Quel fondamentalismo cammuffato da libertà che costruisce la maggioranza unica
di Roberto Gigliucci
Liberazione del 19/01/2008
Le maggioranze silenziose, violentate da pochi studenti e docenti, esistono nel calderone mediatico
Qualche piccola domanda. Se la protesta anti-Ratzinger della Sapienza è stata opera soltanto di 67 professori e di un manipolo di studenti che hanno occupato un'aula e hanno affisso qualche striscione (questo è quanto ha diffuso l'informazione pubblica), se l'ordine pubblico era stato garantito da Amato al cento per cento, se la "stragrande maggioranza" di docenti e studenti della Sapienza, come è stato ripetuto, era a favore della lectio magistrali s del papa, se tutto l'arco costituzionale, da Giordano ad Alemanno, ha poi condannato il rifiuto di ascoltare il papa, allora mi domando: perché il papa, consigliato dalle alte gerarchie che lo circondano, ha rifiutato a sua volta di aderire all'invito del Magnifico Rettore? Non ce n'era motivo, pare.
Invece un motivo c'era. La lettera dei docenti, del 23 novembre 2007, seguita alla lettera aperta di Marcello Cini, era ormai acqua passata, o quasi. Invece la riproposta di quella sensata e lecita protesta ha offerto sul piatto d'argento al Vaticano e ai suoi sostenitori politici (atei devoti, teo-con, teo-dem ecc.) l'occasione di offrirsi mediaticamente come vittime dell'intolleranza estremistico-universitaria. Ecco che il rifiuto a venire alla Sapienza da parte del Pontefice si può leggere come motivatissimo, politicamente e strategicamente: infatti la bagarre mediatica che ne è seguita è stata di una impetuosità inaudita. Il Papa poteva venire alla Sapienza, nonostante che alcuni non fossero d'accordo, ma non ha voluto venirci e ha creato un caso.
Mi permetto di fare alcune considerazioni sofferte. Ho trovato sconvolgente l'urlo accanito del pensiero unico che si è levato subito dopo il gran rifiuto. I telegiornali hanno formato un coro unisono talmente inarticolato da apparire di assoluta valenza oggettiva per gli spettatori, per tutti gli italiani. I padri di famiglia di questo paese hanno gridato: i nostri figli che vanno a studiare alla Sapienza cosa potranno imparare da professori violenti, intolleranti, estremisti, anticlericali? Un brivido ha percorso le schiene italiane: i professori hanno osato, dico osato, contrapporsi all'autorità del Papa. Sì, perché dietro al lamento sull'intolleranza presunta dei docenti c'è in realtà lo sdegno per l'infrazione al principio di autorità. Il santo padre è padre, e i figli lo hanno disconosciuto e offeso, uno schiaffo di Anagni (ma Dante, che considerava Bonifacio VIII indegno e il soglio vacante, non era un fervente cristiano e cattolico?). Soprattutto gli atei devoti, ovvero gli ipocriti di oggi, sepolcri imbiancati, come li avrebbe chiamati Cristo, hanno costruito una rivolta furibonda basata su un presupposto: pochissimi terroristi giovani da centro sociale, guidati dai soliti cattivi maestri, hanno imposto una bestemmia a tutta la popolazione studentesca e professorale della Sapienza. In Italia comandano quattro comunisti su una marea di gente perbene.
Non so voi, ma io in tutto questo ci vedo un raccapricciante equivoco e un edificio mediatico di quelli che possono dare scossoni perniciosi a un intero paese. L'equivoco è intanto nel fatto che i professori e gli studenti che non condividevano l'invito fatto dal Rettore fossero così pochi. Intanto ai 67 professori aggiungo senza problemi una unità, ovvero chi scrive, modesto ricercatore della Sapienza, e non credo che ci fermiamo così a 68. Inviterei tutti quelli che sottoscrivono tuttora l'intervento di Marcello Cini del novembre scorso a dirlo a chiare lettere in tutte le sedi possibili. Un altro equivoco è che il papa non possa parlare alla Sapienza in qualunque altra occasione e che sia un papa imbavagliato: le posizioni della gerarchia ecclesiastica sono continuamente amplificate dai megafoni e sono le basi culturali su cui metà del corpo politico italiano fonda i propri proclami. Siamo un paese condizionato da queste esternazioni vaticane, altro che succubo di un gruppuscolo comunistoide.
Ma forse l'equivoco più grave è dato dal fatto che tutto questo papismo ideologico instilla nelle menti il rifiuto del pensiero critico, la nausea per le voci dissenzienti e antidogmatiche, il disgusto per la diversità. Il braccio armato del pensiero unico saranno sempre i neonazisti che picchiano chiunque canti "bella ciao" o chiunque sia un frocio.
E allora dov'è Cristo in questo papismo italiano? Dov'è il valore paradigmatico della vittima, dell'agnello? Dov'è il paradosso delle beatitudini? Dov'è il limite fra Cesare e Dio? E poi, dov'è finito il rispetto per la moralità dell'uomo, per la laicità dello Stato? E dov'è finito il valore energizzante e utopico, nel senso di utopia pragmatica, della protesta civile, del dire no all'autorità quando essa è impositiva su tutti i fronti del pensiero, del dire no anche al padre, e se necessario anche al Santo Padre? Nel calderone mediatico unificato non esiste un vero contraddittorio. È la vittoria del fondamentalismo camuffato da libertà. Così si costruisce una maggioranza, il mito di una maggioranza assoluta, tutta uguale.
di Roberto Gigliucci
Liberazione del 19/01/2008
Le maggioranze silenziose, violentate da pochi studenti e docenti, esistono nel calderone mediatico
Qualche piccola domanda. Se la protesta anti-Ratzinger della Sapienza è stata opera soltanto di 67 professori e di un manipolo di studenti che hanno occupato un'aula e hanno affisso qualche striscione (questo è quanto ha diffuso l'informazione pubblica), se l'ordine pubblico era stato garantito da Amato al cento per cento, se la "stragrande maggioranza" di docenti e studenti della Sapienza, come è stato ripetuto, era a favore della lectio magistrali s del papa, se tutto l'arco costituzionale, da Giordano ad Alemanno, ha poi condannato il rifiuto di ascoltare il papa, allora mi domando: perché il papa, consigliato dalle alte gerarchie che lo circondano, ha rifiutato a sua volta di aderire all'invito del Magnifico Rettore? Non ce n'era motivo, pare.
Invece un motivo c'era. La lettera dei docenti, del 23 novembre 2007, seguita alla lettera aperta di Marcello Cini, era ormai acqua passata, o quasi. Invece la riproposta di quella sensata e lecita protesta ha offerto sul piatto d'argento al Vaticano e ai suoi sostenitori politici (atei devoti, teo-con, teo-dem ecc.) l'occasione di offrirsi mediaticamente come vittime dell'intolleranza estremistico-universitaria. Ecco che il rifiuto a venire alla Sapienza da parte del Pontefice si può leggere come motivatissimo, politicamente e strategicamente: infatti la bagarre mediatica che ne è seguita è stata di una impetuosità inaudita. Il Papa poteva venire alla Sapienza, nonostante che alcuni non fossero d'accordo, ma non ha voluto venirci e ha creato un caso.
Mi permetto di fare alcune considerazioni sofferte. Ho trovato sconvolgente l'urlo accanito del pensiero unico che si è levato subito dopo il gran rifiuto. I telegiornali hanno formato un coro unisono talmente inarticolato da apparire di assoluta valenza oggettiva per gli spettatori, per tutti gli italiani. I padri di famiglia di questo paese hanno gridato: i nostri figli che vanno a studiare alla Sapienza cosa potranno imparare da professori violenti, intolleranti, estremisti, anticlericali? Un brivido ha percorso le schiene italiane: i professori hanno osato, dico osato, contrapporsi all'autorità del Papa. Sì, perché dietro al lamento sull'intolleranza presunta dei docenti c'è in realtà lo sdegno per l'infrazione al principio di autorità. Il santo padre è padre, e i figli lo hanno disconosciuto e offeso, uno schiaffo di Anagni (ma Dante, che considerava Bonifacio VIII indegno e il soglio vacante, non era un fervente cristiano e cattolico?). Soprattutto gli atei devoti, ovvero gli ipocriti di oggi, sepolcri imbiancati, come li avrebbe chiamati Cristo, hanno costruito una rivolta furibonda basata su un presupposto: pochissimi terroristi giovani da centro sociale, guidati dai soliti cattivi maestri, hanno imposto una bestemmia a tutta la popolazione studentesca e professorale della Sapienza. In Italia comandano quattro comunisti su una marea di gente perbene.
Non so voi, ma io in tutto questo ci vedo un raccapricciante equivoco e un edificio mediatico di quelli che possono dare scossoni perniciosi a un intero paese. L'equivoco è intanto nel fatto che i professori e gli studenti che non condividevano l'invito fatto dal Rettore fossero così pochi. Intanto ai 67 professori aggiungo senza problemi una unità, ovvero chi scrive, modesto ricercatore della Sapienza, e non credo che ci fermiamo così a 68. Inviterei tutti quelli che sottoscrivono tuttora l'intervento di Marcello Cini del novembre scorso a dirlo a chiare lettere in tutte le sedi possibili. Un altro equivoco è che il papa non possa parlare alla Sapienza in qualunque altra occasione e che sia un papa imbavagliato: le posizioni della gerarchia ecclesiastica sono continuamente amplificate dai megafoni e sono le basi culturali su cui metà del corpo politico italiano fonda i propri proclami. Siamo un paese condizionato da queste esternazioni vaticane, altro che succubo di un gruppuscolo comunistoide.
Ma forse l'equivoco più grave è dato dal fatto che tutto questo papismo ideologico instilla nelle menti il rifiuto del pensiero critico, la nausea per le voci dissenzienti e antidogmatiche, il disgusto per la diversità. Il braccio armato del pensiero unico saranno sempre i neonazisti che picchiano chiunque canti "bella ciao" o chiunque sia un frocio.
E allora dov'è Cristo in questo papismo italiano? Dov'è il valore paradigmatico della vittima, dell'agnello? Dov'è il paradosso delle beatitudini? Dov'è il limite fra Cesare e Dio? E poi, dov'è finito il rispetto per la moralità dell'uomo, per la laicità dello Stato? E dov'è finito il valore energizzante e utopico, nel senso di utopia pragmatica, della protesta civile, del dire no all'autorità quando essa è impositiva su tutti i fronti del pensiero, del dire no anche al padre, e se necessario anche al Santo Padre? Nel calderone mediatico unificato non esiste un vero contraddittorio. È la vittoria del fondamentalismo camuffato da libertà. Così si costruisce una maggioranza, il mito di una maggioranza assoluta, tutta uguale.