giovedì 31 gennaio 2008

" Satana si nasconde sotto le minigonne "

Corriere della sera, mercoledi, 09 marzo 1994

" Satana si nasconde sotto le minigonne "

D' Amore Antonio
A L'Aquila monito del vescovo, in un decalogo accusa anche discoteca e tv
"Satana si nasconde sotto le minigonne"
L'AQUILA . "Satana si nasconde nelle discoteche e nei televisori ma, soprattutto, sotto le minigonne". L'arcivescovo Peressin scende nuovamente in campo con una invettiva, questa volta "lanciata" attraverso le colonne, dell'edizione di marzo, del bollettino dell'arcidiocesi. Il presule, in un articolo intitolato "Demonio e satanismo a L'Aquila", commentando il libro di un esorcista benedettino, detta il decalogo delle "cose che piacciono a Lucifero". Eccole, dunque, queste passio ni. "Insane" agli occhi del religioso. Al primo posto, naturalmente, figura la profanazione delle ostie, segue inevitabilmente il divorzio che "distrugge le famiglie", e non manca l'aborto che "uccide gli innocenti", nè la droga che "fa impazzire i giovani". E fino qui, tutto sommato, nulla di strano, quattro regole che in molti, anche non religiosi, sottoscriverebbero. Poi, però, inizia la vera "regola peressiniana". Quella che ha dato adito a qualche polemica. Si scopre, così, che L ucifero adora i "preti vestiti da netturbini", quelli che preferiscono il clergyman alla sottana nera, e che "vanno in cerca di donne e di omosessuali". Ce n'è per tutti. Anche per i vescovi "iscritti alla massoneria", e tutti quei sacerdoti che "neg ano l'esistenza del demonio, lasciandolo agire liberamente". Ma è sulle tre regole per i giovani che l'arcivescovo Peressin dà il meglio di sè, con una vera e propria dottrina moderna che, a tratti, è addirittura "illuminata". Segni del demonio son o, infatti, le "discoteche, luogo di corruzione della gioventù", la televisione "che divide le famiglie e, nelle ore piccole, distoglie frati e suore dalla preghiera" e, soprattutto, "le gonne corte, malcostume di vestiario femminile, che accalappian o gli uomini". Satana, dunque, adora le minigonne, guarda tanta televisione, passa il weekend in discoteca, ammette il divorzio, non critica l'aborto e, incredibile ma vero, di tanto in tanto si ferma a chiacchierare con qualche prete in giacca e pan taloni. E, riflettendo sul decalogo dell'arcivescovo, in molti avranno qualche dubbio: che Satana sia quello strano signore che, ogni mattina, incontrano in bagno, davanti allo specchio... Forse ha ragione Peressin, quando invita i fedeli a "vigi lare sempre e a non ascoltare i teologastri perchè il diavolo c'è. C'è anche a L'Aquila, e lavora forte cercando di imporre il suo dominio alle anime più esposte come i giovani, i semplici, i gruppi di persone e le associazioni". Sembra davvero che n on manchi proprio nessuno.

i killer antiaborto

Corriere della sera, sabato , 30 luglio 1994

tornano i killer antiaborto
Caretto Ennio
Nuovo agguato a Pensacola in Florida, dove un anno fa era stato ammazzato un altro chirurgo TITOLO: Tornano i killer antiaborto Uccisi medico e guardia del corpo, ferita un'infermiera
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON.
Un antiabortista ha ucciso due persone, un medico e una guardia, e ne ha ferito una terza, un'infermiera, nel più sanguinoso attentat o mai compiuto in America contro le cliniche dell'aborto. Il duplice omicidio è stato commesso ieri a Pensacola in Florida, dove un anno e tre mesi fa un altro antiabortista, Michael Griffin, condannato poi all'ergastolo, aveva già assassinato un alt ro medico, David Gunn di 47 anni. L'autore del delitto di ieri, che ha sconvolto il Paese e minaccia di scatenare una guerra dell'aborto tra i suoi sostenitori e i suoi oppositori, è Paul Hill, il fondatore di "Defense America", un gruppo che ha gi urato di fare chiudere le cliniche con la violenza. Le due vittime sono il dottor John Britton e la sua guardia del corpo, James Barrett, marito dell'infermiera ferita. Lei si chiama June Barrett ed è stata dichiarata fuori pericolo. Il folle episo dio è avvenuto alle 7.25 circa del mattino davanti al Centro Femminile dell'Aborto, una delle due cliniche di Pensacola (la seconda è Servizi Medici Femminili, dove morì Gunn). Alcuni testimoni oculari hanno riferito di avere visto Paul Hill inchioda re delle croci e dei cartelli antiabortisti sul prato poco prima della tragedia. All'arrivo del dottor Britton, dell'infermiera e dell'agente, Hill si è fatto avanti, ha estratto un revolver e ha sparato, ha poi riferito la polizia, "tra sei e nove v olte", mentre un gruppo di donne in attesa fuggiva terrorizzato. La scena è stata fulminea: il medico è crollato a terra in una pozza di sangue, la guardia del corpo non ha fatto a tempo a impugnare la pistola ed è stata abbattuta senza pietà, solo l 'infermiera si è salvata, ferita a una spalla. Hill ha gridato "così muoiono gli abortisti", continuando ad agitare il revolver, e minacciando di sparare anche agli astanti. Chiamata dagli inservienti della clinica, che nel frattempo s'erano barric ati nelle sale, la polizia, che dalla morte del dottor Gunn nel marzo del '93 pattuglia le zone delle cliniche, è accorsa dopo pochi secondi. Diretta dai testimoni, ha bloccato Paul Hill che tentava di scappare, lo ha buttato a terra e ammanettato. L o ha portato via tra una folla minacciosa che urlava: "Linciamolo! linciamolo!". Invano altri medici hanno soccorso il dottor Britton e la guardia del corpo. Dalle prime indagini, è emerso che Hill, un ex pastore presbiteriano, premeditava da tempo l 'assassinio. Un prete metodista, il reverendo John Burt, antiabortista anch'egli, ha dichiarato che "teorizzava che l'omicidio contro l'aborto è giustificabile, e voleva propagandare le attività del proprio gruppo". Avvertito del delitto, il procurat ore della Florida, Curtis Golding, ha ordinato misure di sicurezza urgenti per tutte le cliniche dell'aborto dello Stato. Pensacola è piombata nel terrore. La città, dominata da fanatici e conservatori, vive da dieci anni nell'incubo della guerra d ell'aborto. Dal dicembre dell'84, le due cliniche cittadine sono state incendiate due volte; due studi medici sono stati danneggiati da esplosioni; e la polizia ha operato centinaia di arresti. Paul Hill, che ha fondato anche la "Defense Action Leagu e", un movimento nazionale con un numero crescente di proseliti, era il principale promotore della violenza: al processo di Michael Griffin, l'omicida del dottor Gunn, aveva inscenato dimostrazioni di protesta. La violenza antiabortista è aumentata n ell ultimo anno e mezzo, estendosi ad altre città e altri Stati. L'agosto del '93, a Wichita nel Kansas, un altro medico, George Tiller, è stato gravemente ferito da una donna, Rachelle Shannon, sopravvissuta per miracolo. La feritrice è stata proces sata e condannata a 11 anni di detenzione per tentato omicidio. Il procuratore Golding ha denunciato "la caccia all'uomo" contro i medici abortisti chiedendo all'Fbi d'intervenire. "Questa gente . ha detto di Hill . vuole intimidire i dottori dell' aborto. Temo che altri pazzi compiano altri attentati". Di recente, il Congresso ha deciso che la violenza antiabortista è un reato federale, cosa che implica pene più severe. L'Fbi ha accentrato la sua attenzione sull'Alabama oltre che la Florida. I n quello Stato un sacerdote cattolico, David Trosch, ha ammonito le autorità di aspettarsi "un'ondata di omicidi giustificabili contro chi pratica l'aborto". Il prete antiabortista è stato rimosso dal vescovo di Mobile. Ma ha lasciato un largo seguit o, uomini e donne che intendono "difendere con le armi . ha detto . il diritto del feto alla vita".

Condanna del cristianesimo

- Sono giunto così alla conclusione ed esprimo il mio giudizio.
Io condanno il cristianesimo, levo contro la Chiesa cristiana la più tremenda di tutte le accuse che siano mai state sulla lingua di un accusatore. Essa è per me la massima di tutte le corruzioni immaginabili: essa ha avuto la volontà dell'estrema corruzione possibile. La Chiesa cristiana non lasciò nulla d'intatto nel suo pervertimento, essa ha fatto di ogni valore un disvalore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà un'abiezione dell'anima. Si osi ancora parlarmi dei suoi benefìci «umanitaria! L' eliminazione di una qualsiasi penosa condizione andava contro il suo più profondo vantaggio: essa viveva di condizioni penose, essa creava condizioni penose per eternizzare se stessa...
Il verme del peccato, per esempio: soltanto la Chiesa ha arricchito l'umanità di questa penosa condizione! - L'« uguaglianza delle anime dinanzi a Dio », questa falsità, questo pretesto per le rancunes di tutte le anime ignobili, la materia esplosiva di questo concetto che finì per diventare rivoluzione, idea moderna e principio di decadenza dell'intero ordine sociale - è dinamite cristiana... « Benefìci umanitari » del cristianesimo! Coltivare l'humanitas così da trame fuori una contraddizione di sé, un'arte della masturbazione, una volontà di mentire a ogni costo, una ripugnanza, un disprezzo di tutti gli istinti buoni e onesti! Queste per me sarebbero le benedizioni del cristianesimo! - II parassitismo come unica prassi della Chiesa; col suo ideale clorotico della « santità » va bevendo fino all'ultima goccia ogni sangue, ogni amore, ogni speranza di vita; l'al di là come volontà di negazione d'ogni realtà; la croce come segno di riconoscimento per la più sotterranea congiura che sia mai esistita - contro salute, bellezza, costituzione ben riuscita, valentia, spirito, bontà dell'anima, contro la vita stessa... Questa eterna accusa al cristianesimo voglio scriverla su tutti i muri, ovunque esistano muri - posseggo caratteri per far vedere anche i ciechi… Definisco il cristianesimo l'unica grande maledizione, l'unica grande e più intima depravazione, l'unico grande istinto della vendetta, per il quale nessun mezzo è abbastanza velenoso, furtivo, sotterraneo, meschino - lo definisco l'unica immortale macchia d'infamia dell'umanità. Computiamo il tempo da quel dies nefastus con cui ebbe inizio questa fatalità - dal primo giorno del cristianesimo! - E perché non invece dal suo ultimo giorno? - Da oggi? - Trasvalutazione di tutti i valori!...
Friedrich Nietzsche, da "l'anticristo"

Il papa e il diavolo e la regolazione della natalità

Partendo da lontano e girando alla larga come sogliono i Papi che parlano ai popoli per encicliche (dal greco enkyklios, circolare), nella sua Humanae vitae sulla "regolazione della natalità" arrivato al 14° paragrafo, 35° capoverso, Paolo VI diceva finalmente un primo chiaro no; contro il coitus interruptus'. "Dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l'interruzione diretta del processo generativo già iniziato".
Segue un secondo no all'aborto terapeutico, un terzo contro la sterilizzazione, un quarto contro le pratiche anticoncezionali in genere, intese come "azioni che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si propongono, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione".
Le quattro negazioni trovano il loro fondamento nel Catechismus romanus del concilio di Trento (p. II, e. Vili), nella Casti connubii di Pio XI (31 dicembre 1930), in due documenti di Pio XII del 1951 e del 1958 (cfr. rispettivamente, gli Acta apostolicae sedis n. 43 p. 843, e n. 50 p. 734) e ad abundantiam nella Mater et magistra di Giovanni XXIII (15 maggio 1961 ). Non è a dire con questo che dal Trento 1563 siano trascorsi invano quattro secoli : di nuovo, infatti, nella Humanae vitae si trova l'insistenza sul concetto che bisogna rimettersi ai cosiddetti ritmi naturali studiati e calcolati dai dottori Ogino e Knaus.
Paragrafo 11 dell'enciclica: "Dio ha sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il susseguirsi delle nascite". Paragrafo 16: "La Chiesa insegna essere lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l'uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere i principi morali". Paragrafo 24 : " È in particolare auspicabile che, secondo l'augurio formulato da Pio XII (cfr. Acta apostolicae sedis 1951, n. 43, p. 859) la scienza medica riesca a dare una base sufficientemente sicura a una regolazione delle nascite fondata sull'osservanza dei ritmi naturali".
Immaginandosi, comunque, che il calcolo Ogino-Knaus possa rivelarsi non infallibile, Paolo VI suggeriva il solo rimedio risolutivo esistente - la continenza e la castità - invitando nel paragrafo 22 tutte le persone oneste e responsabili a " creare un clima favorevole all'educazione della castità, cioè al trionfo della sana libertà sulla licenza". A questo punto, occorre dire, egli scivolava un po' verso una confusione tra cose incomparabili, il rapporto sessuale e oscenità : " Tutto ciò che nei moderni mezzi di comunicazione sociale porta alle eccitazioni dei sensi, alla sfrenatezza dei costumi, come pure ogni forma di pornografia o di spettacoli licenziosi, deve suscitare la franca e unanime reazione di tutte le persone sollecite del progresso della civiltà".
Di più, al paragrafo 17, egli scendeva ad un'affermazione che suona grave per le donne, giudicate esseri inferiori da una retriva tradizione purtroppo diffusa in certo clero : " Si può anche temere che l'uomo abituandosi all'uso delle pratiche anticoncezionali finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna rispettata e amata ". Chi sa chi aveva potuto insinuare nell'enciclica il concetto che la donna che non partorisca è come una sgualdrina; (…)
Vittorio Gorresio, Il papa e il diavolo, Rizzoli, 1973, pag 42,43.

TRA RELIGIONE E LEGGI DI STATO

TRA RELIGIONE E LEGGI DI STATO
Religione e leggi di Stato

di PAOLO FLORES D'ARCAIS

ROMA ha parlato e la questione è chiusa. È con lo stile di chi amministra la Verità, perché attraverso la Rivelazione e la successione apostolica l'ha ricevuta da Dio stesso, che ha parlato ieri al congresso internazionale sui trapianti Giovanni Paolo II. Non poteva essere altrimenti. La forza di questo Papa, e perfino il suo incredibile successo fra i laici, è legato anche e soprattutto alla logica della certezza con cui Karol Wojtyla ribadisce in modo intransigente l'ortodossia della Chiesa, applicandola ai nuovi problemi etici di confine.
Due i temi affrontati: i trapianti (compresi quelli con organi prelevati da animali) e la cosiddetta "clonazione" (sulla necessità di definirla "cosiddetta" ritorneremo).

SI PARLERA' molto anche del primo, ovviamente, e con soddisfazione (fino all'entusiasmo) pressoché generale: Wojtyla ha infatti detto un pieno e rotondo sì ai trapianti, visto che le sue "cinque condizioni" sono quelle che tutti i medici hanno sempre chiesto vengano rispettate.
Ma la questione cruciale era quella della "via inglese" (e ora anche americana) per la ricerca su cellule staminali da embrione fino al quattordicesimo giorno di fecondazione. E su questo il no del Papa è stato altrettanto rotondo, assoluto, intransigente, definitivo. Per la ragione già nota: il Papa ritiene che fin dal momento della fecondazione sia già pienamente concepito un essere umano, che fin dalla prima divisione cellulare l'embrione sia una persona a tutti gli effetti. Che valga dunque per l'embrione (non importa se al quindicesimo o al primo giorno, o anche al primo istante della duplicazione cellulare) quanto ribadito nelle discussioni sull'aborto: la soppressione della realtà cui la fecondazione dà luogo è - da subito - un omicidio a tutti gli effetti. Per questo il Papa ha più volte parlato dell'aborto come di un genocidio, anche a due passi da Auschwitz durante un viaggio in Polonia (sottovalutando, forse, che per chiunque sia avvertito della storia di questo secolo genocidio suona sinonimo di olocausto. Di modo che una donna che abortisce è moralmente equivalente a un Ss che getta un bambino ebreo in un forno crematorio). Genocidio sarebbe dunque, seguendo questa dottrina, una qualsiasi "strage" di ovuli umani fecondati.
Il Papa, nel suo no assoluto, è stato semplicemente coerente. Accettando una distinzione tra periodi (prima e dopo il quattordicesimo giorno) avrebbe aperto la strada ad analoghe distinzioni riguardo all'aborto (distinzioni che non mancano affatto nella storia della Chiesa: in Agostino si leggono pagine di virulenta polemica contro i suoi colleghi vescovi - allora in maggioranza - che ritenevano l'anima creata da Dio solo al terzo mese di gravidanza, e dunque l'aborto lecito fino a quel periodo). Due considerazioni tuttavia si impongono.
Primo: sarebbe bene che anche il Papa, e gran parte del sistema di informazione, la piantasse di parlare di clonazione di esseri umani a proposito della "via inglese". La parole è suggestiva e terroristica (ciascuno pensa al caso della pecora Dolly replicato per l'homo sapiens), ma non ha nulla a che fare con la possibilità di coltivare, manipolare (e perciò "clonare") cellule di un embrione entro il quattordicesimo giorno (la legge inglese perciò condanna la clonazione). Secondo: nessun ricercatore cattolico è tenuto a compiere esperimenti sul pre-embrione (così, tecnicamente, i manuali definiscono l'embrione fino al quattordicesimo giorno). Altrettanto assurdo, però, che le parole del Papa abbiano una qualsiasi influenza nel decidere di una legge in uno Stato laico. La morale del Papa, che considera persona il feto, l'embrione, il pre-embrione, è una morale religiosa fra le tante, non solo largamente minoritaria (non è questo il punto) ma assolutamente non argomentabile in termini puramente umani. Senza la fede, nessuno può ragionevolmente ritenere che un gruppo indifferenziato di cellule, sia già una persona. Con argomenti puramente umani non si arriverà mai a questa conclusione (e del resto non vi arrivano nemmeno la maggior parte delle confessioni cristiane non cattoliche, e di fatto non lo crede neppure la maggioranza dei cattolici praticanti, come confermano le preoccupate statistiche di molte diocesi). Ma una legge, in un paese laico, si definisce a partire da una discussione pubblica in cui sono ammesse solo argomentazioni umane, poiché il ricorso a un Dio o a una fede ci porterebbe di filato verso la teocrazia e il fondamentalismo (se la religione da obbedire è Una) o alle guerre di religione (se da rispettare, nel senso di obbedire, sono parecchie). In ogni caso, un passo indietro, nel campo della convivenza umana, di molti secoli.
Ecco perché è preoccupante, dal punto di vista di una democrazia fondata sui diritti civili, che non solo molti cattolici (per fortuna non tutti) ma anche troppi laici ritengano che la voce di una dottrina religiosa particolare debba avere influenza nella elaborazione di una legge. E si preparano perciò (o addirittura auspicano) ai "necessari" compromessi. Solo gli argomenti di ragione (da scrivere con la minuscola) potranno avere voce in capitolo. Daranno luogo a opinioni e controversie, ovviamente (solo una Ragione che sia surrogato e parodia delle religioni parla con voce unanime), ma dovranno prescindere rigorosamente dalla fede e da Dio (e dalle parole di chi pretende di interpretarne la Parola). Etsi Deus non daretur, questo è il fondamento di ogni legislazione laica. Se poi, in termini di rigorosa ragione umana, qualcuno riuscirà ad argomentare che le otto o quattro cellule delle prime divisioni dell'ovulo fecondato sono già a tutti gli effetti una persona, allora - e solo allora - si potrà decidere di bloccare la ricerca. Ipotetica di terzo tipo.
LA REPUBBLICA 30 AGOSTO 2000

mercoledì 30 gennaio 2008

Non siamo figli di Carlo Magno

La Repubblica, 05/04/2001

Jacques Le Goff

Non siamo figli di Carlo Magno
Un miseo dedicato all'Europa
L'articolo di Jacques Le Goff che qui pubblichiamo è tratto dall'intervento che lo storico francese pronuncerà al convegno «Europa e musei. Identità e rappresentazioni» in programma a Torino oggi e domani (Centro Congressi Torino Incontra, Sala Giolitti, via Nino Costa 8). Il convegno ruota intorno all'idea di un museo dedicato all'Europa. Oltre a Le Goff partecipano storici (Rusconi e Sergi) e direttori di musei europei (da Liverpool a Berlino, da Manchester a Mosca).

La mia riflessione riguarda il progetto di realizzazione di uno o più Musei dedicati all'Europa. Perché non uno, ma diversi Musei? Perché l'Europa è una, ma è anche diversa e deve conservare le sue specificità nell'unità. L'origine di questa unità nella diversità risale, a mio parere, al Medio Evo anche se il nome Europa è precedente a questa epoca e risale all'antichità greca. L'Europa come entità geografica è descritta per la prima volta dai geografi greci e poi romani dell'antichità. Inoltre, essa nasce da un mito famoso, quello della bella orientale, Europa, che viene rapita da Zeus sotto le parvenze di un toro: è una delle tante donne amate dal padrone dell'Olimpo. L'origine, quindi, è piuttosto nobile e introduce l'idea di una componente orientale nella nascita e nella costruzione europea. Durante tutto il Medio Evo, l'orizzonte orientale avrà un ruolo determinante per l'Europa, soprattutto a livello di immaginario. Oggi l'Europa è un'entità occidentale, ma non per questo può dimenticare i suoi antichi legami con l'Oriente. Possiamo dire che le radici dell'Europa risalgono all'antichità? Credo che il mito e i racconti degli storici greci e romani siano solo il preludio della vera storia europea. L'Europa è nata, come ha dimostrato lo storico Marc Bloch, tra i secoli IV e VII con l'affermarsi del Cristianesimo: è una combinazione di componenti barbariche (che rimarranno presenti a lungo) e della componente italica, germanica, celtica, gallica e iberica. I nuovi arrivati si mescolano agli italo-romani, ai gallo-romani,agli ibero-romani. E questa fusione avviene sotto il segno del Cristianesimo, ma il Cristianesimo medievale ha sempre mantenuto un legame forte con l'Antichità e con la cultura greco- latina ed è grazie ai grandi autori dell'Antichità che è nata l'Europa. Generalmente si pensa che l'Impero Carolingio sia la prima vera costruzione europea e che Carlo Magno sia il padre dell'Europa. Io non sono d'accordo, perché non credo che avesse l'idea dell'Europa, anche se il nome esisteva già all'epoca. Penso, invece,che Carlo Magno avesse essenzialmente due obiettivi: innanzitutto, restaurare l'Impero Romano (invece di guardare al futuro, era rimasto legato al passato) e affermare il nazionalismo franco. Se si considera l'aspetto fondamentale dello spazio, sembra paradossale, ma le capitali dell'Europa del Medio Evo hanno sempre avuto una posizione periferica, se non addirittura esterna all'Europa. Roma capitale ha sempre sofferto a causa di una posizione geografica poco favorevole e periferica rispetto all'Europa, anche se questo non ha mai scoraggiato moltitudini di Europei, non solo intellettuali, dall'affrontare lunghi pellegrinaggi a Roma fin dal Medioevo.La seconda capitale spirituale degli Europei è Gerusalemme. Nel Medio Evo,Gerusalemme, spazio del Cristianesimo, diventa capitale per gli Europei che ne fanno una meta di pellegrinaggio come Roma. A partire dall'XI sec. Fino al XIII sec. Gerusalemme è per gli Europei origine e punto di partenza di numerosi eventi, la capitale da riconquistare. La Terra Santa diventa la meta, il luogo in cui stabilirsi anche senza averla mai visitata. E' l'epoca delle Crociate. Personalmente, credo che le crociate siano state un episodio infelice, frutto di un errore concettuale. Le Crociate lasceranno nelle popolazioni orientali e soprattutto nell'Islam un ricordo profondamente ostile, che influisce ancora oggi negativamente sulle difficili relazioni tra Mussulmani e Occidentali. Il Cristianesimo è stata la religione della memoria, la religione del ricordo: i grandi personaggi del Cristianesimo sono i Santi e le tracce materiali dei Santi, le reliquie, hanno un ruolo fondamentale non solo religioso e spirituale, ma anche economico nell'Europa medievale. Sappiamo che il furto di reliquie è stata un'attività economicamente rilevante. Non bisogna pensare al furto nella sola accezione giuridica. Ci sono stati anche furti "ispirati", quasi legittimi. Una delle più importanti città europee, ad esempio, Venezia, è stata costruita a partire dal furto delle reliquie di San Marco ad Alessandria d'Egitto. Nel nostro Museo dovremo esporre molte foto e riproduzioni di reliquie, che sono state i fermenti della costruzione europea nel Medio Evo, i simboli dell'Europa. Bisogna riconoscere che Carlo Magno ebbe il merito di svolgere un'opera importante nel campo della cultura, anche se fu più superficiale di quanto si possa pensare (ma, certamente, non per colpa sua). All'epoca, non esistevano le condizioni per creare una cultura veramente europea. Carlo Magno, tuttavia, riunisce attorno a sé intellettuali provenienti da tutta Europa, non solo Galli, Germani, Italiani e Spagnoli, del Nord della Spagna,non occupato dai Musulmani, ma anche Anglosassoni e Irlandesi. Il movimento storiografico della rivista Annales, di cui faccio parte, raccomanda agli storici di elaborare la scienza storica a partire dall'analisi dei problemi: i problemi del centro rispetto alla periferia, i problemi di vicinato, i problemi del mare. L'Europa è un piccolo continente, è la propaggine del continente euro asiatico ed è circondata dal mare. Rispetto all'Africa, all'Asia, all'America, continenti massicci con territori molto estesi,l'Europa mantiene un rapporto molto stretto con il mare. Una particolare attenzione deve essere riservata nei nostri Musei al periodo che ruota attorno all'anno 1000. Con il Romanticismo e la sua fervida fantasia, che arriva, a volte, fino a falsificare la prospettiva storica, l'anno 1000 è considerato nell'immaginario europeo come un periodo terribile. Basta pensare alle paure legate all'anno 1000, riproposte anche all' avvicinarsi del 2000. In realtà, l'anno 1000 è un periodo di speranza e dinamismo, un periodo eccezionale che favorirà il decollo di quella che sarà l'Europa medievale. Sulla scena europea, compaiono nuovi popoli e nuove nazioni, che diventeranno europei secondo la formula abituale, cioè convertendosi al Cristianesimo. Nel Medio Evo, convertirsi al Cristianesimo era un po' come entrare nell'Onu ai giorni nostri. Questi popoli erano slavi, polacchi,cechi e ungheresi, che oggi rifiuterebbero di essere considerati europei. La Polonia, l'Ungheria, la Boemia sono i primi paesi che oggi bussano alla porta dell'Europa e che probabilmente entreranno nell'Unione Europea nella prossima fase di allargamento: ecco quindi un periodo che bisognerà mostrare nel Museo. E' bene ricordare anche la presenza degli Ebrei nel Medio Evo. Gli Ebrei e la cultura ebraica sono una componente importante dell'Europa ed è durante il Medio Evo che si esprimono i primi eccessi della persecuzione degli Ebrei. L'antisemitismo nasce solo nel XIX sec. con le pseudo-teorie scientifiche sulla razza, ma viene preannunciato già dalla triste esperienza dei progrom e delle persecuzioni del Medio Evo. Credo che l'Europa che dobbiamo conoscere non sia fatta solo di grandi realizzazioni, l'Europa della civiltà: è anche l'Europa degli errori e dei crimini. Per questo, vorrei che si parlasse anche dell'Inquisizione per spiegare l'origine di una pratica orribile, di cui l'Europa non si è ancora completamente liberata: la tortura. L'Europa, la civiltà europea sembrano una civiltà essenzialmente urbana ma, accanto alla città, sopravvive la civiltà rurale, che ha anch'essa le sue radici nel Medio Evo. In quest'epoca, la civiltà rurale e la civiltà urbana (troppo spesso contrapposte) sembrano avviarsi verso una collaborazione. Il tipo di alimentazione praticato in Europa determina alcune caratteristiche della civiltà europea: l'Europa è la civiltà del pane e dei cereali, rispetto alla civiltà del riso e del mais. (.) Esistono poi due Europe contrapposte, ma complementari: l'Europa del burro e quella dell'olio. Molti Europei, io per primo, amano entrambi. La stessa contrapposizione complementare esiste tra il vino e la birra. Bisognerà spiegare che l'economia in Europa si è sviluppata tra mille difficoltà, nel Medio Evo. Bisognerà mostrare le strade che hanno permesso alle regioni europee di mantenere rapporti fra loro e con altre regioni non europee. Una sezione intera dovrebbe essere dedicata alle fiere dello Champagne, alla fiera di Francoforte, alla fiera di Ginevra e a quella di Asti. Altre manifestazioni risalenti al Medio Evo, che sembrano avere un valore essenzialmente religioso, ma non solo, sono i Concili. Così, il Medio Evo è stato un'epoca fondamentale per la creazione dell'Europa della continuità. Quando è finito il Medio Evo, l'Europa non esisteva ancora realmente, ma c'erano gli elementi essenziali perché un giorno potesse nascere. Penso che l'azione degli uomini sia essenziale nella determinazione della Storia. L'Europa non era fatalmente iscritta nel futuro prossimo del Medio Evo. Oggi, è volontà degli Europei riportare la costruzione europea all'ordine del giorno della Storia. Questa Europa non esiste ancora, ma sono convinto che abbia preso la strada giusta. Per costruirla, credo che abbiamo interesse a guardare al nostro passato medievale, nel va e vieni che lo storico deve fare tra passato e presente. Penso che il Medio Evo sia la nostra giovinezza e lo sia anche per l'Europa.

Giuliano, bandito in paradiso

La Stampa
05/04/2001

Francesco La Licata

Ritrovata negli archivi dell¹Arcidiocesi di Monreale la lettera del prete che assolse il mafioso
Giuliano, bandito in paradiso

Francesco La Licata PALERMO IL bandito Salvatore Giuliano chiese perdono a Dio per le sue malefatte. Riuscì anche a confessarsi e, forse, a prendere la comunione. Incontrò per due volte lo stesso prete, al quale affidò la propria crisi di coscienza e persino una buona parte di inconfessabili segreti. La storia inedita della «conversione» di Turiddu re di Montelepre, ricordato finora per la vocazione allo stragismo ante litteram e soprattutto per aver sparato - il 1° Maggio del 1947 - su un corteo di contadini a Portella della Ginestra, è contenuta in poche righe, una trentina. Si tratta di una lettera scovata nell'archivio storico dell'Arcidiocesi di Monreale, nel cui territorio ricade la parrocchia di Santa Rosalia di Montelepre. L'esistenza della lettera è stata confermata dalla Curia di Monreale, diretta dal vicario generale don Vincenzo Noto, un sacerdote molto conosciuto a Palermo per essere stato vicino al cardinal Salvatore Pappalardo e per aver fondato l'agenzia Mondo Cattolico di Sicilia e il settimanale Novica. Il documento - identificato come «Fondo Governo Ordinario», Sezione 9, Busta 1, Serie 36 S - è firmato da un prete non siciliano, padre Agostino Reni, e porta la data di «luglio idi 1950». Proviene da via Pescara di Milano che, presumibilmente, deve essere l'indirizzo del religioso. Destinatario della missiva è il vescovo di Monreale, Ernesto Filippi. Il contenuto è semplice nello stile, anche se propone argomenti dibattuti più volte nel corso degli anni, ma mai definiti. Nel caso di don Agostino Reni si tratta di una vicenda molto simile a quella avvenuta qualche anno fa a Palermo, quando il carmelitano della Kalsa, padre Mario Frittitta, fu arrestato per aver accettato di incontrare il boss mafioso latitante, Pietro Aglieri, ed aver celebrato la messa nel covo del ricercato. Il monaco in manette fece scalpore, e l'intera parrocchia insorse contro i magistrati. Frittitta venne processato, condannato in primo grado ma assolto in appello con grande riesplosione delle polemiche. Anche la Chiesa non fu univoca: Frittitta venne difeso dal suo Ordine e censurato dalla Curia palermitana, mentre il dibattito teologico non ha sciolto il dubbio sulla «opportunità» di offrire i sacramenti a uomini praticamente scomunicati in quanto mafiosi. Cinquant'anni prima di Frittitta, don Agostino scrive al vescovo e lo informa di aver incontrato Giuliano: «Sono del continente e qui lo conobbi due anni addietro, perché mi cercò». L'annotazione consente qualche riflessione a proposito della facilità con cui, allora come ora, riescono a spostarsi i latitanti. Ma c'è dell'altro, quando il prete afferma: «Confessò i suoi errori, dei quali era relativamente responsabile». Che vuol dire, don Agostino? Quale verità gli fu affidata, nel segreto del confessionale? È azzardato ipotizzare che il bandito parlò delle complicità mai provate nei numerosi processi? Un secondo incontro deve essere avvenuto, come scrive il prete, «due mesi fa» rispetto al luglio 1950. E cioè qualche settimana prima che il bandito - nascosto nella casa dell'«avvocaticchio» Di Maria a Castelvetrano - venisse assassinato dall'unica persona che poteva avvicinarlo: il cugino Gaspare Pisciotta. Puntualizza il religioso: «...per salvare un'anima l'esaudii». Giuliano avrebbe voluto la comunione, ma ciò non fu possibile perché, scrive Reni, «non volevo essere troppo notato in Palermo». Il sacerdote, comunque, gli indica una «chiesetta» dove avrebbe facilmente ricevuto l'ostia. La prosa del documento non lascia spazio a dubbi sulla convinzione di don Agostino, a proposito dell'effettiva «conversione» del bandito: «Dio voglia che sia una pecorella del suo ovile ritornata in seno a Dio. Non sempre il giudizio degli uomini è simile a quello di Dio». In effetti Giuliano deve aver goduto di un certo ascendente sulla Chiesa, se è vero che la sorella, Mariannina, riuscì a sposarsi nella parrocchia di Santa Rosalia, a Montelepre, presente il latitante Turiddu. Le parole di don Agostino, rivelano una certa preoccupazione di Giuliano per la sorte della madre, Maria Lombardo. Un'ansia che risulta, però, incomprensibile a uno dei ultimi sopravvissuti di quella tragica stagione: il maresciallo Giovanni Lo Bianco, allora sottufficiale della squadra repressione banditismo e oggi novantaduenne. «L'unica volta - dice - che Giuliano si preoccupò della madre risale a quando scrisse una lettera all'ispettore generale Verdiani per pregarlo di intercedere presso il procuratore generale Emanuele Pili in favore della donna e della sorella Giuseppina». Lo Bianco aveva arrestato Maria Lombardo sulla strada fra Montelepre e Terrasini. Seduta sul sedile posteriore di un'auto, stringeva un fazzoletto pieno di gioielli acquistati nella premiata gioielleria Fiorentino. Era il tesoro destinato al genero Pasquale Sciortino, in procinto di emigrare negli Usa. L'archivio di Monreale non contiene altro su questa vicenda. Non sembra vi sia stata risposta del vescovo. Rimane il mistero: cosa spinse don Agostino a informare le gerarchie ecclesiastiche dei suoi incontri col bandito?

E il papa «congela» il Cnr

La nomina di Luciano Maiani bloccata dopo il caso SapienzaIl professore è tra i 67 firmatari dell'appello contro l'invito di Ratzinger all'università Contro di lui la destra
22/01/08
Il Manifesto
E il papa «congela» il Cnr

Stefano Milani

Alla fine l'incarico arriverà. Probabilmente in questa settimana. Ma da quando il professore Luciano Maiani ha apposto la sua firma, insieme a quella di altri 66 suoi colleghi, in calce alla famosa lettera in cui si definiva «incongrua» la scelta di invitare il papa all'inaugurazione dell'anno accademico della Sapienza, la sua nomina alla direzione del Cnr ha iniziato a scricchiolare pericolosamente.
Il ministro Mussi aveva individuato il suo nome già dallo scorso dicembre, scegliendolo tra una terna di studiosi di altissimo livello. Già direttore del Cern a Ginevra e dell'Infn, Maiani ha consensi pressoché unanimi nel mondo scientifico internazionale. E' bastata però una firma di dissenso su una lettera, che doveva rimanere all'interno dei confini accademici, a cancellare d'un colpo tutto. Mercoledì scorso, durante un'infuocata seduta in commissione per l'istruzione pubblica al Senato, l'intero il centrodestra, capitanato dal centrista Buttiglione, si è scagliato contro di lui bloccandone la nomina che comunque, fanno sapere dal Cnr, «non è assolutamente a rischio».
Su questa situazione ieri il professor Angelo d'Orsi, docente di storia del pensiero politico all'Università di Torino, ha voluto inserire una piccola postilla al suo appello pubblicato domenica sul manifesto: «Quello che è capitato in commissione è un fatto di una gravità inaudita che ci riporta ai tempi peggiori della storia non solo repubblicana, ma del regime mussoliniano». Un atto di ritorsione della destra, «per la quale il prof. Maiani è incompatibile con l'incarico essendo uno dei docenti dissidenti».
Nel frattempo, oltre 8mila persone, non solo universitari, hanno già firmato un'altra lettera indirizzata al presidente della Repubblica Napolitano e al rettore della Sapienza Guarini, in cui viene espresso «stupore e amarezza per la superficialità con cui esponenti politici e istituzionali di primo piano (tra questi anche il ministro Mussi, ndr) si sono uniti al linciaggio morale cui i firmatati dell'appello sono stati e sono tuttora sottoposti».

Firmò la lettera anti-Papa, bloccata la nomina

Il fisico era stato designato alla direzione del Cnr, ma il Parlamento non ratifica la scelta di Mussi Appelli per Maiani. La Montalcini: anche io a fianco dei docenti ribelli
23/01/08
La Repubblica
Firmò la lettera anti-Papa, bloccata la nomina

Oggi raduno dei "Papa-boys" davanti a Palazzo Chigi: rispetto per la Chiesa

ELENA DUSI

ROMA - L´affaire Sapienza rischia di avere la sua vittima sacrificale: la nomina di Luciano Maiani alla direzione del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Proposto da una commissione di scienziati italiani e stranieri super partes e prescelto dal ministro dell´Università Fabio Mussi, Maiani si è visto ora congelare la nomina. Il nome dell´ex direttore del Cern di Ginevra (Organizzazione europea di ricerche nucleari) e dell´Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare) compare infatti fra i 67 firmatari della lettera inviata al rettore. Una parte del Parlamento (Udc, An, Forza Italia e Lega in testa) vorrebbe ora far saltare l´incarico di Maiani.
Nessuna delle commissioni parlamentari competenti ha messo in calendario la ratifica della nomina del fisico della Sapienza, atto necessario perché l´incarico diventi effettivo. La settimana scorsa era stato il Senato a dare il primo stop, con il segretario della commissione Istruzione pubblica Giuseppe Valditara (An) che aveva chiesto una pausa di riflessione sfilando la ratifica della nomina dall´ordine del giorno. Silenzio completo anche dalla Camera, mentre a favore del fisico la rivista americana Science aveva dedicato un articolo entusiasta l´11 gennaio: «Il merito ha trionfato sulla politica in Italia».
È dalla scorsa estate (con le dimissioni del presidente Fabio Pistella) che il Cnr - principale organo della ricerca italiana con un budget annuale di oltre un miliardo di euro - è senza presidente. E mentre continua le sue lezioni di fisica teorica delle particelle elementari alla Sapienza, Maiani fa sapere: «L´importante è che non si cancelli il nuovo metodo di selezione, con una commissione al di sopra di ogni sospetto incaricata di scegliere una terna di nomi. Il ministro Mussi è stato coraggioso a introdurre questa innovazione e, al di là del mio futuro, spero che nessuno voglia tornare indietro».
Per raccogliere la solidarietà nei confronti dei "67 della Sapienza" stanno circolando due appelli principali: uno rivolto ai docenti universitari d´Europa (www. appellouniversita. net) e un altro aperto a tutti «a difesa della laicità del sapere» (www. petitiononline. com). Le adesioni raccolte sono oltre 13mila. «Non ho potuto firmare, ma approvo completamente la lettera dei docenti» ha fatto sapere anche Rita Levi Montalcini, Nobel per la medicina e senatrice a vita, mentre riceveva una laurea honoris causa ieri all´ateneo milanese della Bicocca.
La voce dei sostenitori di Benedetto XVI invece si affida stamattina all´Angelus di piazza San Pietro, dove si sono dati appuntamento i Papaboys. Alle 17 i giovani cattolici si trasferiranno di fronte a palazzo Chigi per protestare contro la mancata visita del pontefice alla Sapienza. «Chiediamo alla politica italiana più rispetto per i nostri valori» è il loro slogan. Alla protesta ieri ha dato il suo autorevole appoggio il cardinale Angelo Bagnasco, che in un´intervista all´Osservatore Romano ha criticato «l´episodio di intolleranza antidemocratica da parte di un piccolo numero di studenti e docenti rispetto alla stragrande maggioranza che avrebbe desiderato un incontro con il Santo Padre».

Cnr, primo via libera a Maiani

30/01/08
Il Manifesto:
Cnr, primo via libera a Maiani

M. Ba.
Roma
Primo sì della commissione Istruzione di palazzo Madama alla nomina del fisico Luciano Maiani alla presidenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), il più grande ente pubblico scientifico italiano. Su Maiani (già presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) nessun voto contrario ma la scelta è passata a maggioranza solo grazie all'abbandono dei lavori da parte dei 13 senatori dell'opposizione.
La «via crucis» dello scienziato, finito nel mirino del centrodestra per aver firmato l'appello dei 67 professori della Sapienza a proposito della visita del papa nell'ateneo, non è però ancora arrivato all'ultima stazione. Oggi e domani infatti è previsto l'ultimo via libera della commissione cultura della camera. Finora l'opposizione a Montecitorio ha eccepito sul piano formale la mancanza agli atti della relazione ministeriale sulla terna di nomi in base alla quale il ministro Fabio Mussi ha selezionato la nomina di Maiani. Il comitato tecnico era presieduto dal fisico Giorgio Parisi. «Ma questa relazione non deve arrivare agli atti del parlamento e infatti non è mai avvenuto - replica Alba Sasso, Sd e vicepresidente della commissione - la commissione si deve pronunciare soltanto sulla nomina del presidente da parte del ministro. E Maiani è sotto tutti i punti di vista una scelta eccellente, che può davvero risollevare le sorti del Cnr dalla situazione di stallo in cui si trova da troppi anni».
Maurizio Gasparri (An) non lesina propaganda e insulti: «La volontà di un governo sfiduciato dal parlamento di andare avanti nelle procedure di designazione di Maiani costituisce un gravissimo illecito. Il diritto costituzionale è chiaro. Inoltre sarebbe un'onta per il Cnr avere al vertice uno dei firmatari dell'appello che ha portato all'impedimento della presenza alla Sapienza del santo padre. Maiani è un cattivo maestro, lo ammetta ed eviti di assumere un incarico del quale non è degno. Chieda scusa per la lettera e lasci perdere».

Fecondazione, è caos se non si rifà la legge

Fecondazione, è caos se non si rifà la legge

L'Opinione del 30 gennaio 2008, pag. 4

di Elisa Borghi

La scorsa settimana il Tar del Lazio ha giudica­to illegittime le linee guida della legge sulla fecondazione medicalmente assistita, più nota come Legge 40. Accogliendo il ricorso delle asso­ciazioni "Madre Provetta", "Amica Cicogna" e "Warm", i giudici del tribunale amministrativo hanno annullato quelle parti della norma che prevedono la predeterminazione degli embrioni da ottenere e poi da impianta­re in utero (non più di tre), e il divieto di diagnosi preimpianto. Si riapre così il dibattito sulla feconda­zione assistita, una materia su cui al mo­mento esiste un pericoloso vuoto nor­mativo, perché decadute le vecchie li­nee guide il ministero della Salute tarda ad emanare quelle nuove, lasciando nel dubbio e nella precarietà gli operatori sanitari e le coppie che ricorrono alla fe­condazione assistita. Ne parliamo con Marco Cappato, radicale, segretario del­l'Associazione per la libertà di ricerca scientifica Luca Coscioni.

Si aspettava questa sentenza?

Noi abbiamo sempre lottato perché anche a livello giurisprudenziale venisse­ro cancellate le linee guida, che aggiun­gono alla legge 40 delle proibizioni che vanno contro i diritti fondamentali della donna e dei portatori di malattie geneticamente trasmissibili. Dopo questo successo ora diventa urgentissimo che il ministro Livia Turco emetta le nuove linee guida.

In un periodo di attesa e di transizione politica come quello che stiamo vivendo, pensa che ci sia spazio per discutere della legge 40?

Anche vedendo le prese di posizione delle varie associazioni, ritengo che in questi giorni ci siano tutte le condizioni per fare uscire le nuove linee guida e questo perché, primo, è illegale non far­lo, e secondo la decisione del Tar ha contribuito a chiarire la materia. Quando parlo di illegalità mi riferisco al fatto che le linee guida durano tre anni e quelle della legge 40, fatte nell'agosto 2004, sono scadute nel 2007. Inoltre adesso non sono nemmeno in vigore quelle vecchie perché il Tar del Lazio le ha fatte cadere, il ministro della Salute commetterebbe una gravissima man­canza politica se, per paura delle componenti clericali di destra ed sinistra, dovesse lasciare ca­dere la possibilità di rinnovare la legge.

Come si regolano i medici che si trovano ad operare in questo vuoto normativo?

Oggi si deve fare riferimento al precedente giu­risprudenziale del Tar. Dunque i medici possono procedere all'analisi genetica preimpianto. Ma i centri di fecondazione hanno comunque bisogno di un regolamento e di una legge che dia delle certezze agli operatori e alle coppie.

Un terzo grado di giudizio potrebbe ribaltare la decisione del Tar?

lo spero che l'avvocatura dello stato non faccia ricorso per difendere le linee guida scadute. Auspico semmai che anche la Corte costituzionale si esprima sul fatto che la legge 40 impone pra­tiche che vanno contro la salute della persona. Il divieto di conservare più di tre ovociti, ad esem­pio, costringe te donne a rischiare un patto plu­rigemellare o a sottoporsi a cicli di stimolatori ormonali.

Lei come cambierebbe la legge 40?

Questa legge si dovrebbe abolire o ri­formare radicalmente nelle parti che ri­guardano la diagnosi genetica preim­pianto, l'accesso alla fecondazione eterologa e la ricerca sulle cellule stamina­li. Uno degli aspetti più assurdi è che mentre l'Unione Europea finanzia la ri­cerca sugli embrioni extranumerari, da noi questi stessi embrioni sono destinati a marcire nei frigoriferi. E non si capisce che cosa ci sia di tanto etico e di morale a buttarli nella spazzatura. Aspettando una revisione della legge cerchiamo di lavorare anche su piccoli miglioramenti, come potrebbe essere quello di ricono­scere e regolare le modalità di accesso all'analisi preimpianto.

L'associazione Luca Coscioni come porta avanti questa battaglia?

Ci muoviamo soprattutto sui casi individuali, co­me quelli di Luca Coscioni e Piergiorgio Welby. Di fronte alla paralisi della politica, con i clericali di destra e di sinistra che boicottano qualsiasi tentativo di riforma - anche il più ragionevole, come il testamento biologico - le più grosse vittorie nel campo del diritto alla cura quest'anno si sono ottenute sul piano individuale. Durante il congresso dell'associazione Luca Coscioni che si terrà a Salerno dal 15 al 17 febbraio, cercheremo di puntare (a luce proprio sui singoli casi, sui pre­cedenti di giurisprudenza. È un lavoro un po' all'americana a cui parteciperanno tutti gli avvoca­ti e i giuristi del caso Welby e del caso Englaro e tutti coloro che hanno presentato ricorso sulla fecondazione assistita.

La visita del Papa alla Sapienza, ecco perché abbiamo protestato

il Riformista 30.1.08
Fisica: non è stata intolleranza né integralismo
La visita del Papa alla Sapienza, ecco perché abbiamo protestato
Il diritto alla parola non va confuso con l'ingerenza
di Alcuni studenti di Fisica dell'Università La Sapienza

La protesta dei professori e degli studenti dell'Università La Sapienza di Roma circa la presenza di Papa Benedetto XVI all'inaugurazione dell'anno accademico 2007/2008, è stata vista ed è stata voluta vedere da molti media come una forma di integralismo e di intolleranza. Vorremmo in qualche modo controbattere e spiegare meglio le nostre ragioni che evidentemente non sono state comprese.
Ognuno ha diritto di parola, non è questo che mettiamo in discussione, ma quando si riveste una carica politica o religiosa le cose cambiano. Il potere di una persona esiste perché legittimato. In uno Stato laico e democratico in cui il potere è delegato dai cittadini, una così pesante ingerenza del massimo esponente di una religione la cui legittimazione è del tutto estranea al diritto italiano, è sicuramente da contestare. Per questo siamo stati contrari alla presenza del Papa in veste istituzionale durante l'inaugurazione dell'anno accademico in una Università statale, pubblica e laica.
«Intorno a loro si sente l'odore del diavolo». Con queste parole il direttore di Radio Maria ha descritto - senza che nessuno facesse veglie - quei sessantasette docenti dell'Università La Sapienza di Roma, già da altri pulpiti definiti mediocri, imbecilli e piccoli. La loro colpa? Il loro peccato capitale? Forse aver venduto l'anima al diavolo? Sembra quasi che abbiano fatto qualcosa di peggio. Hanno difatti osato manifestare il proprio dissenso definendo, in una lettera inviata al rettore Guarini alla fine del mese di novembre (si noti la data, importantissima per una veritiera ricostruzione dei fatti), «incongruo» l'invito rivolto al Papa-docente Benedetto XVI di partecipare all'inaugurazione dell'anno accademico della prima università italiana con una lectio magistralis, perché di questo si sarebbe dovuto trattare stando all'invito rivolto al Pontefice, fino a quella data.
Hanno difatti continuato imperterriti a esprimere le proprie opinioni, e da persone pensanti dotate di senso critico hanno applicato l'insegnamento del sociologo Robert Merton per il quale, più che altrove, nelle scienze naturali e umanistiche l'analisi critica è norma assoluta e l'ipse dixit non è valido in alcun caso.
Hanno applicato semplicemente quello che è uno dei principi cardine della democrazia, dichiarando il proprio disappunto al loro rettore. In tutto questo noi non vediamo censura o atteggiamenti integralisti di chiusura: non si legge infatti nella lettera del professor Cini o dei 67 "dissidenti" (che i vari politici di destra e sinistra farebbero bene a leggere prima di parlare a sproposito) una contestazione alla legittimità dell'invito, né tanto meno il ricatto di costruzione di barricate.
Pare però che non tutti la pensino così, (o fa loro comodo non pensarla così), e che il motto di Voltaire possa essere applicato solo ad alcuni e non ad altri. Pare che l'esprimere liberamente le proprie opinioni in uno Stato laico, cioè anche libero come molto spesso è stato ricordato in questi giorni, quale quello italiano, non sia prerogativa di tutti. Se lo si fa si viene bollati come illiberali, censorei, mediocri, piccoli, imbecilli e chiaramente satanici.
Come scrive Pietro Grasso sull'Unità del 18 gennaio 2008, «non dobbiamo preoccuparci per il giudizio - certo criticabile, ma legittimo nel metodo e ben fondato nel merito, espresso dai 67 - ma faremmo bene a preoccuparci del conformismo di un paese che tratta così sessantasette persone che hanno l'unico torto di aver fatto emergere con ingenua determinazione l'esistenza di un nodo, quello dei rapporti tra Chiesa e società, che negli ultimi tempi si è aggrovigliato e si è stretto fino a diventare a volte doloroso».
È infatti solo di pochi giorni fa l'attacco della Cei alla 194 e alle unioni di fatto, e non è di certo qualcosa di nuovo o sorprendente. Negli Angelus questo Papa parla troppo spesso di questioni che riguardano la politica italiana o altrettanto spesso la ricerca scientifica.
Siamo stati accusati di integralismo, ma sul dizionario sotto la parola «integralismo» si legge: «tendenza ad applicare in modo intransigente ed esclusivo i principi di una dottrina o di un'ideologia». Bene, allora è proprio a questo «integralismo» che ci opponiamo, è proprio per una scienza libera dai principi di qualunque ideologia precostituita.
Secondo la Costituzione italiana «la Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», ma troppo spesso questa indipendenza viene meno, proprio quell'indipendenza che dovrebbe fare dell'Italia un Paese non integralista.
È Benedetto XVI stesso nel suo discorso preparato per La Sapienza, a scrivere che dopo la sua fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l'istituzione era alle dirette dipendenze dell'Autorità ecclesiastica, ma che successivamente lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, come università laica, autonoma e libera da autorità politiche ed ecclesiastiche. Ma poi è lui stesso che ricorda il significato della parola vescovo, ossia sorvegliante, pastore, «colui che da un punto di vista sopraelevato, guarda all'assieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell'insieme», ed è ancora nel suo discorso che si legge: «Se però la ragione - sollecitata dalla sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita».
E allora ci chiediamo, se il messaggio cristiano deve essere «un punto di vista soprelevato», o ancora la radice della ragione, che la guida e la sorveglia, dov'è questa autonomia di cui lo stesso Pontefice parlava prima? Non si rischia di trascendere nello stesso «integralismo» di cui sono stati accusati alcuni tra i più importanti scienziati italiani? La questione del rapporto tra Stato e Chiesa interessa il nostro Paese da anni, e ha profonde radici culturali, e noi proprio partendo dalla cultura, laica e democratica, ci siamo voluti confrontare con questo problema, ribadendo ancora una volta il diritto di ognuno a esprimere le proprie opinioni, ma anche il dovere di ogni potere di rimanere nella propria sfera di competenza e legittimazione.

Maiani firmò contro il Papa? Nominato, ma con riserva

Corriere della Sera 30.1.08
Presidenza del Cnr e politica
Maiani firmò contro il Papa? Nominato, ma con riserva
di Sergio Luzzatto

Uno dei guai dell'Italia (si sente dire spesso, e a ragione) è l'invadenza della politica. Il fatto che i partiti penetrano dovunque, si infilano dappertutto. Anche là dove più che mai dovrebbe prevalere non il criterio dell'appartenenza, ma quello della competenza: per le nomine ai vertici delle grandi aziende, degli ospedali, degli enti di ricerca.
Gli enti di ricerca meritano tuttavia un discorso più preciso. Perché siamo di fronte a uno di quei casi in cui il governo Prodi e il centrosinistra si sono comportati bene, pur «comunicandolo» male. A fronte di una crisi devastante dell'intero nostro sistema di ricerca, il governo uscente e l'ex maggioranza parlamentare sono riusciti a praticare un metodo nuovo nell'investitura delle massime cariche.
Quel che più conta, un metodo buono.
Il metodo è presto descritto. Un «comitato di ricerca» indipendente, composto da esperti nazionali e internazionali, seleziona (motivando) una terna di candidati per la direzione dell'uno o dell'altro ente. E il ministro della Ricerca scientifica sceglie (motivando) nell'ambito di tale terna.
Dopodiché il ministro procede a raccogliere il parere, consultivo ma non vincolante, delle commissioni competenti di Camera e Senato.
Nel corso del 2007, questo metodo è stato applicato con successo a due enti di ricerca che venivano da esperienze travagliate: l'Agenzia spaziale italiana (Asi), oggi presieduta da Giovanni Bignami, e l'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), alla cui presidenza è stato nominato Tommaso Maccacaro. Sia Bignami che Maccacaro sono scienziati di assoluto valore internazionale. E le commissioni parlamentari ne hanno facilmente riconosciuto i meriti, approvando entrambe le nomine all'unanimità.
Dopo un identico processo di selezione, sembrava destinata a raggiungere l'esito felice di un'approvazione bipartisan anche la nomina di un altro grande fisico italiano, Luciano Maiani, alla presidenza del maggiore fra i nostri enti di ricerca, il Cnr. L'11 gennaio scorso, la prestigiosa rivista americana Science aveva salutato la nomina di Maiani, già direttore del Cern di Ginevra, come un «trionfo del merito sulla politica». Ma la settimana successiva, quando è esplosa l'affaire del Papa all'inaugurazione della Sapienza, si è scoperto che la firma di Maiani figurava tra quelle dei 67 professori di fisica che avevano rimproverato al rettore l'opportunità di quell'invito. E in alcuni ambienti politico-culturali del centrodestra si è cominciato a sostenere che la firma di Maiani «contro il Papa» era una cosa molto grave, così grave da suggerire prudenza rispetto alla sua nomina ai vertici del Cnr.
Per fortuna, argomenti del genere non hanno risuonato ieri al Senato, durante i lavori della Commissione Istruzione che doveva valutare la scelta del ministro Mussi. È pur vero che i senatori del centrodestra hanno preferito astenersi dal voto, mentre i loro colleghi del centrosinistra si pronunciavano favorevolmente sulla nomina di Maiani alla presidenza del Cnr. Ma l'astensione non è stata presentata dal centrodestra né come un gesto di sfiducia personale verso lo stesso Maiani, né come una contestazione del metodo impiegato per selezionarlo. Piuttosto, come una forma di (garbata) protesta politica, rispetto alla tempistica di una nomina che interviene a governo dimissionario.
Così, tutto è bene quel che finisce bene. O piuttosto finirà bene, quando la nomina di Maiani sarà stata approvata anche dalla Commissione Istruzione della Camera. E la nostra classe politica, una tantum, può felicitarsi con se stessa. Per avere fatto un passo indietro, riducendo i margini della sua discrezionalità. Per avere rispettato l'autonomia della comunità scientifica.
Per avere posto il Cnr nelle mani di un fisico che il mondo ci invidia.

martedì 29 gennaio 2008

I Radicali: «Oscurati come un sito porno»

I Radicali: «Oscurati come un sito porno»

Corriere della Sera del 29 gennaio 2008, pag. 9

di Virginia Piccolillo

Radicali «oscurati dal "filtro famiglia" Vodafone». La de­nuncia arriva da Antonio Stango del comitato nazionale del movi­mento che ieri aveva tentato di acce­dere tramite il telefonino al sito Internet www.radicali.it. Grande la sorpresa nel vedersi apparire il bloc­co di protezione, subito letto in chiave moralistica e ribattezzato «filtro Ruini».



Vodafone smentisce l'intento censorio e spiega che a bloccarsi auto­maticamente sono i siti collegati a chat e a forum o in cui compaiono «parole, frasi o immagini che posso­no colpire la sensibilità di chi ne ha richiesto l'attivazione». Nessuna velleità «clerico-fascista», dunque. Solo un servizio per genitori preoc­cupati per i cattivi incontri dei pic­coli sul web, spiegano. Ma i radicali insistono: «Nessuno ne ha chiesto l'attivazione». E in serata rincarano: «Sono bloccati anche altri siti di par­titi politici: quello del Pd, di Rifon­dazione e di Forza Italia. Funziona­no solo quello di An e di Mastella».



Rita Bernardini, segretario dei ra­dicali, prepara un'interrogazione parlamentare. «Il nostro sito — di­ce — contiene molto amore... per la legalità, i diritti, la giustizia e la li­bertà». Ma nessun richiamo eroti­co. A parte il fatto che, sottolinea ironico Stango, «la politica radicale a volte è eccitante». «Dobbiamo de­durre che il sito dei radicali non sia adatto alle famiglie? — si chiede la Bernardini — Ma a quale famiglia si riferisce Vodafone, alla cosiddet­ta "famiglia naturale"? In tal caso quello che impone non è un "Filtro Famiglia", ma l'ennesimo "Filtro Ruini" (o Bertone, o Bagnasco)». Nel sito, fanno notare, non c'è nulla più che in qualsiasi sito di giornale. «Salvo le opinioni dei radicali».


A Vodafone sorridono e scuoto­no la testa. «Non c'è nessuna censu­ra — assicura Giuseppe Currà, ca­pufficio stampa —. Stiamo facendo delle verifiche. Ma quello che po­trebbe essere accaduto è che il siste­ma abbia bloccato l'accesso al sito che consente il collegamento al Forum. E il servizio che noi abbiamo offerto per primi, e che sta riscuo­tendo successo, consente ciò che fi­nora si poteva fare solo con il com­puter. Ovvero bloccare l'accesso a chat o a forum per evitare ogni pos­sibilità di contatto con contenuti scabrosi o molesti. Una preoccupa­zione comprensibile dei genitori che prestano i telefonini ai figli».

«La fede religiosa elimina la responsabilità, favorendo fanatici e integralisti politici»

Corriere della Sera 29.1.08
Torna il sacro e sfida l'Illuminismo
«La fede religiosa elimina la responsabilità, favorendo fanatici e integralisti politici»
di Edoardo Boncinelli

La discussione. Il nuovo numero della rivista «Reset»: un confronto sul rispetto per i credenti e per chi nega l'esistenza di Dio

La religione, al pari di tutte le convinzioni parareligiose, rassicura e deresponsabilizza, e non saprei dire quale dei due aspetti sia più ben accetto agli individui che la professano. Se l'aspetto della rassicurazione non ci deve riguardare più di tanto, è sull'aspetto della deresponsabilizzazione che la modernità ha qualcosa da dire.
Uno dei primi compiti delle religioni è stato quello di spiegare l'origine e la natura del mondo. Dal punto di vista conoscitivo e razionale questo non sembra avere oggi più molta importanza, mentre sul versante emotivo sembra avere ancora grande presa su molti, che appaiono dirsi: «Dio pensa a me, quindi non sono solo e abbandonato». Per chi ci crede, ciò ha un grande significato, perché dà un senso complessivo alla vita e alla morte e fornisce una speranza per ciò che potrà accadere dopo la vita terrena. C'è una lieve sfumatura di deresponsabilizzazione in tutto questo, ma non la vedo eccessiva e non me la sentirei di insidiare tale convinzione a qualcuno che ce l'ha, se davvero ce l'ha. Si tratta comunque di una faccenda privata.
A metà strada fra la sfera privata e quella pubblica si trova invece la vocazione etica della religione; di tutte le religioni, ma soprattutto di quella cattolica che ci riguarda più da vicino: ciascuno si deve comportare bene per far piacere a Dio e per non incorrere nella sua ira.
Questa semplice affermazione ha a sua volta due risvolti: l'assunzione implicita che sotto questa spinta gli esseri umani si comportino meglio e la delega che viene così conferita ai ministri di culto perché accertino e comunichino quale sia il comportamento etico giusto da tenere in ogni circostanza.
La prima assunzione è molto probabilmente priva di fondamento: non c'è nessuna evidenza statistica che un credente si comporti in media meglio di un non credente. A noi oggi non piace poi, come non piaceva a Kant e ad altri filosofi di quei tempi, l'idea che un essere umano si comporti bene perché deve e per paura di un castigo. Questo è uno dei motivi di più acuto contrasto tra il pensiero laico e quello religioso. Lo spirito laico richiederebbe una libera scelta individuale e un comportamento retto anche se maturato in un clima di autonomia interiore. A maggior ragione non ci piace la delega per l'etica che il clero si è attribuito. Nessuno può legiferare per nessuno in tema di morale. Non ci deve essere un'etica individuale quindi? Non scherziamo! La messa a fuoco di un'etica individuale è importate per il pensiero laico quanto e più che per il magistero cattolico, anche se, rispetto alle posizioni del secondo, il primo auspica una maggiore attenzione al caso singolo e alle istanze dell'individuo e una minore rigidità. Su questo tema si è scritto tanto e io stesso ne ho parlato nel mio libro Il male (Mondadori 2007).
Il fatto è che una volta che un'autorità si arroga il diritto di legiferare sul tema del retto comportamento, è facile per essa passare dalle questioni di morale individuale a quelle che definirei di etica sociale. E qui si entra decisamente nella sfera del pubblico, con l'aspetto dell'etica sociale appunto, del quale tanto si parla in questo momento, con l'argomento del valore di coesione sociale della fede, e con la propensione più o meno dissimulata per l'instaurazione di una sorta di teocrazia.
Brevemente, se non si vede quale diritto abbia il clero di decidere sui temi della morale individuale, ancora meno si può accettare che detti legge in tema di etica sociale. In secondo luogo, l'appartenenza a una stessa fede poteva essere uno stimolo alla coesione sociale in una società caratterizzata da una sola confessione, ma diviene elemento di destabilizzazione, se non di aperto conflitto, in una società transnazionale che ospita fedi diverse, inclusa l'assenza di una fede dichiarata. Che dire, infine, dei continui tentativi di far assumere alla fede in una confessione la veste di un'appartenenza e di una militanza politica?
Davanti alla presente offensiva del pensiero cattolico per la riconquista delle posizioni perdute, è quindi più che legittimo che chi si sente legato all'ideale di una società laica metta in atto una controffensiva di argomentazioni e di messe in guardia, anche se non ci si può attendere da quest'azione più di quanto essa possa dare, atteso che quella di fare proseliti non è mai stata una vocazione laica, mentre è, e dichiaratamente, una vocazione fondamentale dell'anima cattolica.
C'è un ultimo aspetto. È di moda oggi esultare, anche da parte di autori considerati laici, per un certo recente «ritorno del sacro». Non so bene di cosa si parli e di che cosa dovremmo esultare: il senso del sacro vive di ignoranza, di paure e di oscure minacce, confina con la superstizione e dispone al fatalismo e al fanatismo. Se c'è veramente questo ritorno del sacro, significa che l'Occidente tenta di rientrare in quello stato di minorità dal quale l'Illuminismo, secondo Kant, l'aveva a suo tempo affrancato.

lunedì 28 gennaio 2008

"Il giorno della Candelora e la festa di IMBOLC"

"Il giorno della Candelora e la festa di IMBOLC"
un buon articolo su questa festa,
link: http://sfruttiamo.splinder.com/post/15706172/Il+giorno+della+Candelora+e+la
Iuno Sospita

Quer pasticciaccio brutto dell'Università "La Sapienza"

il Riformista 28.1.08
Università. Hanno perso ancora i movimenti degli studenti
Quer pasticciaccio brutto dell'Università "La Sapienza"
Un acume tattico degno del miglior Napoleone
di Matteo Marchetti, 20 anni, Roma

In una fosca mattinata di inizio anno, l'Italia si è dovuta di colpo fermare a riflettere su se stessa, sull'essenza dello Stato moderno, sul ruolo che un'istituzione religiosa ha all'interno del Paese e su quello che invece dovrebbe avere. Tutto questo per colpa di una busta da lettere e del suo contenuto?
Andiamo con ordine. Prima di affrontare un discorso lungo e probabilmente contorto, infatti, è buona norma ricordare i fatti al lettore. Dunque, in data 17 gennaio orde di perfidi cosacchi capelloni - e, giura qualcuno, anche omosessuali - che abbeveravano i propri cavalli nella fontana di fronte al Rettorato (probabilmente in attesa di arrivare a San Pietro), animati da ottuso integralismo laico, hanno dato vita a gravi tumulti, impedendo al Santo Padre di dare la propria benedizione al nascituro anno accademico.
In loro aiuto sono giunti alcuni squallidi figuri, sedicenti "professori", che hanno scritto una lettera all'illuminato Rettore motivando la loro adesione alla protesta con alcune affermazioni sul processo a Galileo Galilei - ovviamente travisate ed estrapolate dal contesto - pronunciate da Benedetto XVI quando ancora era un 'semplice' porporato, il tutto prima di andare a profanare qualche chiesa sostituendo un volume dell'Enciclopedia Treccani al Messale Romano. Questo, almeno, è quello che ho capito io dalle ricostruzioni di stampa e tv.
Negli scorsi giorni abbiamo assistito a un'impressionante dimostrazione di disciplina: molto meglio di un plotone di guardie svizzere, la politica, la stampa e buona parte dell'opinione pubblica hanno fatto quadrato intorno alla Chiesa cattolica, una delle istituzioni più ingombranti del pianeta, da sempre abituata a deporre o incoronare monarchi, a impartire lezioni di moralità alle assemblee parlamentari, a suggerire scelte agli elettori ("Nella cabina elettorale Dio ti vede, ma Stalin no", si leggeva sui muri in quel fatidico 1948), a dettare - specialmente in Italia - le priorità dell'agenda politica. Anni fa la si era data prematuramente in via di estinzione: stava perdendo radicamento e consensi e con essi potere, o questo almeno suggerivano alcune sconfitte patite dal Vaticano, partendo dal XX settembre fino ad arrivare a quella dei referendum civili negli anni Settanta, passando per la crisi delle vocazioni e la liberalizzazione dei costumi.
La società italiana, si disse allora, si è secolarizzata, affrancando le proprie convinzioni civili dall'egemonia clericale. A smentire quelle analisi ci pensarono successivamente le adunate oceaniche ai piedi di Giovanni Paolo II, la batosta sulla fecondazione assistita e la cocente umiliazione patita nel derby delle manifestazioni lo scorso 12 maggio, con piazza San Giovanni gremita da centinaia di migliaia di persone e piazza Navona mezza vuota.
Tanto martellante è stata la propaganda vaticana sulla 'famiglia' e su come i comunisti l'avrebbero distrutta diffondendo libertinaggio e promiscuità che il governo di centro-sinistra ha dedicato uno dei suoi tanti ministeri proprio all'istituto familiare, mentre qualsiasi velleità di unioni civili o addirittura - orrore! - omosessuali scivolava malinconicamente nel dimenticatoio grazie al fuoco incrociato dei 'cattolici di entrambi gli schieramenti', santi tiratori infiammati a turno da Benedetto XVI, Bagnasco, Mastella e Casini. Nonostante il passare degli anni, l'Italia è insomma rimasto il Paese in cui 'Centro' non è una necessità ma uno stile di vita, dove autorità morali e politiche si rispettano poco ma poi guai a chi osa toccare il Santo Padre, dove con Dante il cristianesimo arriva a penetrare anche nelle origini della nostra stessa lingua.
Proprio in virtù di questo, molti commentatori e - stando a quanto visto in piazza San Pietro la scorsa domenica - circa duecentomila persone rivendicavano per Ratzinger il diritto sacrosanto di tenere il proprio discorso durante l'inaugurazione dell'anno accademico; questo diritto sarebbe stato violato. La vicenda è ancora avvolta in una foschia che ne rende i contorni indefiniti, facendola discendere ora dall'anticlericalismo radicale e un attimo dopo da uno dei soliti pasticci all'italiana, da un banale errore di comunicazione. Poco importa: dal proprio balcone - quello sì garantito sempre e comunque - il Papa deve aver sfoderato uno dei suoi proverbiali, dolci sorrisi, guardando di fronte a sé una folla immensa che ne piangeva le sorti e contando le decine di telecamere accorse ancora più numerose del solito.
A rendere più sublime la giornata, il fatto che lui non avesse dovuto fare altro che stare zitto. Già, perché, se andiamo a vedere, il ruolo di Sua Santità Papa Benedetto Decimosesto nella vicenda è stato nullo. "Laicità significa garantire diritto di parola a chiunque!", "Questo è integralismo!", "Nelle università serie lasciano parlare perfino Ahmadinejad!". Urla, urla, urla. La macchina della propaganda - termine non a caso coniato proprio dalla Chiesa - si è messa in moto da subito, oberando di lavoro le agenzie. Prima, per qualche giorno, si è tenuta l'Italia sulle spine, tentennando senza decidere definitivamente; poi, l'annuncio choc, il gran rifiuto; infine, gli appelli a tutti gli uomini di buona volontà affinché durante l'Angelus del 20 recassero il proprio omaggio al Pontefice imbavagliato, il tutto senza tenere conto di alcune incongruenze - nessuno ha 'impedito' il discorso, né tanto meno un testo letto da un podio/pulpito può essere paragonato ad un dibattito scientifico; ridicolo, poi, considerare oggi Joseph Ratzinger un professore - ma tant'è.
Se si considera poi che il discorso (riveduto e corretto?) è stato comunque letto, la faccenda si è conclusa con un successo senza precedenti dai tempi dell'Editto di Tessalonica; ancora una volta, qualora ce ne fosse stato bisogno, si è dimostrato che ad oggi l'unico attore sociale in grado di esercitare un controllo sulle masse è la Santa Romana Chiesa. Una vittoria totale e senza possibilità di rivincita: quello che giorni fa la Repubblica ha definito il 'cortocircuito della Sapienza' si è rivelato un trionfo assoluto delle gerarchie ecclesiastiche.
Stavolta, però, il carro del trionfo è biposto: l'altro passeggero è un personaggio riservato, rimasto in disparte quanto gli è stato possibile, ma è comunque da inserire tra coloro che hanno tratto enorme vantaggio dalla vicenda. Sto parlando, ovviamente, del Rettore Guarini, che in molti hanno accusato di superficialità; a mio modesto avviso, invece, il nostro Magnifico ha dimostrato un acume tattico degno del miglior Napoleone: mal sopportato da buona parte dell'Ateneo, inquisito e, per giunta, in scadenza di mandato, intravedeva nell'inaugurazione un assist formidabile per avversari e contestatori, con gli studenti di ambo gli schieramenti pronti a chiedere il conto ad una guida mai amata. Con uno stratagemma da disinformatija brezneviana, Guarini è riuscito a sfruttare tutte le parti in causa per uscire, ancora una volta, dalla porta di servizio. Applausi.
Per ogni vincitore, però, c'è uno sconfitto. Hanno perso i movimenti degli studenti, da troppi anni abbandonati all'autorganizzazione e incapaci di intravedere nei manifesti contro Ratzinger un regalo colossale a chi li vede come contestatori professionisti, come dei piccoli ducetti mascherati da trasgressivi ignari delle regole della convivenza democratica, o magari come dei depravati. Gli studenti della Sapienza sono stati tra i primi a sapere della visita, alcune voci circolavano già dalla fine di dicembre; in così tanto tempo non si è stati in grado di individuare una strategia efficace, né di sottoporla agli altri studenti. I papisti e i cardinali non ringrazieranno mai abbastanza per una 'frocessione' che per loro - indipendentemente dal suo significato reale - è solo una pittoresca manifestazione di ignoranza.
Soprattutto, però, sono state sconfitte quelle idee che all'inizio ho citato di sfuggita: laicità, libertà di ricerca, università, istruzione pubblica, Stato. Lo Stato - rappresentato dal ministro Mussi e dal sindaco-tuttofare Veltroni - ha ciecamente solidarizzato, non si sa su cosa. Io, invece, chiudo, per non mescolare certe cose con questo squallido teatrino.

La moratoria sull'aborto ultima violenza alle donne

La Repubblica 28.1.07
La moratoria sull'aborto ultima violenza alle donne
di Gustavo Zagrebelsky

In una concezione non dogmatica ma (auto)critica della democrazia, quale è propria di ogni spirito laico, nessuna decisione presa è, per ciò stesso, indiscutibile. Il rifiuto della ri-discussione è per ciò stesso una posizione dogmatica, che può nascondere un eccesso o un difetto di sicurezza circa le proprie buone ragioni. Questo, in linea di principio, riguarda dunque anche la legge sull´interruzione volontaria della gravidanza, "la 194", che pur ha dalla sua due sentenze della Corte costituzionale e un referendum popolare.
Ma una discussione costruttiva e, mi sia permesso dire, onesta è il contrario delle parole d´ordine a effetto, che fanno confusione, servono per "crociate" che finiscono per mettere le persone le une contro le altre. Lo slogan "moratoria dell´aborto", stabilendo una "stringente analogia" (cardinal Bagnasco alla Cei, il 21 gennaio) tra pena di morte e aborto, accomunati come assassinii legali, ha sì riaperto il problema, ma in modo tale da riaprire anche uno scontro sociale e culturale che vedrebbe, nientemeno, schierati i fautori della vita contro i fautori della morte: i primi, paladini dei valori cristiani; i secondi, intossicati dal famigerato relativismo etico. Insomma, alle solite, un nuovo fronte di quello "scontro di civiltà" che, molti insofferenti della difficile tolleranza, mentre dicono di paventarlo, lo auspicano.
Siamo di fronte, come si è detto, a una "iniziativa amica delle donne"? Vediamo. La questione aborto è un intreccio di violenze. Innanzitutto, indubitabilmente, la violenza sull´essere umano in formazione, privato del diritto alla vita.
Ma, in numerose circostanze, ci può essere violenza nella gravidanza stessa, questa volta contro la donna, quando la salute ne sia minacciata, non solo nel corpo ma anche nella mente, da sentimenti di colpa o di sopraffazione, solitudine, indigenza, abbandono. La donna incinta, nelle condizioni normali, è l´orgoglio, onorato e protetto, della società di cui è parte; ma, nelle situazioni anormali, può diventarne la vergogna, il peso o la pietra dello scandalo, scartata e male o punto tollerata. D´altra parte, non solo la gravidanza, ma l´aborto stesso, percepito come via d´uscita da situazioni di necessità senza altro sbocco, si traduce in violenza anche verso la donna, costretta a privarsi del suo diritto alla maternità. C´è poi un potenziale di somma violenza nella capacità limitata delle società umane ad accogliere nuovi nati. La naturale finitezza della terra e delle sue risorse sta contro la pressione demografica crescente e la durata della vita umana. L´iniqua ripartizione dei beni della terra tra i popoli, poi, induce soprattutto le nazioni più povere a politiche pubbliche di limitazione della natalità che si avvalgono, come loro mezzo, dell´aborto.
Violenze su violenze d´ogni origine, dunque: violenza della natura sulle società; delle società sulla donna; della donna su se stessa e sull´essere indifeso ch´essa porta in sé. E´ certamente una tragica condizione quella in cui il concepimento di un essere umano porta con sé un tale potenziale di violenza. Noi forse comprendiamo così il senso profondo della maledizione di Dio: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze» (Gen. 3, 22). Si potrebbe dire che l´aborto, nella maggior parte dei casi, è violenza di deboli su più deboli, provocata da una violenza anteriore. Ma questa è la condizione umana, fino a quando essa patisce la crudeltà della natura e l´ingiustizia della società; una condizione che nessuna minaccia di pene anche severissime, con riguardo all´ultimo anello della catena, quello che unisce la donna al concepito, ha mai potuto cambiare, ma ha sempre e solo sospinto nella clandestinità, con un ulteriore carico di umiliazione e violenza, fisica e morale.
In questo quadro, che molte donne conoscono bene, che cosa significa la parola moratoria? Dove si inserirebbe, in questa catena di violenza? La domanda è capitale per capire di che cosa parliamo.
Una cosa è chiedere alle Nazioni Unite di condannare i Paesi che usano l´aborto come strumento di controllo demografico e di selezione "di genere". Un celebre scritto del premio Nobel Amartya Sen, pubblicato sulla New York Review of Books del 1991, ha richiamato l´attenzione sul fatto che «più di 100 milioni di donne mancano all´appello». Si mostrava lo squilibrio esistente e crescente tra maschi e femmine in Paesi come l´India e la Cina (ma la questione riguarda tutto l´estremo Oriente: quasi la metà degli abitanti del pianeta). Si prevede, ad esempio, che in Cina, nel 2030, l´eccesso di uomini sul "mercato matrimoniale" potrebbe raggiungere il 20%, con drammatiche conseguenze sociali. Le ragioni sono economiche, sociali e culturali molto profonde, radicate e differenziate. Le cause immediate, però, sono l´aborto selettivo e l´infanticidio a danno delle bambine, oltre che l´abbandono nei primi anni di vita. In quanto, però, vi siano politiche pubbliche di incentivazione o, addirittura, di imposizione, la richiesta di "moratoria" ha certamente un senso. Si interromperebbe la catena della violenza al livello della cosiddetta bio-politica, con effetti liberatori.
E diverso, in riferimento alle società dove l´aborto non è imposto, ma è, sotto certe condizioni, ammesso. "Moratoria" non può significare che divieto. Per noi, sarebbe un tornare a prima del 1975, quando la donna che abortiva lo faceva illegalmente, e dunque clandestinamente, rischiando severe sanzioni. Questo esito, per ora, non è dichiarato. I tempi paiono non consentirlo. Ci si limita a chiedere la "revisione" della legge che "regola" l´aborto. Ma l´obbiettivo è quello, come la "stringente analogia" con l´abolizione della pena di morte mostra e come del resto dice il card. Bagnasco: «Non ci può mai essere alcuna legge giusta che regoli l´aborto».
Qual è il punto della catena di violenza che la "moratoria" mira a colpire? E´ l´ultimo: quello che drammaticamente mette a tu per tu la donna e il concepito. Isolando il dramma dal contesto di tutte le altre violenze, è facile dire: l´inerme, il fragile, l´incolpevole deve essere protetto dalla legge, contro l´arbitrio del più forte. Ma la donna, a sua volta, è soggetto debole rispetto a tante altre violenze psicofisiche, morali, sociali, economiche, incombenti su di lei. La legge che vietasse l´aborto finirebbe per caricarla integralmente dell´intero peso della violenza di cui la società è intrisa: un peso in molti casi schiacciante, giustificabile solo agli occhi di chi concepisce la maternità come preminente funzione biologico-sociale che ha nell´apparato riproduttivo della donna il suo organo: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze», appunto. Si comprende, così, che la questione dell´aborto ha sullo sfondo la concezione primaria delle donne come persone oppure come strumenti di riproduzione. E si comprende altresì la ribellione femminile a questa visione della loro sessualità come ufficio sociale.
«La condizione della donna gestante è del tutto particolare» e non è giusto gravarla di tanto peso, ha detto la Corte costituzionale in una sua sentenza del 1975, la n. 27. Convivono due soggetti, l´uno dipendente dall´altro, entrambi titolari di diritti, potenzialmente in contraddizione: tragicamente, la donna può diventare nemica del concepito; il concepito, della donna. Da un lato, sta la tutela del concepito fondata sul riconoscimento costituzionale dei diritti inviolabili dell´uomo, «sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie», trattandosi di chi «persona deve ancora diventare». Dall´altro, sta il diritto all´esistenza e alla salute della donna, che «è già persona». Il riconoscimento pieno del diritto di uno si traduce necessariamente nella negazione del diritto dell´altro. Per questo, è incostituzionale l´obbligo giuridico di portare a termine la gravidanza, "costi quel che costi"; ma, per il verso opposto, è incostituzionale anche la pura e semplice volontà della donna, cioè il suo "diritto potestativo" sul concepito (sent. n. 35 del 1997). Si sono cercate soluzioni, per così dire, intermedie, ed è ciò che ha fatto "la 194", prevedendo assistenza sanitaria, limiti di tempo, ipotesi specifiche (stupro o malformazioni) e procedure presso centri ad hoc che accompagnano la donna nella sua decisione: una decisione che, a parte casi particolari (ragazze minorenni), è sua. La donna, dunque, alla fine, è sola di fronte al concepito e, secondo le circostanze, può essere tragicamente contro di lui. Qui, una mediazione tra i due diritti in conflitto (della donna e del concepito) non è più possibile: aut aut.
Le posizioni di principio sono incompatibili, oggi si dice "non negoziabili": l´autodeterminazione della donna contro l´imposizione dello Stato; la procreazione come evento di rilevanza principalmente privata o principalmente pubblica; la concezione del feto come soggetto non ancora formato o come persona umana in formazione; la legge come strumento di mitigazione dei disastri sociali (l´aborto clandestino) o come testimonianza di una visione morale della vita. Alla fine, il vero contrasto è tra una concezione della società incentrata sui suoi componenti, i loro diritti e le loro responsabilità, e un´altra concezione incentrata sull´organismo sociale, i cui componenti sono organi gravati di doveri, anche estremi. Si vede il dissidio, per così dire, allo stato puro nel caso della scelta tra la vita della madre e quella del feto, quando non possibile salvare e l´una e l´altra: la sensibilità non cattolica più diffusa dice: prevalga la vita della donna, persona in atto; la morale cattolica dice: prevalga la vita del nascituro, persona solo in potenza.
Secondo le circostanze. Sul terreno delle circostanze, a differenza di quello dei principi, è possibile lavorare pragmaticamente per ridurre, nei limiti del possibile, le violenze generatrici di aborto. Educazione sessuale, per prevenire le gravidanze che non si potranno poi sostenere; giustizia sociale, per assicurare alle giovani coppie la tranquillità verso un avvenire in cui la nascita d´un figlio non sia un dramma; occupazione e stabilità nel lavoro, per evitare alla donna il ricatto del licenziamento; servizi sociali e sostegni economici a favore della libertà dei genitori indigenti. Dalla mancanza di tutto questo dipende l´aborto "di necessità", che – si dirà - è però una parte soltanto del problema. Ma l´altra parte, l´aborto "per leggerezza", troverà comunque le sue vie di fatto per chi ha i mezzi di procurarselo, indipendentemente dalla legge. In ogni caso, non è accettabile che di necessità e leggerezza si faccia un unico fascio a danno dei più deboli, spinti dalla necessità, e li si metta sotto la cappa inquisitoriale della criminalizzazione e delle intimidazioni morali, come l´equiparazione dell´aborto all´omicidio e della donna all´omicida. La sorte dei concepiti non voluti si consumerà ugualmente, nel confort delle cliniche private o nella solitudine, nell´umiliazione e nel rischio per l´incolumità. L´esito del referendum del 1981 che, a grande maggioranza (il 68 %) ha confermato "la 194", dipese di certo dal ricordo ancora vivo di ciò che era stato l´aborto clandestino. Ci si può augurare che non se ne debba rifare l´esperienza, per ravvivare il ricordo.

domenica 27 gennaio 2008

MEDJUGORJE: È TUTTO FALSO

Marco Corvaglia, MEDJUGORJE: È TUTTO FALSO, Edizioni Lindau

AUTORE: Corvaglia M.

Medjugorje: È tutto falso

COLLANA: Anteprima

PAGINE: pp. 288. ILLUSTRAZIONI: ill. No. FORMATO: cm. 14x21. PREZZO: € 19,00. ISBN: 978-88-88857-17-6


Una volta Medjugorje era un piccolo villaggio desolato al di là del mare Adriatico. Ma dopo il 24 giugno 1981, il giorno in cui sei ragazzi affermano di aver visto la Madonna sul Podbrdo, la sua vita è cambiata. Oggi è una delle capitali mondiali del turismo religioso, in grado di accogliere ogni anno più di un milione di pellegrini provenienti da tutto il mondo.

Che cosa c’è però dietro al presunto fenomeno delle apparizioni? E quanto sono credibili i racconti e gli studi che negli anni si sono susseguiti e hanno cercato di far luce su di esso? Se la gerarchia cattolica ha assunto fin dall’inizio un atteggiamento di grande prudenza, il popolo dei credenti si è diviso: da una parte vi è chi non mette in dubbio la soprannaturalità di quegli eventi, dall’altra chi sospetta l’inganno.

Ma è davvero impossibile arrivare, sulla base dei dati disponibili, a una conclusione minimamente fondata? L’autore di questo libro pensa che la verità sia a portata di mano – se soltanto si vuole vederla. Nella ormai amplissima letteratura dedicata alle apparizioni è in realtà tutto scritto: le ambiguità, le contraddizioni, le bugie dei protagonisti della vicenda sono palesi, e inoppugnabili.

Una particolare attenzione meritano quelle che per un quarto di secolo hanno costituito l’asso nella manica dei fautori di Medjugorje: le indagini scientifiche condotte da vari gruppi di studio. Per la prima volta vengono esaminati criticamente e compiutamente i test e le perizie mediche che dimostrerebbero la sincerità dei veggenti e l’inspiegabilità dei fenomeni. Purtroppo, non c’è un solo dato che resista a un’analisi attenta.

Insomma, il fenomeno Medjugorje è figlio di una straordinaria macchina di propaganda – talvolta più superficiale che in malafede –, che ha fatto leva su un fenomeno falso per riaccendere le tiepide fedi dei credenti e per rilanciare economicamente il paese.

L'AUTORE MARCO CORVAGLIA, nato a Casarano (Lecce) nel 1969, è docente di lettere classiche e da molti anni studioso di presunti fenomeni paranormali.

Edizioni Lindau Corso Re Umberto 37, 10128 Torino - Tel: 011 517.53.24 Fax: 011.669.39.29

Zapatero. Verso il cambio della legge sull'interruzione di gravidanza

Corriere della Sera 27.1.08
Zapatero. Verso il cambio della legge sull'interruzione di gravidanza
La pillola del giorno dopo gratis e libera in Spagna
Piano dei socialisti. «Troppi aborti tra le più giovani»
di Elisabetta Rosaspina

La situazione attuale varia da regione a regione: gratis e senza ricetta, a pagamento e con obbligo di prescrizione

MADRID — La casa, la rivalutazione degli stipendi minimi, l'assegno bebè e ora la pillola del giorno dopo: Zapatero ha bisogno dei giovani per poter continuare a governare la Spagna dopo il 9 marzo prossimo e, all'avvicinarsi dell'appuntamento elettorale, cala tutti i suoi assi per spingerli alle urne. L'ultimo in ordine di tempo è l'accesso libero e gratuito alla pillola del giorno dopo, l'anticoncezionale d'emergenza che impedisce un'eventuale gravidanza nelle 72 ore successive a un rapporto sessuale a rischio. Un metodo preventivo dal punto di vista dell'Organizzazione mondiale della Sanità e di quello (non unanime) del mondo scientifico, un aborto precoce dal punto di vista della Chiesa. Ma l'attuale primo ministro socialista sa di non poter più contare granché sull'appoggio delle gerarchie ecclesiastiche spagnole, almeno da quando ha dato il suo imprimatur alle nozze omosessuali e ha facilitato le procedure legali per il divorzio, eliminando il periodo propedeutico della separazione.
La maratona elettorale dei due principali contendenti segue ormai itinerari diversi, verso il medesimo traguardo: il Partito Popolare spera di vincere la corsa concentrando la sua strategia su argomenti economici, e soprattutto fiscali, oltre che sulla difesa della famiglia tradizionale; il Partito Socialista punta alle politiche sociali e al sostegno al mondo giovanile. Cui si rivolge, evidentemente, anche quest'ultima promessa.
La pillola del giorno dopo si commercializza in Spagna da sette anni. Ma la sua distribuzione non è regolamentata da una legge valida in tutto il Paese. L'unico requisito formalmente richiesto in tutto il territorio, adesso, è la ricetta medica. Il resto è lasciato alle amministrazioni locali. Sono le comunità autonome a decidere come, quando e a che condizioni distribuirla. Ci sono regioni, come la Catalogna, l'Andalusia e la Navarra dove le formalità sono ridotte al minimo, il farmaco si può ottenere gratuitamente e rapidamente attraverso la rete sanitaria pubblica. In altre aree, perlopiù controllate dal Partito Popolare, l'iter non è così agevole e il prezzo può arrivare a una ventina di euro in farmacia.
Quanto basta per scoraggiare molte ragazze.
Su questa considerazione si basa il ragionamento di partenza del progetto del Psoe, intitolato «Strategia per la salute sessuale e riproduttiva»: negli ultimi vent'anni, in Spagna, il numero di aborti ai quali si sottopongono le minorenni è quasi quadruplicato. Le statistiche più recenti disponibili si riferiscono al 2005, anno in cui almeno 13 mila adolescenti hanno interrotto volontariamente una gravidanza indesiderata e già accertata. Quante di loro avrebbero potuto evitare di arrivare all'intervento con una pillola, seppure tardiva? L'obiezione di coscienza, secondo i legislatori socialisti, in questi casi non vale: il rimedio del giorno dopo dovrebbe essere reso disponibile in qualunque pronto soccorso, 365 giorni all'anno e 24 ore al giorno. I socialisti respingono anche obiezioni più cliniche, secondo le quali la pillola comunque non è affatto salubre e rischia di diventare, una volta liberalizzata, un sistema anticoncezionale abituale, soprattutto per le più giovani. Ma Guillermo Gonzalez, presidente della Federazione per la pianificazione familiare, lo considera un rischio inevitabile: «Ci sarà sicuramente chi ne abusa, come chi abusa dell'alcol — dice —, ma le donne in genere sanno fare un uso razionale degli anticoncezionali».
Non ne sono così convinti i medici: la categoria, secondo i sondaggi, è spaccata esattamente in due circa l'opportunità di distribuire la pillola del giorno dopo senza ricetta medica.

sabato 26 gennaio 2008

Cari laici, basta con questo complesso di inferiorità

il Riformista 26.1.08
Cambiare atteggiamento nei confronti dei cattolici
Cari laici, basta con questo complesso di inferiorità
di Orlando Franceschelli

Dei problemi di cui soffre la nostra democrazia, la carenza di laicità è da annoverare tra quelli più vicini all'epicentro della crisi. Come la stessa gerarchia cattolica ci ha ricordato anche in questi giorni successivi all'Angelus che ha raccolto folle di fedeli e di politici. Presentato come esibizione non di forza, ma di affetto per il Papa. E perciò anche come chiusura delle polemiche legate alla vicenda della Sapienza. Ma di fatto subito utilizzato da Ruini e dal presidente della Cei Bagnasco per tornare ad attaccare le "affermazioni strampalate" e le "pressioni ideologiche" contro cui la chiesa si ergerebbe soltanto per difendere la verità e la dignità dell'uomo. Un attacco che ha suscitato sorpresa e disappunto persino in qualche prelato. Ma è stato prontamente rafforzato da quello sferrato proprio ieri dallo stesso Benedetto XVI contro i media "megafono del materialismo e del relativismo etico". E rende ancora più allarmante quel "complesso di superiorità" che già Guido Calogero denunciava nella condotta pubblica di non pochi cattolici.
Calogero, maestro tra i più significativi del liberalsocialismo e della cultura del dialogo, faceva risalire un simile complesso alla pretesa che le ragioni dei cattolici poggino su un fondamento assoluto perché garantito dalla fede. Da qui quell'atteggiamento di superiorità assunto nei confronti di chi invece ritiene che il "principio fondamentale" di una società pluralista sia la laicità. E la "volontà di dialogo" che l'accompagna.
E tuttavia, anche i laici - o laicisti, come li chiamava Calogero - spesso favoriscono questo atteggiamento cattolico. Assumono nei suoi confronti una "posizione di modestia critica" che invece occorre "correggere radicalmente", giacché è proprio e solo il principio della laicità a possedere "quella compiuta universalità e assolutezza" che le fedi pretendono di ascrivere ognuna a se stessa. Insomma, per dirlo nei termini oggi cari alla gerarchia: i veri valori non negoziabili delle nostre società plurali e liberali sono proprio la laicità e la capacità di confronto costruttivo. Perciò, concludeva Calogero, i laici che non sanno contrastare il complesso di superiorità dei cattolici, diminuiscono anche l'efficacia della propria battaglia ideale e politica. Assecondano un complesso che allontana dal coltivare quel senso del limite e della misura dal quale giustamente Calogero vedeva promossa e tutelata la libertà di ognuno.
Ebbene, Benedetto XVI, Ruini e Bagnasco sono intenzionati ad alimentare la versione più integralista di un simile complesso. Per loro, come anche il Papa ha ribadito proprio nel testo "densissimo e però molto chiaro" (Ruini) preparato per la Sapienza, una filosofia, un'etica e persino una scienza, insomma: una "cultura europea" che aspiri solo ad "autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni" e sia "preoccupata della sua laicità", non è una legittima protagonista delle nostre società. Un interlocutore portatore di ragioni e valori con cui anche i cattolici devono imparare laicamente a confrontarsi.
Al contrario: la cultura moderna criticamente emancipata dalla tradizione teologica, sarebbe frutto soltanto di mancanza di coraggio di fronte alla verità. E destinata a frantumarsi sugli scogli di un relativismo nichilistico e antiumano.
Una versione appunto minacciosamente neointegralista del complesso di superiorità cattolico, che così può assumere addirittura il volto di una solitaria difesa della dignità umana.
E perciò va contrastato apertamente proprio da chi è consapevole, come ha scritto Claudio Magris sul Corriere , che essere laici significa «credere fortemente in alcuni valori sapendo che ne esistono altri, anch'essi rispettabili». Di quale rispetto culturale e civile, di quale ruolo pubblico veramente laico e costruttivo, sa essere protagonista questa gerarchia che - si badi - persino nelle argomentazioni degli altri vede un impoverimento della ragione e rivendica per le proprie - e per i misteri della fede - il monopolio della verità e dei valori?
Seppure timidamente, anche tra i cattolici affiora qualche riserva sulle tensioni alimentate da questo protagonismo politico della chiesa. Ma l'impegno dei laici autentici, tanto più di fronte alla crisi etico-politica in cui è coinvolta la nostra sfera pubblica, è uno solo: dismettere ogni "posizione di modestia critica". Anzi: rivendicare a schiena dritta che, come ammoniva Calogero, le ragioni della laicità «non sono meno robuste - anzi sono incomparabilmente più robuste - di quelle che sorreggono le fedi religiose dei suoi oppositori».
Rimanere al di qua di un simile impegno significa solo cedere a continui arretramenti della cultura e della cittadinanza del dialogo. E perciò anche della stessa democrazia e dei diritti civili che proprio della laicità sono i frutti più preziosi.