mercoledì 27 luglio 2011

San Raffaele, Vaticano pronto al salvataggio

La Stampa 1.7.11
San Raffaele, Vaticano pronto al salvataggio
Santa Sede in campo per l’ospedale di Don Verzè
di Marco Alfieri

Il San Raffaele avrebbe accumulato circa un miliardo di debiti su 600 milioni di fatturato

Sarà probabilmente il Vaticano e un’importante charity internazionale, anche attraverso una maxi-donazione all’università del gruppo, Vita-Salute, a salvare dal fallimento il San Raffaele del prete manager Don Luigi Verzè.
E’ l’indicazione che emerge al termine del cda della Fondazione del Monte Tabor che controlla il polo ospedaliero milanese e che poco prima ha approvato il bilancio al 31 dicembre 2010, chiuso con perdite dichiarate per circa 60 milioni a fronte di un patrimonio netto di 48,5, e la situazione patrimoniale al 31 marzo 2011. «Il presidente Don Verzè - si legge in una nota diffusa dall’Irccs milanese ha informato il Consiglio del vivo interesse manifestato dalla Santa Sede a supportare la Fondazione nel processo di risanamento in corso e nella gestione delle attività ospedaliere, sanitarie e di ricerca». A sua volta il board ha espresso «considerevole apprezzamento» raccomandando «di approfondire e perseguire tale percorso».
A questo punto il cda della Fondazione si riunirà «a metà luglio per esaminare lo stato delle trattative e assumere le delibere definitive», anche se la strada sembra spianata per il salvataggio Vaticano, sbucato all’ultimo minuto dopo un lavorio felpato sull’asse RomaMilano. D’altronde la situazione è molto delicata: il San Raffaele ha accumulato quasi un miliardo di debiti di cui 537,5 milioni scaduti (rispetto ad un fatturato di 600) e una caterva di decreti ingiuntivi da parte di molti creditori tanto da costringere la Procura di Milano ad avviare un protocollo civile per monitorare le condizioni finanziarie dell’ospedale di via Olgettina, sulla base della legge fallimentare. Anche la Guardia di Finanza potrebbe far scattare presto delle verifiche.
Sul tavolo di don Verzè sono però arrivate solo due proposte. Oltre a quella del Vaticano, probabile cavaliere bianco, quella del patron del gruppo ospedaliero San Donato, Giuseppe Rotelli, re della sanità lombarda e azionista forte di Rcs, che ha offerto 250 milioni in contanti per salvare il San Raffaele. Rotelli, attraverso la finanziaria di famiglia Velca, propone di costituire una newco per rilevare il gruppo ospedaliero e poi aprirla ad altri potenziali investitori (anche al Vaticano), mostrando la disponibilità a scendere sotto il 51 per cento. La proposta resta in campo e verrà vagliata, ma secondo alcuni osservatori vicini al dossier, non garantirebbe fino in fondo i debitori (oltre alle banche, società di servizi e case farmaceutiche) né andrebbe a genio al board che governa il San Raffaele perché, di fatto, permetterebbe ad un competitor come Rotelli di portarsi a casa con pochi soldi il polo di via Olgettina. In mezzo a questi dubbi s’inserisce il contropiede vaticano, deciso a mantenere l’azienda di Verzè nell’orbita sanitaria cattolica, nonostante tra il prete «eretico» veronese e le gerarchie Oltretevere non corra tradizionalmente buon sangue. Evidentemente non a tal punto da accettare di vedersi sfilare un polo di eccellenza del genere, che negli anni ha gemmato esperienze in giro per l’Italia, dalla Sicilia alla Sardegna e, prossimamente, in Puglia. Vagliate le offerte, da qui a metà luglio si procederà sulla strada del concordato in continuità e gli advisor di Bain & Co e di Borghesi Colombo, che hanno messo a punto il piano industriale e finanziario a sostegno della ristrutturazione puntando all’integrale abbattimento del grande debito verso tutti i creditori (non sarà affatto facile), dovranno capire con chi andare avanti nella trattativa (probabilmente la cordata promossa dal Vaticano).
Dalle prime indiscrezioni, è possibile che a scendere in pista per conto della Santa Sede sia direttamente lo Ior, la banca vaticana, con circa 400 milioni di euro. Mentre la charity internazionale interessata al salvataggio dovrebbe acquisire una quota di minoranza.
EVITARE IL FALLIMENTO Dallo Ior 400 milioni Pronta una charity internazionale
L’ALTRA OFFERTA Giuseppe Rotelli offre 250 milioni in contanti con una newco aperta
LA PROCURA Il tribunale di Milano accende un faro sui conti societari

Il marketing della Chiesa cattolica: intervista a Bruno Ballardini



La basilica di San Pietro è un'enorme, continua, costante campagna pubblicitaria.
La Cappela Sistina un grandioso kolossal spalmato sul soffitto. In effetti è stata la Chiesa cattolica ad inventare le tecniche del marketing che fin dall'inizio dell'era cristiana ha usato senza porsi alcun limite. Bruno Ballardini, che ci ha scritto un libro in proposito, lo spiega bene in questa intervista che realizzai nel 2006 per due documentari della Rai, dedicati all'architettura e all'arte destinate al culto.

martedì 26 luglio 2011

Bruno Ballardini, Gesù e i saldi di fine stagione



Immaginate che un guru del marketing sia convocato presso la Santa Sede da un alto prelato vaticano. Immaginate gli sia sottoposto il problema della perdita di credibilità della Chiesa e della inarrestabile emorragia di fedeli: fuga verso altri culti, seminari vuoti, messaggi accusati di anacronismo, preti che non ispirano fiducia, liturgie con pochi praticanti, rifiuto dell'etica evangelica. Immaginate che il consulente riceva l'incarico di studiare un "rilancio" e accetti la sfida, persuaso che la curva in discesa della sua committente non sia da attribuirsi solo a una crisi di contenuti, che sembrano essere lontani dalla modernità, ma anche a una crisi di comunicazione, quasi che le gerarchie non riescano più a riformulare efficacemente i fondamenti della religione cristiana.

Accade così che uno dei più quotati esperti di comunicazione strategica in Italia decida di cimentarsi nell'analisi delle cause che hanno arrestato il moto di espansione del cattolicesimo negli ultimi decenni. È un viaggio appassionante alla fine di una stagione, ma è soprattutto la scommessa di trovare una nuova strada: una strategia che aiuti la Chiesa a ristabilire la purezza della sua "marca", a riscoprire l'essenza del suo "prodotto", a rimotivare la "forza vendita" dei sacerdoti e dei religiosi e a "fidelizzare" vecchi e nuovi credenti attraverso la più straordinaria e capillare rete di punti in franchising -- diocesi e parrocchie -- che sia mai stata creata nella storia.

In gioco c'è la sopravvivenza stessa del cristianesimo.

sabato 23 luglio 2011

Crollano le entrate dell´Obolo di San Pietro ma le finanze del Vaticano tornano in attivo

La Repubblica 3.7.11
Crollano le entrate dell´Obolo di San Pietro ma le finanze del Vaticano tornano in attivo
CITTÀ DEL VATICANO - In attivo di 10 milioni di euro il bilancio consuntivo della Santa Sede. E per il secondo anno consecutivo. A queste cifre rosee fanno da contraltare le offerte volontarie per la "carità del popolo", note come Obolo di San Pietro. Le donazioni del 2010 hanno raggiunto la cifra di 67.704.416,41 dollari (46,6 milioni di euro), in brusco calo rispetto all´anno precedente, quando erano state pari 82,5 milioni di dollari (65,2 milioni di euro). Lo ha reso noto, ieri, la commissione cardinalizia che sovrintende alle finanze presieduta dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Nel 2010 le entrate vaticane sono state 255 milioni e 890 mila euro, le uscite 234 milioni e 847 mila euro, con un utile 2010 di 21 milioni 43 mila euro.
(o.l.r.)

venerdì 22 luglio 2011

L’arcivescovo e la benedizione dei Santapaola

il Fatto 17.7.11
L’arcivescovo e la benedizione dei Santapaola
Il figlio del boss si sarebbe interessato ai lavori della chiesa
di Antonio Condorelli

Catania. “Enzo Santapaola mi contattò, nei primi anni ‘90, perché fornissi una consulenza al vescovo Bommarito”. Le vie del Signore sono infinite. E quando Giovanni Barbagallo (geologo operoso, attualmente detenuto per associazione mafiosa), doveva fornire la sua opera all'arcivescovo Luigi Bommarito “per delle lesioni nella sede dell'Arcivescovado”, ad alzare la cornetta per chiamarlo non era l'alto porporato, ma un portavoce d'eccezione: Enzo, il figlio del capomafia Benedetto Santapaola. Meglio conosciuto come “Nitto”, capostipite della famiglia che porta il suo cognome, divenuta celebre per aver dipinto con il sangue la storia catanese degli anni ‘80 e ‘90.
L'arcivescovo Luigi Bommarito, adesso in servizio a Palermo, è stato scelto dal presidente della Regione Raffaele Lombardo come componente del consiglio superiore della Fondazione Banco di Sicilia; è stato un decennio a Catania, un altro decennio ad Agrigento e recentemente ha ricevuto gli apprezzamenti degli ambienti palermitani e non solo, per la visita in carcere a Totò Cuffaro, l'ex presidente della Regione, inciampato in alcuni problemini con Cosa Nostra. In questi giorni caldi Sua Eccellenza Bommarito è tornato a Catania per l'interrogatorio nel processo sulle infiltrazioni della famiglia Santapaola nella festa di Sant’Agata: è la terza celebrazione al mondo, per numero di presenze, della cristianità. Stranamente, i pontefici, mai sono intervenuti. Al posto loro hanno fatto un passo avanti, accanto ai sacerdoti, esponenti di primo piano delle più importanti famiglie mafiose. A leggere gli atti dell'accusa risulta difficile comprendere dove finisca la fede e inizi, se inizia, il legame tipico dell'associazione mafiosa. Basta guardare le foto e i documenti del circolo cattolico in cui risultano ai primi posti, tra i tesserati, i familiari di Nitto Santapaola e di Francesco Mangiòn, detto “Ciuzzu u firraru”. Quando uscì dal carcere uno dei Mangiòn, si fermò la processione con la Santa e sotto la casa del boss partirono i festeggiamenti con i fuochi d'artificio. Agli atti ci sono le testimonianze di pranzi conviviali a base di pesce tra fedeli, sacerdoti e alcuni dei Santapaola.
I proventi raccolti durante le fermate delle “candelore” davanti ai negozi. Sarà la magistratura a dire se si trattava di un contributo volontario o di una sorta di “pizzo religioso”. In prima fila, quando la candelora religiosa percorreva la via Asiago, c'erano Salvatore Copia e Nino Santapaola. Di fatto, le centinaia di migliaia di cittadini devoti alla Santa protettrice, sino a pochi anni addietro, vedevano Francesco Santapaola, a reggere il fercolo Sacro, il figlio di Nitto, e Giuseppe Mangiòn, figlio di “Ciuzzu u firraru”. Addirittura, sul portale ufficiale del circolo religioso di Sant’Agata,gliinvestigatoridelGico hanno trovato la foto di Vincenzo Mangiòn nel posto in cui doveva essere presente il sacerdote. Bommarito, nei giorni scorsi, è statointerrogatodalpmAntonino Fanara, vicentino d'assalto trapiantato a Catania, che ha letto, nell'aula gremita di legali e parenti dei boss, le dichiarazioni del geologo Barbagallo sui lavori in arcivescovado effettuati grazie a “Enzo Santapaola”. “Non ricordo”, ha risposto Bommarito. “Ma come non ricorda – ha detto il pm – lei ha offerto il Rosolio di sua madre a Barbagallo!”. “Ma sono cose di vent'anni fa”, ha risposto Bommarito, con una sola conferma: “È vero, ho amministrato la cresima di Enzo Santapaola”. Dal canto suo, il geologo Barbagallo, militante dell'Mpa, è considerato “uno di famiglia”, arrestato perchè sarebbe secondo i pm - “l'anello di congiunzione tra i fratelli Raffaele e Angelo Lombardo e Cosa Nostra”.
Santapaola conosceva Barbagallo, uomo che oltre che dalle chiese, entrava e usciva dalle segreterie autonomiste catanesi. “In effetti – ha detto ai pm Barbagallo – Benedetto Santapaola è un mio amico, anzi, è mio grande amico, ma naturalmente non lo vedo da tempo... È vero che nel passato Benedetto Santapaola partecipava a delle battute di caccia a Pergusa e che quelle battute erano ‘pagate’ dagli imprenditori Costanzo. Io organizzavo queste battute, nel senso che prenotavo un piccolo alberghetto nei pressi del lago di Pergusa e acquistavo il giorno prima le munizioni necessarie”.
A PALERMO, invece, una messa si nega “quasi a nessuno”. Se il boss italo canadese Agostino Cuntrera fosse stato un suicida o un divorziato, le porte della Chiesa non si sarebbero aperte per ricordarlo ad un anno dalla scomparsa. Ma siccome la causa del suo decesso è stata l'uccisione all'interno di una guerra tra cosche di rango internazionale, anche quest'anno è stato possibile, per famigliari e vecchi amici, ricordarlo con lo spirito. La Santa Messa è stata celebrata nel santuario del Santissimo Crocifisso a Siculiana, in provincia di Agrigento, paese natale del boss. Il parroco ha comunicato ai fedeli parole di significato profondo: “Mai girare le spalle alla fede, ancora di salvezza per l'umanità”.

martedì 5 luglio 2011

In "Gesù e i saldi di fine stagione" l´esperto di tecniche pubblicitarie racconta come il messaggio evangelico di Wojtyla segni una svolta anche per il "brand" religioso

La Repubblica 4.4.11
Da Piemme l´ultimo libro di Bruno Ballardini sulle strategie mediatiche della Chiesa
Se una beatificazione aiuta a fare marketing
In "Gesù e i saldi di fine stagione" l´esperto di tecniche pubblicitarie racconta come il messaggio evangelico di Wojtyla segni una svolta anche per il "brand" religioso
di Giorgio Falco

Supermercati, multinazionali del mobile e punti vendita lungo il Raccordo Anulare hanno chiuso - anche per questioni di ordine pubblico - domenica 20 agosto 2000, mentre Giovanni Paolo II celebrava la messa a Tor Vergata, nell´ambito del Giubileo. Soltanto Giovanni Paolo II poteva interrompere il flusso domenicale di consumo, almeno per una festività. Era il culmine delle Giornate Mondiali della Gioventù, iniziativa voluta dal Papa nel 1984. Giornate. Non giorni. I giorni sono vaghi, si accumulano e svaniscono indistinti. Ma i giorni contengono le giornate. Senza le giornate e le mansioni che ci diamo o ci vengono assegnate - preghiere, report aziendali, turni di campionato, guardie militari - i giorni sembrerebbero vuoti.
La Chiesa di Roma sembrava molto forte nel 2000. Ma da allora, gli scandali sessuali, il continuo calo delle vocazioni in Occidente, la morte di Wojtyla e la distanza dai potenziali fedeli hanno accelerato il declino. Alle possibili strategie di marketing per uscire da questa crisi è dedicato il libro di Bruno Ballardini, Gesù e i saldi di fine stagione (Piemme, pagg. 304, euro 16). Ballardini, uno dei più noti esperti di comunicazione strategica, ha evidenziato come l´imminente beatificazione di Wojtyla sia il tentativo estremo per risollevare le sorti della Chiesa cattolica. Non si avrà probabilmente la partecipazione numerica del 2000, quando abbiamo assistito a un´euforia collettiva, tanto che i media avevano coniato il neologismo papaboy per definire l´ibrido tra pellegrino e fan. Nel 2000, Wojtyla non aveva venticinque anni, ma ottanta. Se fosse stato un giovane idolo, la Chiesa avrebbe avuto ancora mezzo secolo di espansione.
Ti amiamo, ti amiamo! urlavano in polacco a Tor Vergata, verso quel puntino bianco in lontananza, tra le esalazioni di caldo. Il suo corpo sofferente era già entrato nella fase finale della vita. Martirio, in origine, ci ricorda Ballardini, era una parola usata in ambito giuridico, quando una persona testimoniava in difesa di un accusato. Solo dopo le persecuzioni dei cristiani, martirio ha preso il significato di testimonianza della fede in Gesù. Il corpo sofferente di Wojtyla era una testimonianza e uno straordinario testimonial. Il recupero della salma famosa è il tentativo estremo, «il saldo di fine stagione», scrive Ballardini. Bisogna vedere se l´operazione riuscirà. Il pontificato di Giovanni Paolo II è stato unione tra il carisma, la presenza fisica di Wojtyla e il linguaggio diretto, che offuscava perfino il messaggio evangelico.
«Voi siete le sentinelle contro l´odio», ripeteva Wojtyla ai giovani del 2000, tra le ovazioni dei convenuti. C´era la sensazione di privilegiare «non la quotidianità della fede, ma la straordinarietà dell´evento» scrive giustamente Ballardini. Adesso, in un periodo difficile, alla Chiesa urge una rifondazione, simile a quella delle aziende in crisi. Innanzitutto la Chiesa dovrebbe avere ben chiara la differenza tra marca e marchio. La marca è il brand, «l´essenza del prodotto, il suo significato, la sua direzione, ciò che ne definisce l´identità nel tempo e nello spazio» ovvero «il luogo in cui convergono la storia passata e futura del prodotto, i valori dell´impresa, la sua identità e l´esperienza dei consumatori». Con queste premesse, «la Chiesa è il brand, il prodotto è la dottrina, il marchio è la croce».
Il brand ha però una componente interna notevole. Ballardini suggerisce di agire in quella direzione, "unificando le molte sigle in un´unica marca". Tuttavia, allo stato attuale delle cose, una Chiesa di Roma senza l´Opus Dei o Comunione e Liberazione pare improbabile, così come «riunire tutto il Cristianesimo in un´unica Chiesa». Eppure in questo modo - secondo l´autore - le parrocchie potrebbero riacquistare l´autorità, l´efficacia di "rete vendita" ora appannata, il ritorno in Occidente dei missionari, che abbandonerebbero "il colonialismo religioso" per evangelizzare ancora questi luoghi, anche se, in un periodo di crisi, così come fanno le aziende in recessione, sarebbe bene se la Chiesa imparasse "ad ascoltare, più che a parlare". Ogni prodotto ha il suo ciclo di vita. Il lancio, la crescita, la maturità, il declino. «Cari amici, vedo in voi le sentinelle del mattino, in quest´alba del terzo millennio» ha detto Karol Wojtyla nel 2000. Ma, per il teologo Hans Kung, «le religioni possono anche morire».