mercoledì 30 giugno 2010

Scandalo pedofili in Belgio la talpa era l’ex presidente

l’Unità 30.6.10
Godelieve Halsberghe aveva presieduto la commissione episcopale che vagliava le denunce
La procura di Bruxelles: indaghiamo sugli abusi ma anche su chi li ha permessi e coperti
Scandalo pedofili in Belgio la talpa era l’ex presidente
di Marco Mongiello

Le vittime escono dall’anonimato. Un sociologo e una donna raccontano gli abusi e il dolore subiti da adolescenti. Sul sagrato della cattedrale manifesta l’associazione fiamminga per i diritti umani nella Chiesa.

Una telefonata anonima, documenti che scottano e la decisione di un ex magistrato in pensione di rivolgersi alla polizia. In base agli ultimi sviluppi di una storia che assomiglia davvero ad un thriller di Dan Brown, dietro le perquisizioni di giovedì all'arcidiocesi di Malines-Bruxelles potrebbe esserci Godelieve Halsberghe, l'ex presidente della commissione episcopale incaricata di raccogliere le denunce delle vittime dei preti pedofili.
L'ipotesi ha preso piede dopo l'intervista rilasciata dalla signora Halsberghe al quotidiano fiammingo “Het Nieuwsblad”. L'ex magistrato ha riferito al giornale di aver ricevuto una telefonata anonima in fran-
L’ex magistrato rivela
«Una telefonata perché mettessi al sicuro denunce e documenti»
cese da un uomo che la avvertiva di «fare attenzione» a se stessa e di mettere al sicuro i documenti sui 30 casi di denunce di cui si era occupata negli anni in cui ha presieduto la commissione, dal 2000 al 2008. Da qui la denuncia, con il suggerimento che ci potrebbero essere altri documenti nascosti.
L’INTERVISTA DEI SOSPETTI
Halsberge ha raccontato di avere conservato copie di registrazioni e materiale relativo a colloqui con le vittime e con l'ex primate Godfried Danneels. Il portavoce della procura di Bruxelles, Jean-Marc Meilleur, ha confermato che gli inquirenti «stanno lavorando su un caso specifico e su una dichiarazione specifica», ma non ha voluto indicare la fonte. Ha precisato anche che le indagini non si limitano ai responsabili degli abusi, ma considerano anche quelli che li hanno permessi. «C'è una parte del caso che potrebbe essere contro coloro che hanno commes-
so il crimine ha detto e ci potrebbe anche essere un'altra parte del caso contro coloro che non hanno aiutato qualcuno che era in pericolo».
Alla Halsberge è poi succeduto lo psichiatra Peter Adriaenssens, che si è dimesso lunedì insieme a tutta la commissione, accusando le autorità di averlo usato come «esca» per raccogliere le testimonianze delle vittime che preferivano rivolgersi alla Chiesa piuttosto che alla giustizia. Ora uno di questi, Jan Hertogen, sociologo di 63 anni, è uscito dall'anonimato denunciando gli abusi subiti da adolescente alla procura. In questo modo ha ottenuto il diritto in ad essere informato sugli sviluppi del suo dossier in quanto parte lesa, ha spiegato l'uomo, invitando gli altri a fare la stessa cosa. Ieri inoltre, davanti alla cattedrale Saint Michel a Bruxelles, si è tenuta una manifestazione dell'associazione fiamminga per i diritti umani nella chiesa, guidata dal prete in pensione Rik Devillé, che negli ultimi 18 anni ha raccolto testimonianze su 320 casi di abusi. Secondo alcuni potrebbero esserci le sue rivelazioni dietro l'operazione di polizia di giovedì. I manifestanti hanno chiesto l'istituzione di una commissione di inchiesta parlamentare «neutra, scientifica e indipendente dalla Chiesa». «Sono stata abusata sessualmente quando avevo 13 anni», ha raccontato Linda Opdebeeck, 46 anni, ora sposata e madre di quattro figli, «lui era un prete, insegnante di francese e di religione e gli abusi sono continuati per tre anni».

sabato 26 giugno 2010

E Bondi "commissaria" la Arcus bloccati i fondi per Propaganda Fide

E Bondi "commissaria" la Arcus bloccati i fondi per Propaganda Fide
CORRADO ZUNINO
MERCOLEDÌ, 23 GIUGNO 2010 LA REPUBBLICA - Cronaca

Il ministro ha chiesto il resoconto dei finanziamenti statali concessi per le ristrutturazioni

I progetti religiosi sotto la lente della Corte dei Conti e della procura di Perugia
L´azienda controllata dal Tesoro in sei anni ha speso mezzo miliardo di euro

Di prima mattina, lunedì mattina, il ministro Bondi ha chiamato il direttore generale di Arcus e, preoccupato dalle notizie che stavano salendo di quota sui finanziamenti pubblici concessi dal dicastero dei Beni culturali ai siti del Vaticano, sulle inchieste della Corte dei Conti e della Procura di Perugia sul palazzo di Propaganda Fide in Piazza di Spagna, a Roma, ha chiesto un rapporto dettagliato sull´attività dell´azienda privata controllata dal ministero del Tesoro che in sei anni ha speso – investito, sostiene il suo direttore generale, Ettore Pietrabissa – mezzo miliardo di euro. Ecco, quattro finanziamenti di Arcus – voluti e sottoscritti nel tempo dai ministri Lunardi, Rutelli, Buttiglione e quindi dallo stesso Bondi – erano stati indirizzati su opere del Vaticano.
La Corte dei conti, contestando l´attività generale di Arcus, aveva segnalato diverse incongruità proprio sui finanziamenti per progetti religiosi. E i magistrati di Perugia avevano contestato la corruzione all´ex ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, e all´ex prefetto di Propaganda Fide, Crescenzio Sepe, mettendo a fuoco proprio il finanziamento da 5 milioni per il palazzo di Propaganda Fide: finanziamento di Stato alla Chiesa, apparentemente illegittimo, concesso secondo l´accusa in cambio di benefici personali a Lunardi, che a inizio Duemila aveva comprato un palazzetto di proprietà proprio di Propaganda Fide. Lunardi acquistò i tre piani (occupati da otto persone) in via dei Prefetti – dietro Montecitorio – per 4,16 milioni. Gli inquirenti ritengono che per quei 720 metri quadrati il valore di mercato, in realtà, fosse almeno il triplo.
Studiata la relazione degli uffici di Arcus, il ministro Bondi si è accorto che dei 5 milioni pubblici dati per la ristrutturazione del palazzo borrominiano di piazza di Spagna, 500 mila euro dovevano essere ancora erogati. E lunedì ha chiesto che l´ultima tranche del finanziamento fosse fermata, almeno fino a quando non sarà inaugurata la pinacoteca interna e garantita la sua apertura al pubblico (oggi è stata annunciata per il prossimo venti ottobre). Di più, gli stessi uffici tecnici hanno segnalato al ministro che il finanziamento per il cortile dell´Università Pontificia Gregoriana doveva essere completato: agli 800 milioni concessi nel 2009 doveva essere aggiunto un milione per la stagione in corso. All´interno della struttura erano stati recuperati resti romani. Anche questo finanziamento è stato congelato. E poi il ministero dei Beni culturali è intenzionato a rivedere gli appalti sottoscritti con il Vaticano per ottenere condizioni migliori per lo Stato. Innanzitutto, i siti ristrutturati dovranno essere accessibili al pubblico (cosa, ad oggi, non prevista).
La Procura di Perugia, che in questi giorni ha sul tavolo il dossier sulla società privata controllata dal Tesoro, vuole capire alcune questioni controverse. Ed è probabile che nei prossimi giorni interrogherà i dirigenti di Arcus per chiedere, per esempio, perché nell´appalto tipo non era prevista una data di chiusura dei lavori, perché nel progetto iniziale di ristrutturazione del palazzo di Propaganda Fide non si fa cenno ad alcuna pinacoteca, perché nella prima fase dei lavori compare l´architetto Angelo Zampolini, il contabile delle tangenti dell´imprenditore Diego Anemone. E ancora, perché la direttrice dei lavori in piazza di Spagna, Francesca Nannelli, compagna del vice commissario dell´Aquila Luciano Marchetti, distaccata dai Beni culturali di Firenze ad Arcus, è affittuaria di un appartamento di Propaganda Fide nel centro di Roma (in via del Governo Vecchio).

venerdì 25 giugno 2010

La Corte dei Conti: per la sede della Congregazione ristrutturazione fuori norma

La Corte dei Conti: per la sede della Congregazione ristrutturazione fuori norma
MEO PONTE FRANCESCO VIVIANO
MERCOLEDÌ, 23 GIUGNO 2010 LA REPUBBLICA - Cronaca


Zampolini: l´ex ministro comprò il palazzo di Propaganda Fide a prezzo stracciato, 4 milioni invece di 8

Ai pm nuove intercettazioni di Lunardi

Venti telefonate con Balducci & co. Sepe: no all´interrogatorio a Perugia


La procura di Roma reitera la richiesta di custodia cautelare per gli indagati



dai nostri inviati
PERUGIA - Dall´inchiesta sul G8 e sul "sistema Balducci-Anemone" spuntano fuori le inedite intercettazioni dell´ex ministro alle Infrastrutture, Piero Lunardi (indagato per corruzione insieme al cardinale Crescenzio Sepe) che aggravano la sua posizione. Oltre venti telefonate, registrate dai carabinieri del Ros, che intercettavano le utenze telefoniche di Angelo Balducci e degli altri indagati (per i quali proprio ieri la procura di Roma ha reiterato la richiesta di custodia cautelare). È la prima volta che si apprende delle conversazioni tra l´ex ministro, Balducci ed altri esponenti del gruppo di funzionari pubblici e imprenditori edili che gestivano i grandi appalti del G8, dei Grandi Eventi, dei 150 Anni dell´Unità d´Italia.
Presto le trascrizioni di queste telefonate saranno esaminate dai pm di Perugia, Alessia Tavernesi e Sergio Sottani che, se le riterranno utili alle indagini, dovranno chiedere al Parlamento l´autorizzazione per utilizzarle. Oltre all´acquisto a prezzo "stracciato" del palazzetto di via dei Prefetti, venduto da Propaganda Fide e quindi dal Cardinale Sepe a Pietro Lunardi, potrebbero spuntare fuori altre novità. E che si trattasse di un prezzo di favore (720 metri quadrati per poco più di 4 milioni euro. In cambio, secondo l´accusa, il ministro avrebbe dato contributi statali per cinque milioni di euro a Propaganda Fide per la ristrutturazione di un museo Vaticano mai completato), lo conferma anche l´architetto dell´imprenditore Diego Anemone, Angelo Zampolini, che a verbale ha dichiarato che il suo valore era di almeno 8 milioni di euro.
Dalla relazione della Corte dei Conti agli atti dell´inchiesta emergono inoltre nuovi dettagli sulla ristrutturazione del palazzo di Propaganda Fide, in piazza di Spagna a Roma: non solo vennero svolti solo in parte, ma quelli eseguiti furono fatti senza rispettare in pieno la normativa vigente e, in alcuni casi, non rispettandola affatto.
Intanto il cardinale Sepe, attraverso il suo avvocato, Bruno Von Arx ha fatto sapere che ieri hanno cercato di contattare i pm di Perugia senza riuscirci. Aggiungendo che il suo assistito vuole rispondere «ma al nostro giudice naturale, che non è quello di Perugia». Sulla rogatoria internazionale chiesta per Propaganda Fide, la risposta di von Arx è: «Ci fa addirittura piacere. Questo significa che hanno costruito l´ipotesi di reato senza neppure essere in possesso della documentazione». Una conferma, per il penalista, che «il reato di corruzione non sta da nessuna parte».
Ieri a Perugia Daniele Anemone, fratello di Diego, è andato in procura per la copiatura del contenute dell´hard disk di due dei suoi computer sequestrati durante l´indagine e dove fu trovato anche il famoso "libro mastro" di Diego Anemone dov´erano annotati i 412 nomi di personaggi eccellenti che a vario titolo si erano fatti ristrutturare gli appartamenti dall´imprenditore romano. E sempre ieri il gip di Perugia, Massimo Ricciarelli, ha disposto il divieto di lavorare con la pubblica amministrazione per otto mesi per le società "Salaria Sport Village" e "Sportiva Romana" . Una decisione che segue quella presa nei giorni scorsi quando il gip respinse il commissariamento delle aziende di Anemone, vietando però alle società di avere rapporti con la pubblica amministrazione.

giovedì 24 giugno 2010

PROPAGANDA CRICCHE - ARCUS, Lunardi e scavi

PROPAGANDA CRICCHE - ARCUS, Lunardi e scavi
di Marco Lillo
"Il Fatto Quotidiano", 22 giu. 2010

La società pubblica Arcus è diventata protagonista delle cronache giudiziarie per il finanziamento da 2,5 milioni elargito alla curia di Propaganda Fide diretta dal cardinale Crescenzio Sepe quando il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi con una mano firmava il via libera al pagamento di un progetto poi non eseguito e con l’altra comprava a prezzo stracciato dalla stessa Propaganda Fide di Sepe un palazzetto nel centro storico di Roma per 3 milioni di euro. Per scoprire questo moderno esempio di carrozzone pubblico non c’era però bisogno dell’indagine di Perugia né dell’iscrizione tra gli indagati del cardinale Sepe e di Lunardi. Arcus ha elargito e stanziato poco meno di 500 milioni di euro dalla sua nascita nel 2004, senza soluzione di continuità tra centrodestra e centrosinistra. La sua missione è “di sostenere in modo innovativo progetti importanti e ambiziosi concernenti il mondo dei beni e delle attività culturali, anche nelle sue possibili interrelazioni con le infrastrutture strategiche del Paese”.

L’arte del business

L’oggetto sociale abbastanza fumoso e la possibilità di elargire soldi senza gara per spettacoli, arte, restauri e mostre ne ha fatto un poderoso strumento clientelare in mano ai politici che volevano favorire i propri collegi elettorali, gli amici, i familiari e anche i parroci. Arcus è di proprietà del ministero dell’Economia al 100 per cento mentre il coordinamento sulla sua azione è rimesso ai Beni culturali retti da Sandro Bondi, che talvolta opera di concerto con le Infrastrutture di Altero Matteoli. In tempi di tagli di bilancio la Arcus Spa è diventata, come la Protezione civile, un canale privilegiato per dare soldi, consulenze e incarichi di ogni tipo. La Corte dei Conti nel 2009 ha condannato il suo ex presidente Giorgio Basaglia per una consulenza legale ridondante e le trasmissioni televisive Le Iene e Presa diretta, avevano già raccontato i rapporti incestuosi tra Arcus, politica e Vaticano che albergavano dietro il restauro del palazzo di Propaganda Fide a piazza di Spagna ora finito nel mirino della Procura di Perugia. Le vere autorità di controllo sulla società in questi anni sono state più le trasmissioni televisive che le istituzioni come la Corte dei Conti e l’Autorità di vigilanza dei lavori pubblici. Il giudice della Corte dei Conti Mario Sancetta, ha scritto il regolamento di Arcus quando era al ministero con Lunardi e oggi è indagato per altre storie nell’indagine sulla cricca. Mentre nelle intercettazioni del Ros di Firenze spunta il nome di Arcus. Lo fa proprio un consigliere dell’Autorità Garante dei Lavori Pubblici. Si chiama Alessandro Botto, già consigliere di Stato e segretario generale dell’Agcom, non chiede maggiori controlli. Anzi, telefona a Fabio De Santis (che poi sarà arrestato) per chiedere di intervenire tramite il “capo”, cioè Angelo Balducci, per avere da Arcus un finanziamento. E ovviamente il beneficiario non era Botto stesso ma una chiesa, quella di Santa Maria in Aquiro. “Interessava a un amico parroco”, dice Botto oggi al Fatto in un amen, aggiungendo subito “ma non è mai stato approvato”. Vaticano, soldi pubblici e politica. È questo il mix che spesso si trova dentro le pratiche della società dello spettacolo. Un caso esemplare è lo stanziamento di mezzo milione di euro a beneficio della società “I borghi Srl” che gestisce l’Auditorium della Conciliazione a Roma. L’immobile è di proprietà del Vaticano che lo affitta ai Borghi, finanziata dallo Stato con Arcus. Quando ottiene il contributo, la Srl cattolica vanta tra i suoi soci due politici di destra e sinistra: Lorenzo Cesa, che poi diverrà segretario Udc e Francesco Artenisio Carducci, allora responsabile cultura della Margherita di Rutelli e ora transitato al centrodestra.

I soliti noti
Anche l’ascesa della professoressa Francesca Elena Ghedini, archeologa e sorella del più famoso onorevole-avvocato Nicolò si intreccia con quella di Arcus. La responsabile del dipartimento archeologia dell’Università di Padova ha ricoperto il ruolo di consigliere della società dal 2003 al 2006. Ma non è stata solo membro dell’organo decisionale di Arcus, la sua attività pubblica di archeologa ha beneficiato di milioni di euro di contributi. Ovviamente non privatamente come Cesa e soci ma in qualità di archeologa dell’università. Sul sito della sua facoltà si legge nel curriculum che “è codirettore degli scavi di Nora (dal 1990), direttore degli scavi sulla Via Annia (Roncade, Treviso) (dal 2000) e condirettrice del progetto Aquae Patavinae”. Ebbene Arcus ha stanziato più di due milioni per questi scavi. Nell’ordine: 200 mila euro per l’Università di Padova proprio per il progetto in Sardegna “area archeologica di Nora”; altri 800 mila euro sono partiti per “la valorizzazione dell’antica strada romana via Annia”, destinati alla Regione Veneto; altri 435 mila euro sono andati all’università di Padova per il progetto “Aquae Patavinae” che si sommano a un milione e 160 mila euro concessi per il medesimo progetto al comune di Montegrotto e alla Regione Veneto. A chi criticava queste scelte, Arcus ha risposto con un comunicato pubblicato sul sito Internet: “Noi che abbiamo avuto l’onore e il piacere di interagire con la professoressa Ghedini per motivi professionali e istituzionali, non possiamo non testimoniare della sua caratura morale e scientifica che, unitamente ad una grande passione per la ricerca, per la valorizzazione del nostro patrimonio culturale, per l’innovazione, ne fanno una persona capace di dare grande lustro al nostro Paese”. Un lustro costoso, però.

PIÙ CASE CHE CHIESE

PIÙ CASE CHE CHIESE

Il Foglio del 24 giugno 2010

Angiolo Bandinelli

Leggo che la Santa Sede istituirà una Congregazione dedicata alla evangelizzazione o, meglio, alla "rievangelizzazione" dell’occidente. La notizia dovrebbe almeno incuriosire un laico. Per puro caso, intanto, si è intrecciata con un’altra, quella relativa alla discussa gestione del patrimonio immobiliare della Congregazione di Propaganda Fide. Sono storie assai diverse, estrinsecamente avvicinate dal fatto che Propaganda Fide è la struttura ecclesiale da quattro secoli deputata alle missioni evangelizzatrici in mezzo mondo. Su questa seconda vicenda mi pare valga la pena osservare, quanto meno. che un patrimonio istituzionalmente così importante dovrebbe essere gestito nella più pien -trasparenza. Si discute molto, e si polemizza da parte laicista, circa l’ipotesi di aprire la chiesa a forme esplicite di democrazia. Basta conoscere anche superficialmente la sua storia per capire che si tratta di una richiesta senza senso.
Però un po’ di trasparenza (aspetto essenziale, costitutivo, della democrazia) appare essere necessaria e opportuna quando si ha a che fare con l’amministrazione e la gestione di beni sui quali l’opinione cattolica, dei fedeli, dovrebbe poter avere il diritto se non di intervenire direttamente almeno di gettare un occhio di controllo. Questa vicenda che, assieme a quella della pedofilia, ha messo in contatto le istituzioni ecclesiastiche con quelle laiche assegnando finalmente a queste ultime alla giurisdizione laica, civile, impregnata di illuminismo - il primato che la chiesa tenacemente contesta loro, ci fa tornare sulla faccenda della Congregazione perla evangelizzazione dell’occidente. L’idea della (ri)evangelizzazione dell’occidente a me pare sconcertante. L’occidente ha avuto una storia religiosa, specificamente cristiana, profonda e indiscutibile, che però poi ha avuto sviluppi intrinseci e logici che lo hanno portato a una interpretazione dell’elemento religioso coerentemente laica. E per nulla casuale: la laicizzazione delle istituzioni pubbliche, del costume, dei valori, non è un intervento estraneo, piombato sulle società occidentali per sconvolgerne e scompaginarne la trama, ma un lungo, dibattuto e anche sofferto, percorso di chiarificazione (e, fors’anche, di interiorizzazione) dell’elemento religioso. Nel momento in cui si sostiene che occorre rievangelizzare l’occidente si vuole negare questo percorso, ignorarne e stracciarne le logiche interconnessioni. A me pare un tentativo assurdo, incomprensibile e - soprattutto - votato all’insuccesso.
Che senso ha un Dicastero della salvezza? Quando sant’Agostino scrisse il suo capolavoro, la "Città di Dio", lo fece per controbattere le accuse rivolte dai pagani ai cristiani, indicati quali responsabili del tradimento e dell’infiacchimento della società e dei valori romani, un tradimento e un infiacchimento ai quali doveva essere imputato il tracollo del millenario impero e la messa a sacco della sua capitale da parte dei Goti. nel 410. Lo sconvolgente evento eccitò la riflessione del Vescovo di Ippona, avviandolo - da precursore di Hegel sugli impervi sentieri della filosofia della storia. Il sacco dei Goti (al quale. poco meno di mezzo secolo dopo, faceva seguito quello, anch’esso memorabile, dei Vandali) dovette essere qualcosa di simile a un 11 settembre 2001, però moltiplicato per mille. Per inquadrarlo e spiegarlo, Agostino disegnò un percorso del mondo terreno destinato a confluire nell’apoteosi finale della Città di Dio. Fu il momento fondante del medioevo cristiano, così come la creazione quasi contemporanea, da parte di san Benedetto, dei suoi monasteri, minuscole città di Dio portatrici di una nuova "modernità" strutturale, da contrapporre alla crisi del mondo classico. Penso che Agostino sia stato uno dei pochi pensatori ad aver lavorato correttamente sul concetto di declino dell’occidente. Ne aveva tutte le ragioni. Ma oggi? Non mi pare che nessuno, nemmeno per provocazione, abbia indicato nel dramma dell’11 settembre l’evento iniziale della crisi della modernità laicizzata. Come punto di riferimento della rottura si
assume la filosofia nietzschiana, ecc., dimenticandosi peraltro del ruolo, a nostro avviso assai più importante, della cultura "progressista" installatasi in Francia alla fine del XIX secolo, una cultura che portò al governo figure come Ferry o Combes. E dove sono oggi, nell’esperienza ecclesiale, gli equivalenti dei monasteri benedettini, con la loro rivoluzionaria divisione sociale del lavoro e la equitaria messa in comune dei suoi frutti, quasi a prefigurazione del fourierismo, di Saint Simon, dei kibbutz e
di ogni utopica Città del Sole? Quale può essere l’esempio ecclesiale che il mondo contemporaneo può far proprio per contenere e combattere il suo presunto declino? Può la semplice istituzione di un Dicastero, una Congregazione, fornire un qualche esempio, un qualche modello di salvezza?

mercoledì 23 giugno 2010

L'IMPERO ESENTASSE DI PROPAGNADA FIDE

L'IMPERO ESENTASSE DI PROPAGNADA FIDE

Il Secolo XIX del 18 giugno 2010

Francesco Peloso

Uno Stato nello Stato: in tal modo si configura l’immenso patrimonio immobiliare del Vaticano in Italia. Una realtà talmente articolata che sfugge a catalogazioni definitive, anche se alcune stime attendibili dicono che il 20% del totale dei beni immobili del Paese appartiene ad enti ecclesiastici, congregazioni vaticane, ordini religiosi e società legate alla Chiesa cattolica più o meno direttamente.
Si tratta in ogni caso di una ricchezza straordinaria che produce reddito in maniera incessante e che vive di ottima salute anche perché si avvale di privilegi eccezionali sotto il profilo fiscale. E infatti i circa 2.000 enti ecclesiastici che controllano una parte considerevole del patrimonio godono dello status di enti di beneficenza, il che vuol dire, fra l’altro, un pagamento ridotto del 50% dell’Ires (l’imposta sul reddito delle società), senza contare l’esenzione dall’Ici. Inoltre gran parte dei beni culturali presenti sul territorio italiano appartengono alla Chiesa e quindi sono oggetto di ristrutturazioni e restauri a spese dello Stato, senza cioè che venga intaccato il "tesoretto" di circa un miliardo dell’8 per mille dei fondi Cei.
Da questa confusione fra beneficenza e affari, risulta una perdita perle casse pubbliche di dimensioni incalcolabili, anche perché negli ultimi vent’anni le strutture religiose hanno fatto irruzione nel settore turistico sfruttando, in primis, il grande business dei flussi di pellegrini verso santuari e luoghi di culto, ma non limitandosi, tuttavia, solo a quel settore.
Se questa è la fotografia generale della situazione, per comprendere le ragioni del coinvolgimento del Vaticano e della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, l’ormai famosa Propaganda fide, in inchieste giudiziarie così rilevanti, è necessario fare un passo indietro. Bisogna infatti tornare al 1998 quando in Italia viene abolito da un governo di centrosinistra, l’equo canone. Un provvedimento che segna la svolta: i centri storici, quello di Roma in modo particolare, fino a quel momento in preda al degrado e spesso abitati dagli strati sociali più poveri, si aprono al mercato. Partono le ristrutturazioni e gli sfratti, i prezzi degli immobili in zone un tempo popolari salgono vertiginosamente, in centro arrivano politici, uomini d’affari, personalità dello spettacolo, giornalisti televisivi: insomma potenti di ogni ordine e grado. Nella Capitale l’alta borghesia si trasferisce dalla Cassia, dai Parioli, ai quartieri ora ambiti del centro storico, fino a non molto tempo prima teatro delle gesta criminali della banda della Magliana. Ancora nel 1990, Enrico De Pedis, "Renatino", uno dei boss dell’organizzazione, veniva ucciso in Via del
Pellegrino, vicino Campo de’ Fiori, nel cuore storico della città; sarà poi sepolto nella Chiesa di Sant’Apollinare. Quella stagione si chiude e il Vaticano comincia a valorizzare e a usare il suo tesoro fatto di migliaia di appartamenti, di edifici storici, palazzetti nobiliari, monasteri, conventi, case religiose, sparse in ogni borgo e cittadina italiani.
A Roma il centro del sistema è la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli che nel corso dei decenni ha accumulato un patrimonio straordinario fatto di donazioni, lasciti, regali, il tutto per finanziare le missioni cattoliche nei territori di frontiera. La fine dell’equo canone coincide temporalmente con gli anni che precedono il grande Giubileo del 2000. È il momento dell’ascesa di monsignor Crescenzio Sepe, uomo-macchina del Vaticano con grandi capacità manageriali. Dapprincipio viene chiamato a guidare il comitato organizzatore del grande evento al posto di monsignor Sergio Sebastiani, poi gestisce con successo l’Anno Santo e il denaro che confluisce, per l’occasione, su Roma e sul Vaticano; Sepe è legato al segretario personale di Karol Wojtyla, Stanislaw Dziwisz, e nel 2001 viene nominato prefetto di Propaganda fide. Sembra l’inizio di una sfolgorante carriera che può portarlo fino alla Segreteria di Stato.
Il neo-cardinale (proprio ieri una nota del Vaticano ha ricordato che non è più alla guida della Congregazione, quasi a segnare le distanze dopo gli scandali sulla gestione dell’epoca) valorizza il patrimonio immobiliare, lo mette sul mercato, lo fa rendere con criteri aziendali; non agisce, però, a titolo personale è anzi interprete fedele di una precisa strategia della Santa Sede. Con lui arrivano a Propaganda fide Francesco Silvano e Angelo Balducci; il primo è collaboratore di Sepe nell’organizzazione del Giubileo, il secondo, all’epoca, provveditore delle opere pubbliche per il Lazio, nonché gentiluomo di sua Santità.
Il Giubileo, il primo grande evento di una lunga serie, è dunque la prova generale di un sistema che si sta ancora formando. Silvano e Balducci diventano consultori della Congregazione; vicino a loro troviamo anche Pasquale de Lise, presidente aggiunto del Consiglio di Stato e chiamato ora dal ministro dell’Economia Tremonti a dirigere la Commissione tributaria centrale. Si tratta di una squadra di prim’ordine che vedrà anche la partecipazione di monsignor Francesco di Muzio, incardinato nel clero dell’Opus Dei, quale capo dell’amministrazione di Propaganda fide. Questi nomi sono tornati più volte nell’ambito dell’inchiesta relativa ai Grandi eventi ma, oltre il profilo giudiziario, quello che nasce nella prima metà degli anni 2000, è un gruppo di potere legato al Vaticano che utilizzerà la politica e gli uomini pubblici, per stringere rapporti e attivare utili relazioni di scambio. «Attraverso questo immenso patrimonio immobiliare, la Chiesa
mette in campo un potere simoniaco e lo esercita sulla classe dirigente italiana», è la valutazione di Mario Staderini, segretario dei Radicali italiani, cha ha lavorato a lungo sull’inventario dei beni vaticani. Nel 2006, Ratzinger manderà Sepe a Napoli e l’ex segretario di Wojtyla, Dziwisz, diventato cardinale, a Cracovia; ma nell’annuario pontificio 2010 figura ancora il nome di Balducci.

martedì 22 giugno 2010

Propaganda Fide e cinque sospette operazioni immobiliari

ARCUS, Propaganda Fide e cinque sospette operazioni immobiliari
di Antonio Massari
"Il Fatto Quotidiano", 22 giu. 2010
I pm: nuova rogatoria sui conti in Vaticano

CORRUZIONE, CHIESTA L’AUTORIZZAZIONE PER L’EX TITOLARE DELLE INFRASTRUTTURE. ACCERTAMENTI SU SCAJOLA

L’inchiesta perugina sulla “cricca” imbocca ora un triplo binario. Da un lato, infatti, l'iscrizione dell'ex ministro Pietro Lunardi e del cardinale Crescenzio Sepe nel registro degli indagati impone ai pm di attendere l'autorizzazione a procedere.

La corruzione contestata a Lunardi, infatti, riguarda il periodo in cui era ministro: per questo motivo, i pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, hanno presentato, al Tribunale dei ministri di Perugia, la richiesta di poter procedere nei suoi confronti. Richiesta che sarà poi inoltrata al Parlamento. Da un altro lato, l'ipotesi di interrogare Sepe, resta invece soggetta a un'autorizzazione del Vaticano. E proprio al Vaticano, nei prossimi giorni, sarà presentata una rogatoria per conoscere, con esattezza, tutti i conti relativi alla congregazione Propaganda Fide, della quale Sepe è stato prefetto fino al 2006. Il terzo binario riguarda invece il filone d'indagine che coinvolge l'ex ministro Claudio Scajola: l'ex ministro non risulta indagato, ma gli inquirenti stanno analizzando una serie di documenti, relativi a gare d'appalto – alcune per ristrutturazioni di caserme – stipulate quand'era ministro dell'Interno, nel 2004, per valutare eventuali connessioni con le imprese di Diego Anemone (l'imprenditore della “cricca” al centro dell'inchiesta con l'accusa di corruzione).

Resta infatti da comprendere perché, stando alla versione fornita dall'architetto Angelo Zampolini, quest'ultimo abbia versato – per conto di Anemone - 900 mila euro per l'acquisto della casa con vista sul Colosseo destinata a Scajola.

Tutta l'inchiesta, in questo momento, ruota infatti sulle cinque operazioni immobiliari sospette – appartamenti, per personaggi influenti, acquistati anche con i soldi di Anemone – delle quali, lo stesso Zampolini, ha fornito parecchi dettagli nel corso dei suoi interrogatori. Che i pm siano vicini a una svolta, però, lo dimostra proprio l'avviso di garanzia inviato a Sepe e Lunardi. Anche questa vicenda ruota intorno a un immobile (quello di via dei Prefetti, acquistato a un prezzo molto basso, rispetto al valore di mercato, da Pietro Lunardi, e vendutogli da Propaganda Fide) ma non risulta che Anemone abbia versato a Lunardi denaro per il suo acquisto.

L'ipotesi dell'accusa è che il prezzo d'acquisto – ritenuto troppo basso – sia una contropartita per lo stanziamento, da parte della società di Stato Arcus, di 2,5 milioni di euro destinati al restauro del palazzo di Propaganda Fide. Restauro mai completato. Anche per questo motivo i pm stanno valutando di inviare una rogatoria in Vaticano, per comprendere con certezza tutte le movimentazioni di denaro legate all'ente, che dispone di circa 2 mila immobili per un valore di 9 miliardi di euro. Troppi appartamenti legati a Propaganda Fide, infatti, ruotano intorno all'inchiesta sulla “cricca”, incluso quello nel quale Guido Bertolaso ha abitato, in via Giulia, senza mai pagare l'affitto. Anche il capo della Protezione civile, cercando di giustificare la propria posizione, ha fatto il nome di Crescenzio Sepe. Esattamente come Lunardi, quando, in un'intervista, ha spiegato di aver scelto il palazzo in via dei Prefetti da un elenco di appartamenti, di Propaganda Fide, portatogli da Angelo Balducci, ex presidente del consiglio dei Lavori pubblici ed ex Gentiluomo di sua santità. Fu Balducci, oggi indagato per corruzione, a metterlo in contatto con Sepe. E poco dopo fu Lunardi a nominare Balducci presidente del consiglio dei Lavori pubblici.

TROVEREMO AREE PER IL CULTO DELLE ALTRE CONFESSIONI

TROVEREMO AREE PER IL CULTO DELLE ALTRE CONFESSIONI

Il Tempo del 21 giugno 2010

“Troveremo il modo di dare le aree. Quello dell’appartenenza religiosa è un valore universale e quindi dare risposte da questo punto di vista è sempre un arricchimento per la società. C’è un dialogo aperto tra l’amministrazione e le confessioni religiose per dare una risposta a tutti quanti per quanto riguarda i luoghi di culto. Si tratta di dare risposte attese da molti anni. Così il sindaco Alemanno, nel giorno in cui annuncia il via libera all’edificazione di 51 nuove parrocchie nelle periferie capitoline, risponde alla prima marcia per la libertà religiosa che si è svolta venerdì pomeriggio a Roma. La manifestazione, organizzata dai Radicali e l’Alleanza dei Cristiani Evangelici, è servita per accendere i riflettori sulle altre confessioni religiose.
«Migliaia di persone a Roma, cristiani evangelici, buddisti, sikh, sono costretti a riunirsi in locali di fortuna per professare la propria fede religiosa, a causa della mancanza di luoghi idonei - denunciano Radicali e Alleanza dei Cristiani Evangelici - nonostante la volontà di costruire a proprie spese i loro edifici di culto, il Comune di Roma ostacola l’acquisizione dei terreni». Radicali ed Evangelici hanno poi «avviato una raccolta firme su una interrogazione popolare per chiedere al sindaco come il Comune ha speso le decine di milioni di curo di oneri concessori che la legge prevede siano destinati alle necessità di culto della popolazione». Domande alle quali Alemanno ha risposto, ricordando un precetto «universale» per Roma che è stata e sarà sempre capitale del dialogo e della tolleranza.

lunedì 21 giugno 2010

Il ministro, Arcus e i costruttori la rete di favori a Propaganda Fide

Il ministro, Arcus e i costruttori la rete di favori a Propaganda Fide
CORRADO ZUNINO
GIOVEDÌ, 17 GIUGNO 2010 la repubblica - Cronaca

Nel 2005 dal governo 2,5 milioni per ristrutturare il palazzo vaticano

Nel piano di Arcus Spa, una sorta di "protezione civile dei musei", c´è una pinacoteca

ROMA - Un decreto interministeriale a doppia firma del 20 luglio 2005 fa comprendere perché Propaganda Fide, la Congregazione per l´evangelizzazione dei popoli, il ministero degli Esteri del Vaticano, a Roma sia diventata l´immobiliare dei potenti e, lo sta srotolando ogni giorno l´inchiesta sulla Protezione civile, un luogo di scambio di beni e utilità, un centro primario d´affari per l´imprenditore Diego Anemone, l´ancora di salvezza per gli alibi domiciliari di Guido Bertolaso. In quel decreto, licenziato da Pietro Lunardi, allora ministro delle Infrastrutture, e Rocco Buttiglione, ministro dei Beni culturali per un anno e nove giorni nel Berlusconi Ter, si approvò il largo programma d´intervento speciale di Arcus, società per azioni nata per sveltire le questioni dell´edilizia culturale, rapidamente trasformatasi in una "protezione civile" per gli appalti nei musei, nei siti archeologici, nelle chiese.
Già. Nel lungo elenco che accompagnò il decreto - 87 lavori sparsi in Italia, 51 milioni e 900 mila euro di finanziamenti, in buona parte elargizioni ad amici del centrodestra - c´erano anche luoghi sacri. Alla riga 29 del Piano interventi di Arcus, società privata di Stato, si prevedeva il finanziamento del restauro del palazzo seicentesco realizzato da Bernini e Borromini, oggi allocato in piazza di Spagna 48. Restauro del palazzo più realizzazione di una pinacoteca: 2,5 milioni di euro pubblici. Il palazzo, però, cresceva in territorio vaticano, lo ricordano l´insegna e la bandiera. Ma i buoni rapporti tra il Governo Berlusconi e la struttura allora guidata da Monsignor Crescenzio Sepe si scoprono, oggi, leggendo le carte della magistratura di Perugia. L´anello di congiunzione tra i laici ministeri e l´ente di evangelizzazione era al solito Angelo Balducci, allora gentiluomo del Papa e uno dei tre gestori del patrimonio immobiliare di Propaganda Fide (duemila appartamenti nella capitale). Come è noto, Balducci era anche il più importante funzionario italiano del mattone pubblico, aveva saldato un rapporto oltretevere grazie al grande cantiere del Giubileo del Duemila e, come ha raccontato a "Repubblica" Pietro Lunardi, era l´uomo di fiducia del ministro delle Infrastrutture, il "tecnico" che gli suggeriva il ristrutturatore edile (Anemone) per le sue tenute di campagna e gli forniva l´elenco delle case di Propaganda Fide da cui scegliere la dimora romana (sarà in via dei Prefetti, un palazzo di tre piani acquistato dal ministro Lunardi per la metà del suo valore). In quelle stagioni anche al consigliere politico di Lunardi, Vito Riggio, oggi presidente dell´Enac, fu assegnata una "casa Fide": era in via della Conciliazione 44, immobile di pregio normalmente destinato all´alloggio dei cardinali.
Ma perché Propaganda Fide a partire dal Duemila ha organizzato una rutilante attività immobiliaristica d´élite? Perché ha voluto consegnare appartamenti di lusso ai potenti d´Italia a prezzi scontati? Gli inquirenti, nell´interrogatorio che nei prossimi giorni si svolgerà a Perugia, chiederanno all´ex ministro Lunardi anche dell´eventuale rapporto tra i suoi beni privati e i decreti firmati, innanzitutto quello che ha stanziato 2,5 milioni per restaurare il palazzo di piazza di Spagna (la pinacoteca è annunciata pronta per il prossimo ottobre). Successivamente, Arcus - con ministro Sandro Bondi - avrebbe finanziato il restauro dei cortili interni della Pontificia università gregoriana di Roma: 1,5 milioni tra 2010 e 2011 (nonostante lo Stato fosse già intervenuto con 899.944 euro presi dai fondi dell´8 per mille).
È interessante notare come il capo dell´Ufficio legislativo di Lunardi, colui che avrebbe dovuto emanare il regolamento Arcus, era Mario Sancetta, oggi indagato per corruzione nell´"inchiesta Anemone". Il Consiglio di amministrazione di Arcus negli anni 2004-2008 era invece composto, tra gli altri, da Elena Francesca Ghedini, sorella dell´avvocato-deputato Pdl, destinataria di diversi finanziamenti per il suo dipartimento di Archeologia dell´Università di Padova, ed Ercole Incalza, oggi responsabile della struttura di missione del ministro Altero Matteoli, noto per l´appartamento romano comprato alla figlia grazie a un contributo dell´architetto Zampolini. Ecco, Zampolini, mancava lui per colorare questo estratto anemoniano in territorio vaticano. Nel 2003, come ricorda il sindacalista Uil Gianfranco Cerasoli, gli venne affidata la facciata dell´oratorio borrominiano: la Sovrintendenza lo fermò. Sulla ristrutturazione, ora, si è aperta un´inchiesta della Corte dei conti.

LAVORI PER 51 PARROCCHIE. "AREE ANCHE PER ALTRE FEDI"

LAVORI PER 51 PARROCCHIE. "AREE ANCHE PER ALTRE FEDI"

Corriere della Sera - ed. Roma del 21 giugno 2010

Saranno 51 le parrocchie che nei prossimi mesi saranno edificate in quartieri periferici della Capitale. Lo ha annunciato ieri mattina, durante la donazione di un terreno per la realizzazione della nuova chiesa di Tor Vergata, il sindaco di Roma Gianni Alemanno. «Si tratta di un progetto che abbiamo realizzato insieme al Vicariato e alle altre diocesi - ha spiegato - per portare nelle periferie parrocchie e centri di culto, che secondo noi rappresentano anche importanti centri sociali e culturali, fino a diventare veri e propri punti di aggregazione e identità dei quartieri».
Il sindaco ha sottolineato che le 51 parrocchie erano state in programma da molto tempo: «Ma noi abbiamo affrontato tutto l’iter burocratico e amministrativo per sbloccare la situazione». E poi una promessa per i fedeli di altre confessioni religiose: «Troveremo il modo di dare le aree per costruire luoghi di culto anche a loro - ha aggiunto - Quello dell’appartenenza religiosa è un valore universale e quindi dare risposte da questo punto di vista è sempre un arricchimento per la società. C’è un dialogo aperto tra la nostra amministrazione e le varie confessioni religiose per dare una risposta a tutti quanti per quanto riguarda i luoghi di culto. Si tratta di trovare soluzioni attese da molti anni, programmeremo incontri con i responsabili dei vari culti».
Su questo tema, ovvero la carenza di aree nella Capitale dove costruire edifici di culto per le religioni non cattoliche, si era svolta sabato pomeriggio una marcia per la libertà religiosa, la prima del suo genere, organizzata dai Radicali e da alcune associazioni.

Don Gelmini prete molesto: processo per gli abusi in comunità

il Fatto 19.6.10
Don Gelmini prete molesto: processo per gli abusi in comunità
A giudizio per 12 episodi: le accuse dei ragazzi
di Enrico Fierro

Un brutto colpo per il prete che si fece cane feroce. Don Pierino Gelmini è stato rinviato a giudizio per molestie sessuali. Lo ha deciso il gup di Terni, Pierluigi Panarello, che ha contestato all’ex sacerdote (don Pierino è tornato allo stato laicale qualche anno fa) ben 12 episodi di molestie sessuali ai danni di ospiti delle sue comunità per recupero di tossicodipendenti. L’inchiesta, venuta alla luce nel 2007, scaturì da una serie di denunce. “Mi palpava, mi baciava e in più occasioni mi ha costretto ad atti sessuali", raccontò Michele Iacobbe, un passato nell’inferno della tossicodipendenza, il primo grande accusatore dell’ex prete. L’uomo era finito in carcere per una serie di reati compresa l'estorsione e la calunnia. "Mi ha rovinato, mi ha costretto a fare delle cose che non avrei mai voluto. Mi diceva: tagliati i capelli, dai lo faccio io che corti mi piacciono di più, dammi un bacio per favore". Alla Procura di Terni sfilano tanti testimoni, almeno una quindicina, tutti disposti a raccontare la loro “mala educacion”. Paolo Zanin, attore, è stato uno dei volti di Amarcord di Fellini, e scrittore, affida il suo racconto ai giornali. “Ho avuto a che fare con le voglie di don Gelmini tra il 1969 e il ’70, quando ancora abitava nella villa all’Infernetto”. Sentito dai magistrati, Zanin fa mettere a verbale la storia della sua vita di ragazzo sbandato, l’incontro con don Pierino, “che si atteggiava a monsignore”, e l’accoglienza, prima in una casa di Piazza Navona, poi nella villa alla periferia romana. I luoghi delle strane attenzioni del prete. Una brutta esperienza che l’ex ragazzo racconta nel libro Nessuno dovrà saperlo.
Accuse che don Pierino ha sempre respinto con forza, attaccando la magistratura e gli stessi vertici della Chiesa. "L'infamia non mi tocca", disse subito dopo l’inchiesta della procura davanti a trecento sostenitori, ex tossicodipendenti e i loro genitori che lo veneravano come un santo. "Pensavano di avere a che fare con un coniglio, invece hanno trovato un cane che morde. Io non mollo. Volevano prendersi la comunità". La chiusura con un amen e il poco ecclesiastico gesto dell’ombrello. Troppe dichiarazioni polemiche (“le accuse? Frutto della lobby massonica radical chic”), al punto che il suo legale, Franco Coppi, si vede costretto ad abbandonare la difesa. Don Pierino è stato sempre così, un vulcano, la sua è stata una vita piena di contraddizioni fin dall’inizio divisa tra fede, potere e mondanità. Quando la Chiesa dopo un lungo braccio di ferro accoglie la sua domanda di riduzione allo stato laicale, attacca il Vaticano. "Gli intrallazzi non sono fede. Bisogn Cristo non al cesaro-papismo. Perché qui siamo arrivati al punto in cui parliamo più del Papa che del Cristo". Una vita spericolata Gli esordi al fianco di un altro sacerdote discusso, don Eligio Gelmini, suo fratello. Era il prete in cachemire, amico dei calciatori e degli uomini di spettacolo, andava in tv e appariva spesso al fianco di campioni come Gianni Rivera. Altri tempi, tv in bianco e nero, vita a colori sempre in bilico tra la fondazione di comunità per il recupero di ex tossicodipendenti, e accuse di balletti rosa. È in questo ambiente che don Pierino muove i primi passi. Una villa a Roma, all’Infernetto, piscina, una Jaguar in garage e tre camerieri di colore. La bella vita viene interrotta da una serie di guai con la giustizia. Le accuse vanno dalla bancarotta fraudolenta, emissione di assegni a vuoto e truffa. In quel periodo, fine anni Sessanta, don Pierino si spaccia anche per monsignore. La Chiesa tenta di sospenderlo a divinis, ma non ci riesce. Un breve esilio in Vietnam – anche qui con il contorno di accuse di truffa – poi il ritorno in Italia e l’arresto. Quattro anni di carcere, tutti scontati. Nel 1979 la folgorazione sulla via della lotta alle tossicodipendenze, don Pierino fonda la Comunità Incontro ad Amelia, Umbria, che nel giro di poco tempo diventa una vera e propria multinazionale: 164 sedi in Italia, 74 all’estero. E tanto potere.
Don Pierino gode dell’amicizia degli uomini che contano nel mondo dello spettacolo e della politica. Alle sue manifestazioni non mancano mai Gigi D’Alessio e Amedeo Minghi, lo psichiatra Alessandro Meluzzi, ex parlamentare di Forza Italia, diventa il portavoce della comunità, Silvio Berlusconi gli dona 5 milioni di euro per le popolazioni asiatiche colpite dallo tsunami, e poi Giovanardi, Gasparri. Fino a Gianfranco Rotondi che lo propone come sottosegretario per la lotta alla droga. “Se necessario chiederemo la dispensa al Vaticano”. Una vita così, dove la carità cristiana diventa business e potere, una figura contraddittoria che divide ancora oggi.
Amici e potenti
Chi non nutre alcun dubbio sulla figura di don Pierino, sono i suoi amici del palazzo. ''Nel prendere atto che nel corso dell'attività giudiziaria parte importante delle accuse nei confronti di esponenti della Comunità Incontro sono cadute, resto convinto che il giudizio confermerà che don Gelmini ha agito e agisce per difendere la vita di migliaia e migliaia di persone strappate alla droga e all'emarginazione in ogni parte del mondo. È una verità conosciuta da tanti e che alla fine troverà ulteriori conferme'', dice Maurizio Gasparri. ''Sono vicino all'amico Don Gelmini in questo difficile momento e gli auguro forza e salu continuare nella sua preziosa azione nella Comunità Incontro e per poter uscire a testa alta da questo processo'', è la frase che gli dedica un altro amico, Carlo Giovanardi. Gli altri, per il momento, tacciono.

mercoledì 16 giugno 2010

Una pillola chiamata boicottaggio. Così la Regione Lazio ostacola la Ru 486

l’Unità 16.6.10
Una pillola chiamata boicottaggio. Così la Regione Lazio ostacola la Ru 486
di Giulia Rodano

Nell’Anno Primo dell’era Polverini è capitato a Roma che una donna, madre di tre figli, nati tutti con parto cesareo, vagasse di ospedale in ospedale alla ricerca della pillola RU 486, per interrompere una quarta gravidanza. Finalmente ha trovato nell’ospedale Grassi di Ostia l’assistenza cui aveva diritto. A questo punto si è scatenata l’ira della presidente della Regione, la quale non solo ha bacchettato duramente i medici dell’ospedale, ma ha immediatamente riunito la giunta, nota finora per la sua scarsissima attività, per varare delle sedicenti linee guida per confermare il ricovero obbligatorio di tre giorni, ma soprattutto per bloccare la possibilità di usare la pillola RU 486 negli ospedali del Lazio, in attesa della individuazione di fantomatiche strutture più idonee a praticare l’aborto farmacologico.
Siamo di fronte a un vero e proprio boicottaggio della pillola RU 486 e della legge 194. L’argomento della ricerca delle strutture idonee è ridicolo. Nel Lazio, che applica la legge 194 da 40 anni, è difficile pensare che non esistano strutture in grado di eseguire e assistere un aborto farmacologico. Siamo di fronte alla violazione della legge 194, che assegna alle Regioni l’aggiornamento «sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione di gravidanza».
La Polverini non solo rende più difficile l’applicazione di una specifica tecnica di interruzione della gravidanza, rendendo obbligatorio il ricovero, ma addirittura la blocca, per un periodo imprecisato. E ci si risparmi la favoletta della preoccupazione per la sicurezza delle donne. C’è un diluvio di letteratura scientifica che dimostra l’elevato tasso di sicurezza della RU 486.
Siamo di fronte a un vero accanimento ideologico di una donna contro altre donne e di uso propagandistico della sofferenza delle donne. Che questo sia vero, è testimoniato dagli atti compiuti dalla Polverini come commissario di governo per la Sanità. Nei decreti appena firmati si tagliano migliaia di posti letto perché sarebbe opportuno, quando le conoscenze scientifiche e l’esperienza sanitaria lo consentono, passare dal ricovero ordinario al day hospital e da questo all’assistenza ambulatoriale e domiciliare.
L’aborto chirurgico si fa ordinariamente in day hospital, nel caso dell’aborto farmacologico, per la Polverini, sono necessari tre giorni ricovero. Ma la Polverini ha voluto fare di più. Nel Piemonte di Cota, sia pure con il ricovero di tre giorni, che le donne possono rifiutare, l’aborto farmacologico si pratica. Nel Lazio non si può fare neppure questo. Siamo all’interruzione del pubblico servizio. Per una Presidente donna, niente male.

martedì 15 giugno 2010

Sesso, molestie e pedofilia, un dossier fa tremare la Diocesi Gallipoli-Nardo

l’Unità 14.6.10
Sarebbero quattro i parroci coinvolti. Uno di loro già condannato a tre anni di reclusione
Allertata la procura Nell’indagine del vescovo Caliandro violenze e relazioni sentimentali
Sesso, molestie e pedofilia, un dossier fa tremare la Diocesi Gallipoli-Nardo
di Ivan Cimarrusti

Un documento scottante sul tavolo del vescovo Caliandro. I fatti ricostruiti iniziano nel 2001 e raccontano di casi di molestie sessuali su minori, di relazioni sentimentali e violenze. Un parroco già condannato.

Ci sarebbero vere e proprie violenze sessuali, molestie, inviti ad appartarsi in luoghi isolati, relazioni segrete e, addirittura, l’invito ad un pastorello di 15 anni ad avere un rapporto omosessuale. Di questo sono accusati quattro sacerdoti della diocesi di Gallipoli-Nardò, in provincia di Lecce, finiti in un’ampia indagine del vescovo Domenico Caliandro nata da numerose segnalazioni di parrocchiani, vittime dei presunti abusi sessuali. Una vicenda che sta sconvolgendo tutta la comunità cattolica Salentina e che presto potrebbe giungere sulla scrivania del procuratore capo di Lecce, Cataldo Motta. «Al momento non ci è stato depositato nulla dalla diocesi – spiega il procuratore – Bisogna, inoltre, capire se si tratta di reati (a sfondo sessuale, ndr) procedibili d’ufficio. Vedremo domani (oggi, ndr)».
ANNI DI MOLESTIE
E’ certo che nelle mani del vescovo c’è un ampio dossier, composto da numerose testimonianze delle presunte vittime degli abusi sessuali. Fatti che, secondo indiscrezioni che trapelano dalla diocesi, sarebbero avvenuti fin dal 2001. Il dossier è top secret, ma è certo che all’attenzione del vescovo ci sono quattro sacerdoti che avrebbero compiuto «insidie su fedeli e parrocchiani – come spiegano dalla diocesi – venendo meno ai loro precetti». Ma non solo questo. Un anziano prete avrebbe molestato un minore ed un altro avrebbe, addirittura, fatto vere e proprie violenze sessuali su un altro. Un terzo parroco, invece, avrebbe avuto una relazione segreta con una donna di 30 anni.
DON ENZO GRECO
Nell’incartamento ecclesiastico, a quanto è dato sapere, una parte riguarderebbe il quarto sacerdote. Don Enzo Greco, parroco della chiesa di Santa Caterina a Nardò e professore in una scuola media dello stesso paese, avrebbe molestato sessualmente un pastorello di 15 anni. Il parroco è stato condannato nei primi mesi del 2009 a tre anni e sei mesi di carcere per tentata violenza sessuale e atti osceni. I fatti sarebbero cominciati nel 2001, quando il piccolo pastorello sarebbe stato avvicinato dal prete, il quale avrebbe cominciato una vera e propria pressione prolungata negli anni per avere rapporti sessuali con lui. Secondo la denuncia del pastorello, che ha trovato piena conferma nelle indagini della Procura della Repubblica, il prete gli
avrebbe messo in mano alcune riviste pornografiche, invitandolo a salire sulla sua automobile. Una richiesta che terrorizzò il ragazzino, il quale riuscì a scappare. Pochi giorni dopo, però, il parroco sarebbe tornato dal pastorello con un uomo di colore e gli avrebbe chiesto, ancora una volta, di avere rapporti sessuali con entrambi. «Una costante presenza nella mia vita», disse a verbale il pastorello nel corso del lungo processo celebrato a porte chiuse. «Chiesi l’intervento di mio padre», il quale in un’occasione era quasi riuscito a bloccare il prete che, però, riuscì fuggire. Da quel momento le presunte richieste si sarebbero fermate, fino alla morte del padre del pastorello. Dopo, il prete sarebbe tornato alla carica chiedendo al ragazzino di avere rapporti sessuali con lui e con altre persone sempre di sesso maschile. Tutte queste pressioni sarebbero state compiute per tre anni, fin quando la presunta vittima, ormai maggiorenne, raccontò tutto ai carabinieri che, dopo una serie di pedinamenti, colsero in flagranza di reato don Enzo Greco.
Il dossier, che al momento è nelle mani del vescovo Caliandro, presto potrebbe essere depositato alla Procura della Repubblica. Se i fatti accertati dalle indagini interne trovassero conferme in quelle degli inquirenti, potrebbero finire nel registro degli indagati almeno due anziani preti, per molestie e violenze sessuali su minori.

“L’arcivescovo premia chi ha nascosto le violenze”

il Fatto 6.5.10
“L’arcivescovo premia chi ha nascosto le violenze”
Monsignor Betori conferma come suo braccio destro Maniago, che sapeva e ha messo tutto a tacere

Nella giornata mondiale contro la pedofilia arriva una polemica tra l’ex segretario generale della Cei monsignor Giuseppe Betori e alcune vittime della pedofilia nella Chiesa. Si tratta delle “Vittime di don Lelio Cantini”, associazione che raccoglie chi ha subìto le molestie di un sacerdote di 87 anni che, fino al 2005, è stato parroco della Regina della Pace a Firenze. Si sono scontrate con l’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, che non ha
mai chiesto d’incontrarle. “Perché la pulizia che la Chiesa sta facendo al suo interno sta risparmiando Firenze?” si chiedono Mariangela Accordi, Francesco Aspettati e altri esponenti di questa associazione nata “contro l’omertà”. L’ufficio stampa di Betori si affretta a chiarire: “A malincuore e sorpresi da questi attacchi ingiustificati e reiterati, tramite la stampa, nei confronti della Chiesa fiorentina, si chiarisce, a prova di ogni sincera smentita, che a nessuno di coloro che hanno chiesto udienza a monsignor Betori su cose importanti e per le vie ufficiali, questa è stata negata”.
LA VICENDA. In una lettera indirizzata a Papa Benedetto XVI, le vittime definiscono don Lelio Cantini “responsabile di abuso plurimo e aggravato nei confronti di minori, del delitto di sollecitazione a rapporti sessuali compiuto nei confronti di più persone in occasione della Confessione e dell’abuso nell’esercizio della potestà ecclesiastica nella formazione delle coscienze”. Tutto comincia con la denuncia di Mariangela Accordi, che è stata violentata dal prete per quindici anni. Gli abusi su di lei sono cominciati quando ne aveva appena dieci. Mariangela ha raccontato la sua storia al vescovo ausiliario di Firenze, monsignor Claudio Maniago, che si è formato nella parrocchia di don Cantini, suo maestro. Il risultato però è stato soltanto silenzio. Don Cantini è stato trasferito in un’altra sede, ma ha continuato a celebrare messa e a stare in contatto con bambini. Mariangela ha poi svelato la storia prima a Repubblica e poi ad Annozero. Solo allora, quando lo scandalo è diventato noto a livello nazionale, è stato fatto un processo canonico, conclusosi nell’ottobre 2008 con la riduzione allo stato laicale del prelato.
IL VESCOVO. Monsignor Maniago, classe 1959, è divenuto il più giovane vescovo italiano nel 2003 dopo una rapidissima carriera. Nel 2005 ha tentato di convincere Mariangela e i suoi parenti a non divulgare la notizia degli abusi subiti per non nuocere all’immagine della Chiesa. A gennaio di quest’anno, Betori, che è arcivescovo di Firenze, ha confermato come suo braccio destro fino al 2015 proprio Maniago. “Maniago – scrivono nella lettera le vittime di don Cantini – ha saputo degli abusi e ha cercato di mettere tutto a tacere. Perché riconfermare proprio lui, se la chiesa vuole fare pulizia?". Al Fatto Quotidiano, che ha cercato di contattare Betori per chiarire i motivi della nomina di Maniago, il suo ufficio stampa ha risposto: “L’arcivescovo di Firenze in questi giorni non è in sede e quindi non è in grado di rispondere alle domande”. I firmatari del documento sostengono che la “condanna” di don Cantini non basta, perché di fronte agli abusi del sacerdote e di Rosanna Saveri, sedicente veggente che per anni è stata al fianco di don Cantini, “una intera Chiesa avrebbe taciuto, sottovalutato, non voluto vedere”.
Vista la passività di monsignor Maniago, Mariangela si rivolge al cardinale di Firenze Giacomo Antonelli, il quale le risponde di “non avere il potere per intervenire”. Ora l’appello è rivolto direttamente al Papa, “l’ultimo, e l’unico, che può fare giustizia”.
(Bea. Bor.)

venerdì 11 giugno 2010

In calo l´8 per mille alla Chiesa allarme Cei: perse 100mila adesioni

La Repubblica 11.6.10
In tre anni 5 punti percentuali in meno, ma gli introiti aumentano per il maggior gettito fiscale In calo l´8 per mille alla Chiesa allarme Cei: perse 100mila adesioni
Monsignor Crociata "Nel 2010 un miliardo di euro ma la crisi si farà sentire presto"

CITTÀ DEL VATICANO - In fondo alla dichiarazione dei redditi sempre meno italiani scelgono di destinare l´8 per mille alla Chiesa. E i vertici del Vaticano si preoccupano. È il secondo anno che succede, e la tendenza - anche grazie a una possibile disaffezione dei fedeli per lo scandalo pedofilia - potrebbe aumentare nei prossimi anni. Nelle dichiarazioni fiscali del 2007 (introiti del 2006), le firme dell´8 per 1000 destinate alla Chiesa cattolica risultano infatti in sostanzioso calo. Lo attesta un documento uscito dall´Assemblea generale dei vescovi italiani, conclusasi due settimane fa a Roma, e diffuso ieri dall´agenzia Asca. Le firme a favore della Chiesa sono state l´85,01% del totale nel 2007, contro l´86,05% del 2006 e l´89,82% del 2005.
Il documento era stato presentato dal segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), monsignor Mariano Crociata. «Dobbiamo registrare con preoccupazione per il secondo anno consecutivo - scriveva Crociata - un calo percentuale delle firme dei contribuenti a favore della Chiesa cattolica». Sono infatti arrivate 14.839.143 adesioni, cioè ben 95.104 in meno rispetto all´anno precedente. «Le scelte favorevoli alla Chiesa cattolica - commenta il segretario generale della Cei - sono purtroppo diminuite sia in termini percentuali, sia in valore assoluto».
Ma nonostante l´evidente calo percentuale, la somma globale che dallo Stato arriva nelle casse vaticane risulta cresciuta. E ciò a causa della crescita generale del gettito fiscale avvenuta in quegli anni. La Chiesa ha percepito, nell´anno corrente 2010, 1.067 milioni di euro. Contro i 967 del 2009. Un aumento netto di quasi cento milioni. La Cei resta tuttavia preoccupata. «Per il meccanismo di posticipazione a tre anni del calcolo del gettito - spiega nella sua relazione monsignor Crociata - solo a partire dal 2013 sperimenteremo le conseguenze dell´attuale crisi economica sul gettito complessivo dell´Ire e quindi anche sulle somme dell´8 per mille». Per questo la Conferenza episcopale italiana ha deciso di destinare 30 milioni di euro dei fondi relativi all´anno in corso alla ricostituzione del cosiddetto "fondo di riserva", che lo scorso anno era stato svuotato per far fronte a un calo del gettito. Ribadisce il segretario generale Cei nel suo rapporto ai confratelli vescovi: «Un indirizzo fondamentale per la pianificazione e una prudente gestione delle risorse» dovrà essere «già a partire dal presente esercizio la ricostituzione del fondo di riserva».
Anche i dati restanti non paiono confortanti per la Cei. Calano nettamente (-9,9%) le offerte deducibili - volontarie - per il sostentamento del clero. E la somma raccolta nel 2009 risulta di 14,9 milioni di euro, contro i 16,5 del 2008. Monsignor Crociata a riguardo sostiene la necessità di un´attenta analisi interna: «Come ormai da diversi anni, con l´eccezione del 2007, anche questa volta ci troviamo di fronte a una riduzione di tale fonte di finanziamento, che impone un´approfondita riflessione sulle cause del fenomeno e sulle possibili strategie alternative di promozione e raccolta futura». Occorre «una proposta di rilancio» delle offerte volontarie, da prepararsi in autunno. Perché nonostante la cifra raccolta resti comunque cospicua, è però molto lontana dalle attese e dal fabbisogno di sostentamento del clero.
(m. ans.)

giovedì 10 giugno 2010

Lo scandalo pedofilia ha costretto alle dimissioni il vescovo

La Repubblica 5.5.10
Niente preti alla festa la rivolta di Bruges
Lo scandalo pedofilia ha costretto alle dimissioni il vescovo

BRUXELLES - Non si placa, in Belgio, lo scandalo suscitato dal caso del vescovo pedofilo. Roger Vangheluwe, 73 anni, titolare della diocesi di Bruges, si è dimesso il 22 aprile scorso dopo aver riconosciuto di «aver abusato sessualmente» di un minore sia quando era ancora un semplice prete, sia dopo essere stato nominato vescovo, nel 1984. A quanto risulta, la vittima degli abusi sarebbe un suo nipote. Ieri, riferisce il quotidiano fiammingo Het Laatste Nieuws, i responsabili della confraternita del Sacro Sangue di Bruges hanno fatto sapere di non volere la partecipazione di preti, e neppure di chierichetti, alla grande processione che ogni 13 maggio attraversa le vie della città e che è accompagnata da cortei in costume. La decisione, hanno riferito gli organizzatori della celebrazione, è stata presa «per evitare le reazioni negative del pubblico». Persino i chierichetti sono invitati a non farsi vedere. «Abbiamo fatto questa scelta per proteggere i giovani in questione. Abbiamo paura delle reazioni negative del pubblico. I chierichetti non meritano certo un simile trattamento», ha dichiarato Benoit Kervyn, esponente della confraternita. Secondo quanto affermano gli organizzatori, la sollecitazione ad escludere i membri del clero dalla manifestazione sarebbe venuta dallo stesso vescovado di Bruges, che dopo le dimissioni di Vangheluwe è retto pro tempore da un amministratore. Tuttavia in Curia si trincerano dietro un seccato «no comment».

martedì 8 giugno 2010

Rai. Beltrandi: preti pedofili. La Rai fornisce una informazione lacunosa, preferendo organizzare un invio di sms di solidarietà al Papa.

da radicali.it
Rai. Beltrandi: preti pedofili. La Rai fornisce una informazione lacunosa, preferendo organizzare un invio di sms di solidarietà al Papa. Interrogazione urgente a Masi
Dichiarazione di Marco Beltrandi, deputato radicale componente della Commissione di Vigilanza Rai

2 giugno 2010

La storia dei preti pedofili e delle omertà del Vaticano è un caso in cui la Rai sta svolgendo un ruolo contrario alla sua missione. Rischia di confondere lo spettatore. La denuncia di un crimine odioso - gli abusi sui minori commessi dai preti - è diventata altro: un vero e proprio plebiscito in favore del Papa
Tutto ciò mentre nel resto del mondo si sono levate alte le voci di chi invoca giustizia (terrena, non divina), chiedendo esplicitamente l’arresto del Papa.
Persino in Italia, pochi giorni fa, in seguito all’emergere di fatti raccapriccianti che riguardano preti pedofili e Vescovi complici, hanno costretto il Cardinal Bagnasco, dopo un lungo silenzio più simile all’omertà che alla discrezione, durante la conferenza stampa conclusiva dell’assemblea generale della Cei, a precisare: “E’ possibile che ci siano in Italia casi di vescovi che hanno insabbiato accuse contro preti pedofili. Qualora ciò fosse accertato il giudizio della Chiesa è noto: è una cosa di per sè sbagliata e da superare”.

Il modo scelto dall’azienda per influenzare gli spettatori è stato al tempo stesso semplice e raccapricciante: l’organizzazione della campagna “Sms al Papa per la solidarietà” nel programma di Raiuno “A sua immagine”.
Nel corso della trasmissione, la Rai ha attivato un numero telefonico per raccogliere sms di solidarietà da consegnare a Benedetto XVI. Se l’iniziativa fosse stata lanciata da Radio Maria, nessuno (forse) ci avrebbe trovato nulla di strano.

Ma qui si tratta della Tv di Stato, che dovrebbe offrire un servizio pubblico informativo, non diventare sponsor di una delle parti in gioco. La differenza è abissale e sembra anche incredibile doverla sottolineare. Ratzinger è il capo della Chiesa cattolica, un’istituzione che si è macchiata di un lunghissimo silenzio sui numerosi casi di pedofilia all’interno del clero grazie all’insabbiamento sistematico, al trasferimentio dei colpevoli in altre diocesi, dove potevano continuare indisturbati a compiere i loro delitti, alla mancata collaborazione con la giustizia italiana e internazionale.

La Rai prima si è distinta per un’informazione carente poi, quando dall’estero sono giunte informazioni non equivocabili, ha organizzato plebisciti mediatici per manipolare la percezione della realtà dei fatti.

Questo non è servizio pubblico, e di ciò ho chiesto spiegazioni al Direttore generale Masi rivolgendogli un’interrogazione urgente.

lunedì 7 giugno 2010

Abusi, sotto accusa il capo della chiesa tedesca

il Fatto 3.6.10
Abusi, sotto accusa il capo della chiesa tedesca
L’arcivescovo di Friburgo, Zollittsch, avrebbe coperto un sacerdote nel 1987
di Nina Fabrizio

Il capo della Chiesa tedesca e arcivescovo di Friburgo, mons. Robert Zollitsch, avrebbe saputo di almeno un caso di abuso sessuale su minore all'interno della sua arcidiocesi e anzichè prendere provvedimenti, avrebbe coperto. L'accusa, pesantissima, arriva dalla Procura di Friburgo e cade come un macigno su una delle figure finora più credibili nella lotta alla pedofilia tra il clero e i vertici di una Chiesa già provata da una lunga lista di scandali a sfondo pedofilo, emersi di recente in Germania. L'indagine “preliminare” cui la procura tedesca sottoporrà Zollitsch, che al momento risulta indagato per complicità, parte da una denuncia a carico dell'arcivescovo presentata da una presunta vittima che negli anni Sessanta sarebbe stata abusata sessualmente da un sacerdote nel monastero di Birnau dell'arcivescovato di Friburgo. La vittima ha raccontato che l'arcidiocesi di Friburgo era a conoscenza delle orribili violenze subite ma nonostante ciò nel 1987 Zollitsch, che all'epoca era responsabile del personale dell'arcidiocesi, confermò il posto del sacerdote pedofilo nella comunità di Birnau. In buona sostanza, se ne lavò le mani. Una versione tenacemente respinta dall'arcidiocesi di Friburgo secondo cui le accuse al suo arcivescovo sono “false” perché l’arcidiocesi avrebbe saputo solo alla fine del 2006 di quell'abuso avvenuto a Birnau mentre mons. Zollitsch “non ha in alcun modo” confermato il posto del sacerdote pedofilo nel 1987. Un aspetto non del tutto chiaro però, dal momento che la nota dell'arcidiocesi prosegue affermando che Zollitsch non ha rinnovato la posizione del sacerdote, anche se ci sono indicazioni secondo cui “il padre sotto accusa” ha continuato a lavorare nella comunità di Birnau. Noto per le sue posizioni progressiste e liberali (ha parlato anche in favore delle unioni civili omosessuali e si è dimostrato aperto sul celibato), Zollisch è stato nominato arcivescovo di Friburgo nel 2003 da Giovanni Paolo II e poi eletto a capo dell'episcopato tedesco nel 2008. Da quando nel febbraio scorso lo scandalo pedofilia ha massicciamente coinvolto la Chiesa tedesca lambendo persino il fratello del Papa, Georg Ratzinger, che ha ammesso qualche schiaffo agli allievi del coro da lui diretto a Ratisbona, mons. Zollitsch si è contraddistinto per essere uno dei maggiori assertori della linea della tolleranza zero avviata da Benedetto XVI. La notizia del suo coinvolgimento è arrivata come un fulmine a ciel sereno in Vaticano. Il card. Walter Kasper, capo del dicastero per l'Unità dei Cristiani e suo connazionale, si dice “incredulo”. “Conosco Zollitsch benissimo dice al Fatto non credo una cosa del genere sia possibile”. Di sicuro la notizia è un nuovo choc per la Chiesa del Paese natale di Ratzinger dove già un vescovo, mons. Mixa, nominato alla diocesi di Augusta da Benedetto XVI si è dimesso per pedofilia. In Germania poi, mentre, secondo un recente sondaggio, il 23% dei cattolici pensa di abbandonare la Chiesa, il governo ha avviato una commissione speciale per fare piena luce sugli abusi dei preti. I risultati si attendono a fine anno e rischiano di presentare un conto salatissimo, soprattutto alla casse della Chiesa di Germania. Qui infatti gli iscritti come cattolici nelle liste dei contribuenti versano in automatico con la dichiarazione dei redditi un contributo alla Chiesa. A meno che, abbandonando il cattolicesimo, da quelle liste non si facciano togliere. Un rischio sempre più concreto che si trasformerebbe in un tracollo finanziario per la Chiesa locale.

sabato 5 giugno 2010

«Complice delle violenze» Indagato Zoellitsch capo della chiesa tedesca

l’Unità 3.6.10
«Complice delle violenze» Indagato Zoellitsch capo della chiesa tedesca
Il vescovo di Friburgo e presidente della Conferenza episcopale, avrebbe coperto un caso avvenuto negli anni Sessanta. Germania sotto choc: il prelato siede al tavolo governativo istituito dalla Merkel contro gli abusi.
di Laura Lucchini

La Germania è tornata ieri a vivere l’incubo che l’ha tormentata per mesi. Robert Zollitsch, presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, è indagato dalla procura di Friburgo per presunta complicità in casi di abusi su minori. Dopo mesi di denunce di violenze sessuali, consumate all’interno di strutture educative cattoliche ora il sospetto raggiunge anche colui che si è fatto portavoce del cambiamento e della lotta contro la pedofilia.
L’apertura dell’inchiesta è stata confermata ieri dal procuratore capo di Friburgo, Wolfgang Maier, dopo che era stata anticipata dalla televisione pubblica ARD. La procedura è stata avviata in seguito alla denuncia di un cittadino, presentata a fine maggio, in cui si accusa Zollitsch di aver fatto assumere nel 1987 come referente un sacerdote, i cui abusi sessuali e tendenze pedofile erano gia state ampiamente documentate. I fatti si sarebbero verificati nella cittadina di Birnau, nei pressi di Costanza. All’epoca Zollitsch era responsabile del personale presso l’arcidiocesi di Friburgo. La presunta vittima del sacerdote accusa l’arcidiocesi di avere di fatto nascosto coscientemente un pedofilo.
LA RICHIESTA DI PERDONO
Lo scorso mese di marzo Zollitsch, in seguito allo scandalo di abusi che ha investito la Chiesa del paese, ha chiesto perdono alle vittime per i crimini commessi da alcuni sacerdoti tedeschi. La sua richiesta di perdono arrivava dopo una riunione in Vaticano con Papa Benedetto XVI. Allo stesso modo Zollitsch aveva assicurato, dopo la riunione con il Pontefice, che questi lo aveva spronato ad adottare misure efficaci per affrontare lo scandalo. In una sorta di dichiarazione d’intenti Zollitsch aveva promesso assistenza alle vittime, perché gli abusi non cadessero mai più nel silenzio, e aveva assicurato collaborazione con la giustizia per andare a fondo nelle denunce.
Sempre Robert Zollitsch, nel suo tentativo di far pulizia, aveva fatto pressione nelle scorse settimane affinché il polemico vescovo di Augsburg, Walter Mixa, si dimettesse perché accusato di aver picchiato numerosi ragazzi quando era ancora prete. Qualche giorno dopo Mixa presentò le dimissioni, che furono accolte da Benedetto XVI.
Come se non bastasse, il presidente della Conferenza Episcopale, partecipa come rappresentante della Chiesa nella tavola rotonda contro gli abusi, organizzata dal Governo di Angela Merkel in seguito allo scandalo. L’Ordinariato della diocesi di Friburgo ha immediatamente respinto come “infondate” le accuse. La procura di Friburgo deve ora stabilire se i fatti in questione possono ancora essere giudicati o sono prescritti.

Legionari, ecco la sentenza del Vaticano "Padre Maciel un uomo senza scrupoli"

La Repubblica 3.5.10
Commissariata la congregazione religiosa dopo la ispezione ordinata da Benedetto XVI. La replica: obbediamo
Legionari, ecco la sentenza del Vaticano "Padre Maciel un uomo senza scrupoli"
La nota della Santa Sede: atti immorali e gravissimi La decisione è inappellabile

TORINO - Commissariati e sottoposti alla nomina di un delegato papale dotato di pieni poteri. Il pugno di Ratzinger, che tenero nei loro confronti non era mai stato anche quando dirigeva il Sant´Uffizio, si è abbattuto sui Legionari di Cristo. Travolti, ha detto Benedetto XVI in una nota diramata il primo maggio, dai comportamenti «gravissimi e obiettivamente immorali» del loro fondatore, lo scomparso Marcial Maciel Degollado, accusato di aver compiuto «veri delitti» e condotto «una vita priva di scrupoli». Un criminale, dunque, secondo il giudizio del Vaticano.
Inebetiti dalle parole inequivocabili del Papa, e da una condanna durissima capace adesso di portare alla rifondazione del movimento, i Legionari non hanno opposto obiezioni. Hanno espresso gratitudine al Pontefice per «la paterna sollecitudine nei confronti della Congregazione», dicendosi pronti ad accogliere le sue indicazioni «con obbedienza».
Quello dei Legionari è il secondo commissariamento in epoca moderna deciso da un Papa verso un gruppo religioso. Nel 1981 il Vaticano applicò lo stesso provvedimento con i gesuiti, dopo gli sbandamenti riscontrati nel periodo della teologia della liberazione. Allora Wojtyla indicò padre Paolo Dezza - un gesuita - come suo delegato. Questa volta sembra però esclusa la scelta di un legionario. Alcune indiscrezioni convergono sul nome del cardinale portoghese Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei santi.
È terminata così la lunga ispezione del Vaticano sul potente ordine religioso nato in Messico a metà del secolo scorso, composto da migliaia di sacerdoti, con oltre cento case madri e decine di università. Con il documento papale la Santa Sede ha infine annunciato le decisioni del Pontefice, la cui scelta finale era molto attesa, una volta finite le visite dei cinque ispettori incaricati.
I presuli - l´arcivescovo di Valladolid, Ricardo Blazquez Perez, quello di Denver, Charles Joseph Chaput, di Concepcion, Ricardo Ezzati Andrello, di Alessandria, Giuseppe Versaldi, di Tepic, Ricardo Watty Urquidi - hanno svolto il loro compito con grande cura. Hanno ascoltato personalmente più di 1.000 Legionari, vagliato centinaia di testimonianze scritte, visitato quasi tutte le case religiose dirette dalla Congregazione, annotato il giudizio di molti vescovi diocesani dei Paesi in cui il gruppo opera, ricevuto corrispondenza da parte di laici aderenti al movimento. Hanno poi stilato singolarmente i loro rapporti e, pur nelle differenze di approccio, sono giunti, spiega la nota, «a una valutazione ampiamente convergente e ad un giudizio condiviso». Venerdì scorso si sono riuniti con il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e alcuni capi dicastero della Curia romana.
La decisione del Papa, giunta sabato, è inappellabile. Maciel aveva avuto di nascosto figli in almeno due Paesi diversi, da donne diverse, ed era accusato di stupro e violenza. Joseph Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, l´ex Sant´Uffizio, aveva inutilmente tentato di processarlo. Di recente alcuni media americani hanno accusato Papa Wojtyla di aver coperto lo spregiudicato prelato messicano, e l´ex segretario di Stato, Angelo Sodano, di averlo sostenuto. Maciel si è sempre proclamato innocente, fino a quando morì, negli Stati Uniti, nel 2008.
(m. ans.)

Bertone assolve il prete pedofilo

il Fatto 4.5.10
Bertone assolve il prete pedofilo
Il segretario di Stato: “La Chiesa non deve nascondere i suoi peccati”. Poi difende chi lo fa
di Andrea Gagliarducci

“Le risposte che padre Maciel dà durante l’intervista sono profonde e semplici e hanno la franchezza di chi vive la sua missione nel mondo e nella Chiesa con lo sguardo e con il cuore fissi in Cristo Gesù”. Lo scrive il cardinal Tarcisio Bertone, nella prefazione al libro intervista su Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, uomo dalla doppia vita (almeno due donne e un figlio riconosciuto, senza contare gli abusi). Il titolo: “La mia vita è Cristo” (Edizioni Art). La versione italiana, quella con la prefazione di Bertone, è del 2004. L’originale in spagnolo viene edito nel
2003.
L’INDAGINE. Il 2003 segna un momento difficile per i Legionari di Cristo: le accuse contro il loro fondatore Marcial Maciel Degollado stanno per portare ad una indagine della Congregazione per la Dottrina della Fede (Cdf). La prima dopo quella degli anni Cinquanta, alla quale Maciel scampò con fortuna e furbizia. Un’indagine che si preannuncia senza sconti: da anni, Joseph Ratzinger, prefetto della Cdf, ha sul tavolo il dossier inviato da otto ex Legionari, capeggiati da José Barba-Matin, che hanno anche pubblicato le loro denunce sull’Hartford Courant, un quotidiano del Connecticut (Stati Uniti), nel 1997. L’indagine, però, non decolla, pare che le resistenze interne siano molte, si appurerà poi (come testimonia l’ultima inchiesta del National Catholic Reporter) che Maciel ha costruito intorno a sé una rete di protezioni importanti, formata con il denaro e basata sul ricatto reciproco, che parte dal Messico e arriva su, fino alle alte sfere vaticane. Ma nel 2002, Barba-Matìn va a Ginevra, al Comitato per le Nazioni Unite per l’Infanzia e la Gioventù, e si prepara per la denuncia della Santa Sede all’Onu, se questa si rifiuta ancora di processare padre Maciel.
L’INTERVISTA. È nel periodo tra quest’ultima mossa e l’avvio dell’indagine della Chiesa che Marcial Maciel gioca le sue ultime carte. E concede una lunga intervista, che diventerà un libro, a Jesùs Colina, fondatore dell’agenzia Zenit e più tardi di H20, agenzia ufficiosa del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Colina è vicino allo “spirito” della Congregazione, un interlocutore privilegiato per Maciel. La versione italiana del libro, nel 2004, ottiene appunto la prefazione di Tarcisio Bertone, allora arcivescovo di Genova, ma prima ancora segretario di Joseph Ratzinger all’ex Sant’Uffizio. Molto probabile che il cardinale conoscesse le accuse che venivano formulate contro Maciel. Dunque, qual è il motivo che spinge il cardinale a scrivere la prefazione ad un libro che potrebbe preannunciarsi scomodo?
OBBEDIRE. A scorrere le pagine del libro, si trovano risposte sul clima che c’era all’interno della Congregazione. Si legge, ad esempio, un passaggio sul tema della maturità affettiva del sacerdote. “Non si può essere ingenui permettendo che i seminaristi si abbandonino ad esperienze affettive incontrollate come se queste non lasciassero segni nella psicologia e nell’emotività dell’uomo, specialmente
del giovane”. E ancora Maciel critica certi seminari post-conciliari che permettono ai seminaristi di avere una vita sociale e vedere ragazze “come qualsiasi altro giovane”. Spiega Maciel (che invece di donne ne vedeva, oltre ad abusare di alcuni seminaristi): “Avvenne che quelli che erano normali si innamorarono di quelle ragazze e si sposarono con loro abbandonando il cammino del sacerdozio. Credo che sia una vera ingiustizia nei confronti di un giovane chiamato da Dio a seguirlo nella vita sacerdotale o religiosa. Grazie a Dio molte di queste deviazioni sono già state corrette”. Maciel crea un ordine fondato sul culto della personalità (la sua) e sull’obbedienza cieca. I Legionari fanno voto di carità e di umiltà, oltre a quelli canonici di pover-
tà, castità e obbedienza,equestobasta per poter fiaccare anche le ultime resistenze psicologiche di ogni Legionario.
LE CALUNNIE.
Ma la vera chicca è la domanda sulle “calunnie” e sugli attacchi subiti. “Non ho voluto perdere un solo minuto della mia vita per difendermi dalle offese, dalle accuse, dalle calunnie, perché ho voluto e voglio sempre usare il breve tempo che Dio mi concede per portare avanti fino all’ultimo minuto il piano di Dio sulla mia vita”. Sono parole che bruciano, alla luce del comunicato della Santa Sede del 1 maggio, stilato al termine dell’incontro tra i visitatori apostolici (cinque vescovi) e Bertone, Rodé, Levada (segretario di Stato, prefetto della Congregazione per gli Istituti Religiosi, prefetto dell’ex Sant’Uffizio). Parole che suscitano moltissimi interrogativi. E’ possibile che Maciel fosse così furbo e gli altri fossero così ingenui da farsi ingannare sulla sua doppia vita? Davvero Maciel “comprava” il consenso, e sviava abilmente commissari ed ispettori delle viste apostoliche? Del resto le prime ispezioni arrivarono subito. Ma allora si pensò ad una offensiva dei massoni messicani, o perlomeno così vennero presentate le accuse. Poi i Legionari diventarono una Congregazione forte e ricca di vocazioni, con una spiritualità conservatrice e con la vivacità della gente messicana. Per anni i Legionari hanno costruito università, scuole e seminari, e accumulato ricchezza. Ma anche molto prestigio: Maciel era al seguito di Giovanni Paolo II durante il viaggio in Messico del 1990. Ci sono, è certo, quelli che hanno creduto nella spiritualità della Congregazione. Ma molti, ai vertici, sapevano. Ora la Congregazione verrà rifondata, già si pensa a un commissario straordinario. Come dice il Vangelo, è tempo che il ventilabro separi la pula dal grano.

venerdì 4 giugno 2010

Gli abusi di Don Marco negati dalla Curia anche ai magistrati

l’Unità 3.6.10
La storia di un gruppo di tredicenni violati da un prete a Pomezia
L’allora vescovo di Albano «impedì» ai Pm di fare luce
Gli abusi di Don Marco negati dalla Curia anche ai magistrati
di Andrea Palladino

«Dopo la nostra seconda denuncia raccontano le vittime il sacerdote fu spostato in un ostello per giovani ad Assisi». Gli investigatori si trovarono davanti a un muro di omertà. E così Don Marco venne sempre «coperto».

Hanno nomi che non puoi dimenticare, che rimangono impressi appena ti stringono la mano, con vigore, guardandoti negli occhi. Sono ragazzi normali, di una normale periferia romana, qualcuno sposato, qualcuno con figli piccoli. Hanno alle spalle anni di paure, di vergogna e di abusi, venuti da un prete che avevano cercato di fermare. Prima rivolgendosi al loro vescovo, nel 1998. Poi al suo successore, nel 2002, che promise l’avvio di un processo ecclesiastico, chiedendo, però, di non denunciare nulla alla giustizia civile. E, dopo altri due anni di silenzio imposto, alla Polizia, perché a quella giustizia ecclesiastica ormai non credevano più.
Oggi ascoltano con rabbia le parole venute dalla massima autorità dei vescovi italiani: «Se vi sono state coperture di abusi sessuali anche in Italia ha spiegato il presidente della Cei Bagnasco qualche giorno fa il giudizio della Chiesa è quello noto: si tratta di una cosa sbagliata». La storia di questo gruppo di ragazzi di Pomezia, alle porte di Roma, mostra, se non bastassero le parole di Bagnasco, come la Chiesa abbia chiuse le porte alla giustizia nei casi di pedofilia. Prima chiedendo il silenzio, poi rifiutando ogni collaborazione con i magistrati che cercavano di ricostruire le responsabilità e le coperture. «Padre Marco raccontano a distanza di anni i ragazzi di Pomezia l’hanno semplicemente spostato dopo la nostra seconda denuncia, mandandolo in un ostello per giovani ad Assisi, lasciando che molti ragazzi continuassero a frequentarlo». Mostrano una foto, che ritrae un prete barbuto, forte padre Marco Agostini mentre concelebra la messa solo un paio di mesi prima degli arresti e quattro anni dopo la loro denuncia fatta davanti all’allora vescovo di Albano laziale Agostino Vallini, oggi cardinale vicario di Roma. Nessuna sospensione a divinis, nessuna condanna.
E’ dal fascicolo del processo, però, che esce il documento che racconta meglio di qualsiasi inchiesta come la chiesa ha evitato, almeno in questo caso, di collaborare con i magistrati. E’ una lettera con la firma autorevole del vescovo di Albano Laziale Marcello Semeraro, succeduto a Vallini nel 2004. La data è del 30 maggio 2006, quando Ratzinger già aveva assunto il nome di Benedetto XVI. Rispondeva alla richiesta arrivata dalla Procura di Velletri che aveva appena ottenuto dal Gip la misura cautelare per padre Marco Agostini di poter avere le informazioni raccolte dalla Curia. Gli investigatori, durante due anni di indagini delicatissime, si erano trovati davanti a un muro di omertà impenetrabile, tanto che altri due sacerdoti, della stessa congregazione del prete accusato di pedofilia, gli Oblati di San Francesco di Sales, erano finiti sotto processo per favoreggiamento.
«Sono spiacente di non poter esaudire la richiesta» è la frase lapidaria di risposta del vescovo di Albano. Motivo? La “disposizione dell’articolo 4, n. 4 dell’accordo che apporta modificazioni al Concordato Lateranense”, ovvero l’accordo stato-chiesa firmato da Bettino Craxi il 18 febbraio 1984. Un accordo che ha fornito il supporto legale per negare ai magistrati le informazioni sui preti pedofili: «Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero», recita la norma firmata nel 1984.
La Procura della Repubblica di Velletri, non si arrese, risposte che se è vero che non c’è l’obbligo, è anche vero che non c’è il divieto, rimettendo tutto nella discrezionalità dei vescovi. Ma nulla è accaduto, gli atti del processo ecclesiastico non sono mai stati forniti.
Oggi paradossalmente il processo rischia di non arrivare nemmeno a conclusione. Padre Marco è morto tragicamente, uccidendosi nella casa della sorella dove stava scontando gli arresti domiciliari. L’unica imputazione rimasta in piedi riguarda un’accusa di favoreggiamento per un sacerdote della sua stessa congregazione, con una prescrizione ormai vicinissima. In questo processo per la prima volta il giudice aveva ammesso la possibilità di agire anche contro la Curia, per una omessa vigilanza. Tutto inutile, probabilmente. Ai ragazzi di Pomezia non resta che dimenticare, senza giustizia.

L’ombra dei Legionari

l’Unità 5.5.10
L’ombra dei Legionari
Come possono crescere sotto uno dei più grandi maniaci del secolo scorso, un delinquente come Maciel Degollado, così tante vocazioni al sacerdozio?
di Filippo Di Giacomo

L a democrazia serve anche alla Chiesa. E come dimostra il recente «Comunicato della Santa Sede» sulla vicenda dei Legionari di Cristo, è una ricetta buona soprattutto per chiarire le pagine più abiette che gli uomini di potere scrivono a danno del popolo di Dio. Dal primo maggio, i sacerdoti e i religiosi che hanno avuto fiducia nel mistificatore messicano Marcial Maciel Degollado, e dei quali «lo zelo sincero» è stato acclarato dalla visita apostolica, vengono riaccolti dentro l’alveo di quella parte del tessuto ecclesiale che regola le vocazioni dei tanti istituti religiosi. Diventano, in pratica, tutti “fondatori” della nuova Legione di Cristo, visto che «la vocazione e quel nucleo di carisma che appartiene ai Legionari di Cristo è loro proprio». Ad ognuno di loro, il Papa affida in modo paritario il compito di «ridefinire il carisma della Congregazione, preservando il nucleo vero, quello della “militia Christi”, che contraddistingue l’azione apostolica e missionaria della Chiesa e che non si identifica con l’efficientismo a qualsiasi costo».
La pratica comunitaria della vita religiosa è una realtà socialmente importante. Storicamente, essa è anche uno dei nuclei fondanti della democrazia moderna, che ha le sue radici nel V secolo, quando i primi ordini religiosi reintroducono (amplificandone la risonanza) nel tessuto sociale della tarda romanità e nei propri meccanismi di autogoverno due grandi principi. Il primo: Qui praefuturus est omnibus, ab omnibus eligatur, colui che deve comandare su tutti deve essere eletto da tutti. L’altro: Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet, ciò che interessa tutti come singoli, deve essere discusso e approvato da tutti.
Il primo assioma giuridico ci viene dalla Roma repubblicana, ma era rimasto schiacciato dai terremoti istituzionali degli ultimi anni della Repubblica e dalle dittature pretoriane dell’Impero. Il secondo è di origine giustinianea e, come il primo, è rivissuto nella Chiesa, nelle abbazie e nei monasteri, con una risonanza ben maggiore di quella che gli era stata conferita dai giuristi romani.
Gli studiosi francesi vedono qui, e non nei rimandi alle prassi democratiche della Grecia e della Roma antiche, e neanche ai Comuni italiani o agli Stati Generali francesi del 1614 e del 1789, la nascita del suffragio universale e della democrazia moderna. Vincono gli istituti religiosi per i seguenti motivi: non ci sono canali che ci dimostrano la trasmissione delle tecniche elettorali greche e romane nell’Occidente medievale. Gli storici non possono provare l’autonomia dei codici elettorali dei Comuni e neanche quelli del 1614 e del 1789. E poiché la generazione spontanea in politica e in diritto non esiste, la logica impone di ricordare che le prassi elettorali e deliberative dei monaci (e anche delle monache) preesistevano agli Stati moderni. Sono pertanto loro le cinghie di trasmissione degli ideali democratici della classicità nelle forme che, man mano, hanno costruito la modernità europea. Persino George Duby ne è sicuro: la “gemma del secolo dei lumi”, il Codice che regolava le elezioni e le decisioni degli Stati Generali del 1789, era stabilito sulla base delle disposizioni canoniche in uso in quell’epoca. E comunque non è il minore dei paradossi della Rivoluzione Francese il fatto che essa attinga buona parte della sua sorgente ideale nella storia degli Ordini che avevano formato tanti suoi futuri capi: gli studiosi d’Oltralpe la pensano quasi tutti così.
Per questo l’altro compito che il Papa ha affidato hai Legionari di Cristo, cioè «la necessità di rivedere l’esercizio dell’autorità, che deve essere congiunta alla verità, per rispettare la coscienza e svilupparsi alla luce del Vangelo come autentico servizio ecclesiale» avrà fatalmente un forte impatto nelle comunità ecclesiali e sociali dove vivono gli ormai ex discepoli di Marcial Maciel. E sarà anche la migliore risposta alla domanda più difficile che si pone in questi giorni: come possono crescere, all’ombra di uno dei più grandi maniaci-compulsivi del secolo scorso, un delinquente chiamato Marcial Maciel Degollado, così tante vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa?
Per il momento, le vicende dei Legionari di Cristo e del loro sciagurato fondatore sembrano essere venute alla luce soprattutto per rassicurare i dubbiosi, quelli che fanno una fatica estrema nel riconoscere nella bulimia di potere e di privilegi che ha colpito il cattolicesimo (specie quello romano e quello vaticano) degli ultimi decenni come qualcosa di evangelicamente motivato. Anche nella Chiesa il diavolo fa le pentole. Poi, è sufficiente che ad essere Papa sia un cristiano sempre più annoverato tra i miti e gli umili di cuore, per far saltare tutti i coperchi.

giovedì 3 giugno 2010

Don Cantini e gli altri: l’elenco della vergogna che fa tremare la Chiesa

l’Unità 3.6.10
Don Cantini e gli altri: l’elenco della vergogna che fa tremare la Chiesa
L’associazione delle vittime conta 130 episodi, la Cei un centinaio: ma la lista considera solo i casi accertati e perseguiti, tanti non fanno neppure denuncia
di Roberto Monteforte

Lo scorso 12 aprile un sacerdote di origini indiane che operava nella diocesi di Teramo è stato arrestato per violenza su di una bambina di 12 anni. I fatti sono accaduti il Natale scorso. Per la rapidità delle indagini è stata essenziale la piena collaborazione con gli inquirenti assicurata dal vescovo della città, monsignor Michele Seccia.
Sono i primi effetti della linea “verità ad ogni costo” indicata da Papa Benedetto XVI nella sua lettera ai cattolici d’Irlanda. Si è chiuso uno dei tanti casi di pedofilia nella Chiesa. Dovrebbero essere circa 130 i casi registrati in Italia, compresi quelli ancora da accertare. È il dato fornito dagli avvocati dell’associazione “Caramella buona”. Il dato ufficiale fornito dal segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata e confermato dal presidente, cardinale Angelo Bagnasco è di cento casi negli ultimi dieci anni giunti all’esame del tribunale canonico. Non si sa però quale sia stato l’esito di questi procedimenti. Il numero è significativo ma accertare l’entità del fenomeno pedofilia nella Chiesa in Italia non è semplice. La realtà è fluida. Vi sono le denunce e i processi all’esame della magistratura ordinaria: i proscioglimenti, i patteggiamenti, i ricorsi in gradi superiore di giudizio. Ma questo crimine odioso lascia il segno nel profondo e non sempre le vittime hanno il coraggio di affrontare un processo. Dicono gli psicologi che hanno bisogno di un lungo periodo per affrontare il trauma subito e poterlo denunciare. Per questo qualsiasi dato numerico molto probabilmente rappresenta solo la punta di un’iceberg di dolore. Quel “Non si arriva alle cento unità su circa 70 mila tra sacerdoti e religiosi” può sino ad un certo punto rassicurare le tante famiglie italiane che affidano i loro figli alle strutture ecclesiastiche. Malgrado la testimonianza di rigore, abnegazione e servizio reso della stragrande maggioranza dei sacerdoti, il dubbio e l’incertezza hanno finito per insinuarsi.
Se sino ad oggi ha prevalso la difesa del “buon nome” dell’istituzione da proteggere dagli scandali e quindi del sacerdote “paternamente protetto” dal suo vescovo, ora è finalmente la condizione della vittima a dover essere per prima considerata. Questo vuole dire che vescovi e “superiori” di religiosi che vengono a conoscenza di abusi sessuali compiuti su minori, anche se non hanno l’obbligo della denuncia, sono tenuti a garantire la massima collaborazione con gli inquirenti, e ad aiutare le vittime e gli stessi autori dei misfatti a sporgere denuncia alle autorità civili. L’invito è anche a riconsiderare comportamenti concreti dei responsabili delle diocesi, sottovalutazioni se non addirittura vere e proprie coperture dei preti “molestatori” spostati in parrocchie dove non erano conosciuti e dove sono tornati a commettere i loro abusi. Vi sono pure stati sacerdoti sotto denuncia “invitati” a ritirarsi in convento. Vi sono case religiose e monasteri per questo, come le strutture di Trento, Padova e di Roma gestite dai Padri Venturini, impegnati al recupero e al sostegno dei sacerdoti in «difficoltà» anche psicologica.
Dal dossier dalle associazioni di scarsa collaborazione con le procure da parte delle diocesi. Ne è testimone diretto e autorevole il magistrato «antipedofilia» Pietro Furno. Nei giorni scorsi ha confermato la denuncia resa già nel luglio 2002 al mensile del Paolini «Jesus». Niente sembra essere cambiato in questi otto anni. «È come la copertura che si registra nelle famiglie incestuose» aveva osservato. Nessuna denuncia, solo spostamenti: è il pericolo che si diffonde.
Che le cose non stiano così lo attestano le cause in corso contro il clero che ha abusato. Con una novità, sulla scia di quanto è accaduto in modo clamoroso negli Usa e in Irlanda , in Germania e in Austria, gli avvocati degli “abusati”, iniziano a porre in modo esplicito il problema del “favoreggiamento” di vescovi e superiori di religiosi che pur sapendo o messi nelle condizioni di sapere, poco hanno fatto per impedire la prosecuzione degli abusi. E’ stato esplicito l’avvocato Marazzita, legale dell’associazione «Caramella buona» che difende i giovani che hanno subito abusi da parte dell’ex parroco di Selva Candida don Ruggero Conti: ha annunciato l’ipotesi di incriminazione nei confronti di monsignor Gino Reali, vescovo di Porto Santa Rufina. È da lui che don Ruggero dipendeva. Il vescovo l’avrebbe «coperto» non prestando grande ascolto alle denuncie. Evasive le sue risposte ai magistrati. Ma questo non è l’unico caso di gerarchie ecclesiastiche chiamate a rispondere. L’avvocato delle vittime di don Marco Agostini, religioso della Congregazione degli Oblati di san Francesco di Sales, ex parroco a Torvajanica e a Pomezia accusato di abusi dal 1993 al 2002, condannato e poi morto suicida, hanno chiamato in causa l’attuale cardinal-vicario alla diocesi di Roma, Agostino Vallini allora vescovo di Albano.
Vi è anche la causa contro la curia di Napoli, per la copertura data a padre Giovanni, accusato di abusi verso minori nel 1999. L’arcivescovo della città era il cardinale Michele Giordano. Lo ha semplicemente spostato di parrocchia, malgrado vi fosse una relazione di specialisti e psichiatri che evidenziavano il rischio che il religioso continuasse a commettere abusi su minori. Non è stato ascoltato l’invito a tenerlo lontano dai bambini. Nel 2002, quando alla guida della curia vi era il cardinale Sepe, è stato nominato cappellano di un ospedale cittadino, con reparto pediatrico...
Ma c’è addirittura il caso del vescovo che arriva a chiedere 200 mila euro di risarcimento per danni alla vittima di abusi, perché la sua denuncia, troppo eclatante e pubblicizzata, avrebbe danneggiato l’immagine della diocesi. Diocesi di Agrigento nel 2000 retta da monsignor Carmelo Ferraro. L’ormai maggiorenne Marco Marchese denuncia di aver subito attenzioni particolari e violenze quando dodicenne frequentava il seminario minore di Favara. Fa il nome del “molestatore”: don Bruno Puleo. Non viene creduto. Il religioso viene condannato e patteggerà la pena. Nel 2006 Marchese avanza la richiesta di risarcimento simbolico verso chi, ignorando le denunce, avrebbe consentito che le molestie continuassero su altri minori. Per risposta la curia della Valle dei Templi fa partire una contro denuncia con richiesta di 200 mila euro per i danni recati all’immagine della Chiesa locale. «Difendere i bambini e non la diocesi» risponde a quello che era il suo vescovo il giovane.
Altro caso, questa volta di solidarietà del vescovo verso il prete condannato: curia di Brescia e don Marco Baresi a cui nel maggio 2009 il tribunale di Brescia infliggerà una condanna di sette anni e mezzo. Dopo la sentenza il vescovo gli esprime solidarietà, gli augura possa dimostrare la sua estraneità ai fatti contestatigli. Ad Aversa, monsignor Mario Milano non si è sentito di esprimere alcuna solidarietà alla vittima degli abusi subiti ad opera di don Marco Cerullo, vice parroco a Casal di Principe, colto in flagranza di reato e non pare abbia aperto alcun procedimento canonico nei confronti del sacerdote.
CASI ECLATANTI
Ma vi sono pure i casi eclatanti nella loro aberrazione come quello denunciato all’Istituto per sordomuti «Antonio Provolo» di Verona, gestito dai religiosi della congregazione della Compagnia di Maria. Tra gli anni 50 alla metà degli anni 80 sarebbe stato teatro di centinaia di abusi. Il reato è prescritto, ma gli autori degli abusi preti e laici sarebbero ancora lì. Le vittime hanno chiesto al vescovo di Verona, monsignor Giuseppe Zenti il loro allontanamento. Non hanno ottenuto risposta. “Ai tempi non presentarono alcuna denuncia circostanziata – è la risposta ma soli fatti generici”.
Più noto è il caso del fiorentino don Lelio Cantini, fino al 2005 parroco della Regina della Pace, che abusò per anni (dal 1973 al 1987) di ragazzine della sua parrocchia.
Ma solo dopo le ripetute denunce delle vittime nel 2007, malgrado la copertura della curia fiorentina dell’arcivescovo Antonelli e soprattutto del vescovo ausiliare monsignor Claudio Maniago, nell’ottobre 2008, oramai 85enne ,viene ridotto allo stato laicale con «l’obbligo di dimora vigilata in spirito di preghiera e penitenza». Contro l’ex prete era stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Firenze.
Altro caso: don Giorgio Carli condannato a 7 anni e mezzo e al risarcimento delle vittime. La pena è caduta in prescrizione, ma è rimasto l’obbligo al risarcimento. Considerato innocente dalla sua diocesi don Giorgio non ha subito alcun procedimento canonico e ha continuato a svolgere la sua attività nella valli dell’Alto Adige. Chiede le dimissioni del vescovo di Savona , monsignor Vittorio Lupi, il giovane Francesco Zanardi, uno dei due ragazzi gay che il mese scorso si è “sposato” a Savona. Copertura anche per don Mauro Stefanoni parroco di Laglio (Como),all’epoca dei fatti il suo vescovo era monsignor Alessandro Maggiolini (defunto) e i maggiori collaboratori in diocesi monsignor Oscar Cantoni, ora vescovo di Crema e monsignor Enrico Benetti.
Ogni caso è a sé ma diverso è stato l’atteggiamento di monsignor Gualtiero Bassettii, vescovo di Arezzo nei confronti di don Pierpaolo Bertagna di Cortona (Arezzo), condannato a otto anni per aver molestato 38 bambini: lo ha sospeso a divinis. Il fondatore della Comunità Incontro di Amelia, Pierino Gelmini la riduzione alla condizione laicale ha dovuto chiederla lui stesso.
L’elenco dei casi di pedofilia, che non vuole dire necessariamente di colpevoli certi, è lungo. In attesa che la Conferenza episcopale renda noto l’elenco dei sacerdoti sottoposti a procedimento canonico con sentenza definitiva e di quelli condannati in modo definitivo dalla magistratura italiana, ci si può limitare a un generico elenco delle diocesi coinvolte negli ultimi anni. Nel 2004 ve ne sono stati a Forlì, Torino, Roma, Varese, Grosseto, Nuoro, Agrigento, Alessandria, Bari e Savona. Nel 2005 a Como, Cuneo,Arezzo e Napoli. L’anno seguente il 2006 a Roma, Ferrara, Lecce. Il resto è cronaca. L’aggiornamento non può che essere costante.