giovedì 31 gennaio 2008

Il papa e il diavolo e la regolazione della natalità

Partendo da lontano e girando alla larga come sogliono i Papi che parlano ai popoli per encicliche (dal greco enkyklios, circolare), nella sua Humanae vitae sulla "regolazione della natalità" arrivato al 14° paragrafo, 35° capoverso, Paolo VI diceva finalmente un primo chiaro no; contro il coitus interruptus'. "Dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l'interruzione diretta del processo generativo già iniziato".
Segue un secondo no all'aborto terapeutico, un terzo contro la sterilizzazione, un quarto contro le pratiche anticoncezionali in genere, intese come "azioni che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si propongono, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione".
Le quattro negazioni trovano il loro fondamento nel Catechismus romanus del concilio di Trento (p. II, e. Vili), nella Casti connubii di Pio XI (31 dicembre 1930), in due documenti di Pio XII del 1951 e del 1958 (cfr. rispettivamente, gli Acta apostolicae sedis n. 43 p. 843, e n. 50 p. 734) e ad abundantiam nella Mater et magistra di Giovanni XXIII (15 maggio 1961 ). Non è a dire con questo che dal Trento 1563 siano trascorsi invano quattro secoli : di nuovo, infatti, nella Humanae vitae si trova l'insistenza sul concetto che bisogna rimettersi ai cosiddetti ritmi naturali studiati e calcolati dai dottori Ogino e Knaus.
Paragrafo 11 dell'enciclica: "Dio ha sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il susseguirsi delle nascite". Paragrafo 16: "La Chiesa insegna essere lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l'uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere i principi morali". Paragrafo 24 : " È in particolare auspicabile che, secondo l'augurio formulato da Pio XII (cfr. Acta apostolicae sedis 1951, n. 43, p. 859) la scienza medica riesca a dare una base sufficientemente sicura a una regolazione delle nascite fondata sull'osservanza dei ritmi naturali".
Immaginandosi, comunque, che il calcolo Ogino-Knaus possa rivelarsi non infallibile, Paolo VI suggeriva il solo rimedio risolutivo esistente - la continenza e la castità - invitando nel paragrafo 22 tutte le persone oneste e responsabili a " creare un clima favorevole all'educazione della castità, cioè al trionfo della sana libertà sulla licenza". A questo punto, occorre dire, egli scivolava un po' verso una confusione tra cose incomparabili, il rapporto sessuale e oscenità : " Tutto ciò che nei moderni mezzi di comunicazione sociale porta alle eccitazioni dei sensi, alla sfrenatezza dei costumi, come pure ogni forma di pornografia o di spettacoli licenziosi, deve suscitare la franca e unanime reazione di tutte le persone sollecite del progresso della civiltà".
Di più, al paragrafo 17, egli scendeva ad un'affermazione che suona grave per le donne, giudicate esseri inferiori da una retriva tradizione purtroppo diffusa in certo clero : " Si può anche temere che l'uomo abituandosi all'uso delle pratiche anticoncezionali finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna rispettata e amata ". Chi sa chi aveva potuto insinuare nell'enciclica il concetto che la donna che non partorisca è come una sgualdrina; (…)
Vittorio Gorresio, Il papa e il diavolo, Rizzoli, 1973, pag 42,43.