Moratoria delle ipocrisie
La Stampa del 23 gennaio 2008, pag. 36
di Remo Bassetti
Un nuovo strumento si affaccia nelle scuole di retorica: l’ars moratoria. «Moratoria» originariamente designa la concordata, temporanea interruzione dei pagamenti da parte di un debitore, in considerazione di particolari difficoltà finanziarie. È la dilazione di una scadenza. Nel linguaggio politico ha definito l’accordo per la sospensione di attività oggetto di controversie internazionali. Venne utilizzata, la prima volta, come «moratoria nucleare» nei rapporti tra Usa e Urss durante la Guerra Fredda e poi ripresa come significativo momento negoziale dei trattati di non proliferazione delle armi distruttive. Negli ultimi anni s’è parlato anche di moratoria degli Ogm, con riferimento a direttive comunitarie che differivano la concessione delle licenze commerciali in quel campo.
Il 18 dicembre l’Assemblea generale dell’Onu ha varato una «moratoria universale per la pena di morte». Le differenze rispetto alle moratorie precedenti sono evidenti. Non si tratta più di difendere interessi di parti in causa, ma di promuovere un principio. Nessun effetto giuridico ma simbolico, una risoluzione non vincolante.
L’altra novità è che, mentre le moratorie politiche si erano imposte come pausa di riflessione a fronte di evoluzioni tecnologiche capaci di cambiare il corso della vita, come invito a uniformare il passo della tecnica a quello della politica in nome della civiltà, la moratoria sulla pena di morte proclama l’arcaismo di quell’istituto alla luce delle nuove condizioni morali della civiltà. La decisione, impotente a imporre, auspica la sospensione, sia pure in vista dell’abolizione. Per «moratoria» si continua, quindi, a intendere una sospensione.
Con la campagna per la moratoria sull’aborto abbiamo un salto in avanti. È evidente che, mentre una sospensione della pena di morte, in funzione della riconsiderazione del problema, non produce effetti impregiudicabili, poiché coloro che non vengono giustiziati durante la moratoria possono sempre essere mandati a morte quando cessa, una sospensione dell’aborto farebbe sì che gli embrioni nel frattempo diventassero feti di almeno tre mesi e renderebbe impraticabile l’aborto successivo. È ovvio che, neppure sul piano teorico, stiamo parlando di una sospensione. E infatti nessuno dei proponenti ne parla, ognuno teorizza quello che più gli aggrada: la semplice cancellazione della liceità dell’aborto, una pura campagna di sensibilizzazione mediatica, la modifica della legge.
Il vestito della moratoria è stato indossato perché fresco della sfilata all’Onu, assolutamente intercambiabile con altro di eguale e suggestiva tendenza, è un termine svuotato di ogni riferimento, non diciamo tecnico ma almeno reale.
D’altronde la sua sgusciante ambiguità è sorprendente. La moratoria s’aggrappa etimologicamente all’inazione e alla sosta, ma al tempo stesso suggerisce l’urgenza di «agire adesso» che, secondo Slavoj Zizek, è alla radice dell’indignazione ipocrita del ricco borghese di fronte ai dolori del mondo che egli ha contribuito a provocare. Si qualifica azione politica potente e chiarificatrice, ma è il rinvio e l’occultamento della specificazione del messaggio. Pare esercizio di misura in vista del confronto, ma è il rovesciamento del tavolo, l’astuzia strategica di invertire le posizioni di forza, sottraendo all’oggetto contestato il vantaggio di rappresentare lo status quo da scalfire. Però dire «moratoria» fa effetto, come una volta scendere in corteo.
La Stampa del 23 gennaio 2008, pag. 36
di Remo Bassetti
Un nuovo strumento si affaccia nelle scuole di retorica: l’ars moratoria. «Moratoria» originariamente designa la concordata, temporanea interruzione dei pagamenti da parte di un debitore, in considerazione di particolari difficoltà finanziarie. È la dilazione di una scadenza. Nel linguaggio politico ha definito l’accordo per la sospensione di attività oggetto di controversie internazionali. Venne utilizzata, la prima volta, come «moratoria nucleare» nei rapporti tra Usa e Urss durante la Guerra Fredda e poi ripresa come significativo momento negoziale dei trattati di non proliferazione delle armi distruttive. Negli ultimi anni s’è parlato anche di moratoria degli Ogm, con riferimento a direttive comunitarie che differivano la concessione delle licenze commerciali in quel campo.
Il 18 dicembre l’Assemblea generale dell’Onu ha varato una «moratoria universale per la pena di morte». Le differenze rispetto alle moratorie precedenti sono evidenti. Non si tratta più di difendere interessi di parti in causa, ma di promuovere un principio. Nessun effetto giuridico ma simbolico, una risoluzione non vincolante.
L’altra novità è che, mentre le moratorie politiche si erano imposte come pausa di riflessione a fronte di evoluzioni tecnologiche capaci di cambiare il corso della vita, come invito a uniformare il passo della tecnica a quello della politica in nome della civiltà, la moratoria sulla pena di morte proclama l’arcaismo di quell’istituto alla luce delle nuove condizioni morali della civiltà. La decisione, impotente a imporre, auspica la sospensione, sia pure in vista dell’abolizione. Per «moratoria» si continua, quindi, a intendere una sospensione.
Con la campagna per la moratoria sull’aborto abbiamo un salto in avanti. È evidente che, mentre una sospensione della pena di morte, in funzione della riconsiderazione del problema, non produce effetti impregiudicabili, poiché coloro che non vengono giustiziati durante la moratoria possono sempre essere mandati a morte quando cessa, una sospensione dell’aborto farebbe sì che gli embrioni nel frattempo diventassero feti di almeno tre mesi e renderebbe impraticabile l’aborto successivo. È ovvio che, neppure sul piano teorico, stiamo parlando di una sospensione. E infatti nessuno dei proponenti ne parla, ognuno teorizza quello che più gli aggrada: la semplice cancellazione della liceità dell’aborto, una pura campagna di sensibilizzazione mediatica, la modifica della legge.
Il vestito della moratoria è stato indossato perché fresco della sfilata all’Onu, assolutamente intercambiabile con altro di eguale e suggestiva tendenza, è un termine svuotato di ogni riferimento, non diciamo tecnico ma almeno reale.
D’altronde la sua sgusciante ambiguità è sorprendente. La moratoria s’aggrappa etimologicamente all’inazione e alla sosta, ma al tempo stesso suggerisce l’urgenza di «agire adesso» che, secondo Slavoj Zizek, è alla radice dell’indignazione ipocrita del ricco borghese di fronte ai dolori del mondo che egli ha contribuito a provocare. Si qualifica azione politica potente e chiarificatrice, ma è il rinvio e l’occultamento della specificazione del messaggio. Pare esercizio di misura in vista del confronto, ma è il rovesciamento del tavolo, l’astuzia strategica di invertire le posizioni di forza, sottraendo all’oggetto contestato il vantaggio di rappresentare lo status quo da scalfire. Però dire «moratoria» fa effetto, come una volta scendere in corteo.