mercoledì 31 dicembre 2008

Per le private i soldi ci sono

Per le private i soldi ci sono

di Alessandro Braga

Il Manifesto del 28/11/2008

Mentre il governo taglia i finanziamenti alle scuole pubbliche, in Lombardia Formigoni stanzia sempre più soldi per quelle private e finanzia la costruzione degli istituti vicini a Cl. Anche per questo oggi l'Onda scende di nuovo in piazza in tutte le città italiane e chiede, tra l'altro, più sicurezza nelle scuole. In ricordo di Vito, il ragazzo morto a Rivoli, e dei 27 «angeli» di San Giuliano di Puglia dove il manifesto torna sei anni dopo la tragedia

Ma quali tagli ai fondi per la scuola. Sono davvero tutte fandonie dei soliti «facinorosi» di sinistra. Perché la Regione Lombardia, per esempio, non solo non riduce i finanziamenti alla scuola, ma anzi li aumenta. Alla privata ovviamente. Insomma, mentre le scuole pubbliche, anche in Lombardia, cadono a pezzi, Formigoni non si fa assolutamente problemi e continua a «stornare» denaro pubblico a favore dei suoi «amichetti» delle scuole private.
A denunciare il «misfatto» un dossier presentato ieri dal gruppo consiliare di Rifondazione comunista al Pirellone. Dall'anno scolastico 2001/2002 sono stati spesi circa 280 milioni di euro per le scuole private, e altri 45 sono già stanziati a bilancio per il prossimo anno. Insomma il modello Formigoni, nella sua Lombardia, funziona. Un modello basato su un semplicissimo quanto agghiacciante assioma: il pubblico è brutto, il privato è bello. E allora già lo scorso anno, con una legge regionale (dal titolo «Norme sul sistema educativo di istruzione e formazione della Regione Lombardia), si è data legittimità al principio della parificazione tra pubblico e privato. Ma già da prima, dall'anno scolastico 2001/2002, il Celeste e la sua cricca avevano iniziato a «mungere» soldi pubblici per finanziare le scuole private. Con l'istituzione di un sussidio per le famiglie degli studenti delle private, il cosiddetto buono scuola, finalizzato a coprire una quota delle spese scolastiche. Un sussidio che, per non essere in contrasto con l'articolo 33 della Costituzione («enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato»), doveva essere accessibile a tutti gli studenti, sia della scuola statale sia di quella privata. Peccato che poi sia stato definito un tetto di spesa minimo per la retta scolastica al di sotto del quale le famiglie non potevano nemmeno fare domanda per il sussidio. E, guarda caso, quel tetto esclude tutte le scuole statali, fatti salvi alcuni casi isolati. Con il risultato che a beneficiare del sussidio sono così gli studenti delle scuole private (quest'anno ben il 70% dei frequentanti, dal 58% del 2001), che si beccano il 99,63% dei finanziamenti. E che, dall'anno in corso, riusciranno a fare l'ein plein e mangiarsi pure le briciole di quei 45 milioni, visto che il buono scuola è stato trasformato in «dote scuola», più precisamente «dote per la libertà di scelta», ufficializzando quello che già di fatto avviene. Di più, per avere diritto al sussidio non è necessario essere meritevoli o economicamente svantaggiati. Non regge la scusa usata più volte dal centrodestra per giustificare la sua politica del buono scuola dicendo che serve per garantire la libertà di scelta delle famiglie lombarde. Perché, conti alla mano, dice il consigliere regionale del Prc Luciano Muhlbauer, «soltanto il 26,45% delle famiglie beneficiarie dispone di un reddito annuo medio basso (fino a 30mila euro) mentre il restante 73,55% ha un reddito fino a 198mila euro». E questo grazie ai criteri «elastici» utilizzati nel calcolo del reddito Isee, il «riccometro» che stabilisce chi e in che percentuale ha diritto all'aiuto. A conti fatti insomma, se si pensa che la Regione destina solo 8,5 milioni di euro per il diritto allo studio, l'investimento pro capite per uno studente di scuola privata risulta di 707 euro, contro i nemmeno 8 per uno di una scuola pubblica.
A questo bisogna aggiungere anche la voce «edilizia scolastica». Dal 2006 la giunta regionale può destinare una quota fino a un massimo del 25% dello stanziamento disponibile per interventi decisi in base alla cosiddetta «programmazione negoziata». Bene, negli ultimi due anni sono stati erogati circa 6 milioni di euro per 10 progetti, di cui uno soltanto per una scuola pubblica. E non finisce qui: nel 2008 tutti gli enti locali e le scuole pubbliche sono stati avvisati dall'assessore regionale all'istruzione che «data la ristrettezza dei fondi non era possibile finanziare progetti che implicassero nuove costruzioni», ma solo «ristrutturazioni». Con un'eccezione però: i 4,5 milioni di euro (di cui uno già versato) per finanziare il nuovo polo scolastico privato Cascina Valcarenga di Crema. Una scuola privata nuova di zecca progettata e gestita dalla Fondazione Charis, vicina a Comunione e liberazione. Il fatto che l'assessore regionale sia di Cl, e abiti proprio vicino a Crema, è solo un caso ovviamente.

Pur di salvare la sacra famiglia, il Vaticano manda a morte gli omosessuali

Pur di salvare la sacra famiglia, il Vaticano manda a morte gli omosessuali

di Romina Velchi

Liberazione del 02/12/2008

Pur di salvare la sacra famiglia, il Vaticano manda a morte gli omosessuali. E non è un'esagerazione. Messi di fronte alla scelta, da Oltretevere non hanno dubbi: sull'altare (è il caso di dire) devono essere sacrificati i gay.
Riepiloghiamo. La Francia, a nome dei 27 paesi europei, si è fatta promotrice di una iniziativa (sottoscritta, per altro, anche dall'Italia) per chiedere all'Onu, in occasione dei sessant'anni della dichiarazione dei diritti umani (il prossimo 10 dicembre), la «depenalizzazione universale dell'omosessualità». Com'è noto, esistono ancora molti paesi (per la precisione 91) nei quali i rapporti omosessuali non solo sono reato (con annessi sanzioni, torture e carcere), ma sono puniti persino con la pena capitale. Cioè con la morte (una decina di stati islamici). Ebbene, il Vaticano che fa? Si schiera contro per paura che l'iniziativa europea sia l'anticamera (pure in Italia) del "matrimonio" tra persone dello stesso sesso. Proprio così. Parola di monsignor Celestino Migliore, nientemeno che rappresentante della Santa Sede alle Nazioni Unite a New York.
«Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale - premette l'alto prelato in un'intervista all'agenzia francofona I.Media - Ma qui la questione è un'altra. Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di paesi, si chiede agli stati ed ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tenere conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni». E sarebbe? «Per esempio - spiega il monsignore, che ha anche definito una «barbarie» la proposta di inserire l'aborto tra i diritti universali dell'uomo - gli stati che non riconoscono l'unione tra persone dello stesso sesso come "matrimonio" verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni».
«Dichiarazioni gravissime», stigmatizza il segretario del Prc, Paolo Ferrero. Anche perché, a ben vedere, qui l'unico che fa «pressioni» (ma sarebbe meglio dire lobbing) è proprio il Vaticano, che oltretutto non aderisce all'Onu, non avendo firmato la dichiarazione dei diritti umani. Così, nel tentativo di fermare l'iniziativa europea, il Vaticano sferra il suo attacco, senza nemmeno rendersi conto di finire, di fatto, dalla parte di quelli che l'omosessualità la criminalizzano. Un «condono per chi discrimina», come osservano i Radicali.
E' una «situazione grottesca», commenta tra i primi Franco Grillini, ex deputato Ds e presidente di Gaynet, «quella di uno stato teocratico e autoritario che in qualità di osservatore alle Nazioni Unite, lavora costantemente per negare quei diritti umani riconosciuti in tutto l'Occidente. E' bene che la Francia e l'Europa procedano ignorando le assurdità vaticane». Ma è da tutto il mondo gay che arrivano dure parole di condanna della incomprensibile posizione vaticana. Per Imma Battaglia «la barbarie e la gogna vengono dal Vaticano» mentre per l'Arcigay «la lobby clericale preme su tutti gli stati affinché non siano di volta in volta riconosciuti diritti civili e di libertà, alleandosi con i regimi dittatoriali, di ogni colore, compresi quelli islamici».
Si schiera anche il mondo politico. «Sono del tutto ingiustificati i timori avanzati» osserva per esempio Benedetto Della Vedova (Pdl), perché chiedere la depenalizzazione dell'omosessualità non equivale «ad esigere un riconoscimento delle "famiglie omosessuali", bensì a denunciare, a chiare lettere, la pratica barbara della discriminazione, della persecuzione». La posizione del Vaticano «confonde i piani della discussione» anche secondo Paola Concia (Pd), mentre l'europarlamentare del Prc, Vittorio Agnoletto, si aspetta che «l'Ue e l'Italia presentino proteste formali al Vaticano», visto che le affermazioni di monsignor Migliore sono «in netto contrasto con i principi più volte espressi dall'Europa». Agnoletto, inoltre, chiederà che la rappresentanza vaticana sia convocata dalla commissione sui diritti umani, come avviene periodicamente con i «rappresentanti degli stati con i quali l'Ue ha relazioni diplomatiche e nei quali non vengono rispettati quei diritti ritenuti fondamentali». Infine, secondo Margherita Boniver (Pdl, presidente del comitato Schengen) «allarma l'anacronistica posizione del Vaticano», anche in considerazione del fatto che «il progetto di dichiarazione che la Francia, a nome dell'intera Unione Europea, intende presentare all'Onu è stato oggetto di approvazione da parte di tutti i 27 governi europei». E dunque, appoggiarlo, osserva Barbara Pollastrini (Pd) «è un atto di coerenza».
Un mare di critiche, dalle quali, in serata, il Vaticano si è "difeso" confermando ogni virgola delle parole di monsignor Migliore. Secondo padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, infatti, «nessuno vuole difendere la pena di morte per gli omosessuali», ma la Santa Sede «non è sola» nel suo no alla proposta della Francia: «Meno di 50 membri delle Nazioni Unite hanno aderito». Perché l'iniziativa in questione non vuole solo depenalizzare l'omosessualità, ma rischia di porre «sullo stesso piano ogni orientamento sessuale». Appunto.

Vaticano: no alla convenzione Onu sui disabili

Vaticano: no alla convenzione Onu sui disabili

di Castalda Musacchio

Liberazione del 03/12/2008

Il vero motivo è l'attacco all'aborto e alle donne

In base alle ultime statistiche sono 650 milioni le persone con disabilità di tutto il mondo insieme alle loro famiglie. A queste il Vaticano, dopo la gravissima decisione presa appena due giorni fa sulla depenalizzazione dell'omosessualità, ha detto un nuovo "no", ponendo un altro e durissimo veto alla possibilità di veder riconosciuti i propri diritti, che non sono certo di poco conto, in fatto di umanità, solidarietà, tolleranza, lotta alla discriminazione.
Ieri, la Santa Sede ha confermato che non firmerà la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, entrata in vigore l'8 maggio scorso. Il documento redatto dall'Onu, che è il primo trattato sui diritti umani del Terzo Millennio, approvato dall'Assemblea generale nel 2006, e che ha visto la partecipazione attiva ai lavori per la stesura del testo di eminenti gerarchie ecclesiastiche, non contiene un divieto esplicito nei confronti dell'aborto. Per questo motivo il Vaticano non lo firmerà. Oggi in tutto il mondo si festeggerà la giornata internazionale dedicata alla disabilità, promossa proprio dalle Nazioni Unite su un tema focale: "Dignità e giustizia per tutti noi". Ma - commentano le associazioni - «ci sarà poco da festeggiare».
Per tentare di capire su cosa il Vaticano ha posto il proprio veto, basta scorrere il testo della Convenzione. In questa, i 50 articoli prevedono la tutela dei diritti delle persone con disabilità, specialmente in ambiti in cui subiscono quotidianamente discriminazioni. Come, per esempio, il diritto all'istruzione, alla salute, all'accesso al lavoro, ad adeguate condizioni di vita, alla libertà di movimento, alla libertà da sfruttamento e ad un eguale trattamento di fronte alla legge. La Convenzione riconosce, inoltre, il diritto delle persone con disabilità ad avere accesso al trasporto pubblico, agli edifici e a tutte le facilitazioni necessarie per poter vivere e compiere le proprie scelte in autonomia. Alla Convenzione è annesso anche un Protocollo Opzionale che prevede, nell'ambito del meccanismo di garanzia costituito dal Comitato per i diritti delle persone con disabilità, la possibilità di presentare ricorsi individuali. L'Italia ha firmato la convenzione il 20 marzo 2007, e solo pochi giorni fa la proposta di ratifica è giunta nel Consiglio dei Ministri come - secondo quanto ha riferito il sottosegretario Martini - «un atto dovuto e atteso». E dire che persino il lontano Ecuador l'aveva già fatto. Di più: sono ben 126 gli Stati che l'hanno ratificata, ben altri 106 l'hanno firmata avviando così il percorso per diventare parti del trattato. La stessa Unicef Italia del resto aveva più volte chiesto al nostro Governo la ratifica del trattato che, all'art. 7, prevede inoltre per gli Stati un impegno particolare a favore dei minori disabili, come già previsto dall'art. 23 della Convenzione sui Diritti dell'Infanzia. E' a tutto questo che il Vaticano ha imposto il proprio rifiuto.
L'osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite Monsignor Celestino Migliore, già da ieri sotto i riflettori per la scelta di non firmare la condanna nei confronti dei paesi in cui l'omosessualità è reato, si è detto «indignato e rattristato» dal progetto di introdurre l'aborto tra i diritti umani promosso da alcune associazioni . L'iniziativa - secondo monsignor Migliore - «rappresenta l'introduzione del principio homo homini lupus , l'uomo diventa un lupo per i suoi simili». «Questa - aggiunge - è la barbarie moderna che, dal di dentro, ci porta a smantellare le nostre società».
Di dubbi sulla possibilità di firmare la Convenzione erano già emersi a febbraio. Ed era stato sempre Migliore a spiegare che per il Vaticano i punti dolenti restavano gli articoli 23 e 25: nel primo si riconoscono i diritti dei disabili alla pianificazione familiare, alla «educazione riproduttiva» e ai «mezzi necessari per esercitare questi diritti»; nel secondo si garantisce l'accesso dei disabili a tutti i servizi sanitari, «inclusi quelli nell'area della salute sessuale e riproduttiva». «La protezione dei diritti, della dignità e del valore delle persone con disabilità - aveva spiegato allora Migliore - rimane una delle preoccupazioni e dei capisaldi dell'azione della Santa Sede, e la Convenzione contiene molti articoli utili» al riguardo. Però, aveva aggiunto, la Santa Sede «si oppone all'inclusione nel testo dell'espressione "salute sessuale e riproduttiva" perché in alcuni Paesi i servizi sanitari e riproduttivi comprendono l'aborto, negando dunque il diritto alla vita di ogni essere umano, affermato peraltro dall'art. 10 della Convenzione stessa» e, quindi, la Santa Sede «non è in grado di firmarla». Un altro passo che svela - come notava Mancuso proprio ieri su Liberazione - «il vero volto di questo pontificato oscurantista e nemico degli uomini e delle donne, persino dei più deboli, e in difesa dei loro diritti fondamentali».

giovedì 25 dicembre 2008

DIE WELT: MARIA NON ERA VERGINE E GIUSEPPE ERA IL PADRE DI GESU'

da Agi
DIE WELT: MARIA NON ERA VERGINE E GIUSEPPE ERA IL PADRE DI GESU'
(AGI) - Berlino, 24 dic. - L'immacolata concezione di Maria e' un dogma derivato da un errore di traduzione, poiche' la Madonna non era vergine ed il vero padre di Gesu' era Giuseppe. Lo scrive il giorno della vigilia di Natale su mezza pagina sotto il titolo "Perche' Maria non era affatto vergine" il quotidiano conservatore 'Die Welt', secondo il quale "chi legge attentamente la Bibbia deve far piazza pulita di un paio di leggende. Il padre di Gesu' era proprio Giuseppe". Nel lungo articolo il giornale precisa che "la nostra ragione critica deve porsi delle domande su questa storia vecchia di duemila anni", prima di passare a contestare l'affermazione contenuta nel Vangelo secondo Matteo, in cui si narra dell'annunciazione dell'angelo fatta in sogno a Giuseppe, in cui gli rivela che Maria "e' incinta dello Spirito Santo e fara' nascere un figlio a cui darai il nome di Gesu', che salvera' il suo popolo dai peccati. Cio' e' avvenuto affinche' si realizzi cio' che il Signore ha detto al profeta, che parla cosi': una vergine rimarra' incinta e partorira' un figlio, a cui daranno il nome di Immanuel, che significa 'Dio e' con noi'". L'autore dell'articolo sottolinea che Matteo ha commesso due errori, poiche' le parole del profeta Isaia, da lui citate, "le ha tratte dal 'Septuaginta', la prima versione greca del Vecchio Testamento, scritto 300 anni prima della nascita di Cristo da 72 eruditi in 72 giorni. Nella citazione di Isaia, pero', la parola ebraica 'almah' (giovane donna) era stata tradotta erroneamente con il termine 'parthenos' (vergine). Non c'era dunque alcuna ragione per riferirsi a questa 'promessa'. Giuseppe e Maria avrebbero potuto rallegrarsi tranquillamente come una coppia qualsiasi della nascita del loro bambino". La seconda contraddizione riscontrata nel Vangelo di Matteo riguarda il fatto che non Maria, ma Giuseppe discende dalla stirpe di David. L'autore dell'articolo scrive che "l'angelo si rivolge a Giuseppe chiamandolo 'Giuseppe, figlio di David'. Come puo' nascere allora un figlio di David, che Maria deve partorire, senza l'intervento di Giuseppe?". La 'Welt' sottolinea inoltre che San Paolo "fondatore della Cristologia, non dedica nemmeno una parola a Maria, ma la Chiesa ne ha fatto una figura che sopravanza lo stesso Salvatore". Il giornale osserva poi che i due dogmi riguardanti Maria, come l'immacolata concezione e l'aver partorito Gesu' rimanendo vergine, "sul piano razionale sembrano liquidarsi da soli, anche se rimarranno irremovibili". A sostegno della sua tesi la 'Welt' cita con pungente ironia anche l'introduzione al Cristianesimo scritta da Joseph Ratzinger prima di essere eletto Papa, in cui si afferma che "l'insegnamento di Gesu' come figlio di Dio non risulterebbe intaccato, se Gesu' fosse nato da un matrimonio umano normale". In un lungo articolo sulla progressista 'Sueddeutsche Zeitung' lo storico della Chiesa, Hans Foerster, smitizza invece la festivita' del Natale, ricordando che "nei primi tre secoli della nostra datazione la festa del Natale non veniva celebrata, ma venne introdotta solo nel quarto secolo, facendola coincidere con la data del solstizio invernale". Lo studioso aggiunge che anche la festa ebraica di "Chanukka" e' "piu' vecchia di mezzo millennio della festa di Natale e cade nella maggior parte dei casi in prossimita' di questa". La conclusione di Foerster e' che "Natale e' una festa di grande ambivalenza ed i teologi del XX secolo parlano in proposito di una riuscita inculturazione. Proprio per questo motivo questa festivita' in alcune fasi della storia della Chiesa e' stata vista in maniera fortemente critica".

Tutto esaurito per la Messa in San Pietro. Le immagini gratis alle tv del mondo

da quotidiano.net
Tutto esaurito per la Messa in San Pietro. Le immagini gratis alle tv del mondo

Per il messaggio 'Urbi et Orbi', Benedetto XVI ha deciso di aggiungere una nuova lingua: finora erano 63. Inaugurato il presepe e l'albero in piazza, il più alto degli ultimi anni

Città del Vaticano, 24 dicembre 2008 - Boom di presenze a San Pietro, per la tradizionale messa di Natale presieduta da Papa Benedetto XVI. Celebrazione che sarà trasmessa in mondovisione e, quest’anno, per la prima volta, il segnale alle tv di tutto il mondo verrà distribuito gratuitamente.


Le immagini della messa di mezzanotte, il messaggio ‘Urbi et Orbi’ (‘Alla città e al mondo’), domani a mezzogiorno dalla Loggia delle Benedizioni, il ‘Te Deum’ di fine anno e la messa del primo gennaio, saranno infatti diffuse gratuitamente a qualsiasi televisione che potrà così acquisirle tramite satellite.
Tutti i costi - informa il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali - saranno sostenuti dai Cavalieri di Colombo. L’anno scorso furono 88 i networks, provenienti da 60 Paesi del mondo, a seguire la messa di mezzanotte. “Quest’anno i contatti sono stati di più dell’anno scorso - riferiscono dal Vaticano - anche se ad ora è impossibile sapere il numero delle tv e dei paesi collegati”.
(...)

lunedì 22 dicembre 2008

Cattolici lontani dal Papa, veri laici

Corriere della Sera 20.12.08
Due saggi ripercorrono il rapporto storico fra le chiese e lo Stato. Un arco di tempo che va dall'antica Roma a Gramsci
Cattolici lontani dal Papa, veri laici
Da Machiavelli a Cavour: la fede senza gerarchie sorregge la democrazia e l'uguaglianza
di Luciano Canfora

Che il rapporto tra la religione e la politica (o, se si vuole, la vita sociale) sia uno dei temi di più lunga durata che possano impegnare lo studioso di storia è quasi una ovvietà. Meno ovvio è in quanti modi, anche tra loro assai lontani, sia percepito, e si svolga, tale rapporto. La questione si è posta per ogni genere di società, e si presenta in modi diversi per le diverse confessioni religiose, dal «cesaropapismo » dell'impero bizantino, e poi zarista, alla «separazione» realizzata dalla Terza Repubblica francese, quando finalmente si consolidò e fu al riparo dai traumi che per decenni dopo il 1871 l'avevano resa fragile. Che, in materia, l'Italia sia stata un luogo nevralgico e sommamente indicativo è ben noto, ed è stato un bene che l'editore Laterza abbia mandato da poco in libreria una corposa silloge, curata da Michele Ciliberto, intitolata
La biblioteca laica, il pensiero libero dell'Italia moderna. Al centro ideale dell'intera silloge figura la pagina di Machiavelli (dai Discorsi I, 1: «Della religione dei Romani») sulla religione come «fondamento» del vivere civile. Alla conclusione, in posizione giustamente enfatica, vi è il discorso parlamentare di Cavour culminante nella impegnativa formula «Libera chiesa in libero Stato».
Sono ben note le riflessioni che il Machiavelli svolge in quel capitolo a sostegno della funzione di freno che la religione deve esercitare soprattutto nei confronti di masse incolte (gli uomini «grossi », come egli si esprime). Riflessione che, da un lato, si spinge ad indicare in Numa Pompilio, piuttosto che in Romolo, il vero fondatore della compagine romana, e dall'altro rivela netto distacco dal fatto religioso come tale, là dove al Savonarola viene destinato un elogio, che però tradisce ironia, per aver egli — con la religione — tenuto a freno addirittura un popolo tutt'altro che rozzo quale quello di Firenze. «Al popolo di Firenze — così scrive Machiavelli in un sapiente dosaggio di realismo e di ironia che non risparmia certo i suoi concittadini — non pare essere né ignorante né rozzo; nondimeno da frate Girolamo Savonarola fu persuaso che parlava con Dio. Io non voglio giudicare s'egli era vero o no, perché d'uno tanto uomo se ne debbe parlare con riverenza, ma etc.». Nel capitolo seguente Machiavelli traduce in modo originale, e quasi imprevisto, tali premesse e osserva che in Italia l'assenza di religione (e quindi dell'efficacia politicamente positiva che la religione può produrre) è da addebitarsi proprio alla chiesa di Roma («quelli populi — scrive — che sono più propinqui alla chiesa romana, capo della religione nostra, hanno meno religione»).
Questa considerazione è, per certi versi, vicina a quella cavouriana, posta a fondamento del celebre discorso con cui la silloge laterziana si conclude: che, cioè, proprio il potere temporale della chiesa cattolica ha nociuto e nuoce alla religione, e che dunque tale potere «fu ostacolo non solo alla riorganizzazione dell'Italia ma eziandio allo svolgimento del cattolicismo».
Ovviamente le concrete situazioni storiche in cui si trovano Machiavelli e Cavour sono incomparabilmente diverse. Ma vi è anche, in Machiavelli, un rifarsi assiduo all'esperienza antica, soprattutto romana, che lo porta ad accentuare quell'elemento «strumentale» ( instrumentum regni), che viene da alcuni pensatori antichi e che invece in Cavour non c'è. In Machiavelli operano la lettura e l'assimilazione profonda dell'esperienza romana — come sostanza stessa del suo pensiero — vista attraverso Livio, ma anche attraverso quel libro sesto di Polibio che Machiavelli certamente conobbe e nel quale la formulazione apertamente strumentale dell'uso politico della religione come forte ed efficace regolatore sociale è netta e convinta. Modello ideale lo stesso Cesare, impegnatissimo a farsi eleggere pontefice massimo — dunque supremo esponente della religione — ma intimamente impregnato di convincimenti epicurei. Convincimenti che non gli impedirono affatto di attribuire a quella carica religiosa un ruolo centrale in tutta la sua carriera politica. Né era necessario, per un colto romano, simpatizzare per Epicuro, teorico dell'estraneità degli dei rispetto alle cose del mondo. Anche Cicerone, soprattutto nel De divinatione (bellissimo il commento che ne fece Sebastiano Timpanaro) ma anche nel De natura deorum ci appare scettico, ironico sul mestiere truffaldino degli aruspici, e quasi volterriano, laddove quando parla in pubblico non fa che apostrofare gli «dei immortali» quasi protagonisti remoti, e guida, e giudici, della politica.
Questa «doppiezza» fu propria dei ceti dirigenti del mondo classico, e passò recta via nella moderna cultura umanistica, giacché gli uomini della «Rinascita» proprio della parola di quegli antichi largamente si erano nutriti. Su una tale base, in condizioni storiche certo del tutto diverse, poté purtroppo anche germogliare l'elogio — che non suscita certo molta simpatia — della «dissimulazione onesta». Elogio che nell'Italia dominata dal fascismo fu letto con sensibilità attualizzante, e che certo a buon diritto trova posto in questa silloge laterziana.
In Cavour operano altre premesse. Vi è in lui schietta considerazione per il fenomeno religioso come tale. E quando perciò egli scrive che il recedere della chiesa dal suo potere temporale gioverebbe al cattolicesimo stesso non dà vita ad un sofisma capzioso, ma al contrario esprime il suo autentico pensiero. In questo egli è molto vicino ad un altro pensatore liberale che in profondità ha lavorato su questo problema: Alexis de Tocqueville. È uscita da poco, per le edizioni Dedalo, un'eccellente antologia tocquevilliana a cura di Paolo Ercolani ( Tocqueville, Un ateo liberale) che comprende tra l'altro, dalla Démocratie en Amérique, i capitoli sulla «religione come istituzione politica», beninteso negli Usa. Ed è ammirevole osservare la serietà con cui Tocqueville, aconfessionale, si pone dinanzi al fenomeno originalissimo della lealtà repubblicana dei cattolici americani. Egli approda ad una considerazione non ovvia: «Se da una parte il cattolicesimo dispone i fedeli all'obbedienza, dall'altra non li prepara certo alla disuguaglianza» (p. 224). Onde, osserva, in un Paese lontano dalle impalcature statali del cattolicesimo (la monarchia retta dal Papa), quei fedeli sono i più predisposti ad accogliere il principio democratico dell'uguaglianza ed a viverlo come fondamento stesso del consorzio civile.
Insomma, non solo riflessione fondata sugli antichi e valutazione distaccata del fenomeno storico della religione ma, appunto, comprensione storica. In Italia chi ebbe tale sensibilità fu, in rottura con il generico anticlericalismo della sinistra letteraria e tradizionale, Antonio Gramsci. La cui grandezza nella storia intellettuale del nostro Paese si manifesta anche in questo.


Se la Chiesa esige uno "Stato cristiano"

La Repubblica 22.12.08
Se la Chiesa esige uno "Stato cristiano"
di Carlo Galli

Era parecchio tempo che non si sentiva utilizzare, nel dibattito pubblico, il termine "statolatria" (culto dello Stato): se ne è servito l´arcivescovo Angelo Amato per polemizzare contro l´Educazione alla cittadinanza, nuova materia di insegnamento nella Spagna di Zapatero. Per il prelato si tratta di un "indottrinamento laicista" che rinnova, in forme mutate, la pretesa dello Stato di esercitare sui cittadini un´autorità non solo legale, esteriore, ma anche pedagogica e morale, interiore. Uno Stato che fa concorrenza a Dio.
Un tempo, con "statolatria" la cultura cattolica definiva polemicamente il fascismo, col quale la Chiesa si era conciliata ma di cui non poteva accettare il ruolo "totale" che esso assegnava alla statualità, e anche gli esiti politici dell´idealismo tedesco e italiano. Lo Stato è per Hegel «l´ingresso di Dio nel mondo», e per Gentile è «Stato etico»: lo Stato realizza il compimento della vita dell´uomo, è la fonte della sua esistenza storica, morale e politica, è l´orizzonte di ogni legittimità.
Espressione estrema della lotta moderna contro il principio d´autorità ecclesiastico, lo Stato etico viene prima del singolo e dei suoi diritti soggettivi, e, con la sua prassi educativa, porta l´arbitrio dei privati ad aderire pienamente e consapevolmente (e qui starebbe la vera libertà) a quella vita collettiva (la "nazione") di cui lo Stato è l´espressione storica più piena e razionale.
Contro questo culto dello Stato si muovevano i socialisti, che nello Stato vedevano soprattutto l´aspetto giuridico del dominio di classe, i liberali (non tutti) ostili al superamento della centralità etica, giuridica e politica del singolo soggetto, e appunto anche il cattolicesimo che al potere autoreferenziale di uno Stato così inteso opponeva l´autonomia della Chiesa e della persona, entrambe di origine divina.
Ma che cosa significa il ricorso polemico al termine "statolatria" nel dibattito di oggi, quando lo Stato, con ogni evidenza, non ha più quelle pretese? Quando lo Stato etico è un´esperienza sconfitta dalla storia, e tutta la riflessione politica e morale, si orienta altrove per individuare le coordinate della libertà individuale e collettiva? Qual è la ragione di questo anacronismo lessicale?
Siamo davanti, di fatto, all´equiparazione dello Stato laico contemporaneo allo Stato etico, all´assimilazione dell´educazione dei giovani alla cittadinanza democratica con la trasmissione autoritaria di specifici contenuti dottrinari, al timore che quando lo Stato educa al rispetto dei diritti realizzi una limitazione della libertà personale e collettiva, che il potere sia ormai (secondo le parole dell´arcivescovo) "biopolitico", che cioè si intrometta nella vita intima delle persone.
Ora, in questa argomentazione sono evidenti alcuni limiti: il primo è che tutto ciò sembra ricalcare le polemiche ecclesiastiche ottocentesche contro l´istruzione pubblica promossa dallo Stato, vista come una violazione dei diritti delle famiglie. Il secondo è che la Chiesa definisce "biopolitica" la legge di uno Stato, ma non la propria impressionante serie di divieti, che vincolano gravemente i diritti dei singoli credenti a determinare in modo autonomo come vivere, amare, procreare, morire. Il terzo limite è infine che qui si interpreta polemicamente come un contenuto ideologico particolare (e pericoloso) proprio quel principio di laicità dello Stato che è al contrario la condizione universale formale che fonda e garantisce la coesistenza dei singoli soggetti e dei gruppi sociali.
Lo Stato laico (quale cerca di essere la Spagna) non può non insegnare ai giovani il pluralismo e la tolleranza. E non può non spiegare, a tutti i cittadini, che la legittimità del legame politico democratico e dei doveri che ne derivano sta nel fatto che le leggi dello Stato rispettano e valorizzano i diritti umani, civili, sociali e politici, e non servono ad affermare un´identità religiosa o culturale (né, ovviamente, etnica), neppure se è quella della maggioranza. Questo non è l´insegnamento di un´ideologia che fa dello Stato un idolatrico concorrente di Dio, ma della libertà dei moderni, e dei contemporanei.
E se non si vuole comprendere che la laicità dello Stato non è un opinabile valore fra gli altri ma è la decisione fondamentale della civiltà moderna che realizza la tutela politica della libera espressione sociale di ogni possibile fede e cultura, dell´uguale dignità dei più vari progetti di vita purché non implichino violenza e dominio su altri; se si critica e si combatte come statolatria, come culto dello Stato, l´esistenza e l´azione di uno Stato che rende possibili tutti i culti (e anche il rifiuto dei culti) e tutte le culture; allora in realtà non si vuole, al di là delle espressioni verbali, uno Stato laico ma uno Stato cristiano, o almeno uno Stato che di fatto privilegia il cristianesimo. Come la distinzione fra laicità e laicismo, così il ricorso al termine "statolatria" è quindi più che una scelta linguistica: è un chiaro segno, fra molti altri, di un preciso indirizzo di politica ecclesiastica di cui farebbero bene a essere consapevoli tutti quei laici che del ruolo dello Stato hanno ancora un concetto adeguato.

venerdì 19 dicembre 2008

"Adesso la Chiesa non esageri da noi ha già troppi privilegi"

"Adesso la Chiesa non esageri da noi ha già troppi privilegi"

La Repubblica del 19 dicembre 2008, pag. 17

di Alessandro Oppes

Di fronte all’ultima offensiva del Vaticano, il governo Zapatero, per il momento, tace. Nessun comunicato ufficiale dalla Moncloa, sede del premier,nessuna dichiarazione dal ministro degli Esteri Moratinos. Le accuse di monsignor Amato sono solo l’ultimo di una lunga serie di attacchi ai quali, fino ad ora, l’esecutivo socialista ha quasi sempre risposto, in qualche caso persino convocando il nunzio apostolico per consegnargli una nota ufficiale di protesta. Solo in serata il Ministero dell’istruzione ha brevemente replicato con una nota affermando che «d’Educazione per la cittadinanza è una materia approvata dal Parlamento, attraverso una legge: evidentemente questo rappresentante del Vaticano, attraverso le sue dichiarazioni, mostra di conoscere poco la realtà spagnola». Chi non rinuncia a un commento, invece, è lo scrittore Javier Cercas. «Se devo essere sincero, sono ormai stufo di questo tema», sbotta. «Non capisco proprio perché la Chiesa, che ha ancora oggi una posizione di privilegio enorme, continui a lamentarsi». Quando parla del conflitto permanente tra lo Stato laico e la gerarchia ecclesiastica, l’autore di Soldati di Salamina non può evitare di fare riferimento agli anni tragici della Guerra Civile spagnola. «La posizione della Chiesa è ipocrita. Tutti siamo d’accordo nel condannare gli assassinii di preti e suore avvenuti in quei tempi e alle cerimonie di beatificazione in Vaticano il governo ha sempre inviato un suo rappresentante. Poi, quando si tratta di riconoscere le responsabilità della Chiesa durante il franchismo i vertici della gerarchia ci invitano a dimenticare, a non riaprire vecchie ferite».



Forse il timore della Chiesa è proprio quello di cominciare a perdere una parte dei privilegi conquistati nel passato.

«Certamente è così, ma prima o poi dovranno capire che è un processo inevitabile. Si tratta di privilegi totalmente sproporzionati. Le festività cattoliche invadono il paese. Quando il presidente del Tribunale supremo assume l’incarico, lo fa giurando davanti al crocifisso. La posizione economica della Chiesa è incompatibile con i principi di uno Stato laico».



Mai un governo aveva messo in discussione la sua posizione nella società come sta facendo Zapatero...

«Prima o poi questo momento doveva arrivare. Il governo deve fare di tutto per mantenersi fermo e inflessibile resistendo alle pressioni, che ci sono e continueranno a esserci. Ammetto che la Chiesa possa avere in Spagna una presenza superiore rispetto a quella delle altre religioni, anche per motivi semplicemente numerici, nel senso che continua a essere la confessione maggioritaria. Ma questo non significa che possa avere alcun diritto d’ingerenza nella vita pubblica di uno Stato che è assolutamente aconfessionale».



Nella passata legislatura la gerarchia ecclesiastica ha avuto un alleato importante nella destra politica, nel Partito popolare.

«Un entusiasmo che sembra essersi attenuato parecchio. Ora nella destra sembrano aver preso il sopravvento le posizioni più moderate».



Però, di fronte all’imminente varo della nuova legge sulla libertà religiosa, voluta da Zapatero, sono proprio i popolari a denunciare che in Spagna si vuole «distruggere la religione».

«Che assurdità. La religione è qualcosa di personale, che riguarda ciascuno nel privato. Capire questo semplice principio è un enorme progresso che ha fatto l’umanità. Nei paesi arabi non ci sono ancora riusciti: e le conseguenze sono evidenti».

mercoledì 17 dicembre 2008

Pillola abortiva, l'Agenzia del farmaco ritarda il via libera

Pillola abortiva, l'Agenzia del farmaco ritarda il via libera

Liberazione del 17 dicembre 2008, pag. 2

La pillola abortiva Ru486 attende da mesi la commercializzazione in Italia. E dovrà attendere fino a gennaio, visto che il consiglio di amministrazione dell'Aifa (Agenzia italiano del farmaco) è stato rinviato al nuovo anno nonostante avrebbe dovuto dare un parere definitivo sulla Ru486 proprio questa settimana. L'ennesimo ritardo ha fatto andare su tutte le furie la Aduc, l'associazione a difesa dei consumatori che ha annunciato un ricorso alla Corte europea per ottenere finalmente l'autorizzazione alla commercializzazione del farmaco al centro delle polemiche. L'Aduc sostiene che il rinvio dell'Aifa è determinato da «pressioni politiche» sfavorevoli all'utilizzo della pillola che elimina l'intervento chirurgico per l'interruzione di gravidanza, e cioè il centrodestra e ambienti ecclesiastici.
Secondo le direttive europee, uno Stato membro deve approvare la richiesta di mutuo riconoscimento entro 120 giorni, mentre l'Italia attende da oltre un anno la pillola. La francese Exelgyn, ditta produttrice della Ru486 - da non confondere con la pillola del giorno dopo, contraccezione di emergenza da richiedere dopo un rapporto sessuale a rischio di gravidanza, mentre la Ru486 provoca un aborto - è convinta che «ci siano forti pressioni nella valutazione della RU486, e non è difficile intuire da dove vengano originate, ossia dal Vaticano. Siamo stati informati che nella scorsa settimana sono usciti diversi articoli sui giornali italiani, molto critici verso la Ru486, e questo è scandaloso».
Chi non lo trova affatto scandaloso è Eugenia Roccella, ex portavoce del Forum delle famiglie, ora sottosegretaria al welfare per i temi bioetici: la questione dell'immissione in commercio della pillola «non è affatto chiusa» e rimane da chiarire l'effetto del secondo farmaco approvato dall'Aifa, «il misomisoprostolo, che attualmente è "off label" in Italia, cioè non approvato con quest'indicazione. La stessa ditta ne ha sconsigliato l'uso per l'interruzione volontaria di gravidanza».
Proprio ieri un gruppo di parlamentari ha presentato una mozione che impegna il governo a sospendere la procedura di autorizzazione e registrazione della Ru486. Si tratta di parlamentari di Pdl, Udc e Lega coordinati dal cattolicissimo Luca Volonté: chiedono «un impegno concreto dell'Esecutivo affinchè la pillola che consente alle donne di abortire senza entrare in sala operatoria non approdi in Italia». L'argomentazione utilizzata dai detrattori del farmaco è la sospetta efficaca e soprattutto il tasso di mortalità: 16 donne sono morte, nel mondo, a causa della Ru486. La mozione sarà «bipartisan» e molto probabilmente includerà la firma di Paola Binetti e altri teo-dem del Partito democratico, convinti che bisogna tutelare «la vita nascente» e quella delle donne. Attualmente cresce la percentuale dei medici obiettori e la scarsa applicazione della 194, la legge che legittima l'interruzione volontaria di gravidanza.

Integralisti sconfitti

Integralisti sconfitti

L'Opinione del 17 dicembre 2008, pag. 1

di Alessandro Litta Modignani
Annunciando come ormai inevitabile, fra pochi giorni, l’introduzione anche in Italia della pillola abortiva Ru 486, e proclamandosi rassegnata al triste evento, il sottosegretario Eugenia Roccella sperava forse di sollevare un polverone in extremis, chiamandosi fuori al contempo dalle sue responsabilità istituzionali. Non riuscirà né nell’uno né nell’altro scopo. Un farmaco diffuso da oltre vent’anni in Francia, Gran Bretagna e Svezia e da almeno dieci anni nel resto dell’Europa, sta per entrare in commercio anche nel nostro paese, superando l’ostruzionismo degli integralisti. Tutti i comitati scientifici – assolutamente tutti, nessuno escluso - che in Italia si sono occupati di questo farmaco, non hanno potuto che confermarne la validità. I casi negativi, in tutto il mondo, sono a tal punto rari da essere giudicati trascurabili dall’intera comunità scientifica internazionale. Per intenderci, la stessa gravidanza è statisticamente 10 volte più pericolosa della Ru 486: significa forse che le donne dovrebbero smettere di fare figli e abortire? Valga per tutti l’esempio del Portogallo. Questo paese ha legalizzato l’interruzione della gravidanza solo l’anno scorso e qui l’aborto farmacologico è praticato persino in misura superiore a quello tradizionale. Non avendo alle spalle una pluridecennale consuetudine di aborto chirurgico, il paese ultimo arrivato si è subito adeguato ai canoni più avanzati della ricerca scientifica, senza alcuno scandalo.

Dov’è il problema dunque? Il problema è tutto ideologico e politico, naturalmente. In questi anni la Ru 486 è stata sperimentalmente utilizzata in Italia da circa 40 centri sanitari, dopo la coraggiosa iniziativa del ginecologo torinese Silvio Viale. I vari ministri che si sono succeduti (prima Storace, poi Bindi, ora Sacconi), al di là del solito teatrino propagandistico, si sono guardati bene dall’intervenire. Né del resto si vede come avrebbero potuto. Fra l’altro, il mifepristone (la sostanza che blocca il nutrimento dell’embrione) ha dimostrato proprietà che vanno ben al di là della sua funzione abortiva: dei circa 50 studi in corso attualmente nel mondo, solo 10 riguardano l’interruzione della gravidanza, mentre gli altri 40 sono concentrati sui possibili effetti contro malattie come la depressione, alcune forme di tumore e altre ancora. Di fronte a tutto questo, il veto oscurantista e anti-scientifico era francamente ridicolo e infatti nei prossimi giorni verrà travolto dalla realtà, come è giusto che sia. Se ne deve essere accorta per prima la stessa Roccella, alzando bandiera bianca: “Non possiamo fare più niente per bloccare il farmaco”, ha candidamente confessato. Persino il cardinale Barragan non ha potuto fare altro che ribadire che “la Chiesa condanna tutti gli aborti”, definendo la pillola Ru 486 “non tanto innocente”.

Viale, che ha collezionato una serie di denunce destinate naturalmente a finire nel cestino, spiega che né il prezzo - che verrà verosimilmente fissato a 20 euro - né le norme previste dalla legge 194, possono essere prese a pretesto per impedire l’uso del farmaco. Gli ospedali non sono galere e nessuno può costringere una paziente al ricovero obbligatorio, contro la sua volontà.
Ad abbaiare alla luna è rimasto perciò soltanto il povero Luca Volonté, che in un malinconico comunicato esprime “profonda delusione per l’incomprensibile inerzia dell’attuale governo” e reclama anche la mancanza di iniziative, contro le linee guida espresse dal precedente ministro di centro-sinistra, in materia di fecondazione assistita. “Coerenza vuole - si infervora il deputato Udc - che il ministro Sacconi venga attaccato come lo è stata Livia Turco”. Corri, Forrest, corri.

martedì 16 dicembre 2008

Meno mortalità del Viagra, ecco il farmaco abortivo

Meno mortalità del Viagra, ecco il farmaco abortivo

Il Manifesto del 16 dicembre 2008, pag. 6

di E. Ma.
L’Ru486 (mifepristone) è il farmaco utilizzato nell’approccio farmacologico all’interruzione di gravidanza, in alternativa all’aborto chirurgico. È uno steroide sintetico con spiccata attività antagonista verso recettori del progesterone e si assume per via orale. Il progesterone è l’ormone che assicura il mantenimento della gravidanza, quindi la pillola Ru486 determina il distacco della mucosa uterina, con un processo simile a ciò che avviene durante la mestruazione. Solitamente dopo un paio di giorni, la donna deve poi assumere un altro farmaco, il prostaglandine, sotto forma di ovulo vaginale o per via orale, che favorisce l’espulsione del feto. L’Ru486 è già commercializzata in una ventina di paesi al mondo e in quasi tutta Europa (Francia, Austria, Germania, Belgio, Danimarca, Gran Bretagna, Grecia, Spagna, Svizzera, Svezia, Lussemburgo, Olanda, Finlandia, Norvegia). Costa circa 20 euro e il suo impiego è stato esteso a molte altre indicazioni, come sollecitato nel 2007 dall’Agenzia europea del farmaco: per la dilatazione cervicale in preparazione dell’aborto chirurgico nel primo trimestre, nell’interruzione di gravidanza terapeutica, nell’induzione del travaglio in presenza di morte intrauterina del feto, per la cura dell’endometriosi. Ma viene usato anche in via sperimentale (essendo un anti progestinico, anti glucocorticoide e anti androgeno) nella cura di alcuni tumori, della sindrome di Cushing e della depressione. Gli ultimi studi, tra i quali quelli dell’organizzazione statunitense Planned Parenthood Federation of America, considerano efficaci anche dosi minime di 200 milligrammi, Si stima una mortalità materna dell’1,1 ogni 100 mila donne: qualcosa come cinque volte di meno del Viagra e dieci volte inferiore alla mortalità in gravidanza.

Aborto, la pillola indigesta al governo

Aborto, la pillola indigesta al governo

Il Manifesto del 16 dicembre 2008, pag. 6

di Eleonora Martini

Il governo ci aveva quasi rinunciato a fermare l’arrivo anche in Italia della pillola abortiva Ru486.

Ma, incalzata dal Vaticano, la pasionaria pro-life Eugenia Roccella, sottosegretaria al Welfare, si fa sotto di nuovo e fa l’ultimo tentativo. Se ci sarà riuscita o meno lo sapremo presto, forse oggi stesso. E’ prevista infatti per questa mattina l’ultima riunione della Commissione tecnico scientifica dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) che dovrà dare il via libera definitivo alla registrazione italiana del farmaco a base di mifepristone, usato principalmente per rendere meno rischiosa e dolorosa l’interruzione di gravidanza, sia quella volontaria ammessa dalla legge 194 entro il primo trimestre, sia quella terapeutica. Un sì che non dovrebbe essere in discussione, soprattutto perché già nel febbraio scorso la Commissione aveva autorizzato l’iter finale per il mutuo riconoscimento del Mifegyne - è il nome commerciale del farmaco prodotto dalla casa francese Exelgyn - essendoci già stata l’approvazione da parte dell’agenzia europea. Subito dopo occorrerà che la Commissione prezzi e rimborsi stabilisca alcuni dettagli e poi, come ha raccontato alle agenzie il direttore generale dell’Alfa Guido Rasi, l’ok definitivo arriverà dal Cda dell’organismo che sì riunirà probabilmente il 18 dicembre prossimo. Così, se non ci saranno altri intoppi, nei primi mesi del 2009 la pillola Ru486 potrà essere somministrata anche in Italia, ma solo negli ospedali anche se c’è chi in prospettiva spera che possa essere prescritta anche nei consultori. Sarà così messa la parola fine ad una telenovela che dura almeno dagli anni ‘90 (quando la clinica Mangiagalli partecipò ai primi studi sulla materia) e che - per usare le parole del ginecologo radicale Silvio Viale, padre della sperimentazione italiana iniziata all’ospedale Sant’Anna di Torino nel 2005 - ha fatto sì che l’Italia arrivasse a questo traguardo medico «con un ritardo di 20 anni rispetto alla Francia e all’Inghilterra, e di 10 rispetto agli altri paesi europei e agli Stati Uniti».



«Non posso fermare la Ru 486 perché il parere favorevole dei medici dell’Aifa è arrivato già nel febbraio scorso quando l’agenzia era presieduta da Nello Martini e il ministero della Salute era retto da Livia Turco», aveva spiegato Eugenia Roccella domenica, quando è arrivato lo stop della Santa sede per bocca dei ministro della salute vaticano Javier Lozano Barragan. E allora l’ex portavoce del «Family day» ha tentato di riaccendere la polemica con una strada già battuta da altri suoi illustri predecessori - come i ministri della Salute Girolamo Sirchia e Francesco Storace, che emise inutilmente ben due ordinanze nel tentativo di bloccarla - e ha annunciato di volersi rivolgere alle autorità europee. «La pillola abortiva banalizza l’aborto», è l’allarme lanciato da Roccella. E, alle voci simili sollevatesi un po’ da tutto il Pdl, ieri si è aggiunta quella dell’associazione cattolica Scienza e Vita, secondo la quale siamo di fronte all’«ultimo anello di una serie di forme di banalizzazione dell’aborto, cominciata trent’anni fa e che oggi raggiunge il suo vertice». «L’unico modo per riaprire la valutazione medica del farmaco è passare per l’Europa, strada di cui sarà valutata la praticabilità», ha aggiunto Roccella apparentemente inconsapevole che nel resto del continente la Ru486 è già da tempo commercializzata. «Europa, questa sconosciuta», commenta incredula da Radio radicale Emma Bonino, alle parole della sottosegretaria. L’allarme sul rischio di «banalizzare l’aborto» è a presa rapida. Lo sa bene Amedeo Bianco, presidente della federazione degli ordini provinciali dei medici italiani (Fnomceo), che proprio per questo ieri è intervenuto nel dibattito ribadendo quanto scritto nel febbraio scorso in un documento ad hoc. «Questa è un’obiezione che fa presa, perciò necessita di una risposta: - spiega Bianco al manifesto - è evidente che nessuno pensa di poter banalizzare l’aborto tramite l’uso della Ru486, o pensarla come uno strumento faidate. Perché dietro la scelta di una donna ad abortire c’è tutto un percorso di libertà, responsabilità e autonomia riconosciuto dalla legge 194 e che prescinde dal metodo usato. Spero e mi auguro che si plachino le polemiche sui pericoli della pillola e sulla mortalità femminile, e che si lascino lavorare serenamente le autorità sanitarie che naturalmente conoscono e comunicheranno ogni eventuale rischio».


Ma chi nel Pdl e Oltretevere non si arrende, come l’ex femminista Eugenia Roccella, arriva ad accusare la Ru486 di essere «incompatibile con la legge 194, secondo la quale l’Ivg deve avvenire sempre nelle strutture pubbliche. La Ru486 riporta l’aborto in una sorta di clandestinità legale: dopo l’assunzione delle due diverse pillole, infatti, le donne in genere tornano a casa fuori dal controllo medico, anche laddove il protocollo chiede il ricovero in ospedale». «Non è vero - risponde Silvio Viale - dal 2005 ad oggi quasi 5 mila donne italiane hanno usato la Ru486 e quasi tutte sono tornate a casa dopo aver assunto la prima pillola e in attesa della seconda somministrazione che avviene comunque sotto controllo medico. E la cosa più pericolosa per loro è stata venire in automobile all’ospedale».

lunedì 15 dicembre 2008

Parte dal pulpito la guerra alle donne

Parte dal pulpito la guerra alle donne

L’Unità del 15 dicembre 2008, pag. 6

di Lidia Ravera

“Non è un farmaco innocente" ha detto Javier Lozano Barragan, ministro per la salute dello Stato Straniero che si incunea nel corpo già martoriato del nostro paese. Così la pillola RU486 non sarà, come dovrebbe essere, a disposizione delle donne italiane dalla prossima settimana, in tutti i pubblici ospedali, per interrompere una gravidanza indesiderata, e non in stadio avanzato, espellendo l’embrione senza intrusioni chirurgiche nel proprio corpo. Dovrebbe, perché è stata autorizzata definitivamente dall’AIFA, è stata, cioè, ritenuta efficace e innocua (innocua, non innocente), dovrebbe perché è già prescritta e somministrata nei Paesi civili e progrediti che ci circondano, Paesi come il nostro (soltanto un po’ più laici). Invece non potremo avvalercene, di questa conquista della scienza. Come di tante altre (vogliamo parlare della procreazione assistita?). Ipotesi ottimista: dovremo continuare a patire e rischiare di più, sottoponendoci ad aspirazioni e raschiamenti. Ipotesi pessimista: se i corteggiatori politici della Chiesa vinceranno e riusciranno a cancellare la legge 194, dovremo tornare alla mammana e ai suoi ferri da calza. Tu, donna, abortirai con dolore, è la maledizione dei papisti. Il tuo corpo è impuro: l’hai "fatto per il piacer tuo" e non per "far piacere a Dio", mettendo al mondo un figlio di cui non puoi farti carico. E allora devi pagare. In attesa di azzerare le conquiste delle lotte, che, purtroppo, hanno prodotto leggi, ci impegneremo a renderti la vita difficile. Scienziati e ricercatori non possono essere messi al rogo come Galileo, ma potremo sempre fare in modo che il frutto della loro ricerca sia messo all’indice. Non possiamo ritirare la RU486 dal mercato, però possiamo tuonare dal pulpito. Già lo stiamo facendo. L’aborto è un omicidio, renderlo meno cruento non è difendere la salute delle donne ma incoraggiare la strage degli innocenti. Così il papa e i suoi ministri ombra. Mi pare di sentirli. E posso anche indovinare che cosa accadrà: un opportuno proliferare di obbiettori di coscienza fra ginecologi e farmacisti renderà meno disponibile questa metodica alternativa al trauma fisico dell’aborto (quello psicologico è inevitabile, si rilassino gli alti prelati, almeno un po’ di depressione è garantita). Un’informazione pilotata a spaventare farà il resto: è così facile quando un certo farmaco non l’hai mai preso, credere a chi ti fa paura! Sapremo difenderci?

Il Papa: non è vicina la fine del mondo

Corriere della Sera 15.12.08
Il Papa: non è vicina la fine del mondo

CITTA' DEL VATICANO — «Nessuno può conoscere il momento della venuta del Signore». Quindi, «in guardia da ogni allarmismo, quasi che il ritorno di Cristo fosse imminente». Così ieri papa Benedetto XVI, citando San Paolo, durante l'Angelus in piazza San Pietro ha parlato della fine del mondo. Sono solo degli «allarmismi» ha detto il Pontefice, che ricorrono nella storia dell'umanità, dal tempo di San Paolo: «Già allora la Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, comprendeva sempre meglio che la vicinanza di Dio non è una questione di spazio e di tempo, bensì una questione di amore: l'amore avvicina!». E sempre ieri, c'è stata la tradizionale benedizione dei bambinelli dei presepi degli oratori e delle parrocchie romane, portati in piazza San Pietro dai ragazzi delle scuole. Davanti ad alcune migliaia di persone radunate in piazza San Pietro, Benedetto XVI ha recitato una preghiera di benedizione: «È per me un vero piacere rinnovare la bella tradizione della benedizione dei "bambinelli", le statuette di Gesù bambino da deporre nel presepe». E salutando i bambini degli oratori e delle parrocchie romane nella giornata per la costruzione di nuove chiese a Roma celebrata dalla Diocesi di Roma, Ratzinger ha ricordato: «Negli ultimi anni sono stati realizzati nuovi complessi parrocchiali, ma vi sono ancora comunità che dispongono soltanto di strutture provvisorie inadeguate».

Pillola abortiva in arrivo, stop del Vaticano

Corriere della Sera 15.12.08
Ru486 Polemica dopo la notizia del prossimo via libera da parte dell'Agenzia del farmaco. L'Udc: il governo è stato inerte
Pillola abortiva in arrivo, stop del Vaticano
«Uccide esseri innocenti». La Meloni: le donne sappiano che è rischiosa
L'autorizzazione è ora solo un problema tecnico, automatico. L'azienda produttrice ha già i foglietti illustrativi in italiano
Margherita De Bac

Cardinale Barragan: La Ru486 non è tanto innocente La Chiesa condanna tutti gli aborti

ROMA — Lancia l'ennesima scomunica il Vaticano contro la pillola abortiva, tra poco a disposizione degli ospedali italiani. La voce stavolta è del cardinale Javier Lozano Barragan, «ministro per la Salute» della Santa Sede: «La Chiesa cattolica comprende il dramma di una ragazza che suo malgrado si trova incinta, ma condanna l'aborto in qualsiasi forma esso venga praticato perché si uccide un essere innocente. L'embrione è un essere umano con tutti i suoi diritti». Per il cardinale «la Ru rientra tra i farmaci che non sono tanto innocenti». Chi pensava di poterla fermare ha dovuto ricredersi. Già approvata a febbraio sotto il governo di centrosinistra, entrerà a breve in Italia, probabilmente all'inizio del prossimo anno, senza che l'attuale esecutivo possa intervenire. E' una procedura tecnica, automatica.
Dopo l'anticipazione del Corriere conferma il capo dell'agenzia del farmaco (Aifa), Guido Rasi. Domani una riunione del comitato tecnico. Giovedì passaggio in consiglio di amministrazione che potrebbe essere definitivo. L'uso del farmaco sarà vincolato dalle stesse regole della legge 194 sull'aborto. Quindi niente vendita extra ospedaliera. Obbligo di ricovero in day surgery, diurno. Resta valido ovviamente il ricorso all'obiezione di coscienza: «La nostra posizione non cambia — dice Pietro Saccucci, ginecologo obiettore al San Camillo- Forlanini di Roma —. La contrarietà all'aborto non dipende dai mezzi che lo procurano ».
L'azienda produttrice, la francese Exelgyn è pronta: «Già tradotto in italiano il foglietto illustrativo e la confezione — dice l'amministratore delegato Alexandre Lumbroso —. Dal ministero sappiamo che la registrazione avverrà entro la fine dell'anno». Il fatto che l'arrivo del farmaco a base di mifepristone sia inesorabile non indebolisce i contrari. Fanno blocco compatto le donne della destra al governo, in pieno accordo col sottosegretario Eugenia Roccella che per prima ha sollevato il problema della sicurezza. «L'esperienza all'estero ha dimostrato ampi margini di rischio, mancanza di efficacia e complicanze legata ai tentativi di aborto chimico — denuncia il sottosegretario al Welfare, Francesca Martini —. Siamo preoccupati sulle modalità di somministrazione che deve avvenire in linea con la legge 194. Serve informazione. Non è una caramella da prendere a casa. Provoca il distacco dell'embrione dall'utero».
Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni mette in guardia le ragazze: «Non è un anticoncezionale. È un'altra cosa. È un farmaco con gravi rischi, interrompe una gravidanza già iniziata. Ogni nuovo strumento per fermare la vita non è una vittoria per nessuno, è anzi una sconfitta sociale». Secondo la Roccella l'aborto con la Ru486 «è difficilmente compatibile con la legge 194. Si torna a una forma di clandestinità legale. Le donne la prenderanno a casa, fuori dal controllo medico ».
A questa visione «terroristica », come lui la definisce, si oppone Silvio Viale, il ginecologo del Sant'Anna di Torino che ha sperimentato il metodo per primo in Italia: «Gli ospedali non sono galere. Non possiamo costringere le pazienti a restare se non vogliono. Le preoccupazioni sulla pericolosità non sono fondate. Gli studi dimostrano la sicurezza. Bisogna tornare in ambulatorio a distanza di 2 giorni dall'assunzione per prenderne una seconda, a base di prostaglandine, che favorisce la definitiva espulsione del feto». Secondo Viale dal 2006 sono stati 4 mila i casi di aborto chimico. Nel 2008 è stato praticato in 28 centri italiani grazie ad un meccanismo di importazione nominale. In pratica il farmaco viene richiesto all'azienda produttrice caso per caso. Di terrorismo psicologico parla anche Silvana Mura, Idv: «Le polemiche sono gratuite. Il governo Prodi ha lavorato nell'interesse della donna che ora avrà un'alternativa alla chirurgia ». Luca Volontè, Udc, esprime «profonda delusione per l'incomprensibile inerzia dell'attuale governo. Una triste vicenda come è stata anche la mancanza di iniziative sulla legge per la procreazione assistita. Coerenza vuole che il ministro Maurizio Sacconi venga attaccato come lo è stata Livia Turco».

domenica 14 dicembre 2008

San Gaetano, la Curia ci ripensa

San Gaetano, la Curia ci ripensa
MARIA CRISTINA CARRATU´
DOMENICA 14 DICEMBRE 2008, LA REPUBBLICA - FIRENZE

Nel ´99 il furto del tesoro dalla chiesa: ora il via libera alla causa

nove anni sono tanti, per decidersi a chiedere giustizia. E però, meglio tardi che mai la Curia di Firenze ha deciso di proporre causa civile contro gli antiquari e gli altri protagonisti della serie di furti avvenuti fra il ´99 e il 2003 nella Chiesa dei Santi Michele e Gaetano, in piazza Antinori, da dove, con la complicità del custode Giuseppe Pistone furono trafugati reliquiari, sculture, panche, candelabri, turiboli, paramenti sacri per oltre 500 mila euro di valore, fra cui un prezioso crocifisso della scuola di Giambologna (circa 50 mila euro). Un passo a lungo inspiegabilmente rinviato, dopo che, una volta recuperati i beni dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico, il processo a carico di antiquari e custode si era concluso nel 2006 con una clamorosa archiviazione. Prescritto il reato di incauto acquisto, e escluso quello di ricettazione per gli antiquari (che dissero di aver acquistato in buona fede), non si era potuto procedere nemmeno contro il custode, pure riconosciuto «certamente» colpevole di furto. Non essendoci aggravanti, infatti, ci sarebbe voluta una querela. Che la Curia, però, come Repubblica aveva denunciato nell´aprile del 2008, non aveva mai presentato. Forse convinta che fosse meglio spegnere al più presto i riflettori su una vicenda per molti versi oscura e che aveva coinvolto persone di fiducia di piazza San Giovanni, dallo stesso Pistone, all´economo della diocesi, al direttore amministrativo dell´Istituto per il sostentamento clero, in una parrocchia, per di più, che (unica a Firenze senza parroco) dipende direttamente dal vescovo ausiliare Claudio Maniago. Non solo: se, dopo l´archiviazione, i beni recuperati dai carabinieri (tuttora in deposito di San Salvi) non sono subito tornati in mano agli antiquari, è solo perché il gip ha confermato il sequestro. La Curia, infatti, ha evitato a lungo passi formali per riaprire il caso, salvo una istanza di restituzione dei beni trafugati accolta dal gip solo per quelli trovati in casa di Pistone. Tutti gli altri, fra cui il Cristo del Giambologna, sono rimasti sotto sequestro. Da qui (con la tesi che, essendo vincolati dalla soprintendenza, tutti i beni erano invendibili), la decisione di ricorrere in cassazione, presa poco prima di lasciare Firenze, dall´ex arcivescovo Ennio Antonelli. Nonché quella della causa civile. Una linea di rigore tardiva, subito confermata dal nuovo arcivescovo Giuseppe Betori. «Siamo fiduciosi» spiega l´avvocato Gianluca Gambogi «di vederci riconosciute tutte le nostre buone ragioni».

Via libera alla pillola abortiva «Il governo non può fermarla»

Corriere della Sera 14.12.08
Via libera alla pillola abortiva «Il governo non può fermarla»
Il sottosegretario Roccella: ormai l'agenzia ha detto sì
di Margherita De Bac

ROMA — E' in arrivo la Ru486, la cosiddetta pillola abortiva.
In settimana l'Agenzia del farmaco (Aifa) potrebbe dare il via libera definitivo.
Secondo il sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella, «il governo non può fermarla».
Restano da stabilire il prezzo e le modalità di prescrizione: ci sarà l'obbligo di almeno un giorno di ricovero

ROMA — È questione di poco tempo l'introduzione in Italia della Ru486, la pillola abortiva. Questa settimana il Consiglio di amministrazione del-l'Aifa, l'Agenzia del farmaco, potrebbe dare il via libera definitivo alla pasticca che ha consentito a milioni di donne in tutto il mondo di interrompere la gravidanza senza entrare in sala operatoria. E il governo non può fare niente, ammette Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare. Questo perché la pillola di fatto aveva già ricevuto il passaporto lo scorso febbraio, autorizzata per procedura di mutuo riconoscimento dal comitato tecnico scientifico dell'Aifa durante il governo di Romano Prodi. Il comitato allora presieduto dall'ex capo dell'Agenzia, Nello Martini, aveva espresso parere favorevole giudicando positivo il rapporto costi-benefici purché il suo impiego fosse coerente con la 194 e fosse previsto solo in ambito ospedaliero.
Il meccanismo si è messo in moto e il prodotto è all'ordine del giorno della riunione di fine d'anno del Cda dell'Aifa: «Arrivati a questo punto, non ci sono motivi per dire di no», dicono le persone bene informate sui lavori dell'organismo da cui dipende il prontuario terapeutico del nostro Paese.
«Noi non possiamo fare più niente per bloccare un farmaco che a nostro parere espone a molti rischi. Ma è una truffa dire alle donne che è sicuro e che rende l'aborto facile», contesta Eugenia Roccella, impegnata a denunciare con Assuntina Morresi (ora sua collaboratrice al ministero) i pericoli della Ru486. «Poi questo farmaco ha ancora molti lati oscuri. Ha provocato almeno 16 morti», sottolinea. «E verrà somministrata in ospedale solo in teoria. Nella pratica le donne firmeranno il registro delle dimissioni e torneranno a casa, senza neppure una notte di ricovero, come è avvenuto nel 90% delle volte nel corso della sperimentazione a Torino. E questo è un rischio», aggiunge il sottosegretario.
Dunque l'arrivo in commercio della famigerata pillola a base di una sostanza, il mifepristone, che «blocca il nutrimento » dell'embrione, è ormai una questione di settimane. La ditta francese che la produce, l'Exelgyn, ha già trovato l'azienda cui appoggiarsi in Italia per distribuirla. Restano da stabilire solo il prezzo e le modalità di prescrizione. La Ru486 potrà essere data solo in ospedale e con obbligo di almeno un giorno di ricovero. Non sarà un farmaco da portare a casa, lontane dal controllo medico.
L'unica motivazione che l'Aifa potrebbe avanzare per rimandare il via libera e rinviare le inevitabili polemiche da parte del mondo cattolico (soltanto l'altro giorno il Papa ha rinnovato la sua condanna) sarebbe di carattere economico. Ma sarebbe un arrampicarsi sugli specchi. Eugenia Roccella però vuole continuare la sua battaglia: «Le donne devono sapere che l'aborto chimico non è una passeggiata».

sabato 13 dicembre 2008

venerdì 12 dicembre 2008

Libri Ghibellini: Libri che risorgono

segnaliamo il blog:
http://librighibellini.blogspot.com
riportiamo dal blog un post che ben riassume lo scopo che si è prefissato il blog.
Libri che risorgono
Non solo lo storico del pensiero, ma praticamente ogni uomo di cultura ha il potere di far risorgere i morti. Quando vado in biblioteca e fra tanti libri scelgo e comincio a leggerne uno, sto risuscitando un morto e il mio spirito diviene il luogo dove lui è presente.
Ora, esistono almeno tre diverse forme di questa presenza postuma del pensatore; e il problema non sta nel risuscitare i morti, ma nel come farlo.
In primo luogo il pensatore può essere presente nella nostra coscienza come oggetto. Abbiamo conosciuto i suoi pensieri; essi sono in un certo modo fissati nella nostra memoria; possiamo riferire questi pensieri ad un altro. È una presenza passiva e immobile.
Il pensatore, anche se morto molti secoli fa, può essere presente nella cultura non solo come oggetto, bensì anche come sog getto, quando trova dei seguaci, i quali non solo ricordino i suoi pensieri, ma anche li accolgano come proprie convinzioni e adoperino i suoi strumenti concettuali per il proprio pensare. In tale modo il pensatore morto si trasforma in soggetto della loro attività intellettuale e sopravvive nella loro visione del mondo.
Ma tale sopravvivenza ha un lato deteriore perché toglie ai seguaci la loro autonomia. E poi esiste il pericolo che il pensatore — essendo, per qualche tempo una potente leva del progresso intellettuale — possa lentamente trasformarsi in un ostacolo, in un freno che impedisce il sorgere del ‘nuovo’. Ricorrendo ad un famoso detto di Carlo Marx possiamo asserire che in tale caso « le mort saisit le vif », cioè il seguace diviene lo schiavo del morto e perde la propria personalità sotto il peso della ‘perfezione’ del maestro.
Nella stessa prefazione del Capitale, dalla quale abbiamo citato il detto, Marx ha precisato quali lettori vuole avere. Lontano dalla presunzione di costruire un sistema assoluto, che una volta per sempre risolva tutti i problemi e così ‘liberi’ ‘ tutti i posteri dal pensare, egli, al contrario, dichiara che indirizza la sua opera a lettori i quali « vogliono pensare anche loro ».
E così abbiamo scoperto il terzo modo della presenza del pensatore morto tra i vivi. Non come oggetto e non come soggetto del nostro pensare, ma come amico e compagno delle nostre lotte e dei nostri lavori. Possedendo il meraviglioso potere di far risorgere i morti, dobbiamo risuscitarli organizzando la loro attiva partecipazione alla nostra attività creatrice. Adoperando una bella espressione di Aldo Capitini (1899-1968), possiamo parlare di una vera « compresenza dei vivi e dei morti ».

AA. VV. (a cura di Giovanni Papuli)
Le Interpretazione di G. C. Vanini
Congedo Editore, Galatina, 1975
pag. 315-316

Gli atei a convegno per la laicità dello Stato

Liberazione 12.12.08
Gli atei a convegno per la laicità dello Stato

«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi». Recita così l'articolo 7 della nostra Costituzione. Sessant'anni dopo, come si deve leggere quell'articolo, e che cosa possiamo augurarci per il futuro della laicità del nostro paese? Questo il tema del convegno organizzato dalla Uaar alle 10 nella Sala della Pace di Palazzo Valentini di Roma . Al convegno parteciperà un nutrito parterre di giuristi: Sergio Lariccia docente di Diritto amministrativo alla Sapienza di Roma, Fabio Corvaja costituzionalista dell'università di Padova, Piero Bellini professore emerito di Storia del diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, Nicola Colaianni docente di Diritto ecclesiastico all'Università di Bari), Nicola Fiorita docente di Diritto ecclesiastico all'Università di Firenze, Valerio Pocar docente di Sociologia del diritto all'università di Milano Bicocca. «Sono passati sessant'anni dall'approvazione della Costituzione - spiega Raffaele Carcano, segretario nazionale della Uaar - e in questi sessant'anni l'Italia e il mondo sono cambiati radicalmente, dal punto di vista dei diritti ma anche dal punto di vista della cultura e della società. Con questo convegno, coi i relatori di altissimo profilo che vi partecipano, vogliamo dare un contributo alla riflessione su che cosa sia, e come si possa realizzare appieno, la laicità dello Stato»

Sapienza, Frati invita di nuovo il Papa dopo le proteste

l’Unità 12.12.08
Sapienza, Frati invita di nuovo il Papa dopo le proteste

ROMA «Confesso di non aver capito, da ricercatore prima che da credente, il pregiudizio che quest'anno a gennaio ha mosso chi ha fatto riferimento al caso Galileo per giustificare una contrarietà alla sua visita alla Sapienza». Così ieri il rettore de La Sapienza Luigi Frati ha motivato il nuovo invito a papa Ratzinger a visitare l’ateneo romano, dopo le proteste degli studenti e la successiva rinuncia che accompagnarono una analoga iniziativa quasi un anno fa.
«Spero di poterla accogliere ed ascoltare nelle nostre sedi universitarie» ha detto Frati nel suo discorso durante l’incontro di Benedetto XVI con gli studenti nella basilica di San Pietro al quale ha partecipato anche il ministro Gelmini.

giovedì 11 dicembre 2008

Il declino dei laici dal dopoguerra in poi

La Repubblica 10.12.08
Un saggio di Massimo Teodori e un'antologia curata da Michele Ciliberto
Il declino dei laici dal dopoguerra in poi
di Nello Ajello

Sugli integralismi confessionali è uscito anche "Contro l´aldilà" di Franco Crespi

Dove sono, nella politica e nella società italiana, i liberali, quelli veri, cioè in pari tempo antifascisti e anticomunisti? Che ne è di loro? Chi ha congiurato per ridurli al silenzio? Ecco le domande che circolano nel volume di Massimo Teodori, Storia dei laici (Marsilio, pagg. 364, euro 19,50). Il lettore vi troverà il racconto di un´assenza, la diagnosi d´un disinganno. La parabola attraversata da quella corrente di pensiero che animò tante figure di alto rilievo, è nota per sommi capi a chiunque abbia in mente i capitoli salienti della recente vicenda italiana. Ora Teodori li percorre, quei capitoli, in pagine così ricche di eventi, date e personaggi da offrire sul tema un promemoria ragionato.
Le avventure che ha incontrato la cultura laica nel nostro Paese coinvolgono, a volerle storicamente inseguire, tutto un mondo che risale indietro nei secoli offrendo insegnamenti sempre attuali. In un gioco di progeniture e di rimandi ideali verranno così alla luce i più disparati saperi e valori, volta per volta difesi o contestati: dalla religione al diritto, dalla vita associata alla tutela dell´individuo. E´ appena apparso, per fare un esempio, in edizione Laterza e a cura di Michele Ciliberto, un volume intitolato Biblioteca laica, con un sottotitolo esplicativo, Il pensiero libero dell´Italia moderna. Vi si raccolgono, in una stimolante antologia tematica, testi che vanno dal Rinascimento agli albori dell´Unità: da Leon Battista Alberti (per citare solo alcuni degli autori), attraverso Machiavelli e Guicciardini, fino a Manzoni, Cavour e Cattaneo. Una lettura prelibata e, a tratti, di sorprendente freschezza. In un teso dissenso dai nuovi e vecchi integralismi confessionali appare schierato un altro saggio anch´esso recentissimo, Contro l´aldilà, di Franco Crespi (Il Mulino.)
Diversa, per tono e intenzione, è ovviamente la ricerca di Teodori, avendo egli scelto come suo sfondo iniziale i decenni politici che vanno dal primo Novecento alla caduta del fascismo. Già con l´introduzione, nel 1919, del sistema proporzionale, che impone sulla scena i movimenti cattolico e socialista, appare incrinata la supremazia di quella classe dirigente elitaria che, fatta l´Italia, sembrava indefinitamente destinata a governarla. Poi il regime littorio, con la sua demagogia intollerante, sposterà la società italiana in una dimensione di massa impraticabile dagli esponenti dell´universo liberale. Molte personalità istituzionali sono costrette al ritiro. Altre, da Matteotti ad Amendola, da Gobetti a Carlo Rosselli, pagheranno con la vita la fedeltà agli ideali.
L´antifascismo non totalitario ha così perso i propri leader più ispirati, e già si prepara ad essere incluso in quella categoria dell´«Italia di minoranza» che gli procurerà i mesti elogi di Giovanni Spadolini.
Mascherato, sotto il regime fascista, dalla supremazia culturale del crocianesimo fra le menti libere e poi dall´interesse rivolto dal filosofo al formarsi dei nuclei antifascisti nati, spesso in suo nome, sulla propria sinistra, il declino liberale diventerà esplicito fin dai primi confronti elettorali del dopoguerra, aggravandosi ancora negli anni della Guerra Fredda. Nato appunto da una costola di Croce, il partito d´Azione se ne differenzia ora su un punto decisivo: la continuità del nuovo assetto politico con l´Italia prefascista. Questo disconoscimento di paternità, da una parte, e dall´altra le critiche mosse dal pensatore abruzzese alla fumosità ideologica di quel nobile partito di intellettuali che s´è forgiato nella lotta armata, creano una delle tante dicotomie destinate a sfoltire le file liberaldemocratiche. Fra i notabili «vecchio stile» e i borghesi rivoluzionari del nuovo partito si leva una barriera. E´ solo la scarsa rispondenza popolare il dato che accomuna le due parti. Al suicidio del partito d´Azione fa riscontro il tenue richiamo esercitato da quello liberale in un mondo dominato da un drastico manicheismo: i comunisti all´assalto e i democristiani al contrattacco, con il supporto di una borghesia più interessata alla conservazione che ai destini della Fede. Quando, alle elezioni del 1946, i liberali si presentano sotto l´insegna di un´Unione democratica nazionale, è facile appiopparle la sigla «ONB», in ricordo dell´Opera nazionale balilla, utilizzando le iniziali di Orlando, Nitti e Bonomi con un derisorio richiamo alla loro grave età.
Al polo opposto dello schieramento c´è quel «partito nuovo», al quale Togliatti imprime una strategia di movimento. Il frontismo, che il Pci capeggia nel 1948 - «annus horribilis», lo definisce l´autore - indossa «una rassicurante maschera semiborghese» e cerca di «confondersi tra la folla», come denunzia già da tempo, sul Risorgimento liberale quel Mario Pannunzio che nessuno potrà accusare di maccartismo. Con l´avanzare della prima Repubblica, le tecniche del Pci nel fare incetta di intellettuali diventano più raffinate, sulle ali di uno slogan capzioso ed efficace: «i veri liberali siamo noi».
Sono proprio i laici, o ciò che ne resta, le vittime principali di una simile tattica. «Siamo certamente in una penosa situazione», chioserà Croce. «Da una parte i preti, "ingorda e crudele canaglia", come li chiama Ariosto, e dall´altra i comunisti che, oltre ad essere comunisti e russi, sono sempre pronti a negoziare e accordarsi con i loro avversari ai danni della libertà d´Italia». Ma anche le masse cattoliche subiscono, da sinistra, una vivace offensiva concorrenziale, alla quale tuttavia essi trovano nel proprio integralismo la forza per reagire; mentre le avance del Pci nella sfera religiosa si racchiudono in una quartina a firma di Mino Maccari: «L´articolo sette - Togliatti ce lo dette, - disse al marito la moglie, - e guai a chi ce lo toglie».
I liberali passano intanto da una scissione all´altra, e il campo anticomunista è sempre più lacerato: l´anticomunismo fascistoide, o confessionale - strumentalizzato e insieme arginato da De Gasperi al vertice della Dc vittoriosa - finisce per avere la meglio su quello, assai meno orecchiabile, praticato dalla sinistra liberaldemocratica, lamalfiana e terzaforzista, della quale nel libro si sottolinea la nobiltà nella sconfitta.
La parte celebrativa del volume si nutre di medaglioni biografici più o meno corposi, intestati a Mario Pannunzio e Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi e Vittorio De Caprariis, Adriano Olivetti, Nicola Matteucci, Altiero Spinelli; fino ai radicali di varia specie e perciò a Marco Pannella i cui rilevanti meriti storici in materia laica sembrano talvolta appannarsi di fronte a quella religione di sé che al laicismo poco somiglia. Con il dovuto rispetto ci si sofferma su una casistica politico-culturale che va dal Mondo all´Espresso, da Nord e Sud al Mulino e a Comunità, dall´Associazione per la Libertà della Cultura di Ignazio Silone a Tempo presente di Nicola Chiaromonte. Istituzioni, queste ultime, a proposito delle quali l´autore s´impegna a contestare quei supposti legami con l´Intelligence americana che, anche se provati, non scandalizzerebbero ormai nessuno o quasi. Ciò che conta è, comunque, l´assunto centrale di quest´opera, eloquente elegia su un mondo scomparso o frantumato.

domenica 7 dicembre 2008

Metà delle tredicimila scuole paritarie gestite da enti religiosi: che lo Stato aiuta con 280 milioni l´anno

La Repubblica 6.12.08
Metà delle tredicimila scuole paritarie gestite da enti religiosi: che lo Stato aiuta con 280 milioni l´anno
Seimila istituti e quarantamila prof la galassia dell´istruzione cattolica
Un giro d´affari che supera ogni anno il miliardo. Mezzo milione di iscritti: solo alle materne quasi 300mila
di Sandro Intravaia

ROMA - Oltre 6 mila istituti, quasi mezzo milione di alunni, 40 mila insegnanti e 18 mila tra bidelli e personale di segreteria. Ecco i numeri della scuola cattolica italiana, attorno alla quale ruota ogni anno un giro d´affari superiore a un miliardo di euro. In Italia, quello delle scuole non statali è un mondo piuttosto complesso. Per comprenderlo basta dare uno sguardo a "La scuola italiana in cifre: anno 2007". La galassia delle scuole non statali è dapprima suddiviso in due grossi blocchi: quelle pubbliche e quelle private. Che a loro volta sono suddivise in altre due categorie: le paritarie e le non paritarie. Le prime partecipano alla spartizione di circa 537 milioni di euro che lo Stato assegna in base ad una legge del 2000. Le seconde devono cavarsela con mezzi propri.
Una scuola può essere pubblica ma non statale? Sì, basta che sia gestita da un ente locale o pubblico: Comune, Provincia o Regione. È il caso di molte scuole materne: su 10.709 non statali 1.690 sono gestite direttamente dai Comuni, 246 dalle Regioni (come in Sicilia), 3 dalle Province e 405 da altri enti pubblici. Per ottenere lo status di scuola paritaria il gestore (ente pubblico o soggetto privato) deve avanzare richiesta all´ufficio scolastico regionale di competenza e, soprattutto, rispettare i requisiti stabiliti dalla legge 62 del 2000. Su un totale di 14 mila e 600 istituti privati sparsi in tutte le regioni italiane quasi 13 mila (l´88 per cento) sono paritari: facenti, cioè, parte del "sistema nazionale di istruzione" ed equiparati alle scuole statali.
E le scuole cattoliche? Secondo una statistica dello stesso ministero, oltre metà delle 13 mila scuole paritarie che operano nel nostro territorio sono gestite da enti religiosi. La quota gestita da laici è pari ad un terzo del totale. Ma è nel settore dell´ex scuola materna (ora dell´infanzia) che la Chiesa può fare la voce grossa. Su 628 mila bambini italiani che ogni anno frequentano le scuole paritarie (il 38 per cento del totale), 280 mila sono iscritti in scuole religiose. Se queste ultime dovessero "fallire" sarebbe un dramma per migliaia di famiglie perché lo Stato non sarebbe in grado di provvedere: mancano locali e arredi. Anche nella scuola elementare e media non statale gli istituti confessionali prevalgono, con più del 70 per cento di iscritti.
In totale, 280 milioni di contributo statale annualmente vanno diritto nelle casse delle scuole paritarie cattoliche. Ecco perché il taglio di 134 milioni previsto dal ministro dell´Economia, Giulio Tremonti, ha fatto storcere il naso ai vescovi e indotto il governo a fare marcia indietro.

sabato 6 dicembre 2008

Come la Cei comanda, arrivano i fondi alle scuole cattoliche

l’Unità 6.12.08
Come la Cei comanda, arrivano i fondi alle scuole cattoliche
Nessuna risposta agli studenti dell’Onda. Ma è bastato un alzare di ciglia Oltretevere che l’esecutivo ha messo mano alla borsa. Zanda (Pd): «A scuola, università e ricerca sottratti 10 miliardi».
di Roberto Monteforte

È bastato che i vescovi minacciassero una manifestazione di piazza contro il governo a difesa della scuola «paritaria», rafforzato dal richiamo di Benedetto XVI al «diritto inalienabile alla libera educazione dei figli e quindi agli aiuti per l’educazione religiosa, perché prontamente l’inflessibile Tremonti trovasse risorse per le «private». Almeno così è parso. Assicurare le risorse alle scuole gestite da religiosi, in primo luogo le «materne», è diventato «un primario impegno politico» del governo e della maggioranza. Ripristinare quasi totalmente, con 120 milioni su circa 134 milioni, lo stanziamento per le scuole private nel 2009: questo prevedeva un emendamento al disegno di legge di bilancio del relatore Maurizio Saia (Pdl) concordato col governo. Solo una «coincidenza» assicura il relatore: nessuna risposta immediata alla richiesta della Cei. Lo contraddice il sottosegretario all’Economia, Giuseppe Vegas, che rivolto alla Cei assicura: «Con questo stanziamento possono dormire su quattro cuscini». Finanziamento assicurato? Forse, visto che quell’emendamento è stato ritirato e modificato in un particolare: è stata cassata la destinazione a favore delle paritarie per attribuirlo genericamente al bilancio del ministero. Sarà il ministro Gelmini a deciderne l’uso: scuola pubblica, paritarie o opere per la sicurezza degli istituti. Quello che pare assodato è che questi 120 milioni saranno «l’unico» stanziamento di Tremonti per la scuola. Una rassicurazione a metà, quindi, quella data dalla maggioranza, divisa al suo interno. «Tremonti fa il gioco delle tre carte e non si assume le responsabilità della destinazione dei fondi che comunque sono troppo esigui» commenta la Bastico (Pd) che chiede di ridurre fortemente i tagli alle scuole pubbliche.
Certo è che è stato efficace l’«uno due» della Cei. Primo colpo: in mattinata una dichiarazione dai tuni duri e ultimativi del responsabile scuola della Cei, monsignor Stenco. Chiama direttamente in causa il ministro dell’Economia, Tremonti rimproverandogli «di colpire di nuovo la scuola cattolica». «Guarda caso nel 2008 ripete la stessa manovra del 2004: taglia per tre anni consecutivi 130 milioni di euro alla scuola cattolica - afferma -. È un film già visto: si continua a colpire il sistema paritario». Il direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per l’educazione rifà un po’ di conti. «Nel 2000 - spiega - la legge sulla parità scolastica ha previsto un contributo di 530 milioni di euro per tutto il sistema delle scuole paritarie, mentre la spesa per la scuola statale è di 50 miliardi. Il contributo, dello 0,1 per cento, è quindi già irrisorio». «Nel 2004, - prosegue - per tre anni consecutivi Tremonti ha tagliato 154 milioni sui 530 di contributo totale, cioè il 33 per cento». «La scuola cattolica ha taciuto - conclude - e li abbiamo recuperati anno per anno con emendamenti, con fatica e con ritardi. Ora, però, il ministro ripete la stessa manovra». Come dire: la misura è colma. «La Chiesa adesso - conclude minaccioso - deve tirare le sue conseguenze perché senza contributi le scuole dell’infanzia di certo rischiano di chiudere». Il secondo colpo, più morbido, arriva dal portavoce della Cei monsignor Pompili. «Siamo preoccupati, per il destino delle scuole pubbliche non statali. Tuttavia - ha aggiunto - pur consapevoli del momento economico e sociale del Paese, confidiamo negli impegni che il Governo ha assunto pubblicamente». La risposta non si fa attendere. Non sono necessarie Onde di protesta e migliaia di studenti e docenti in piazza. Il governo pare pronto ad accogliere le richieste della Chiesa. Una «sensibilità» attesa e a lungo contrattata Oltretevere. Quello che il governo offre è troppo poco: lo rimarca dall’opposizione la Garavaglia, il ministro «ombra» alla scuola. «Questo è solo un primo segnale» sottolinea, ricordando l’allarme lanciato a suo tempo dal Pd «sui tagli alle scuole paritarie» a cui l’esecutivo è rimasto sordo. «Ora - osserva - il governo di fronte alle legittime proteste provenienti da più parti, inclusi i vescovi, ci ha ripensato e ha cercato di rimediare al danno». Ma è che l’esecutivo guarda all’istruzione come a un costo da contenere. «I 120 milioni? Si tratta di un granello di sabbia rispetto ai circa 10 miliardi, tagliati a scuola, università e ricerca» afferma il senatore Luigi Zanda, invitando a rimediare ai colpi assestati alla scuola pubblica. «È bastato un semplice comunicato della Cei e il governo si mette sull’attenti e ritrova i fondi per le scuole private» afferma Claudio Fava di Sinistra democratica.

venerdì 5 dicembre 2008

«Boicottiamo l'8 per mille»

«Boicottiamo l'8 per mille»
Liberazione del 4 dicembre 2008, pag. 20

di Castalda Musacchio
«Boicottiamo il Vaticano destinando ad altri l'8 per mille». Dopo l'iniziativa di "Liberazione" - una protesta di massa da tenersi nel giorno in cui all'Onu andrà al voto la risoluzione per la depenalizzazione dell'omosessualità - i Radicali rilanciano l'invito rivolto a tutti i contribuenti con l'obiettivo - spiegano Marco Perduca, senatore radicale-Pd, e Alessandro Capriccioli, membro del Comitato nazionale di Radicali italiani - di negare il proprio contributo di cittadini italiani a un'istituzione tutta protesa verso quell'integralismo che crea discriminazioni e nega i diritti fondamentali degli individui. «Per questo - spiegano - si invitano tutti, a partire dalla prossima dichiarazione dei redditi, a destinare il proprio 8 per mille a soggetti diversi dalla Chiesa Cattolica, per non finanziare ancora chi si batte quotidianamente contro l'autodeterminazione degli individui e la loro libertà di scelta». Del resto, alla mancata adesione alla campagna Onu di depenalizzazione dell'omosessualità, motivata dalla pretesa esigenza di non discriminare gli Stati che discrimano i gay, si è aggiunto un rifiuto "inspiegabile", se non in un'ottica di puro oscurantismo ideologico, quello di non firmare la convenzione sui diritti dei disabili, adducendo questa volta i riferimenti alla salute riproduttiva contenuti nel documento (leggi no all'aborto, ndr).
E' ora, però, di dire "Basta"!
E questo, sicuramente, lo urleranno quanti parteciperanno sabato al sit in promosso da Arcigay Roma, Arcilesbica e Certi diritti, in piazza Pio XII, adiacente a San Pietro, una linea di confine tra lo Stato italiano e quello Vaticano.
«La posizione di non impegnarsi per la depenalizzazione universale dell'omosessualità - precisa Fabrizio Marrazzo, presidente di Arcigay Roma - ha turbato fortemente non solo la nostra comunità. Il Vaticano continua ad offendere la vita di milioni di persone criminalizzandone l'orientamento sessuale. Una posizione contraria a qualsiasi concetto evangelico di amore e fratellanza». Lo stesso concetto sul quale ha appuntato la sua attenzione Liberazione nell'editoriale andato in edicola ieri l'altro dove si è lanciato l'invito al boicottaggio del Vaticano, già accolto con soddisfazione da numerose associazioni ed esponenti del mondo laico, invitando anche tutti i cittadini «a vestirsi con una maglietta o un indumento rosa - come la stella che era imposta ai gay nei lager - e andare a manifestare in piazza San Pietro all'ora dell'Angelus». Ieri, a Genova, in segno di protesta, gay lesbiche e trans si sono di nuovo ritrovati davanti all'Arcivescovado del capoluogo ligure - che sarà sede del prossimo gay pride - per esprimere di nuovo la loro indignazione e la loro rabbia.
Non si possono certo dimenticare alcune immagini che continuano a fare il giro del mondo. Quella denuncia pubblicata su tutti i quotidiani di chi ormai è ricordato solo attraverso le iniziali: M.A. e A.M., i ragazzi impiccati nella piazza Edalat (della Giustizia) di Mashad, città sciita nel nord-est dell'Iran. E impiccati pubblicamente, nonostante uno di loro fosse persino minorenne, perché dichiarati omosessuali dopo 14 mesi di prigione e 228 frustate. Non si può ancora certo tacere il fatto che nel mondo ci siano ben 88 paesi che discriminano le persone con carcere, torture e lavori forzati a causa del loro orientamento sessuale. In sette di questi - Iran appunto, Arabia Saudita, Yemen, Emirati Arabi, Sudan, Nigeria, Mauritania - essere gay, lesbiche o trans significa andare incontro con una matematica certezza alla pena capitale.
Cosa aggiungere ancora al rifiuto di firmare la convenzione Onu per i diritti dei disabili? In questo caso si sta parlando di circa il 10% della popolazione globale a cui viene negata la possibilità persino di accedere a quei diritti fondamentali - salute, istruzione, accesso al lavoro, libertà di movimento, libertà dallo sfruttamento - che vengono riconosciuti se non altro come valori universali. Marrazzo continua. «E' per questi motivi che vogliamo rivolgerci a tutti, anche ai fedeli cattolici che non possono essere offesi come noi da parole che negano la vita della persona. E' proprio a loro - aggiunge - che chiediamo di riflettere, perché siano al nostro fianco in un momento in cui è importante ribadire che nessun credo religioso può giustificare l'opposizione alla cancellazione di una barbarie che produce incarcerazioni e sentenze di morte». Eppure? Eppure Frattini, il ministro degli Esteri, fa da sponda alla richiesta che giunge Oltretevere. E non ha mancato di osservare a chi gli chiedeva di commentare il "no" Vaticano alla convenzione per i diritti dei disabili che, certo, non ci può essere una «legittimazione internazionale dell'interruzione di gravidanza» perché questa è una materia che va regolamentata a livello nazionale. Il governo italiano, ha spiegato ancora il reggente della Farnesina, «pensa che il tema della disabilità debba essere affrontato come un diritto fondamentale: quello cioè dei disabili ad essere aiutati ed inseriti nella società». Ma sarebbe sbagliato, argomenta il ministro, «trarre da ciò una conseguenza di legittimazione internazionale dell'interruzione di gravidanza, perchè questa materia è competenza delle regole nazionali».
Quel che è certo è che il mondo non ha bisogno di integralismi. Ma l'Italia, a maggior ragione, non merita questa regressione culturale. L'auspicio è che agli appelli lanciati da Liberazione e dai Radicali almeno i laici rispondano con fermezza.

Scuola cattolica, la Cei contro i tagli e il governo ci ripensa subito

Scuola cattolica, la Cei contro i tagli e il governo ci ripensa subito

Repubblica.it del 5 dicembre 2008

Non sono servite manifestazioni, sit-in, o lezioni all'aperto. E' bastata la minaccia della mobilitazione delle scuole cattoliche per far cambiare idea al governo nel giro di qualche ora. I fondi per le scuole paritarie "vengono ripristinati", ha assicurato il sottosegretario all'Economia Giuseppe Vegas a margine dei lavori della commissione Bilancio del Senato sulla finanziaria. "C'è un emendamento del relatore che ripristina - dice Vegas - il livello originario, vale a dire 120 milioni di euro. Possono stare tranquilli, dormire su quattro cuscini".

Contro il taglio originario di circa 130 milioni di euro aveva tuonato stamane monsignor Bruno Stenco, direttore dell'Ufficio nazionale della Cei per l'educazione, annunciando che "le federazioni delle scuole cattoliche si mobiliteranno in tutto il Paese", contro i tagli previsti dal governo Berlusconi.

"Non si tratta di restituzione - aveva lamentato Stenco - a questo punto si è aperta una crisi molto più profonda e le federazioni delle scuole cattoliche presto si mobiliteranno in tutto il Paese". "Qui - aveva detto ancora - si vuole la scuola statale e la scuola commerciale, lo stato e il mercato ma non il privato sociale che rappresentiamo noi e che fa la scuola non per interesse privato, ma per interessi pubblici".

"Nel 2000 - aveva spiegato ancora Stenco - la legge sulla parità scolastica ha previsto un contributo di 530 milioni di euro per tutto il sistema delle scuole paritarie, mentre la spesa per la scuola statale è di 50 miliardi. Il contributo, dello 0,1 per cento, è quindi già irrisorio". "Nel 2004 - ha proseguito - per tre anni consecutivi Tremonti ha tagliato 154 milioni sui 530 di contributo totale, cioè il 33 per cento. La scuola cattolica ha taciuto - ha aggiunto - e li abbiamo recuperati anno per anno con emendamenti, con fatica e con ritardi. Ora, però, il ministro ripete la stessa manovra". "La Chiesa adesso - aveva concluso - deve tirare le sue conseguenze perché senza contributi le scuole dell'infanzia non vanno avanti e di certo rischiano di chiudere".



Dopo le parole di Vegas, il portavoce della Conferenza Episcopale Italiana, don Domenico Pompili, ha sfumato i toni della polemica. "I vescovi italiani - ha ricordato - sono preoccupati come emerso anche di recente da diverse voci del mondo cattolico, per il destino delle scuole pubbliche non statali, tuttavia pur consapevoli del momento economico e sociale che il Paese sta attraversando, confidiamo negli impegni che il governo ha assunto pubblicamente".

Dalla concezione della scienza al senso dello Stato

La Repubblica 5.12.08
Dalla concezione della scienza al senso dello Stato
Arabi e Occidente gli ostacoli al dialogo
di Adonis

Nelle tre fedi Dio è presente attraverso un messaggio specifico e unico che esclude gli altri. Nella prassi tutto ciò è stato mutato in ideologia

Quattro ostacoli vanificano il dialogo umano, sincero e creativo tra le sponde orientale e occidentale del Mediterraneo, o per essere più precisi tra gli Arabi e l´Occidente. Questi ostacoli rappresentano la visione religiosa dell´uomo e del mondo, la concezione della conoscenza, della scienza e in particolare dell´aspetto tecnologico, del senso dello Stato e della prassi politica, dell´antico e reiterato conflitto tra il sacro ebraico e quello islamico, che adesso si manifesta sotto forma di conflitto tra Israele e Palestina.
Se veramente volessimo realizzare questo tipo di dialogo creativo, che non si basa sulla semplice tolleranza, per essere fondato invece sulla eguaglianza degli esseri umani, allora dovremmo innanzitutto eliminare questi ostacoli o almeno dovremmo adoperarci per rimuoverli nel dialogo e negli incontri. In questa sede è difficile analizzare nei particolari ciascun ostacolo per scoprirne le origini e predisporne il superamento. Perciò mi limito a fare alcuni accenni e a porre domande specifiche per ciascuno di essi.
In primis, per quanto concerne la visione religiosa dell´uomo e del mondo, e qui si intende la visione monoteista, sappiamo tutti che il monoteismo ha un suo modo esclusivo di concepire Dio. In ogni monoteismo Dio è presente attraverso un messaggio specifico e unico che esclude gli altri. Nella prassi è stato mutato in ideologia, facendo della sua interpretazione l´unica via per conoscere Dio ad esclusione delle altre. Così, per il monoteismo, la parola divina si trasforma in uno strumento per il potere. E l´interpretazione è un potere culturale che diventa mezzo per fondare il potere politico-sociale. Allora, prima di affrontare qualsiasi dialogo tra le religioni monoteiste, è necessario porre delle domande fondamentali: la rivelazione specifica di ogni monoteismo, la parola di Dio nella sua totalità, è da ora sino alla fine del mondo, o è parte del discorso di Dio capace di arrivare sino all´infinito? Si può circoscrivere la parola di Dio alla sola rivelazione, mentre si può affermare che Dio non parlerà né farà rivelazioni dopo quella ebraica, o quella cristiana o quella islamica, e ciò che ha detto - a ciascuna di loro - è l´ultima rivelazione e quindi il sigillo delle verità? È possibile che Dio doni una rivelazione migliore di quelle svelate alle religioni monoteiste, o no? Se la risposta fosse affermativa allora i testi monoteistici non sarebbero più assoluti. Se la risposta fosse negativa, allora noi limiteremmo la libertà di Dio: allo stesso Dio non resterebbe che quel che ha detto.
Sembra quindi che il cosiddetto dialogo tra le religioni monoteiste si fondi su una differenza radicale, che consiste nel fatto che ciascuna di esse esclude l´altro nella propria visione di Dio. Come è possibile che vi sia dialogo tra parti che si negano a vicenda? Vi è dunque una egemonia teologica sul pensiero e sulla vita a un tempo. Il monoteismo non è semplicemente una conoscenza religiosa che domina la mente e il pensiero ma è anche un modo per controllare lo stesso corpo dell´uomo e possederne la vita in quanto ne possiede il pensiero. Esso è un potere biologico oltre che un potere culturale-mitologico. Il pensiero mediterraneo si muove quindi in una prigione teologica. Ad esempio, i fondamentalisti ebrei definiscono la terra palestinese occupata come i «territori biblici liberati». I musulmani rispondono contestando questa definizione.
Se lo stesso Dio è prigioniero della rivelazione dei suoi libri all´uomo, a maggior ragione lo stesso uomo, in tutto il suo essere pensiero, azione, ragione e cuore, è prigioniero di questa rivelazione scritta. E ciò che complica la questione oggi, si cela nel divario crescente tra ciò che la terra umana chiede sia scritto da una parte, e dall´altra quello che ha scritto Dio, ossia tra il reale e il trascendente.
Sembra che la liberazione da questa prigione sia una condizione necessaria affinché emerga un dialogo sufficientemente razionale. In particolare noi osserviamo, storicamente e fattivamente, che ogni cosa nell´interpretazione dominante dell´egemonia teologica monoteista e nella sua prassi, non fa che confutare l´incertezza e il dubbio della ragione, il suo contraddirsi e interrogarsi, il fare ipotesi, rischiare e vincere. La negazione della natura stessa dell´uomo, del corpo, del sesso maschile e femminile e dei loro oceani di piacere, desiderio e passione. Oceani di vita nella sua essenza di festa ed unione, e nella sua essenza di supremo valore umano.
Le sponde del Mediterraneo sono state testimoni di fasi storiche in cui questa interpretazione e questa prassi hanno trasformato il monoteismo in un esercitazione di forza, di invasione e di egemonia, di cui le crociate non sono che una manifestazione. In questi momenti l´essere umano ha distrutto in nome della verità rivelata, e ha trasformato Dio in un semplice capo militare, e la teologia in una formula linguistica. E il monoteismo non è stato considerato una preghiera ma è diventato una spada.
La questione dunque non è semplicemente il declino della religione, come crede Steiner, o del declino del ruolo dell´istituzione religiosa nella vita, nel pensiero e nei rapporti umani, la questione è piuttosto correggere il difetto nella visione monoteista dell´uomo e del mondo. Ed esso è un difetto le cui cause si celano nella natura stessa di questa visione, molto di più che nei fattori esterni, come credono molti sociologi - e questo sia che i fattori si ricolleghino al movimento razionalista della rinascita (araba), o alla vocazione al dubbio e alla laicità dell´illuminismo, o al darwinismo e alla moderna tecnologia della rivoluzione industriale. In momenti come questi abbiamo assistito all´istituzione dei tribunali dell´inquisizione e al trattamento disumano dell´uomo accusato di avere violato il testo.
(traduzione Francesca M. Corrao)