizzazioni
ma denuncia l’omertà: «Da me sono venute persone che sapevano... Ma mai queste persone hanno accettato di firmare una testimonianza e, lasciandomela, di permettermi di intervenire nelle sedi opportune...».
Il ministro non attende il processo, l’unico antidoto alle generalizzazioni, ma ordina l’inchiesta, «lette le dichiarazioni rese... alla stampa dal Procuratore aggiunto di Milano dott. Forno... considerato il carattere potenzialmente diffamatorio di tali dichiarazioni». L’accusa: violazione dei doveri di correttezza, equilibrio e riserbo...
Corrono a dar man forte ad Alfano, Formigoni, Lupi e vari altri del centrodestra, gli stessi pronti a rimbrottare il cardinale Dionigi Tettamanzi quando parla di poveri e di immigrati.
Alfano, senza un attimo di esitazione, è salito sul carro dell’opportunismo clericaloide. Preceduto in volata dagli zelanti governatori del Piemonte e del Veneto, dimentichi delle sparate di Bossi contro i «vescovoni» di Roma (ma se n’è dimenticato anche Bagnasco), ha voluto far la sua comparsata nella corsa a ingraziarsi i potenti del Vaticano. Ovviamente a proposito delle vittime non s’è lasciato sfuggire una parola di giustizia o almeno di pena. Neppure un amen per la laicità dello Stato.

domenica 18 aprile 2010

Quella grande lobby chiamata chiesa

l’Unità 4.4.10
Quella grande lobby chiamata chiesa
di Andrea Boraschi

Anche oggi è importante per i cristiani non accettare un’ingiustizia che venga elevata a diritto, per esempio quando si tratta dell’uccisione di bambini innocenti non ancora nati». Così Benedetto XVI, pochi giorni addietro, parlando di aborto.
Or dunque sappiamo, in virtù di una malintesa attitudine “riformista”, che ogni espressione “radicale” (ovvero non “estremista”, ma più semplicemente “ultima”) è, al giorno d’oggi, quanto meno inelegante; perciò non sta bene parlare di “ingerenza” della Chiesa negli affari di Stato italiani. Eppure si dovrà, prima o poi, affrontare apertamente la sostanza elementare di alcune questioni e tornare a definire reciprocità di ruoli, funzioni, prerogative. Quindi spiegare, molto banalmente, che se nessuno intende inibire la gerarchia cattolica dalla partecipazione al dibattito pubblico, parimenti nessuno dovrebbe misconoscere la gravità dell’invito rivolto a parte consistente della popolazione italiana, da parte di un capo di Stato straniero, a non riconoscere la legge e a disubbidirla.
Che al fondo di quell’invito, poi, vi sia una questione morale del massimo rilievo (la “salvaguardia della vita”) non cambia – ahinoi – i termini della questione. Perché appare sempre più evidente come il passaggio da una Chiesa con appendice partitica a una Chiesa con apparati e prassi lobbistiche non abbia giovato granché alla nostra democrazia. L’azione del Vaticano s’è fatta, negli anni, tanto dirompente quanto strisciante, tanto intensa quanto accerchiante. Se partecipare da soggetti organizzati al confronto civile vuol dire lanciare scomuniche antiabortiste alla vigilia delle elezioni e passare all’incasso all’indomani del voto, ebbene, qualche obiezione merita d’essere mossa.
Le campagne “pro life” della Santa Sede non sono mera espressione di un credo o di un diritto al dissenso: aggrediscono direttamente il piano giuridico e quello sanitario e, ancor più, misconoscono la principale forma di democrazia diretta garantita dalla nostra Costituzione, negando la volontà democratica espressa con il referendum sull’aborto del 1981. Che oggi la Cei usi strumentalmente la Lega, un partito xenofobo e fino a poco tempo fa fieramente pagano, per avversare il diritto all’interruzione di gravidanza, è cosa amara. Ma facciano qualcosa di più coraggioso: provino a misurare il consenso di cui godono i loro convincimenti. Chiedano ai padani di raccogliere le firme per un nuovo referendum. E coloro, poi, che intendono seguire la pastorale e disobbedire la legge (ostacolando o rifiutando trattamenti previsti per norma dal Servizio Sanitario Nazionale) facciano come i radicali degli anni ’70, che aiutavano le donne ad abortire in situazioni medicalmente protette: si autodenuncino.

Quando ai preti piacevano le stellette


Quando ai preti piacevano le stellette

L'idea fallica nella bibbia


L'Idea fallica nella Bibbia

sabato 17 aprile 2010

Anche a Washington vittime in piazza davanti all’ambasciata

l’Unità 4.4.10
Anche a Washington vittime in piazza davanti all’ambasciata
Non solo le iniziative della Snap. Negli Stati Uniti scende il gradimento di Benedetto XVI. Lo criticano due americani su tre, lo apprezza solo 1 cattolico su 5
di Rachele Gonnelli

I cattolici statunitensi cominciano a non credere più all’infallibilità del Papa. Di questo papa Benedetto XVI, in rapporto al suo operato di fronte al fenomeno dei preti pedofili. Soltanto un cattolico su cinque giudica bene l’atteggiamento preso a questo riguardo dal pontefice arrivato al Sacro Soglio nell’aprile di cinque anni fa. Due americani su tre, incluso la maggioranza di quelli di religione cattolica, ne dà addirittura un cattivo giudizio. Il sondaggio è stato realizzato dalla Cbs, uno dei maggiori network televisivi, e realizzato tramite interviste telefoniche su un campione selezionato di 858 cittadini Usa tra il 29 marzo e il 1 aprile. Ciò che impressiona di più è però il confronto con i risultati delle interviste realizzate nel 2006.
In quattro anni quelli che si esprimono con un police verso nei confronti di papa Ratzinger sono passati dal 4 al 24%, aumentando di 10 punti anche tra i cattolici. Sempre tra i cattolici chi si definisce «indeciso», non condanna ma neanche si sente di assolvere il papa, è il 36%, venti punti in più di quattro anni fa. I consensi nell’operato di Ratzinger, di cattolici e non, sono crollati del 13 percento. E tutto ciò è successo prima delle ultime polemiche sulle parole del predicatore della Casa Pontificia, Raniero Cantalamessa che ha paragonato le accuse alla Chiesa di Roma per pedofilia all’antisemitismo. Parole che hanno sollevato un coro di sdegno nelle comunità ebraiche di mezzo mondo ma che hanno indignato anche una non trascurabile parte dei cattolici.
Sotto l’ambasciata vaticana a Washington Dc, ieri mattina si è svolta una piccola manifestazione di protesta nei confronti dell’incauto paragone di Cantalamessa. Ad organizzarla era ancora una volta la signora dai capelli rossi che tanti incubi sta causando alle alte gerarchie della Santa Sede: la signora Barbara Blaine, presidente e fondatrice dell’organizzazione cattolica Snap, acronimo di Survivors Network of Those Abused by Priest, la rete dei sopravvissuti agli abusi sessuali dei sacerdoti. È lei stessa stata vittima di violenza sessuale da parte di un prete, dal 1969 al 1974, e a partire dal 1988 ha iniziato a raccogliere testimonianze e prove di colpevolezza e ad aiutare le altre vittime con cui veniva a contatto, prima a Chicago, la sua città, poi nel resto degli Usa e in Canada. Oggi ne rappresenta 9mila, la rete Snap ha aperto uffici in Europa e «stanato» una quarantina di prelati che, in fuga dagli Usa, si erano rifugiati in Messico, la nazione con la più alta concentrazione di fedeli cattolici del mondo dopo il Brasile. La signora Blaine li ha scovati anche lì, seguendone le tracce sulla scia di quello che faceva il Centro Wiesenthal. Non solo. È ancora lo Snap, nella persona di un altro dei cinque soci fondatori, Peter Isely, ad aver spinto a parlare con la stampa una delle vittime di Lawrence Murphy, violentatore di bambini sordi in una scuola del Wisconsin. Quelle denunce sono alla base dei dossier del New York Times. La signora rossa non perdona.

venerdì 16 aprile 2010

Per una rivolta laica

il Fatto 6.4.10
Per una rivolta laica
di Paolo Flores d’Arcais

L a Chiesa gerarchica ha dichiarato guerra alle libertà repubblicane (la Chiesa dei fedeli è ovviamente altra cosa). Ha presentato il conto. E la Lega celta e pagana, improvvisamente convertita sulla via di Damasco dai voti decisivi di Ruini e Bagnasco, ha pagato pronto cassa. La pillola RU 486 deve restare nei magazzini, a dissipazione dei soldi del contribuente, ma soprattutto perché la donna snaturata impari almeno che “abortirà con dolore”.
Il male dei cittadini (o almeno delle cittadine) è, alla lettera, il vero programma del “partito dell’amore”.
Questa politica della malvagità conosce però un punto debole. L’aborto è un diritto (doloroso, ma un diritto), nei tempi e nei limiti stabili dall’attuale legge. Entro i 90 giorni dal concepimento la donna può abortire qualora sussista “un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica” (art. 4), motivato anche dalla “incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari” (art.5). Dopo i 90 giorni, “l’interruzione volontaria della gravidanza può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro” (art. 6). L’aborto può essere compiuto in entrambi i casi fino a che non sopraggiunga la “possibilità di vita autonoma del feto” (art. 7. Autonoma significa autonoma, non attraverso macchinari) e nel caso a) senza neppure questa limitazione.
E quanto all’obiezione di coscienza, l’articolo 9 è tassativo: gli enti ospedalieri e le case di cura sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale.
REGOLE E LEGGI. La legge non pone limiti a tecniche che rendano l’aborto meno pericoloso e/o doloroso. La pillola Ru486 fa ormai parte del prontuario farmaceutico autorizzato negli ospedali (del resto in Europa è di uso corrente da circa un ventennio). La sua fruizione è un diritto della donna. Come è un diritto (di ogni paziente) farsi dimettere dall’ospedale sotto propria responsabilità, anche a terapia non conclusa. Tutto il resto è prevaricazione e illegalità. Se il kombinat clerical-berlusconian-leghista vuole fare esperimenti “in corpore vili” contro le donne, faccia una legge che proibisce e punisce l’aborto. E andremo a un nuovo referendum. E l’opposizione (“se ci sei batti un colpo”) dimostri di non essere prona nel bacio della pantofola, ma faccia propria la bandiera dell’autodeterminazione delle donne. Oltretutto avrebbe la schiacciante maggioranza del paese con sé.
Il fatto che i governatori teo-leghisti abbiano già abbozzato un passo indietro ne è la riprova lampante.
LA CROCIATA. Tuttavia è evidente che la crociata clericale per trasformare il peccato in reato continuerà. Ma questo, paradossalmente, offre ai cittadini democratici e ad un’ipotetica opposizione parlamentare chance nuove e straordinarie per mettere alle corde il regime del ducetto di Arcore. Tutti i provvedimenti clericali in cantiere, non diversamente da quelli già realizzati, sono infatti altamente impopolari, e se contrastati con energia e coerenza possono fruttare alle opposizioni fortissimi consensi, e conflitti interni e tracollo di simpatie sul versante governativo. La questione dell’aborto è la più importante, perché tocca ogni donna in ciò che più le è intimo e insindacabile, la volontà o meno di maternità (e tocca di riflesso i tantissimi uomini che sentono questa libertà delle donne come irrinunciabile per ogni coppia). L’aggressione clericale contro tale libertà gioca sulla tastiera più ignobile: quella della criminalizzazione etico-psicologica ancor prima che giuridica, con accenti talmente indecenti da provocare rivolta e disgusto. Cos’altro vuol dire, infatti, la campagna contro la pillola RU486 all’insegna del “non è lecito banalizzare l’aborto”, se non che l’aborto, fino a che non sarà possibile delegittimarlo del tutto (tornando ai bei tempi delle mammane e del ferro da calza, e della galera), deve essere vissuto dalla donna con il massimo di ansietà, senso di colpa, tormento psicologico e malessere fisico?
Di fronte all’alleanza di inciviltà Bagnasco-Zaia e Ruini-Cota (cioè Ratzinger-Berlusconi, non nascondiamoci dietro un dito), si apre perciò doverosa, e facile di consensi popolari altissimi, la strada maestra del conflitto campale, che rivendichi il diritto della donna all’autodeterminazione, ed esiga che la sua scelta venga accolta da strutture pubbliche impegnate a garantirle tutta la serenità psicologica possibile e il minimo di dolore e disagio fisico. E se questo dovere di rendere minime (e tendenzialmente nulle) le sofferenze fisiche e psichiche della donna, ai truci pasdaran dell’ “abortirai con dolore” suonano come la “banalizzazione” dell’interruzione di maternità, tanto peggio per loro, rivendichiamolo senza complessi il diritto a tanta “banalizzazione”. E vedremo quanti italiani (e non solo italiane) seguiranno i nuovi sanfedisti nell’esaltazione della sofferenza come valore coatto, da imporre per legge.
PARLA IL REGIME. Il terreno del nuovo clericalismo, che il regime berlusconian-leghista, nella sua irrefrenabile pulsione di onnipotenza, ha ormai deciso di percorrere in lungo e in largo, offre anzi l’occasione di passare all’offensiva. Di rilanciare a 360 gradi, o se si preferisce ad alzo zero, la battaglia per la laicità in tutte le sue articolazioni, anziché ridursi sulla difensiva, tema per tema, solo quando il tetro connubio di trono e altare scatena il suo attacco. Perché non c’è una sola questione attinente alla laicità sulla quale i (dis)valori teo-berlusconiani non siano in abissale minoranza nella società italiana, dai costumi radicatamente e irreversibilmente secolarizzati. Sarebbe davvero un errore clamoroso credere diversamente, come due generazioni fa temeva il Pci, ai tempi dei referendum su divorzio e aborto.
Basta avere il coraggio di rilanciarla, la rivolta della laicità. Denunciando (anche in senso tecnico) l’abiezione per cui ci sono farmacie “cattoliche” che ormai si rifiutano di vendere i preservativi, e l’uso dell’obiezione (anch’essa trasformata in abiezione) di coscienza di medici e infermieri per vanificare il diritto della donna (mentre l’articolo 9, abbiamo visto, impone rotazione e spostamenti del personale sanitario per garantirlo). Denunciando il fiume di danaro alle scuole private, malgrado il tassativo divieto costituzionale e mentre quelle pubbliche vengono lasciate cadere a pezzi (alla lettera), e l’assurdo privilegio delle migliaia di insegnati di religione nominati dalla Cei e divenuti di ruolo senza concorso (e che potranno passare a insegnare altre materie, con buona pace di “precari” a vita scavalcati dalla iattanza papista), e della stessa ora di religione confessionale, relitto dei tempi bui di una “religione di Stato”.
Tutte cose di cui una campagna d’opposizione dovrebbe porre all’ordine del giorno la pura e semplice abrogazione. Esattamente come l’abrogazione dell’8 per mille, o almeno una sua radicale revisione, che consenta al contribuente di scegliere davvero se darlo alla Chiesa della Cei (preti pedofili compresi e sempre scrupolosamente coperti) oppure alla ricerca contro il cancro (che Berlusconi ha garantito sarà debellato entro fine legislatura), anziché a quel generico “Stato” che per i cittadini (e anche nella realtà effettuale, ahimè) equivale al “magna magna” dei partiti. Per non parlare del diritto a morire secondo la propria etica, anziché subire la tortura che Chiesa e Stato vogliono obbligatoria per tutti i malati terminali.
Tutte battaglie da “vocazione maggioritaria”. Vinte in partenza. Purché si abbia il coraggio di lanciarle.

giovedì 15 aprile 2010

Preti pedofili Vienna affida il "processo" a una donna

La Repubblica 29.3.10
Scelta dal cardinale Schoenborn Il Papa: non ci faremo intimidire
Preti pedofili Vienna affida il "processo" a una donna
Il Papa: "Non ci faremo intimidire". E il cardinale Martini scrive: "Ripensare il celibato"
La democristiana Klasnic a capo dell´inchiesta Svizzera: "Serve una lista nera"
di Marco Ansaldo e Andrea Tarquini

Ogni ora che passa la situazione si fa più grave, più vicina a una Stalingrado della Chiesa cattolica, per l´Europa centrale di lingua tedesca da cui viene papa Benedetto XVI. Nella cattolica Austria l´arcivescovo di Vienna, Christoph Schoenborn, ha annunciato che affiderà le indagini sui casi presunti o reali di abusi pedofili compiuti da sacerdoti a un team laico guidato da una donna, un´illustre star cristiana ma laica della politica. Nella vicina Svizzera, la presidente di turno della Confederazione, signora Doris Leuthard, ha chiesto di stilare una lista nera pubblica dei preti pedofili, perché «il reato è gravissimo e chiunque lo compia va punito, non fa nessuna differenza se prete o laico, tutti sono sottoposti alla legge elvetica».
Austria e Svizzera, due paesi centroeuropei tradizionalmente conservatori e abituati alla prudenza, scelgono insomma la tolleranza zero. Intanto in Germania, "Wir sind Kirche" (La Chiesa siamo noi, cioè il più forte movimento dei cattolici critici) lancia una battaglia per l´abolizione dell´obbligo del celibato per i sacerdoti proprio nell´approssimarsi della Pasqua. E sul settimanale tedesco Presse am Sonntag, interviene il cardinal Carlo Maria Martini: «Deve essere sottoposto a ripensamento l´obbligo di celibato dei sacerdoti come forma di vita».
La svolta austriaca appare particolarmente destabilizzante, per la strategia di difesa a riccio decisa da Roma. Il cardinale Schoenborn ha deciso di chiamare Waltraud Klasnic, ex governatrice del Land della Stiria, come capo della commissione indipendente d´inchiesta sugli abusi sessuali contro minori nelle istituzioni cattoliche. «Vogliamo fare chiarezza sulle colpe della Chiesa, e affidarla a una persona al di sopra delle parti», ha spiegato l´arcivescovo di Vienna. Frau Klasnic dovrà formare un suo team di inquirenti, le sue indagini saranno finanziate dalla Chiesa ma le sarà garantita totale indipendenza. Una sola condizione le viene posta: per la sua commissione d´inchiesta potrà scegliere chi vorrà, ma nessun ecclesiastico. «Tra i suoi compiti ci sarà anche il tema dei risarcimenti alle vittime», ha sottolineato Schoenborn.
In Vaticano ieri, con la Messa delle Palme, il Papa ha aperto le celebrazioni pasquali. Sarà una Settimana santa particolarmente intensa per il pontefice, che si avvia a compiere 83 anni, e difatti Benedetto XVI per la prima volta non ha guidato la processione sacra a piedi, optando invece per un percorso fatto a bordo della papamobile. Una scelta, ha spiegato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, senza negare le probabili fatiche dei prossimi sette giorni, che ha reso il Papa più visibile ai 50 mila fedeli che affollavano piazza San Pietro.
Ci sono poi gli strascichi del caso pedofilia, e le parole pronunciate da Joseph Ratzinger durante la funzione li hanno in parte echeggiati. Da Dio - ha detto il pontefice - viene il «coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti». Cristo - ha detto ancora - conduce «verso la bontà che non si lascia disarmare neppure dall´ingratitudine». E l´uomo può scegliere di seguire Cristo, o anche «scendere verso il basso, il volgare; può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà».
I numerosi impegni della Settimana santa vedranno Benedetto XVI celebrare il 2 aprile il quinto anniversario della morte di Giovanni Paolo II. Giovedì messa al mattino con il clero di Roma e la sera in San Giovanni in Laterano dove avrà luogo il rito della Lavanda dei Piedi. Venerdì il pontefice presiederà la Passione, e in serata la Via Crucis al Colosseo. Sabato notte la Veglia di Pasqua, la liturgia più importante e lunga dell´anno. E il giorno dopo, festa di Pasqua, con la grande messa a San Pietro, la lettura del tradizionale Messaggio e infine la Benedizione "Urbi et Orbi".

mercoledì 14 aprile 2010

Sul sito del premier britannico: «Pedofilia, il governo si dissoci dai silenzi del Pontefice»

l’Unità 4.4.10
Sul sito del premier britannico: «Pedofilia, il governo si dissoci dai silenzi del Pontefice»
No alla visita del Papa a Londra. 13.000 firme a Downing Street
di Marina Mastroluca

Per capire l’aria che tira, il Times rispolvera, come fosse un vecchio album di famiglia, le immagini impresse nella memoria dell’ultima visita in Inghilterra di Giovanni Paolo II. Profumo di incenso, gioia ecumenica, il Papa e l’arcivescovo di Canterbury fianco a fianco in un tripudio di folla e rispetto reciproco. Non bisogna essere degli indovini per capire che non sarà così questa volta, quando il prossimo settembre Benedetto XVI sbarcherà a Londra. Sul sito di Downing Street fioriscono petizioni per protestare contro la visita di Ratzinger e i nomi in calce continuano ad aumentare. Ieri l’elenco dei «Protest the pope» people era arrivato a 13.424 firme, tutti cittadini britannici come richiesto espressamente dal sito. Non le poche decine che la settimana scorsa avevano protestato a Westminster. E un’aria gelida soffia anche nella Chiesa anglicana. L’arcivescovo di Canterbury nel clima penitenziale della sabato santo ha colto l’occasione per un appunto del tutto irrituale sui vicini di casa cattolici. La Chiesa irlandese, ha detto intervistato dalla Bbc, ha perso «tutta la sua credibilità» con lo scandalo pedofilia.
Lo scandalo appunto. La sua eco risuona tra le ragioni elencate nella più firmata petizione anti-papa rivolta al premier britannico, perché dica chiaramente che non condivide il punto di vista papale su diritti riproduttivi delle donne, cellule staminali, preservativi, senza tralasciare la riabilitazione del vescovo negazionista Williamson e la procedura per la beatificazione di Pio XII a dispetto della sua inerzia di fronte all’Olocausto. «Chiediamo al primo ministro di esprimere il suo disaccordo sul ruolo del Papa nel coprire gli abusi sessuali dei preti sui bambini», recita la petizione. Altri chiedono di lasciare che sia la Chiesa cattolica a sborsare i 20 milioni di sterline necessari per il tour del Papa in Inghilterra. O semplicemente di cancellare la visita di Stato.
«DRAMMA COLOSSALE»
Non sembra entusiasta nemmeno l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams. Prende una via traversa, parlando della Chiesa d’Irlanda e di amici del posto «che mi hanno detto che è particolarmente difficile in molte parti del Paese scendere in strada con la veste clericale». Parla di «dramma colossale», scatenando lo sconcerto delle gerarchie cattoliche d’Irlanda, «sconfortate» dalla stilettata così poco diplomatica. Ma anche quella di Williams non è una voce isolata, a dar retta ai commenti che si tira dietro, anche da esponenti cattolici: l’arcivescovo di Canterbury, questo è il filo rosso, ha dato voce a quanti credono che il Vaticano non abbia davvero capito la portata dello scandalo né delle sue stesse responsabilità.
Certo da parte anglicana sanguina anche la ferita recente delle aperture di Benedetto XVI ai tradizionalisti anglicani, autorizzati a rientrare nelle file cattoliche con moglie al seguito pur di fuggire ad una chiesa che ammette donne e gay all’altare. «Che Dio li benedica. Io non lo farò», ha detto acido l’arcivescovo Williams, preannunciando comunque un esodo molto limitato dalle file anglicane. E le polemiche di queste settimane dai tentativi di citare il papa in giudizio al singolare parallelismo di padre Cantalamessa tra antisemitismo e accuse di pedofilia è probabile che finiranno per dargli ragione.
La settimana di passione insomma non poteva essere più dolorosa. Eppure la Chiesa cattolica, è questa la critica, non sembra essersi spinta oltre un generico, quasi convenzionale, pentimento per i propri peccati. Si distingue la Chiesa di Scozia. Alla messa solenne di oggi il cardinale O’Brien parlerà delle vittime degli abusi. Vittime che la Chiesa ha a lungo finto di non vedere.

martedì 13 aprile 2010

Se la Chiesa non confessa le proprie colpe, noi cattolici dovremo cercare altrove una guida spirituale

La Repubblica 6.4.10
Parla Timothy Shriver, opinionista del Washington Post
"Uno scandalo enorme mi ricorda il Watergate"
Se la Chiesa non confessa le proprie colpe, noi cattolici dovremo cercare altrove una guida spirituale
di Alix van Buren

«Se questa Chiesa, con la sua attuale gerarchia, col suo Papa e i suoi vescovi, non saprà confessare la Verità; se continuerà a nascondere le proprie colpe, come Nixon lo scandalo Watergate; se si dimostrerà più votata al potere che a Dio, allora noi cattolici dovremo cercare altrove una guida spirituale». Sono parole di piombo quelle che scaglia Timothy Shriver, erede dei Kennedy, il clan più cattolico d´America, figlio di Eunice, di cui ha ripreso la missione: battersi a favore dei "diversamente abili" in qualità di presidente delle Special Olympics fondate dalla madre. La sua invettiva ieri è apparsa sotto forma di un appello sul Washington Post. E subito ha avuto risonanza mondiale.
Timothy Shriver, lei è cresciuto all´interno di un bastione del cattolicesimo, legato alla Chiesa d´Irlanda. Eppure uno dei suoi fendenti più duri è riservato al Cardinale Arcivescovo d´Irlanda. Perché?
«Perché lui, come molti altri vescovi nel mondo, non solo non è intervenuto contro gli abusi, ma a quanto pare si è prodigato nell´insabbiare lo scandalo. E la pista non si ferma lì: sembra condurre più in alto, allo stesso Papa, che da arcivescovo di Monaco forse ha avuto una parte nel rinviare il problema senza affrontarlo. Tutto questo mi ricorda lo scandalo Watergate».
Lei traccia, nientemeno, un parallelo fra il Vaticano e l´Amministrazione Nixon?
«Le similitudini sono molte. Ciò che sembrava un´infrazione di poco conto, l´irruzione di un paio di ladruncoli nelle stanze del Watergate, finì per scoperchiare la corruzione ai più alti gradi del potere. Risultò coinvolto il presidente, costretto alle dimissioni».
Lei vuole dire che Ratzinger dovrebbe dimettersi?
«No, non dico questo. La vita del Papa è segnata dalla devozione, dobbiamo confidare che lo Spirito Santo operi attraverso di lui. Però lui deve dimostrare, con urgenza, la leadership spirituale e morale cui noi cattolici agogniamo».
E se non lo facesse?
«Allora dovremo rivolgerci altrove. Il mondo è pieno di uomini e donne santi, leader monastici, laici, dedicati alla missione di Dio: leggeremo i loro libri, ascolteremo le loro parole, per tornare alla fede che noi professiamo, che è fede in Dio, e non in una gerarchia che ha perso credibilità, e pare più votata a conservare il potere che a vivere nello spirito del Vangelo».

Dalla Germania nuove accuse "Bertone coprì gli abusi di Murphy"

La Repubblica 6.4.10
Rivelazioni su "Die Zeit" con il verbale di una riunione segreta in Vaticano nel 1998
Dalla Germania nuove accuse "Bertone coprì gli abusi di Murphy"
Andrea Tarquini

Un vertice della Congregazione per la dottrina della fede per mettere a tacere le voci
Venne sottolineata la difficoltà "a raccogliere prove senza ingrandire lo scandalo"

BERLINO - I media tedeschi lanciano nuove, gravi accuse al cardinale Tarcisio Bertone. Zeit online, l´edizione web dell´autorevole settimanale di Amburgo Die Zeit, sostiene di aver ricevuto dai legali delle vittime di padre Murphy (il sacerdote che abusò di circa 200 bambini handicappati negli Usa) un protocollo segreto su una riunione confidenziale alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che si sarebbe tenuta in Vaticano il 30 maggio 1998. Il protocollo, scrive Zeit online, proverebbe che Bertone voleva ad ogni costo frenare per evitare di ingigantire lo scandalo.
Secondo quanto già si sapeva dal New York Times, padre Murphy chiese di poter finire i suoi giorni in pace da sacerdote. Morì il 21 agosto 1998. Il protocollo vaticano che Zeit online sostiene di avere in possesso (il testo non è mostrato nel sito) riferisce, sempre secondo la testata tedesca, di una riunione del 30 maggio 1998. Padre Murphy quindi era ancora vivo.
Bertone, allora segretario della Congregazione della Dottrina della fede, secondo le citazioni del protocollo messe in rete ieri da Zeit online «chiese l´attenzione ad alcuni problemi che un procedimento, come un processo di diritto canonico (a carico di padre Murphy, si deduce, ndr) aprirebbe». Egli inoltre avvertì i vescovi venuti dagli Usa per discutere del caso delle «immanenti difficoltà di esaminare un simile delitto in un procedimento che debba svolgersi nel più assoluto riserbo». E sottolineò anche «la difficoltà di trovare testimoni e raccogliere prove, senza ingrandire lo scandalo». Inoltre Bertone, continua il protocollo della riunione in Vaticano ricordò «gli ampi diritti della Difesa nel Diritto degli Stati Uniti, e le difficoltà che emergerebbero da un procedimento sul caso».
Il protocollo si conclude con un appunto sulla reazione dell´arcivescovo di Milwaukee, Rembert Weakland, che come superiore di Murphy aveva chiesto la sospensione di quest´ultimo dal sacerdozio. «Prima della conclusione della riunione monsignor Weakland ha rappresentato le difficoltà che egli avrebbe incontrato nello spiegare queste decisioni (cioè in sostanza la richiesta di non procedere) alla comunità degli handicappati e dei privi dell´udito».
In un appunto interno dell´arcidiocesi di Milwaukee, scritto secondo Zeit online dopo il vertice segreto di crisi in Vaticano, si legge: «E´ chiaro che la Congregazione non ci incoraggia a procedere con una formale sospensione…e inoltre siamo stati avvertiti delle difficoltà». Zeit online sottolinea poi che Bertone, e non già l´allora cardinale Ratzinger, apparirebbe dai documenti come il responsabile del silenzio su Murphy. Giorni fa il cardinale di Vienna Schoenborn aveva detto, difendendo il Papa, che egli era sempre stato per la tolleranza zero contro abusi e pedofilia, ma quando guidava la Congregazione, sul tema fu messo in minoranza.

lunedì 12 aprile 2010

La stampa estera contro il Papa "A Pasqua silenzio sulla pedofilia"

La Repubblica 6.4.10
La stampa estera contro il Papa "A Pasqua silenzio sulla pedofilia"
Il Vaticano: "È solo una campagna diffamatoria"
Dal Pais a Le Monde: "Nessuna parola sulle violenze dei sacerdoti"
Pedofilia, il Papa criticato per il silenzio di Pasqua

ROMA - La stampa estera attacca Benedetto XVI per il silenzio che il Papa ha osservato sullo scandalo pedofilia durante le celebrazioni della Pasqua. E Die Zeit lancia nuove accuse verso il Vaticano: il settimanale tedesco ricostruisce una riunione tenutasi in San Pietro all´inizio del 1998 in cui il cardinale Tracisio Bertone, attuale segretario di Stato, avrebbe cercato di fermare il processo contro padre Murphy, sacerdote accusato di aver abusato di oltre 200 bambini negli Stati Uniti e morto nell´agosto del ´98.

CITTÀ DEL VATICANO - L´orgoglio cattolico in difesa del Papa si materializza - a sorpresa - prima della solenne Messa di Pasqua nella persona del cardinale decano Angelo Sodano. Vera e propria alzata di scudi per difendere il Pontefice dalle critiche per lo scandalo della pedofilia nella Chiesa.
Critiche apparse ancora ieri sui maggiori giornali europei e statunitensi, con qualche autorevole testata - come il Washington Post - che chiede persino le dimissioni di Benedetto XVI. «Santità, tutta la Chiesa le è vicino ed il popolo di Dio non si lascerà impressionare dal chiacchiericcio del momento», declama Sodano davanti a Benedetto XVI. Un fuori programma inedito destinato a sollevare anche interrogativi e polemiche là dove il cardinale Sodano dà l´impressione di voler derubricare lo scandalo della pedofilia tra i preti a un banale «chiacchiericcio». Come, in effetti, avviene ieri negli editoriali dei più importanti quotidiani internazionali che quasi all´unanimità mettono l´accento sui «silenzi» che il Pontefice ha osservato sui preti pedofili durante la Settimana Santa e nella omelia di Pasqua tenuta dalla Loggia della Benedizione della basilica vaticana. Come, ad esempio, scrivono El Pais in Spagna, il Times e il Guardian nel Regno Unito, Le Monde in Francia, che nelle edizioni di ieri hanno puntano il dito contro «le mancanze» di Benedetto XVI sulla pedofilia nella Chiesa. «Il Papa ha terminato la Settimana Santa così come l´aveva iniziata - scrive, tra l´altro, El Pais - , senza pronunciare una sola parola sui casi di abusi sui minori».
Il Times di Londra riporta invece le proteste che hanno segnato la messa pasquale nella cattedrale di Dublino, in Irlanda, con un gruppo di fedeli che ha tentato di portare fin sull´altare delle scarpe da bambino per ricordare le vittime degli abusi al grido di "vergogna" rivolto all´arcivescovo Diarmuid Martin. Negli Usa, critiche dal New York Times - che con Maureen Dowd ha suggerito polemicamente alla Chiesa di servirsi di «sessorcisti» più che di esorcisti - e dal Washington Post, che paragona la crisi del clero cattolico allo scandalo Watergate degli anni ‘70 che costrinse il presidente Nixon alle dimissioni. Attacchi anche dal settimanale tedesco Der Spiegel che accusa il Papa di aver «guastato i rapporti con ebrei e musulmani, con molti cattolici, e anche con i tedeschi che, al momento della sua elezione erano tanto fieri di lui».
È solo «un´eclatante campagna diffamatoria» che mira a colpire non i preti pedofili ma direttamente il Papa», controbatte la Radio Vaticana, che cita un rapporto governativo Usa del 2008 secondo cui i sacerdoti cattolici coinvolti in casi di abusi sarebbero meno dello 0,03%. Mentre oltre il 64 per cento dei casi di abusi sono commessi da genitori, parenti o conviventi, dunque all´interno delle relazioni familiari. «La Chiesa - ricorda la nota trasmessa nel radiogiornale internazionale - difende la giustizia, e la prima giustizia è il diritto alla vita, difende la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna».
Così c´è chi vede nelle critiche l´obiettivo di escludere la Chiesa dal dibattito pubblico su temi cruciali; per non parlare poi di «avvocati senza scrupoli che tentano di mettere le risorse del Vaticano alla portata dei tribunali».
Papa Ratzinger, intanto, tornato a parlare in pubblico ieri, lunedì di Pasquetta, da Castel Gandolfo ha ricordato ai sacerdoti di essere «come gli angeli». Una esortazione fatta forse per indicare, indirettamente, la strada da seguire per «pulire» la Chiesa da quella parte del clero che si è macchiata di peccati imperdonabili come le violenze sessuali su minori.
(o. l. r.)

Nuove accuse a Ratzinger. «Coprì prete pedofilo Usa»

l’Unità 10.4.10
L’Ap pubblica una lettera del 1985 firmata dal futuro Papa contrario a rimuovere un sacerdote
La Santa Sede smentisce: «Non coprì il caso». Benedetto XVI pronto ad incontrare le vittime
Nuove accuse a Ratzinger. «Coprì prete pedofilo Usa»
Nuova accusa al Papa dall’Associated Press: nell'85 si oppose alla rimozione di un prete pedofilo. La Santa Sede: «Ratzinger non coprì il caso». Padre Lombardi: il pontefice disponibile ad incontrare le vittime.
di Roberto Monteforte

«Il Papa è disponibile ad incontrare ancora le vittime degli abusi sessuali. Contro di lui insinuazioni infondate. Benedetto XVI indica rigore, merita rispetto». È la risposta del direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi alla campagna mediatica di questi giorni sullo scandalo dei preti pedofili che chiama in causa direttamente Benedetto XVI. Ma proprio ieri è arrivata un’altra bordata da parte dei media statunitensi. Nel 1985, anni prima di diventare Papa, il cardinale Joseph Ratzinger sconsigliò di ridurre allo stato laicale un sacerdote californiano, Stephen Kiesle, che aveva molestato minori. Lo scrive il Washington Post che riprendendo una notizia dell'Associated Press cita una lettera del 1985, firmata da Ratzinger, in cui si esprimevano preoccupazioni sugli effetti che la rimozione di un prete avrebbe avuto «per il bene della chiesa universale». Secondo l’agenzia Ap, la corrispondenza di cui è in possesso «rappresenta la sfida finora più forte all'insistenza che Ratzinger, l'attuale Papa Benedetto XVI, non giocò alcun ruolo nel blocco della rimozione dei preti pedofili quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede». La lettera citata sarebbe parte di anni di corrispondenza tra la Diocesi di Oakland e il Vaticano sull'opportunità di ridurre allo stato laicale padre Stephen Kiesle. Pronta la replica della Santa Sede: l’allora cardinale Ratzinger «non coprì il caso» del giovane prete, ma chiese solo di studiarlo con «maggiore attenzione» per il «bene di tutte le persone coinvolte», ha detto padre Ciro Benedettini, vicedirettore della Sala Stampa Vaticana, puntualizzando che nell’85 l’eventuale rimozione dall’incarico di un sacerdote era di competenza del vescovo locale e non della Congregazione per la Dottrina della fede. Kiesle, che era già stato condannato da un tribunale Usa nel ‘78 per atti osceni e molestie, fu comunque ridotto allo stato laicale due anni più tardi, nell’87. E nel 2002 venne di nuovo arrestato per molestie sessuali e condannato a sei anni di prigione nel 2004.
PROCESSI AI COLPEVOLI
Nel suo editoriale per Radio Vaticana, padre Lombardi affronta le polemiche di questi giorni, ma non questa ultima critica. Ricorda la pazienza con la quale ha affrontato lo «stillicidio di rivelazioni parziali o presunte». La linea è quella indicata con la lettera ai cattolici d’Irlanda. In primo luogo continuare a «cercare la verità e la pace per gli offesi». Il portavoce vaticano conferma la disponibilità del Papa «a nuovi incontri con le vittime» da tenersi «nel rispetto delle persone e alla ricerca della pace», «in un clima di serenità e riservatezza». Nella sua nota padre Lombardi richiama l’attenzione delle Chiese locali all’esigenza di assicurare giustizia, applicando con rigore, per le parti di loro competenza, le norme di diritto canonico, e collaborando per il resto, per gli aspetti penali e civili, con la magistratura. Quindi annuncia che le «linee guida» della Santa Sede su come affrontare il problema saranno da tutti consultabili sul sito web del Vaticano.
IL CASO CANADESE
Intanto continuano gli attestati di affetto al Pontefice. Dai vescovi scandinavi all’arcivescovo di Perugia, monsignor Bassetti che sottolinea il coraggio del Papa e l’amore della verità che «non teme l’oltraggio e la derisione». Si allunga anche l’elenco dei preti coinvolti in casi di abusi. Ieri si è aggiunto monsignore Bernard Prince, un religioso canadese che ha avuto incarichi in Vaticano che Ratzinger «spretò». Si fanno sentire anche le vittime. Una decina di «abusati» maltesi sarà in piazza il prossimo 16 e 17 aprile in coincidenza con la visita del Papa.