Tar del Lazio, altro stop alla legge 40: va rivista
Liberazione del 24 gennaio 2008, pag. 1
di Angela Azzaro
La decisione del Tar del Lazio di annullare per eccesso di potere e per incostituzionalità le linee guida della Legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita è una buona, ottima notizia, ma anche cattiva, anzi pessima. Ottima perché è un nuovo atto della magistratura contro una normativa costruita appositamente per minacciare la salute e la libertà delle donne. Pessima perché sancisce, in una giornata parlamentare e governativa tutt’altro che semplice, la sconfitta della politica e in particolare del centrosinistra che ha affidato ai giudici quello che gli competeva: l’intervento per modificare, possibilmente annullare, la legge, riportare le norme in un alveo costituzionale, ma soprattutto impedire che il legislatore imponesse alle donne cosa fare o cosa non fare del proprio corpo.
Il Tar del Lazio, dopo le sentenze dei tribunali di Firenze e di Cagliari, ha dato ragione al ricorso presentata da un gruppo di associazioni, tra le quali Madre Provetta, Amica Cicogna eWarm: ha bocciato il divieto di diagnosi premipianto e la predeterminazione dei numero di embrioni da ottenere e da impiantare (obbligatoriamente) in utero, che secondo la legge non dovrebbero essere più di tre. Ha fatto anche qualcosa di più, perché ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sulla costituzionalità della legge40. Che cosa vuol dire questa sentenza? Vuol dire per esempio dare la possibilità alla donna di verificare, prima di impiantare l’embrione, se non sia affetto da malattie che possano comportare un rischio per il futuro nascituro e anche per la sua stessa vita. Secondo il legislatore invece questo controllo non è possibile. La donna lo dovrebbe comunque impiantare e poi semmai abortire. O morire.
Tutto questo contro la sua salute psicofisica, in difesa di una idea astratta e impositiva della vita: quella dell’embrione. Da questa ideologia è nata una legge che fa acqua da tutte leparti, piena di contraddizioni e di vere e proprie crudeltà. Le stesse linee guidalo dimostrano: in genere servono a spiegare la legge, a renderla applicativa, invece in questo caso sono diventate nuovi divieti, obblighi, assurdi marchingegni che niente hanno a che vedere con uno stato di diritto.
Oggi quello che più pesa è: «l’avevamo detto», «ve lo avevamo chiesto» ecc. ecc. che la politica (e la Sinistra) non hanno voluto sentire continuando ad ignorare che in Italia, nella laica Italia, c’è una legge che impone a tutte le donne l’idea della vita di alcuni e di alcune. Cioè una legge fondamentalista. Violenta. Una violenza di Stato contro le donne l’ha definita con acume Stefano Rodotà, in un articolo comparso su Repubblica all’indomani della manifestazione delle donne del 24 novembre.
Ma veniamo al che fare, alle strategie da mettere in campo per cercare di modificare la situazione. Monica Soldano dell’associazione Madre Provetta ha chiesto che Livia Turco tenga conto della sentenza del Tar nel presentare le nuove linee guida. Le avrebbe dovute proporre a Prodi tra qualche giorno. Non si sa se sarà più lei a farlo, né quale sarà il presidente del Consiglio. Si sa però che chiunque sia il ministro o la ministra della Salute, ora ha tutto il tempo per stare a sentire quanto gli chiedono a gran voce femministe, associazioni, società civile, giudici. Nella stessa destra sono tanti i dubbi e le accuse di incostituzionalità rivolte alla legge 40.
E’ importante continuare in questa operazione di contestazione delle singole norme. Finora è avvenuto per quelle che riguardano direttamente la salute delle donne. Ma questa strada rischia di fermarsi a metà, di non andare molto avanti se le associazioni e i giudici vengono lasciati soli e se non si mettono al centro anche le questioni politico-simboliche che caratterizzano la normativa.
La legge 40 è prima di tutto l’articolo l: cioè l’atto di nascita dell’embrione come persona, il suo riconoscimento come soggetto di diritto. Tutte le altre assurde norme, compresa quella contestata ieri dal tribunale amministrativo del Lazio, ne sono la conseguenza. Perché dire che l’embrione è persona, vuol dire dichiarare la donna come contenitore di una vita che la prescinde. Era questo è ed questo il vero obiettivo: uno scontro tutto giocato sulla libertà delle donne per tentare di normarle e attraverso la loro normazione imporre un modello di società.
C’è anche un altro punto particolarmente fastidioso della legge 40 che viene spesso (guarda caso) dimenticato. E’ la norma che vieta l’accesso alla fecondazione assistita alle lesbiche. E’ Ia prima volta che nella legge italiana avviene una discriminazione diretta. Fino all’approvazione della legge 40, la discriminazione era per difetto, per mancanza di diritti, di riconoscimento. Da quel momento in poi la lesbofobia e di conseguenza l’omofobia e la transfobia sono diventate legge dello Stato.
E’ sicuramente un caso che la decisione del Tar sia caduta in un momento di così forte crisi del governo dell’Unione. Un caso che però racconta tante cose. La sconfitta, dicevamo, della politica e dei centronistra. La sconfitta su questi temi anche della Sinistra. Ma dice anche che con queste grandi contraddizioni ci si deve fare i conti. Lo dimostra la cronaca di questi due anni di governo. Niente da fare per le unioni civili, fatica a far passare anche una norma che punisce le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, una moratoria sull’aborto che sta iniziando a provocare atti gravissimi come quelli decisi in Lombardia da Formigoni. Rimettere mano alla legge 40, chiedere di annullarla - lo sa bene anche Livia Turco che basterebbero i regolamenti ministeriali e la Costituzione per definire i diritti delle donne e i doveri dei centri medici vorrebbe dire fare i conti con l’ideologia che l’ha fortemente voluta e che sta provocando slittamenti di senso di cui, forse, non ci rendiamo conto del tutto bene. Non affidiamoci solo alla sentenza della Consulta, che a questo punto è comunque di grande importanza, si faccia qualcosa subito.
Liberazione del 24 gennaio 2008, pag. 1
di Angela Azzaro
La decisione del Tar del Lazio di annullare per eccesso di potere e per incostituzionalità le linee guida della Legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita è una buona, ottima notizia, ma anche cattiva, anzi pessima. Ottima perché è un nuovo atto della magistratura contro una normativa costruita appositamente per minacciare la salute e la libertà delle donne. Pessima perché sancisce, in una giornata parlamentare e governativa tutt’altro che semplice, la sconfitta della politica e in particolare del centrosinistra che ha affidato ai giudici quello che gli competeva: l’intervento per modificare, possibilmente annullare, la legge, riportare le norme in un alveo costituzionale, ma soprattutto impedire che il legislatore imponesse alle donne cosa fare o cosa non fare del proprio corpo.
Il Tar del Lazio, dopo le sentenze dei tribunali di Firenze e di Cagliari, ha dato ragione al ricorso presentata da un gruppo di associazioni, tra le quali Madre Provetta, Amica Cicogna eWarm: ha bocciato il divieto di diagnosi premipianto e la predeterminazione dei numero di embrioni da ottenere e da impiantare (obbligatoriamente) in utero, che secondo la legge non dovrebbero essere più di tre. Ha fatto anche qualcosa di più, perché ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sulla costituzionalità della legge40. Che cosa vuol dire questa sentenza? Vuol dire per esempio dare la possibilità alla donna di verificare, prima di impiantare l’embrione, se non sia affetto da malattie che possano comportare un rischio per il futuro nascituro e anche per la sua stessa vita. Secondo il legislatore invece questo controllo non è possibile. La donna lo dovrebbe comunque impiantare e poi semmai abortire. O morire.
Tutto questo contro la sua salute psicofisica, in difesa di una idea astratta e impositiva della vita: quella dell’embrione. Da questa ideologia è nata una legge che fa acqua da tutte leparti, piena di contraddizioni e di vere e proprie crudeltà. Le stesse linee guidalo dimostrano: in genere servono a spiegare la legge, a renderla applicativa, invece in questo caso sono diventate nuovi divieti, obblighi, assurdi marchingegni che niente hanno a che vedere con uno stato di diritto.
Oggi quello che più pesa è: «l’avevamo detto», «ve lo avevamo chiesto» ecc. ecc. che la politica (e la Sinistra) non hanno voluto sentire continuando ad ignorare che in Italia, nella laica Italia, c’è una legge che impone a tutte le donne l’idea della vita di alcuni e di alcune. Cioè una legge fondamentalista. Violenta. Una violenza di Stato contro le donne l’ha definita con acume Stefano Rodotà, in un articolo comparso su Repubblica all’indomani della manifestazione delle donne del 24 novembre.
Ma veniamo al che fare, alle strategie da mettere in campo per cercare di modificare la situazione. Monica Soldano dell’associazione Madre Provetta ha chiesto che Livia Turco tenga conto della sentenza del Tar nel presentare le nuove linee guida. Le avrebbe dovute proporre a Prodi tra qualche giorno. Non si sa se sarà più lei a farlo, né quale sarà il presidente del Consiglio. Si sa però che chiunque sia il ministro o la ministra della Salute, ora ha tutto il tempo per stare a sentire quanto gli chiedono a gran voce femministe, associazioni, società civile, giudici. Nella stessa destra sono tanti i dubbi e le accuse di incostituzionalità rivolte alla legge 40.
E’ importante continuare in questa operazione di contestazione delle singole norme. Finora è avvenuto per quelle che riguardano direttamente la salute delle donne. Ma questa strada rischia di fermarsi a metà, di non andare molto avanti se le associazioni e i giudici vengono lasciati soli e se non si mettono al centro anche le questioni politico-simboliche che caratterizzano la normativa.
La legge 40 è prima di tutto l’articolo l: cioè l’atto di nascita dell’embrione come persona, il suo riconoscimento come soggetto di diritto. Tutte le altre assurde norme, compresa quella contestata ieri dal tribunale amministrativo del Lazio, ne sono la conseguenza. Perché dire che l’embrione è persona, vuol dire dichiarare la donna come contenitore di una vita che la prescinde. Era questo è ed questo il vero obiettivo: uno scontro tutto giocato sulla libertà delle donne per tentare di normarle e attraverso la loro normazione imporre un modello di società.
C’è anche un altro punto particolarmente fastidioso della legge 40 che viene spesso (guarda caso) dimenticato. E’ la norma che vieta l’accesso alla fecondazione assistita alle lesbiche. E’ Ia prima volta che nella legge italiana avviene una discriminazione diretta. Fino all’approvazione della legge 40, la discriminazione era per difetto, per mancanza di diritti, di riconoscimento. Da quel momento in poi la lesbofobia e di conseguenza l’omofobia e la transfobia sono diventate legge dello Stato.
E’ sicuramente un caso che la decisione del Tar sia caduta in un momento di così forte crisi del governo dell’Unione. Un caso che però racconta tante cose. La sconfitta, dicevamo, della politica e dei centronistra. La sconfitta su questi temi anche della Sinistra. Ma dice anche che con queste grandi contraddizioni ci si deve fare i conti. Lo dimostra la cronaca di questi due anni di governo. Niente da fare per le unioni civili, fatica a far passare anche una norma che punisce le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, una moratoria sull’aborto che sta iniziando a provocare atti gravissimi come quelli decisi in Lombardia da Formigoni. Rimettere mano alla legge 40, chiedere di annullarla - lo sa bene anche Livia Turco che basterebbero i regolamenti ministeriali e la Costituzione per definire i diritti delle donne e i doveri dei centri medici vorrebbe dire fare i conti con l’ideologia che l’ha fortemente voluta e che sta provocando slittamenti di senso di cui, forse, non ci rendiamo conto del tutto bene. Non affidiamoci solo alla sentenza della Consulta, che a questo punto è comunque di grande importanza, si faccia qualcosa subito.