giovedì 24 gennaio 2008

Aborto, Formigoni «realizza» Bagnasco

Aborto, Formigoni «realizza» Bagnasco

di M. Ca.

Il Manifesto del 23/01/2008

La Lombardia fissa il termine per l'interruzione di gravidanza terapeutica: 22 settimane. Così il presidente Cl ritocca per primo la 194

L'aveva annunciato e l'ha fatto, con qualche giorno d'anticipo per risultare il più tempestivo realizzatore dei desideri del cardinal Bagnasco. Il presidente lombardo Roberto Formigoni si è fatto le sue linee guida per l'aborto terapeutico, quello effettuato oltre i tre mesi di gravidanza. Il provvedimento fissa in 22 settimane e tre giorni il termine entro il quale effettuare negli ospedali lombardi l'interruzione volontaria di gravidanza (esclusi i casi in cui non sussista la possibilità di vita autonoma del feto).
Sotto il profilo fattuale non cambierà nulla. Negli ospedali lombardi, e presumiamo sia così nel resto d'Italia, il limite temporale per gli aborti terapeutici oscilla tra le 22 e le 23 settimane. I medici si comportano così senza bisogno che qualche politico glielo ordini. Lo fanno perché le nuove tecnologie e nuovi farmaci permettono di tenere in vita feti sempre più prematuri. La soglia si è abbassata sensibilmente dal 1978, quando venne promulgata la legge 194. La legge, nella sua saggezza preveggente, non fissa paletti. Si limita a scrivere che ove sussista la possibilità di vita autonoma del feto l'aborto può essere praticato solo quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna.
Sotto il profilo politico e simbolico - terreni su cui si muovono il Vaticano e i suoi sodali - cambierà qualcosa. Potranno dire che alla 194 «manca» qualcosa e che loro ce lo mettono. Non è così, lo ripetiamo, ma Formigoni taglia per primo il traguardo in una corsa che la ministra Livia Turco, forse sperando di far bene, ha in qualche modo incentivato. Uno dei tre «pareri» chiesti qualche settimana dalla ministra al Consiglio superiore di sanità verte proprio sulla possibilità di sopravvivenza dei feti molto prematuri. Non sappiamo come la ministra intendesse utilizzare quel parere. Forse per dettare le linee guida nazionali. Forte della devolution sanitaria (ampliata dalla famigerata riforma ulivista del Titolo V della Costituzione), Formigoni si è portato avanti nel lavoro. Se le Regioni ormai decidono in casa loro sulle vaccinazioni più o meno obbligatorie, come impedire che lo facciano anche sulla 194?
Il ciellino Formigoni ha appoggiato il suo atto d'indirizzo sulle linee guida adottate nel 2004 dalla clinica Mangiagalli, quella dove dopo la nube di Seveso furono praticati i primi aborti non clandestini in Italia. Avere dalla propria parte i medici della Mangiagalli basta per avere ragione? Ci permettiamo di dubitarne.
Giampaolo Donzelli, neonatolo dell'università di Firenze, pensa che l'atto d'indirizzo formigoniano sia «inopportuno e imprudente, non puntuale, affrettato». Effetto «perverso» della devolution sanitaria, aggiunge, modo sbagliato per affrontare i problemi «in chiave emotiva o di appartenenza politica». Non è accettabile che lo Stato si sostituisca al medico tenuto a valutare «caso per caso», trasformi i camici bianchi in meri «notai».
Silvio Viale, ginecologo all'ospedale Sant'Anna di Torino, bolla la decisione di Formigoni come «inutile, tutta politica, con l'unico obiettivo di intimidere i medici non obiettori». Senza clamori e grancasse mediatiche, all'ospedale Sant'Anna i medici si sono dati un limite indicatico di 23 settimane. Il vero obiettivo di Formigoni è far credere che in Italia si sta «abusando» dell'aborto terapeutico. Non è così, gli aborti oltre la 22 settimane sono «qualche decina» all'anno su scala nazionale.
L'atto d'indirizzo aggiunge 6 milioni ai 56 stanziati per i consultori lombardi (compresi quelli privati che fanno «obiezione di coscienza»). Anche su questo avranno parecchio da ridire le donne di Usciamo dal silenzio che oggi pomeriggio si riuniscono in assemblea nella sede del Consiglio regionale.