l’Unità 5.5.10
L’ombra dei Legionari
Come possono crescere sotto uno dei più grandi maniaci del secolo scorso, un delinquente come Maciel Degollado, così tante vocazioni al sacerdozio?
di Filippo Di Giacomo
L a democrazia serve anche alla Chiesa. E come dimostra il recente «Comunicato della Santa Sede» sulla vicenda dei Legionari di Cristo, è una ricetta buona soprattutto per chiarire le pagine più abiette che gli uomini di potere scrivono a danno del popolo di Dio. Dal primo maggio, i sacerdoti e i religiosi che hanno avuto fiducia nel mistificatore messicano Marcial Maciel Degollado, e dei quali «lo zelo sincero» è stato acclarato dalla visita apostolica, vengono riaccolti dentro l’alveo di quella parte del tessuto ecclesiale che regola le vocazioni dei tanti istituti religiosi. Diventano, in pratica, tutti “fondatori” della nuova Legione di Cristo, visto che «la vocazione e quel nucleo di carisma che appartiene ai Legionari di Cristo è loro proprio». Ad ognuno di loro, il Papa affida in modo paritario il compito di «ridefinire il carisma della Congregazione, preservando il nucleo vero, quello della “militia Christi”, che contraddistingue l’azione apostolica e missionaria della Chiesa e che non si identifica con l’efficientismo a qualsiasi costo».
La pratica comunitaria della vita religiosa è una realtà socialmente importante. Storicamente, essa è anche uno dei nuclei fondanti della democrazia moderna, che ha le sue radici nel V secolo, quando i primi ordini religiosi reintroducono (amplificandone la risonanza) nel tessuto sociale della tarda romanità e nei propri meccanismi di autogoverno due grandi principi. Il primo: Qui praefuturus est omnibus, ab omnibus eligatur, colui che deve comandare su tutti deve essere eletto da tutti. L’altro: Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet, ciò che interessa tutti come singoli, deve essere discusso e approvato da tutti.
Il primo assioma giuridico ci viene dalla Roma repubblicana, ma era rimasto schiacciato dai terremoti istituzionali degli ultimi anni della Repubblica e dalle dittature pretoriane dell’Impero. Il secondo è di origine giustinianea e, come il primo, è rivissuto nella Chiesa, nelle abbazie e nei monasteri, con una risonanza ben maggiore di quella che gli era stata conferita dai giuristi romani.
Gli studiosi francesi vedono qui, e non nei rimandi alle prassi democratiche della Grecia e della Roma antiche, e neanche ai Comuni italiani o agli Stati Generali francesi del 1614 e del 1789, la nascita del suffragio universale e della democrazia moderna. Vincono gli istituti religiosi per i seguenti motivi: non ci sono canali che ci dimostrano la trasmissione delle tecniche elettorali greche e romane nell’Occidente medievale. Gli storici non possono provare l’autonomia dei codici elettorali dei Comuni e neanche quelli del 1614 e del 1789. E poiché la generazione spontanea in politica e in diritto non esiste, la logica impone di ricordare che le prassi elettorali e deliberative dei monaci (e anche delle monache) preesistevano agli Stati moderni. Sono pertanto loro le cinghie di trasmissione degli ideali democratici della classicità nelle forme che, man mano, hanno costruito la modernità europea. Persino George Duby ne è sicuro: la “gemma del secolo dei lumi”, il Codice che regolava le elezioni e le decisioni degli Stati Generali del 1789, era stabilito sulla base delle disposizioni canoniche in uso in quell’epoca. E comunque non è il minore dei paradossi della Rivoluzione Francese il fatto che essa attinga buona parte della sua sorgente ideale nella storia degli Ordini che avevano formato tanti suoi futuri capi: gli studiosi d’Oltralpe la pensano quasi tutti così.
Per questo l’altro compito che il Papa ha affidato hai Legionari di Cristo, cioè «la necessità di rivedere l’esercizio dell’autorità, che deve essere congiunta alla verità, per rispettare la coscienza e svilupparsi alla luce del Vangelo come autentico servizio ecclesiale» avrà fatalmente un forte impatto nelle comunità ecclesiali e sociali dove vivono gli ormai ex discepoli di Marcial Maciel. E sarà anche la migliore risposta alla domanda più difficile che si pone in questi giorni: come possono crescere, all’ombra di uno dei più grandi maniaci-compulsivi del secolo scorso, un delinquente chiamato Marcial Maciel Degollado, così tante vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa?
Per il momento, le vicende dei Legionari di Cristo e del loro sciagurato fondatore sembrano essere venute alla luce soprattutto per rassicurare i dubbiosi, quelli che fanno una fatica estrema nel riconoscere nella bulimia di potere e di privilegi che ha colpito il cattolicesimo (specie quello romano e quello vaticano) degli ultimi decenni come qualcosa di evangelicamente motivato. Anche nella Chiesa il diavolo fa le pentole. Poi, è sufficiente che ad essere Papa sia un cristiano sempre più annoverato tra i miti e gli umili di cuore, per far saltare tutti i coperchi.
L’ombra dei Legionari
Come possono crescere sotto uno dei più grandi maniaci del secolo scorso, un delinquente come Maciel Degollado, così tante vocazioni al sacerdozio?
di Filippo Di Giacomo
L a democrazia serve anche alla Chiesa. E come dimostra il recente «Comunicato della Santa Sede» sulla vicenda dei Legionari di Cristo, è una ricetta buona soprattutto per chiarire le pagine più abiette che gli uomini di potere scrivono a danno del popolo di Dio. Dal primo maggio, i sacerdoti e i religiosi che hanno avuto fiducia nel mistificatore messicano Marcial Maciel Degollado, e dei quali «lo zelo sincero» è stato acclarato dalla visita apostolica, vengono riaccolti dentro l’alveo di quella parte del tessuto ecclesiale che regola le vocazioni dei tanti istituti religiosi. Diventano, in pratica, tutti “fondatori” della nuova Legione di Cristo, visto che «la vocazione e quel nucleo di carisma che appartiene ai Legionari di Cristo è loro proprio». Ad ognuno di loro, il Papa affida in modo paritario il compito di «ridefinire il carisma della Congregazione, preservando il nucleo vero, quello della “militia Christi”, che contraddistingue l’azione apostolica e missionaria della Chiesa e che non si identifica con l’efficientismo a qualsiasi costo».
La pratica comunitaria della vita religiosa è una realtà socialmente importante. Storicamente, essa è anche uno dei nuclei fondanti della democrazia moderna, che ha le sue radici nel V secolo, quando i primi ordini religiosi reintroducono (amplificandone la risonanza) nel tessuto sociale della tarda romanità e nei propri meccanismi di autogoverno due grandi principi. Il primo: Qui praefuturus est omnibus, ab omnibus eligatur, colui che deve comandare su tutti deve essere eletto da tutti. L’altro: Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet, ciò che interessa tutti come singoli, deve essere discusso e approvato da tutti.
Il primo assioma giuridico ci viene dalla Roma repubblicana, ma era rimasto schiacciato dai terremoti istituzionali degli ultimi anni della Repubblica e dalle dittature pretoriane dell’Impero. Il secondo è di origine giustinianea e, come il primo, è rivissuto nella Chiesa, nelle abbazie e nei monasteri, con una risonanza ben maggiore di quella che gli era stata conferita dai giuristi romani.
Gli studiosi francesi vedono qui, e non nei rimandi alle prassi democratiche della Grecia e della Roma antiche, e neanche ai Comuni italiani o agli Stati Generali francesi del 1614 e del 1789, la nascita del suffragio universale e della democrazia moderna. Vincono gli istituti religiosi per i seguenti motivi: non ci sono canali che ci dimostrano la trasmissione delle tecniche elettorali greche e romane nell’Occidente medievale. Gli storici non possono provare l’autonomia dei codici elettorali dei Comuni e neanche quelli del 1614 e del 1789. E poiché la generazione spontanea in politica e in diritto non esiste, la logica impone di ricordare che le prassi elettorali e deliberative dei monaci (e anche delle monache) preesistevano agli Stati moderni. Sono pertanto loro le cinghie di trasmissione degli ideali democratici della classicità nelle forme che, man mano, hanno costruito la modernità europea. Persino George Duby ne è sicuro: la “gemma del secolo dei lumi”, il Codice che regolava le elezioni e le decisioni degli Stati Generali del 1789, era stabilito sulla base delle disposizioni canoniche in uso in quell’epoca. E comunque non è il minore dei paradossi della Rivoluzione Francese il fatto che essa attinga buona parte della sua sorgente ideale nella storia degli Ordini che avevano formato tanti suoi futuri capi: gli studiosi d’Oltralpe la pensano quasi tutti così.
Per questo l’altro compito che il Papa ha affidato hai Legionari di Cristo, cioè «la necessità di rivedere l’esercizio dell’autorità, che deve essere congiunta alla verità, per rispettare la coscienza e svilupparsi alla luce del Vangelo come autentico servizio ecclesiale» avrà fatalmente un forte impatto nelle comunità ecclesiali e sociali dove vivono gli ormai ex discepoli di Marcial Maciel. E sarà anche la migliore risposta alla domanda più difficile che si pone in questi giorni: come possono crescere, all’ombra di uno dei più grandi maniaci-compulsivi del secolo scorso, un delinquente chiamato Marcial Maciel Degollado, così tante vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa?
Per il momento, le vicende dei Legionari di Cristo e del loro sciagurato fondatore sembrano essere venute alla luce soprattutto per rassicurare i dubbiosi, quelli che fanno una fatica estrema nel riconoscere nella bulimia di potere e di privilegi che ha colpito il cattolicesimo (specie quello romano e quello vaticano) degli ultimi decenni come qualcosa di evangelicamente motivato. Anche nella Chiesa il diavolo fa le pentole. Poi, è sufficiente che ad essere Papa sia un cristiano sempre più annoverato tra i miti e gli umili di cuore, per far saltare tutti i coperchi.