venerdì 28 ottobre 2011

Il Guardaroba clericale - L'Asino 27-04-1902


Il Guardaroba clericale - L'Asino 27-04-1902

venerdì 21 ottobre 2011

Il boom degli obiettori "Tra cinque anni in Italia non si potrà più abortire"

La Repubblica 20.10.11
Il boom degli obiettori "Tra cinque anni in Italia non si potrà più abortire"
Allarme dei medici per la 194: "Siamo rimasti in 150"
"Costretti a fare solo interruzioni di gravidanza, la legge deve essere cambiata"
di Maria Novella De Luca

ROMA - Ha fatto dimezzare gli aborti e reso le coppie più consapevoli verso la maternità. Ha spezzato la clandestinità e spinto fuori dal silenzio il dramma secolare di milioni di donne. Adesso però la legge 194 rischia di scomparire. Nell´arco di cinque anni o poco di più. Travolta da un esercito di obiettori (il 70,7% dei ginecologi) che hanno desertificato i reparti di interruzione volontaria di gravidanza, mentre per i pochi medici non obiettori la vita è diventata una trincea: emarginati, vessati, costretti a fare soltanto aborti e a turni massacranti, penalizzati nella carriera. «Ho smesso perché non ce la facevo più - racconta M. G. ginecologa - lavoro in un ospedale pubblico delle Marche, dove la direzione sanitaria ha fatto dell´obiezione di coscienza la sua bandiera. Otto anni senza ferie, senza potermi occupare di né di parti né altri interventi, solo e soltanto aborti. Nel gelo e nel disprezzo degli altri colleghi, come fossi una ladra. Ho avuto un esaurimento. Ho detto basta. Adesso il servizio Ivg è chiuso». Infatti. I non obiettori sono ormai uno sparuto drappello il cui numero si assottiglia sempre di più. E se in Italia diventerà difficilissimo assicurare le interruzioni di gravidanza entro il terzo mese, sarà quasi impossibile effettuare gli aborti terapeutici. Ossia quelli più difficili e dolorosi, che seguono alla diagnosi di una malformazione del feto.
È l´allarme che arriva dai ginecologi della «Laiga», (Libera associazione italiana ginecologi per l´applicazione della 194) che domani si riuniranno nel primo convegno nazionale a Roma. «Nei prossimi cinque anni - spiega Silvana Agatone presidente della Laiga - molti di noi, medici non obiettori, andranno in pensione. Già adesso non siamo più di 150, ci sono interi ospedali del Sud privi di reparti di interruzione di gravidanza, perché la totalità di ginecologi, anestesisti, paramedici ha scelto l´obiezione di coscienza». E se per effettuare gli aborti nelle prime 12 settimane gli ospedali ricorrono a personale esterno, questo non è possibile quando si tratta di aborti oltre la ventesima settimana, per i quali servono medici "strutturati", ossia in organico all´ospedale stesso. «Ma quasi tutti i nuovi assunti - aggiunge Agatone - subito dopo aver ottenuto il posto fanno obiezione di coscienza, alcuni per scelta ma molti per la carriera e per non finire in un "confino" dove si fanno soltanto aborti. Così i servizi si svuotano, le donne emigrano o approdano di nuovo alle cliniche clandestine».
Con il paradosso che mentre cresce sia la ricerca che il business della medicina prenatale, in grado di diagnosticare le anomalie del feto, aggiunge Anna Pompili, ginecologa e docente all´università «La Sapienza», «le donne dopo aver saputo che il loro bimbo sarà affetto da gravi patologie, restano sole, non sanno dove andare». Spesso infatti gli stessi medici che hanno fatto l´indagine sono obiettori e dunque se ne disinteressano…. Non solo. «Nelle scuole di specializzazione - sottolineano i medici della Laiga - non si insegna più come fare una interruzione di gravidanza, quasi non se ne dovesse parlare, così i ginecologi imparano uno dall´altro, in modo empirico, e questo crea seri pericoli per le donne».
E i rischi per le donne sono testimoniati dai dati: mentre gli aborti entro le 12 settimane diminuiscono di anno in anno, (52,3% in meno dal 1982), il numero degli aborti terapeutici cresce, passando dal 2,7% del 2007, al 3% del 2009, ma, dice ancora Anna Pompili, «la percentuale potrebbe essere addirittura doppia, visto il numero delle donne che abortiscono all´estero». E a 30 anni dal referendum che nel 1981 confermò la legge 194, oggi in Italia la situazione è assai peggiore di allora. Basta ascoltare le denunce delle donne. «Sono stata lasciata sola e in travaglio perché il medico non obiettore aveva finito il suo turno, e gli obiettori non mi hanno assistita» (Napoli). «Schernita e aggredita da un´infermiera del Movimento per la Vita». (Roma). «Senza antidolorifico perché il medico di guardia era obiettore» (Milano). «Costretta a vedere il mio bambino» (Ascoli Piceno). Ma anche testimonianze positive: «Ho abortito alle ventiduesima settimana, l´ostetrica mi teneva la mano, l´infermiera mi abbracciava, non le ringrazierò mai abbastanza» (Napoli). Storie e voci che non si dimenticano. Di una legge ormai però quasi inapplicabile. Spiega infatti Marilisa D´Amico, docente di Diritto Costituzionale. «Domani annunceremo un ricorso contro l´interpretazione troppo rigida della norma sull´obiezione di coscienza, che oggi viola diversi punti della Costituzione. Dall´articolo 3 sulla ragionevolezza della norma, all´articolo 32 sulla salute della donna, fino alla dignità della persona».

martedì 11 ottobre 2011

Gli ultraortodossi e il rito (politico) dei polli redentori dello Yom Kippur

il Fatto 7.10.11
Gli ultraortodossi e il rito (politico) dei polli redentori dello Yom Kippur
di Roberta Zunini

Gerusalemme. L’odore di pollame e sangue è nauseabondo. Soprattutto al mattino presto, dopo il cappuccino. I miasmi si sentono già dopo aver attraversato la green line – la linea teorica di demarcazione tracciata nel '48 dall'Onu per dividere Gerusalemme Ovest da Gerusalemme Est e Israele dalla Palestina. Ma a Mea Shearim, il quartiere degli Haredim, gli ebrei ultraortodossi, che durante lo shabbath, estate e inverno, camminano per Gerusalemme con un enorme cappello di pelo di volpe e il cappotto nero di feltro, in ricordo della lunga diaspora dei loro avi, nei ghiacciati Paesi dell'Est, gli odori, i gesti, la vita stessa, sono solo un pallido riverbero della realtà. Sono un mezzo per riconnettersi a Dio.
IL GIORNO che precede la ricorrenza fondamentale, per tutti gli ebrei, di Yom Kippur – l'espiazione – nel quartiere dove vivono solo ed esclusivamente gli appartenenti a questa setta, è un lasso di tempo con un solo intermediario tra loro e Dio: un animale. Il pollo. E non vi è nulla di ironico. Questo animale, tra i più ordinari e prosaici del mondo, non solo occidentale, ha la funzione di assorbire tutti i peccati degli individui. È il motivo per cui lo fanno roteare sopra la testa e poi lo sgozzano. Appena entrati nei vicoli sporchi e maleodoranti del quartiere, ieri, in ogni angolo, abbiamo visto uomini e donne che cercano di asservire i polli al loro rituale di espiazione. Le donne però non lo possono fare da sole: il marito prende il pollo, la moglie si piega, abbassa la testa, coperta dal foulard a bandana, e fa roteare, come avesse un lazo in mano, il pollo sopra la sua testa. Sarà l'animale a risucchiare in sé tutti i suoi peccati. Quelli commessi nonostante le regole morali ferree, che scandiscono la vita degli Haredim. Nessuno vuole parlare con noi, anzi, siamo mal tollerati.
Dopo aver assistito ad alcuni scorci questi riti, apparentemente squallidi, agli angoli delle vie, i cui balconi si toccano, in un promiscuità che non lascia nemmeno un istante di privacy alle famiglie composte da almeno 10 figli, un gruppo di bambini si avvicinano ad Alessio Romenzi, il fotografo che ha permesso al Fatto di entrare a Mea Shearim, con un foglio scritto in ebraico. Romenzi traduce: “Questa donna non ha la gonna adatta per stare qua”. Avevo sperato che la mia gonna pantalone fosse sufficiente per assistere al rito. Ma dopo circa un’ora un Haredim si è accorto che la mia gonna lunga fino ai piedi non era in realtà una gonna, bensì una gonna pantalone. I bambini, anche loro con un lungo paltò nero e uno zuccotto bianco in testa, partecipano al rito, più attratti dall'efferratezza dello sgozza-mento dei polli, che dal significato della loro morte cruenta.
IN OGNI vicolo è stato allestito un bancone di legno dove una catena di ebrei macellai ultraortodossi, tagliano la gola ai polli e non appena scende la prima goccia di sangue, li infilano in buchi appositamente ricavati dalle tavole di legno. I bimbi si accalcano attorno i macellai e guardano, senza capire ma eccitati dagli starnazzamenti dei polli. Ricordano i riti dei nepalesi quando celebrano le loro cerimonie ai piedi dell'Everest . Ma qua la storia è andata diversamente e i riti sono diventati simboli di caparbietà e opposizione al mutamento della società israeliana.
Niente è più distante dalla vita a Mea Shearim della quotidianità di Tel Aviv, dove Yom Kippur è solo un momento di raduno con la famiglia di origine. Un digiuno da condividere con i genitori, i fratelli e i nonni, se ancora sono vivi. Devo lasciare il quartiere, non c'è verso, ormai la mia gonna pantalone è un segno di oltraggio. Impedirei loro di purificarsi per il digiuno di oggi. Imbocco un vicolo e incontro un'altra coppia intenta a roteare i polli sulla testa dei loro 14 figli. Tutti insieme.
RICORDANO un quadro di Bruegel, un momento di austera vita fiamminga. È difficile capire. Impossibile entrare in contatto con questo mondo fuori dal mondo. Ma, una cosa è certa, Yom Kippur è un momento fondamentale per la fede ebraica e non è difficile comprendere perchè nel 1973, Israele si fece sorprende, debole e senza difesa, dagli arabi. La guerra dello Yom Kippur è una data imprescindibile di questo popolo.

lunedì 10 ottobre 2011

Così la Chiesa si riprende i voti

La Stampa 29.9.11
Così la Chiesa si riprende i voti
di Fabio Martini

I peana della sinistra per la prolusione del cardinal Angelo Bagnasco - così severa nel fustigare le esuberanze del presidente del Consiglio - si sono prima affievoliti e alfine spenti, non appena ci si è resi conto della svolta che sta maturando nella Chiesa italiana: la tentazione di lanciare un’Opa cattolica sul centrodestra del dopo-Berlusconi. Raccontano che il cardinal Bagnasco, sfogliando i giornali che recensivano la sua prolusione, abbia sussurrato la sua sorpresa.
Sul Presidente del Consiglio ci eravamo già espressi un anno fa, la novità era altrove...». Come dire: il sipario su Berlusconi la Cei aveva iniziato a calarlo già nel Consiglio permanente di gennaio, ma la svolta vera sta nel passaggio finale del documento dei vescovi, là dove la Chiesa italiana individua senza perifrasi curiali, lo «stagliarsi all’orizzonte», di «un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica, che coniughi l’etica sociale e l’etica della vita».
E’ finito il tempo dei Family day. Della lobby cattolica che faceva muro sulle leggi sgradite. I Dico. O la fecondazione assistita. L’appello della Cei, stavolta, è più arioso, è rivolto a tutti i cattolici: impegnatevi di nuovo in politica e fatelo a tutto tondo. Non soltanto a difesa - ecco la novità - dei cosiddetti valori non negoziabili. Con la fine di Berlusconi, la Chiesa prova a riprendersi i suoi voti. E così può finalmente affiorare in superficie il cantiere che la Cei ha aperto con grande riservatezza da più di un anno. E che produrrà due eventi senza precedenti: il 17 ottobre la galassia cattolica tutta intera - le associazioni e i movimenti ecclesiali, da Cl a Sant’Egidio, dai catecumeni ai focolarini - si ritroverà a Todi con il cardinale Bagnasco, che aprirà i lavori. E sull’onda di un evento così ecumenico che unirà «sinistra» e «destra» della Chiesa italiana, i promotori di Todi hanno intenzione di convocare - prima di Natale - un grande evento di massa, più ampio di quello che nel nome del «Family day», fece ritrovare il 12 maggio 2007 quasi un milione di persone davanti alla basilica di San Giovanni.
Attraverso il Forum delle associazioni, la Cei sta lavorando ad un obiettivo ambiziosissimo: imporsi, sia pure in modo felpato, come socio fondatore del centrodestra che prenderà forma dopo l’uscita di scena di Silvio Berlusconi. Lo fa capire la nota della Sir - ufficiosa ma autorevole - dedicata alla prolusione di Bagnasco: «Dopo quasi venti anni di alternanze», «l’alternativa non è l’alternanza, cioè la sostituzione dell’attuale maggioranza con l’attuale opposizione, ma la ristrutturazione del sistema». Una ristrutturazione che assegni di nuovo ai cattolici un ruolo di prima linea e si può immaginare che l’approdo sia la «sezione italiana del Ppe», «il progetto attorno al quale possono scomporsi e ricomporsi gli attuali equilibri politici italiani», come fa osservare Giorgio Tonini, già presidente della Fuci.
Dunque, una sfida che interpella anzitutto il centrodestra, ma anche la sinistra. Il mondo cattolico e anche una parte del mondo laico. A Todi, a metà ottobre, assieme alle associazioni, ai movimenti, a Cisl e Coldiretti, ci saranno alcuni «special guest», come Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa San Paolo o come Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo. Oltre, ed è ovvio, chi ha lavorato in cabina di regia, in primis il leader di Sant’Egidio Andrea Riccardi. Dal cantiere di Todi dovrà cominciare a delinearsi quella che Bagnasco informalmente definisce «una nuova classe dirigente e nuovi leader» e Oltretevere la prima scelta va ad Angelino Alfano. Purché - ecco il punto - sappia guidare lui l’accompagnamento fuori dalla scena di Silvio Berlusconi.
E dall’altra parte? Pier Luigi Bersani, anziché unirsi ai peana pro-Bagnasco che si sono alzati nel Pd, ha chiosato: «Non mi permetto di commentare la prolusione». Bersani, che ha fatto il chierichetto e si è laureato con una tesi su Gregorio Magno, ha capito l’antifona. Ma l’ambizioso progetto del cardinale Bagnasco di tornare ad una gestione politica degli elettori cattolici per il momento incontra praterie a destra, ma coglie il Pd mai così spostato a sinistra. Come dimostrano le immagini del leader democratico, impegnato a stringere mani nel corteo della Cgil e a sorridere a Di Pietro e Vendola nel comizio a tre in quel di Vasto.

sabato 8 ottobre 2011

E in Grecia la Chiesa ottiene lo sconto

Corriere della Sera 28.9.11
E in Grecia la Chiesa ottiene lo sconto
di Francesca Basso

Alla fine la Chiesa ortodossa greca non dovrà pagare. Ieri sera il Parlamento di Atene ha approvato con 155 voti a favore e 142 contrari (su 297 votanti) la controversa legge per imporre una tassa sugli immobili. Ma gli edifici di culto, i monasteri e le sedi degli enti caritativi sono stati «salvati». Saranno tassate solo le proprietà ecclesiastiche adibite a esercizi commerciali. Una scelta che ha fatto discutere, così come in Italia si è dibattuto sull'ipotesi di introdurre l'Ici sugli immobili del Vaticano. Solo pochi giorni fa uno dei due vicepresidenti, il socialista Theodoros Pangalos, aveva criticato sul quotidiano svizzero La Tribune de Genève l'esenzione della Chiesa, spiegando che «dovrebbe dare l'esempio» pagando. In propria difesa la direzione dei servizi economici della Chiesa ortodossa aveva reso pubblico l'ammontare delle tasse versate nel 2010: 2,5 milioni di euro di imposte fondiarie e sui redditi. Ha fatto anche sapere di possedere 30 proprietà ad Atene e 14 a Salonicco. Il problema, mettono in evidenza i più critici, è che non esiste un modo per stabilire i redditi reali e le proprietà della Chiesa ortodossa dal momento che non esiste un catasto. Di fatto, però, è il secondo proprietario fondiario (dietro lo Stato) con 130 mila ettari di terra ed è il primo azionista della Banca nazionale greca con l'1,5% (ha anche un rappresentante nel consiglio di amministrazione). Il quotidiano conservatore Kathimerini ha riportato che i beni della Chiesa greca ammontavano nel 2008 a 700 milioni. Ma l'ex ministro dell'economia Stefanos Manos ha valutato il patrimonio in più di un miliardo di euro. Perché vanno considerati anche i beni delle parrocchie (alcune sono molto ricche), le proprietà degli 80 vescovati, i beni dei 450 monasteri. Di fronte all'emergenza bancarotta che sta vivendo la Grecia, nel marzo 2010 il governo di George Papandreou ha introdotto una tassa del 20% sui redditi commerciali della Chiesa e un'aliquota dal 5 al 10% per le donazioni ricevute. Ma resta il fatto che i 10 mila pope e i loro vescovi pesano sulle casse dello Stato per 220 milioni l'anno. L'arcivescovo di Atene Hiéronymos II si difende definendo un «mito» la presunta ricchezza della Chiesa ortodossa greca. La tassa sugli immobili, dunque, esenterà gli edifici di culto. Con la nuova imposta il governo di Atene conta di incassare dai greci circa 400 miliardi. Avrebbe dovuto essere un provvedimento d'emergenza per il solo biennio 2011-2012, ma invece diventerà permanente. Dovrà essere pagata attraverso le bollette della luce e chi si rifiuterà rischia l'interruzione dell'erogazione dell'energia elettrica.

venerdì 7 ottobre 2011

Così la Chiesa torna in campo

La Repubblica 29.9.11
Le dichiarazioni delle gerarchie ecclesiastiche
Così la Chiesa torna in campo
di Agostino Giovagnoli

La decisione di intervenire è stata presa perché oggi la situazione è troppo grave per attendere ancora È diventato urgente restituire al paese una guida politica credibile e il rispetto sul piano internazionale

Era inevitabile che si leggesse la prolusione del cardinale Bagnasco al Consiglio permanente della Cei cercando anzitutto parole di condanna morale. Già in precedenza, egli ha ricordato giustamente, la Chiesa ha condannato comportamenti che «ammorbano l´aria e appesantiscono il cammino comune», ma è noto che in tempi diversi anche posizioni identiche possono acquistare peso diverso. Ciò che monsignor Crociata chiamò tempo fa «libertinaggio gaio e spensierato» appare ora «triste e vacuo», perché ciò che era moralmente inaccettabile è diventato anche irresponsabile nel contesto, evocato con accorata partecipazione dal cardinale Bagnasco, di una crisi di cui «non si era capito, o forse non avevamo voluto capire» quanto fosse "vasta" e "devastante". Oggi, la situazione è troppo grave perché si possa attendere ancora: è diventato urgente restituire all´Italia una guida politica credibile e il rispetto sul piano internazionale.
Nel suo discorso, il cardinale Bagnasco ha manifestato grande attenzione al contesto storico. Nel 150° anniversario dell´Unità d´Italia, egli si è interrogato più volte sulla partecipazione della Chiesa alla vicenda italiana. E nella prolusione cita un bel passo del documento conciliare Gaudium et spes per invitare i vescovi ad «ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo». I cristiani, ha scritto Marc Bloch, sanno che alla salvezza si accede attraverso il tempo, che sono le scelte nel contingente a determinare il loro destino eterno. Il perseguimento del bene comune non è irrilevante anche sotto il profilo spirituale e il cardinale Bagnasco ha voluto dire che la Chiesa c´è, è presente qui ed ora e che, in questo momento così difficile, vuole dare una mano a tutti gli italiani, senza distinzioni e senza chiedere nulla in cambio. Questa semplice e disarmata dichiarazione di intenti suona assai più grave di qualunque condanna morale per una classe dirigente non all´altezza dei tempi.
Si radicano in questa scelta le parole su «un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica»: non un partito, dunque, ma una rete in grado di raccogliere i cattolici e di esprimerne la voce, senza escludere sviluppi futuri «senza nostalgie né ingenue illusioni». Il cardinale Bagnasco vede profilarsi una condensazione di idee e di energie, che sarebbe riduttivo definire prepolitica, per creare un laboratorio utile al paese. I precedenti non mancano: tutta la storia del movimento cattolico, dalle Amicizie cristiane di inizio Ottocento all´Opera dei Congressi, dalle casse rurali alle cooperative bianche, ha espresso, in modo variegato e multiforme, una presenza cattolica in Italia tendenzialmente unitaria. Dal tronco del movimento cattolico italiano sono scaturiti, inoltre, due partiti politici, il Partito popolare nel 1919 e la Democrazia cristiana nel 1942. Oggi viviamo indubbiamente in una stagione diversa. Il movimento cattolico ha avuto una forte radice papale e si è sviluppato anzitutto in difesa della Santa Sede. Questa volta, invece, a parlare non è stato il papa ma il presidente della Conferenza episcopale, che ha preso posizione sui principali problemi italiani. Ma nella lunga storia del movimento cattolico la Chiesa non si è solo difesa dall´Italia: ha anche cercato di aiutare l´Italia, soprattutto nei momenti più drammatici. E le è riuscito di difendere nel modo migliore i suoi legittimi interessi proprio quando si è adoperata in modo disinteressato per tutti gli italiani. I prossimi mesi ci diranno se i laici cattolici sapranno interpretare le preoccupazioni e realizzare le speranze del presidente della Cei.

mercoledì 5 ottobre 2011

Lo schiaffo della Procura agli uomini del Vaticano

Corriere della Sera 30.9.11
Lo schiaffo della Procura agli uomini del Vaticano
di Mario Gerevini

MILANO — Ora che arriva lo schiaffo della Procura e che un documento riservato racconta come sono stati nominati gli uomini della Santa Sede nel San Raffaele, è ancor più un mistero la ragione per cui il Vaticano si sia infilato nella missione di salvataggio di don Luigi Verzé. L'operazione, a quel che si dice, era avallata dal segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone. Ma è vista con sempre più freddezza dalle alte sfere vaticane.
Con l'arrivo del nuovo arcivescovo di Milano, Angelo Scola, la priorità sembra essere la «pacificazione» dell'Istituto Toniolo, porta d'ingresso all'Università Cattolica e al Policlinico Gemelli, sul cui controllo si sono scontrate le varie anime delle gerarchie ecclesiastiche.
L'affare San Raffaele si tinge subito di rosso e di tragedia con il suicidio (18 luglio) di Mario Cal, braccio destro di don Verzé. Un fatto che spalanca le porte alla magistratura. E già si sussurrava di presunte tangenti a uomini politici, del «nero» con i fornitori, di possibili disponibilità estere. I pm Luigi Orsi e Laura Pedio danno tempo fino al 15 settembre per un piano serio e concreto di salvataggio altrimenti minacciano il fallimento. Il 15 arriva sul tavolo della Procura un progetto Ior (banca vaticana)-Malacalza (imprenditori genovesi vicini al cardinal Bertone) che prevede 250 milioni cash. Però è una bozza zoppa: manca il sigillo degli esperti che devono dire se quel progetto è davvero in grado di salvare il San Raffaele. Ci vuole tempo. La Fondazione Monte Tabor, al vertice del gruppo, dice che presenterà il concordato (di cui il piano è presupposto essenziale) entro il 10 ottobre. Ma ogni giorno in più fa la differenza: le banche stanno facendo «saltare» uno dopo l'altro i fornitori che da mesi, se non da anni, aspettano i soldi.
Eppure il 23 marzo don Verzé aveva dichiarato urbi et orbi che era una nuvoletta passeggera, che entro aprile tutto è risolto e che i fornitori saranno pagati fino all'ultimo euro. Bugia della speranza. A giugno si presenta con i soldi in mano l'imprenditore della sanità Giuseppe Rotelli a capo del gruppo San Donato. Respinto a favore delle promesse d'Oltretevere.
E ora i «vaticani» si sentono dire dal procuratore capo Edmondo Bruti Liberati che il fallimento viene chiesto anche per «arrestare ulteriori dissipazioni patrimoniali». Ulteriori? Ma non è in mano loro la gestione? La risposta è sì. Andiamo a vedere chi è formalmente il «mandante». Il documento è un verbale dell'Associazione Monte Tabor, consiglio di amministrazione dell'8 luglio scorso. Ordine del giorno: «Presa d'atto delle dimissioni dei consiglieri della Fondazione Monte Tabor e nomina del nuovo consiglio di amministrazione».
L'associazione è la culla del potere del San Raffaele, riunisce i Sigilli, ovvero la cerchia ristretta (10-15 membri) dei fedelissimi di don Verzé che vivono in comunità in una bella cascina a fianco dell'ospedale. I soci dell'associazione sono di più ma misteriosi. È in quella riunione che vengono nominati «a norma — si legge — dell'articolo 5 dello statuto della Fondazione Monte Tabor», i sei nuovi consiglieri (Giuseppe Profiti, Ettore Gotti Tedeschi, Vittorio Malacalza, Giovanni Maria Flick, Massimo Clementi, Maurizio Pini) e don Verzé indicato ancora come presidente. Così il 15 luglio, sette giorni dopo, nominati da don Verzé e dai suoi Sigilli, entrano gli uomini della Santa Sede. Nessuno finora ha pensato di modificare lo statuto. Anche perché per farlo occorrerebbe «il parere favorevole dell'Associazione Monte Tabor». Cioè di don Verzé. Alla fine il tappo è lì. E quelli del Vaticano hanno ricevuto il potere da quelli della Cascina.