venerdì 18 gennaio 2008

Il papa rinuncia all'Università: papisti battuti

Liberazione 16.1.08
Il papa rinuncia all'Università: papisti battuti
di Ritanna Armeni

Alla fine Benedetto XVI ha deciso di annullare la sua visita all'Università di Roma. Una decisione saggia, politicamente avveduta, viste le polemiche e il contesto nella quale quella visita si collocava. Un gesto che esprime una sapienza maggiore (come sa fare una Chiesa millenaria) di quella di molti dei suoi sostenitori di questi giorni. Il Papa, Vicario di Cristo, espressione della Chiesa cattolica, non ha voluto esporsi a contestazioni riduttive della sua figura e dell'istituzione che rappresenta. Il pontefice è il capo della Comunità cattolica, interloquisce con i popoli e gli Stati del pianeta, interviene sulle manifestazioni della vita e della società che toccano aspetti fondanti dei valori religiosi cattolici: la vita, la morte, la pace, la guerra la scienza, la politica. Attraverso di lui la Chiesa cattolica parla ai poveri e ai ricchi, al terzo e al primo mondo. Ieri ha scelto di non parlare all'Università La Sapienza perché non ha ritenuto opportuno che le sue parole fossero utilizzate all'interno di polemiche inutili e sbagliate, quali quelle che si sono manifestate in questi giorni.
Mi riferisco a due polemiche contrapposte. Quella di alcuni che si sono opposti alla visita non solo perché in disaccordo con le parole e le opinioni della Chiesa, ma perché contrari al fatto che il Pontefice parlasse. E' vero, questo papa dice e interviene moltissimo, spesso sostiene argomenti che trovo reazionari e pericolosi, ma se anche dicesse il doppio di quello che già dice e dicesse cose ancor peggiori, comunque sarebbe legittimo e giusto. Se la politica degli Stati, a cominciare da quello italiano, viene influenzata dalle sue parole, il problema sta nella subalternità colpevole e opportunista dei politici italiani. In altri paesi non avviene. Dire che il pontefice non deve parlare è indizio di subalternità e d'inferiorità. Di un minoritarismo resistenziale di una parte del mondo laico che, di fronte ad una presenza e di una battaglia di valori iniziata dalla Chiesa e non solo da essa sulla legge 40 e proseguita su vari terreni, dall'eutanasia alla famiglia e alle unioni civili e ora all'aborto, si limita alla denuncia lamentosa di ingerenze anziché accettare il confronto convinto, duro, privo di pregiudizi.
Ma la decisione del papa taglia alla radice anche la seconda polemica, quella di chi, politici, giornalisti e intellettuali, in questi giorni ha voluto descrivere la Chiesa cattolica debole, censurata, impossibilitata a dire la sua, circondata da fanatici laici. Quelli che l'hanno difesa con l'ardore che meriterebbero altri soggetti e altre questioni (se ne potrebbero citare decine) queste sì trascurate da chi forma l'opinione pubblica. Che sono pronti a difendere il diritto della Chiesa a dire la sua, ma nemmeno per un momento prendono in considerazione che anche chi non è d'accordo ha diritto di esprimere il suo dissenso. E questo non significa necessariamente essere estremisti, laicisti, prepotenti. Anche se si sbaglia. Quelli che riducono la Chiesa a un soggetto qualunque e non vedono quello che fortunatamente è: una comunità e un' istituzione forte, pesante, autorevole, pervasiva , che vuole incidere e riesce a farlo. E che davvero è difficile descrivere come un ente perseguitato.