lunedì 31 agosto 2009

Aborto. Altro che moratoria, in gioco sono i diritti

l’Unità 31.8.09
Aborto. Altro che moratoria, in gioco sono i diritti
di Carlo Flamigni

L’aula della Camera ha approvato una mozione che impegna il Governo a farsi promotore presso le Nazioni Unite di una risoluzione che condanni l’uso dell’aborto come strumento demografico e come strumento di una «nuova eugenetica», promuovendo una «moratoria». Il buon senso mi impone di considerare questa richiesta come un ennesimo tentativo, tortuoso e ingenuo, di rinnovare l’ormai stanco assalto alla legge 194, quella che in Italia regolamenta le interruzioni volontarie della gravidanza.
In verità, i primi a criticare questa nuova forma di provocazione sono stati alcuni riflessivi cattolici italiani: «Il voto del Parlamento non scalfisce nemmeno il bunker di idee sbagliate intorno all’aborto, anzi le accetta e le assume come piattaforma comune di dialogo e di confronto... questo voto può trasformarsi addirittura in un colossale autogol... [in quanto dà per scontata] l’idea che il diritto di aborto sia indiscutibile, e che si possa soltanto garantire la “libertà della donna di non abortire”» (Verità e Vita, comunicato 76).
Questa mozione dimostra comunque alcune cose, che elenco: 1) i parlamentari italiani (ne sutor supra crepidam!) sanno poco di queste cose: il vero dramma di molti Paesi che non fanno parte delle nazioni canaglia, quelle che hanno approvato leggi sull’aborto volontario, è il cosiddetto «controllo mestruale», che sfugge a ogni regola e a ogni norma; in altri comincia a prevalere l’uso di farmaci (che, al contrario di quanto accadrà con la pillola abortiva, si trovano già in farmacia anche in Italia); 2) nel nostro Paese l’interruzione della gravidanza non viene utilizzata come metodologia contraccettiva dalla stragrande maggioranza della donne (gli aborti ripetuti sono il 38% per le donne straniere e il 21% per le italiane, uno dei dati più bassi del mondo); 3) sempre nel nostro Paese la maggior parte delle donne pensa all’interruzione di gravidanza come a una scelta difficile, nella quale occorre cimentare la propria coscienza, ma anche come a un diritto; sempre da noi, l’idea di eugenetica che la gente si è fatta non ha niente a che fare con il desiderio di avere figli sani e normali.
Chiunque voglia parlare ancora di «moratoria» dovrà prima ragionare su altre, essenziali «interruzioni a tempo indeterminato»: dovrà chiedere una moratoria sulla violenza sulle donne, sulla ingiustizia sociale, sulla mancanza di cultura e di educazione sessuale, sulla protervia di tanti maschi, sulla discriminazione. L’elenco è molto lungo, lo dovrete completare voi.
Buon lavoro.

sabato 29 agosto 2009

Quali spazi per gli atei?

il Riformista 29.8.09
Quali spazi per gli atei?
di Marco Bertinatti

Dopo aver letto l'ultimo editoriale di Marcello Sorgi "Tutti cattolici se i laici non parlano", pubblicato su La Stampa, mi sono chiesto se l'autore intendesse fare della sottile ironia o se fosse serio. Nel secondo caso desidererei domandargli quali siano gli spazi riservati ai laici per esprimere la loro opinione. Già la scelta del vocabolo utilizzato per definire chi non ha ricevuto il "dono della fede" è indicativa del suo timore nei confronti di quell'aggettivo maledetto, "ateo", riservato a chi crede solo nella natura e nell'uomo. E se invece fossero i credenti ad avere qualcosa di troppo? Qual'è il rapporto tra lo spazio riservato agli atei per presentare le loro tesi e quello dedicato ai credenti dai mass media? Dal momento che i decimali per scriverlo sono molti, mi limiterò alla mia personale esperienza proprio con il giornale del quale l'autore è stato anche direttore. Essendo per l'appunto ateo, conosco i fondamenti del cristianesimo meglio della maggioranza dei credenti (secondo Mark Twain le Sacre Scritture sono la base per divenire atei) e pertanto mi è naturale evidenziarne le incongruenze correlandole con i fatti di cronaca. Purtroppo con i miei interventi che La Stampa ha rifiutato di pubblicare potrei realizzare un intero volume. Questa mia esperienza è condivisa da tanti altri che, come me, sono riusciti a liberarsi dal "dono della fede" e desidererebbero confrontarsi con chi non ci è ancora riuscito. Senza questo "dono" il mondo sarebbe certamente un posto migliore in cui vivere (con meno guerre e meno tasse) e questa opinione viene condivisa dalle più brillanti menti, passate e presenti, dell'umanità. Pensieri pericolosi, meglio lasciarli sepolti in quei libri che pochi ormai leggono e che mai troveranno spazio in quell'elettrodomestico che crea le nostre opinioni e dirige la nostra vita.

Aborto, Ru486 negli ospedali dal 15 ottobre

La Repubblica 29.8.09
L’Aifa replica al governo: indietro non si torna. Il 30 settembre il via libera definitivo alla pillola
Aborto, Ru486 negli ospedali dal 15 ottobre
di Michele Bocci

ROMA - A metà ottobre la Ru486 arriverà negli ospedali italiani. Intorno al 15 infatti dovrebbe esserci la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della delibera Aifa sulla pillola abortiva. La trasmissione dell´atto avverrà dopo la riunione del Cda dell´Agenzia per il farmaco che si terrà il 30 settembre e durante la quale sarà riletto il testo già approvato a luglio. Non si torna più indietro: lo sottolineano dall´Aifa. «Abbiamo regolamentato l´utilizzo del farmaco che in alcune regioni si stava già usando - è scritto in un comunicato - L´autorizzazione, fatti i debiti passaggi, è stata un atto dovuto, vista la normativa sul mutuo riconoscimento». Più netto Giovanni Bissoni, assessore alla salute dell´Emilia Romagna e membro del Cda: «L´Aifa ha finito il suo lavoro, non si può discutere la decisione di un organo tecnico. Semmai lo Stato-Regioni potrà lavorare su linee guida sull´utilizzo del farmaco».
Si tratta di risposte alle polemiche sulla pillola abortiva rinfocolatesi di recente, e partite dalla proposta del capogruppo Pdl in Senato Maurizio Gasparri di una inchiesta parlamentare per valutare gli effetti della Ru486 in riferimento alla 194. Tale attività, dicono i tecnici, non impedirà la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, data per scontata anche da Sergio Dompé, presidente Farmindustria: «L´autorizzazione dell´Aifa è stata doverosa - dice - altrimenti chiunque avrebbe potuto fare causa al servizio sanitario nazionale per non averla messa a disposizione. Si tratta di un farmaco usato altrove da anni».
L´Aifa ieri ha riassunto gli effetti della sua decisione. Tra l´altro diventerà illegale prescrivere la pillola fuori dalla 194, si potrà utilizzare entro 49 giorni dall´inizio della gravidanza e non più entro 63, il medico avrà una possibilità di scelta in più, verranno segnalate tutte le complicanze. l´Aifa non cita più il ricovero. A luglio si disse dell´obbligo di 3 giorni in ospedale. Oggi si parla di «maggiore sicurezza della donna, grazie al percorso in ambiente sanitario protetto e ad uno stretto monitoraggio».
Ieri Gasparri ha ribadito la necessità di una inchiesta. Il tema provoca una polemica interna al Pd. Dorina Bianchi, capogruppo del partito in commissione sanità al Senato contesta la contrarietà all´indagine di Livia Turco: «Ci sorprende che la sua pur autorevole posizione sia registrata come quella dell´opposizione e del Pd. Io non sarei contraria a tale indagine». Cesare Cursi, senatore responsabile salute del Pdl, spiega che «l´Aifa ha fatto un passaggio tecnico dovuto. Ma ognuno ha il diritto di chiedersi se il farmaco è dannoso e ogni iniziativa parlamentare o scientifica è utile».

giovedì 27 agosto 2009

Ora di religione, la sentenza del Tar è una vittoria. La laicità non ha aggettivi

Liberazione 25,8.09
Ora di religione, la sentenza del Tar è una vittoria. La laicità non ha aggettivi
Laboratorio di Etica laica Firenze

E' indubbio che la sentenza del Tar del Lazio rappresenta una vittoria laica di notevole importanza.
Ma occorre anche affermare, mentre si esprime soddisfazione per questo successo, che si tratta solo di una tappa su un percorso ancora in gran parte da compiere.
La sudditanza al Vaticano della gran parte della politica, di quella politica che dovrebbe essere il primo punto di riferimento a garanzia della laicità delle istituzioni pubbliche, rimane un pericolo costante per la vita democratica del nostro Paese. Lo dimostrano il pronto ricorso al Consiglio di Stato, contro la sentenza, effettuato dalla ministra Gelmini, come suggerito dal rappresentante della Cei, le reazioni becere degli esponenti della destra, i confusi, e contrastanti, pronunciamenti del maggiore partito di opposizione in ambito parlamentare. 
Risulta, di conseguenza, sempre più necessario prendere coscienza del fatto che quando viene meno la laicità è la democrazia stessa ad entrare in crisi.
Soffermiamoci allora un momento sui motivi che hanno portato alla sentenza del Tar del Lazio.
E' stata la mobilitazione di tante associazioni, laiche e religiose (a partire dalla Consulta romana per la Laicità delle Istituzioni e dalla Associazione per la Scuola della Repubblica), di gruppi, di singole cittadine e singoli cittadini, che si è tradotta in numerosi ricorsi, a suscitare dibattito, a rimettere in discussione una decisione bipartisan (condivisa, cioè, da governi di destra e di centro-sinistra), a determinare il risultato a cui siamo giunti.
Si è cominciato così a mettere una zeppa sul cammino, resistibile ma incontrastato a livello politico, che dava corpo e sostanza alla profezia di Piero Calamandrei su come si sarebbe progressivamente annullato in Italia il ruolo della scuola pubblica, lasciando spazio a quella confessionale.
La laicità, e la Costituzione, si difendono, quindi, con l'iniziativa e la lotta che partono dal basso, dalla partecipazione attiva delle cittadine e dei cittadini che possiedono ancora, o riacquistano, fiducia nella possibilità di avere, insieme, la forza per affermare le proprie ragioni.
Come, in un altro campo, hanno dimostrato proprio in questi giorni, con la loro splendida lotta vittoriosa, gli operai della Innse.
Perciò auspichiamo che crescano sul territorio Laboratori e Consulte per la Laicità in grado di presentare piattaforme agli enti locali (sugli spazi per i funerali civili, sui registri dei testamenti biologici, sui diritti di tutte le persone ad avere uguale trattamento da parte dell'anagrafe e di altri uffici pubblici - anche se ciò contrasta con le leggi razziste approvate dal Parlamento - etc.), di promuovere movimenti per il riconoscimento delle coppie di fatto, per difendere la legge 194 e rimettere in discussione quella sulla procreazione medicalmente assistita, per sostenere la piena applicazione della direttiva che permette l'uso della pillola Ru-486, per affermare la legittimità della pillola del giorno dopo, per affrontare alla radice il tema della religione nella scuola, per sviluppare, più in generale, un processo di liberazione da ogni tipo di intolleranza e di fondamentalismo.
Si potrà in tal modo da un lato risvegliare le energie laiche attualmente "in sonno", anche all'interno del mondo cattolico (come sostiene Enzo Mazzi, rivolgendosi ai vescovi: «E' il troppo potere di cui siete rivestiti che impedisce alle vostre parole di essere veicoli del Vangelo»), dall'altro intrecciare fattivamente, a partire dalle realtà di base, le iniziative per i diritti civili con quelle per i diritti sociali. Perché è su entrambi i fronti che oggi nel nostro Paese vanno difesi la Costituzione e la democrazia, mai sotto attacco come in questo momento.
Per dirla con le parole di Stefano Rodotà: «Abbiamo bisogno di chiarezza, di rifiuti di travestimenti, di chiamar le cose con il loro nome. Per questo non è tempo di laicità flebile, timida, devota. E' tempo, pieno e difficile, di laicità senza aggettivi, o, se vogliamo comunque definirla, semplicemente democratica».

"Sul diritto alla vita decide il Parlamento, non il Vaticano"

La Repubblica 27.8.09
Il presidente ospite del Pd a Genova:
"Sul diritto alla vita decide il Parlamento, non il Vaticano"
E il popolo del Pd applaudì l'ex missino
di Goffredo De Marchis

Dal testamento biologico ai diritti dei migranti Gianfranco scalda la Festa
"Mi ha colpito l´applauso quando ho citato la sentenza sulla morte di Giuliani"

Gli applausi, le richieste di autografo, la sala sul molo piena, gli extracomunitari che si fermano ad ascoltarlo seduti un po´ in disparte, il vero compagno Gianfranco Fini.
Storico militante comunista del quartiere Cornigliano, volontario alla friggitoria della Festa democratica, che gli mostra la sua carta d´identità: «Adesso questo nome non mi imbarazza più». Tocca al presidente della Camera frenare l´entusiasmo dicendo all´omonimo, con un sorriso, almeno due cose di destra. «Beh, prima di Fiuggi avrai avuto qualche problema». Poi, rigirando il documento tra le dita: «Hai visto il numero? Comincia con An. Abbiamo qualcos´altro in comune.». La fine della visita di Fini alla kermesse del Pd è uguale all´inizio: accoglienza caldissima, nemmeno l´ombra di una contestazione, scontro ideologico lontano, sepolto, battimani ripetuti e convinti di una platea che accoglie anche elettori del Pdl ma è a larghissima maggioranza democratica. L´attacco alla Lega sull´immigrazione, la posizione ferma contro la legge sul testamento biologico voluta dalla maggioranza, la difesa della laicità, persino l´accenno a una ferita ancora aperta a Genova gradito e applaudito. Tutto piace ai militanti della Festa del nuovo Fini, del "compagno" Fini, quello in abito blu, senza parannanza. «A proposito di G8, come italiano sono soddisfatto che la Corte europea abbia detto in maniera inequivocabile che Placanica ha agito per legittima difesa». Un secondo di silenzio, il ricordo del 2001 che scorre, Carlo Giuliani a terra, le immagini con l´assalto alla camionetta dei Carabinieri. In quei giorni Fini era qui, nella sala operativa delle forze dell´ordine.
Cambia il vento o no nella sala gremita al Porto antico? No. La gente apprezza e Fini risalendo in macchina commenterà: «Mi ha colpito molto quell´applauso». Gli altri momenti a suo favore li aveva messi in conto e non poteva essere diversamente. La sua nettezza sui temi etici i democratici vorrebbero sentirla dai loro leader. Per ora si accontentano delle parole del presidente della Camera. Accanto all´ex presidente del Senato Franco Marini, nel dibattito condotto dal direttore del Tg2 Mario Orfeo, Fini parla così della laicità: «Io non ho il dono della fede, anche se riconosco il grande ruolo della Chiesa, la sua storia, i suoi valori. Ma la contrapposizione su certi argomenti non può essere tra laici e cattolici. Lo sapevano bene due credenti come Elia e Scoppola. Lo scontro c´è solo tra laici e clericali». Lui sta con i primi, deciso a far sì che il testo della legge sul testamento biologico cambi arrivando alla Camera. «Non si tratta di favorire la morte, ma di prendete atto dell´impossibilità di impedirla». E «senza fare crociate contro i cattolici» se qualcuno pensa che «decide il Vaticano e non il Parlamento, io, Costituzione alla mano, dico no».
Fini ripete spesso di voler guardare avanti, che lui «nelle vecchie gabbie di destra e sinistra» non si riconosce più. «Le differenze esistono, ma lo scontro ideologico è finito», sentenzia raccontando le discussioni con la figlia più grande. E´ alle nuove generazioni che bisogna guardare anche quando si parla di immigrazione, di diritto alla cittadinanza. Arrivando a mettere in discussione una parola chiave della destra italiana: patria. «In tutte le lingue europee significa terra dei padri. Ma oggi cosa diciamo ai figli nati qui che hanno genitori nati altrove e vestono le maglie delle nostre nazionali, come Balotelli o i giovani campioni juniores di cricket?». Non sono italiani anche loro? E non sono esseri umani quelli che muoiono nel Mediterraneo o riescono ad arrivare stremati sulle nostre coste? Le risposte della Lega a queste domande «sono superficiali, propagandistiche e vagamente razziste». Marini naturalmente condivide e declina il problema in termini economici: «Andatelo a chiedere alle industrie se non abbiamo bisogno di loro. O alle famiglie con le badanti». Aggiunge Fini: «La Chiesa lancia un messaggio di carattere universale, non fa comizi di periferia. Ma anche i trattati ci impogono di rispettare la dignità dell´uomo». Nessun lassismo «perché la Lega comunque ha colto una questione vera», ma ricette nuove sì. Aiuti ai Paesi poveri, più cooperazione, «minore accondiscendenza con certe dittature», più impegno della parte ricca del mondo. Se poi il Pdl «sui temi dell´immigrazione si limita a produrre la fotocopia dell´originale, alla gente piacerà sempre l´originale, cioè la Lega. Sarebbe il caso di affinare l´approccio». E aggiunge: «Dicono: è colpa di Malta. Mi viene da ridere. Malta è un piccolo Paese dell´Unione europea, che può fare? A Strasburgo piuttosto destra e sinistra lavorino a una soluzione comune».

mercoledì 26 agosto 2009

L’Indice. Dal 1558 al 1966: la Chiesa elenca le letture troppo pericolose...

l’Unità 26.8.09
L’Indice. Dal 1558 al 1966: la Chiesa elenca le letture troppo pericolose...

L’Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum) venne creato nel 1558 dalla Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione (o Sant’Uffizio), sotto Paolo IV. Fu soppresso solo nel 1966. Lo scopo era quello di ostacolare la possibile contaminazione della fede e la corruzione morale attraverso la lettura di scritti il cui contenuto veniva considerato dall’autorità ecclesiastica non corretto sul piano strettamente teologico, se non addirittura immorale. L’elenco, sterminato, comprendeva autori di letteratura, scienza e filosofia, tra i quali Francesco Bacone, Honoré de Balzac, Henri Bergson, George Berkeley, Cartesio, D’Alembert, Daniel Defoe, Denis Diderot, Alexandre Dumas padre e figlio, Gustave Flaubert, Thomas Hobbes, Victor Hugo, David Hume, Immanuel Kant, Jean de La Fontaine, John Locke, Montaigne, Montesquieu, Blaise Pascal, Pierre-Joseph Proudhon, Jean-Jacques Rousseau, George Sand, Spinoza, Stendhal, Voltaire, Émile Zola. Tra gli ultimi ad entrare nella lista sono stati Simone de Beauvoir, André Gide, Jean-Paul Sartre e Alberto Moravia.

sabato 15 agosto 2009

Italia, il Paese dove i Guelfi spopolano e i Ghibellini soffrono di timidezza

Italia, il Paese dove i Guelfi spopolano e i Ghibellini soffrono di timidezza
Mario Ajello
IL Messaggero, 13 agosto 2009

ROMA (13 agosto) - Due guerre a settimana, continuamente, ormai: guelfi contro ghibellini. E’ appena dell’altro giorno lo scontro sulla pillola abortiva, con Gianfranco Fini che ha sostenuto l’incongruità di un dibattito in Parlamento su questa materia, scatenando la ribellione dell’intero Pdl, e ora ci risiamo. Su un altro fronte e con, più o meno, gli stessi protagonisti: guelfi e ghibellini. Appena i secondi mettono il naso fuori dalla loro riserva indiana e battono un colpo - dimostrando di esistere ancora sia pure in misura minoritaria e residuale - vengono subissati, in questo caso sull’ora di religione, dalla strabordante reazione cattolica. Che sente di avere in poppa il vento della neo-modernita nutrita del ”ritorno dei Valori”. «Biechi illuministi!», è il grido dei guelfi contro le sguarnite truppe avversarie. Oppure: «Va fermata la deriva anti-cattolica, relativista e nichilista!». O ancora: «No alla furia del laicismo!».

Una battaglia impari? Osserva uno dei più apprezzati costituzionalisti italiani, Michele Ainis, il cui ultimo libro s’intitola - significativamente - Chiesa padrona (Rizzoli): «Il Vaticano, nei confronti della Repubblica italiana, non sta certo con le mani in mano. Le usa entrambe: una mano aperta, a palma larga, per chiedere quattrini; l’altra mano svolazzante, per suonare ceffoni alla politica». Che se li fa dare.

Dall’esame delle forze in campo, in questa battaglia sulla sentenza relativa ai prof. di religione, emerge chiaramente la super-potenza dei guelfi e la super-debolezza dei ghibellini. Ai quali viene a mancare, soprattutto, il supporto del Pd da sempre diviso sulle materie di fede - al Family Day c’era mezzo partito e l’altro taceva, sui Pacs parlava a favore un quarto di partito e gli altri tre quarti tacevano per paura o aderivano alle posizioni vaticane - e che ieri nel diluvio di dichiarazioni alle agenzie brillava per assenza. Se si escludono le prese di posizioni della teo-dem Binetti, ovviamente anti-Tar, della cattolica Garavaglia, naturalmente al fianco della Cei, dell’anziano Luigi Berlinguer, che cerca invece di dire qualcosa di sinistra, così come Vincenzo Vita.

Ma i due non sono Franceschini né Bersani né Marino - i candidati alle primarie per la segreteria - e l’ultimo dei tre, il chirurgo che basa la sua candidatura su libertà e laicità, ieri stava all’estero e comunque è pronto a prendere la palla al balzo contro i clericali. Anche se ripete spesso: «Quante volte le gerarchie ecclesiastiche mi hanno detto cose molto più coraggiose di quelle che vanno dicendo certi ex Dc». Ovvero, tanti suoi compagni di partito democrat.

E qui siamo, di nuovo, al tema della debolezza dei guelfi e della forza dei ghibellini. I quali quando dicono la loro, come ha fatto ieri Di Pietro, trovano nel proprio partito - e si calcoli che quello dell’ex pm è un partito monocratico in cui vale solo la voce del Capo, su tutti i temi ma evidentemente non su quello religioso - subito una fronda clerical che viene allo scoperto: e nel caso in questione è rappresentata dal parlamentare Pedica, ex democristiano tendenza Folloni (per chi ancora se lo ricorda).

Sul fronte opposto, è plateale la solitudine ghibellina di Fini: dal referendum sulla procreazione assistita al tema di quella che i cattolici chiamano la ”kill pill”, la pastiglia ”omicida” dell’aborto. E se un paladino del presidente della Camera come il siciliano Granata lo segue anche su queste istanze, perfino un suo sodale di ferro come il ministro Ronchi è in queste materie su una linea organica al guelfismo del Pdl e dell’intero governo.

Ieri, mentre il versante laico della politica balbettava o batteva in ritirata, a parte l’indefesso manipolo dei radicali o Beppino Englaro o qualche eretico del centro-destra come Della Vedova o Malan, a contrastare la Cei e l’esercito dei guelfi in tutte le sue tante formazioni - compreso il sindacato dei docenti cattolici e i giuristi cattolici - c’era soltanto l’Anm. Se i magistrati svolgono un ruolo di supplenza della politica anche in materia di religione, verrebbe da dire: non c’è più religione!

mercoledì 12 agosto 2009

Il Tar del Lazio esclude i prof di religione dagli scrutini e dai crediti nella scuola

Il Tar boccia due ordinanze dell’allora ministro Fioroni. I prof di religione non possono partecipare agli scrutini e il loro insegnamento non può concorrere alla formazione del credito. «Violato il principio di laicità».
L'Unità
Il Tar del Lazio esclude i prof di religione dagli scrutini e dai crediti nella scuola
12-08-2009

MASSIMO SOLANI

I professori di religione cattolica non possono partecipare «a pieno titolo» agli scrutini scolastici e l’insegnamento della loro materia non può concorrere alla formazione del credito scolastico per gli esami di maturità. Lo ha stabilito il Tar del Lazio, sentenza numero 7076, che lo scorso 17 luglio ha accolto due ricorsi presentati da alcuni studenti, associazioni di genitori e confessioni religiose non cattoliche contro due ordinanze emanate dall’allora ministro per la Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni prima degli esami di Stato del 2007 e del 2008. Secondo i giudici amministrativi, infatti, «l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione» in contrasto col principio della laicità dello Stato ribadito dalla Corte Costituzionale. Non solo, perché secondo il Tar le ordinanze del ministro Fioroni hanno «portato all’adozione di una disciplina annuale delle modalità organizzative degli scrutini d’esame, che appare aver generato una violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espressione del pensiero».

Dopo aver infatti ricordato il principio della laicità dello Stato quale «garanzia per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale», il tribunale amministrativo ha ricordato che «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico». «Lo Stato - hanno proseguito i giudici - dopo aver sancito il postulato costituzionale dell’assoluta, inviolabile libertà di coscienza nelle questioni religiose, di professione e di pratica di qualsiasi culto “noto”, non può conferire ad una determinata confessione una posizione “dominante” - e quindi una indiscriminata tutela ed un’evidentissima netta poziorità – violando il pluralismo ideologico e religioso che caratterizza indefettibilmente ogni ordinamento democratico moderno».

I RICORSI

E contro la prima ordinanza del ministro Fioroni le associazioni avevano presentato ricorso già nel 2007 ottenendo dal tar una sospensiva poi annullata dal Consiglio di Stato. identico ricorso venne poi presentato l’anno successivo, tanto che il tribunale amministrativo ha deciso di riunificare i due procedimenti nella sentenza del 17 luglio scorso.

Ed un terzo ricorso è stato presentato nei mesi scorsi contro una simile ordinanza riproposta dall’attuale ministro Mariastella Gelmini. ««Rispetto com’è ovvio la sentenza - spiegava ieri Fioroni - Ho tuttavia dato attuazione a un quadro legislativo e a una normativa precedente e vigente». «Ma la scelta di frequentare l’ora di religione - ha ribattuto Angela Nava, presidente del Coordinamento Genitori Democratici (una delle associazioni che hanno presentato il ricorso) - attiene ai convincimenti personali, non può essere misurata come una materia di insegnamento». «Ora - ha commentato Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil - il ministero dovrà garantire piena libertà di scelta». Di «sentenza bizzarra e discriminatoria» frutto di magistrati che sono «teste avulse dalla realtà» ha parlato invece il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri. «È meglio prenderli in giro - ha spiegato - perché se dovessimo prenderli sul serio, ci sarebbe da piangere. È una decisione estemporanea che sarà sicuramente cancellata».

Vittoria laica

In questo nostro Paese sempre più schiacciato tra Papi e Papa, la sentenza del Tar del Lazio che, accogliendo i ricorsi presentati, ha dichiarato che il prof di religione non può partecipare a pieno titolo agli scrutini e che l'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica non può avere determinazioni del credito scolastico, è senza dubbio una piccola grande vittoria laica, che arriva assolutamente inaspettata
Il Manifesto
Vittoria laica
12-08-2009

Giuseppe Caliceti
In questo nostro Paese sempre più schiacciato tra Papi e Papa, la sentenza del Tar del Lazio che, accogliendo i ricorsi presentati, ha dichiarato che il prof di religione non può partecipare a pieno titolo agli scrutini e che l'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica non può avere determinazioni del credito scolastico, è senza dubbio una piccola grande vittoria laica, che arriva assolutamente inaspettata per almeno due motivi.
Primo: perché in Italia agli insegnanti di religione spettano un'attenzione e un trattamento di riguardo imparagonabili a quello dei docenti di tante altre materie. Anche le loro assunzioni, per fare un esempio, risultano più regolari. Forse anche perché per insegnare nella scuola pubblica devono avere il placet del Vaticano, che di fatto li seleziona e li sceglie. Secondo: perché nella nostra scuola, da sempre, anche l'educazione cattolica è considerata materia differente da ogni altra. Nonostante l'Italia sia sempre più un Paese multietnico e nelle nostre classi ci siano studenti di culture e religioni differenti. Basti pensare che il ministro dell'Istruzione Gelmini ha recentemente ordinato di cambiare il giudizio sulle schede di valutazione da discorsivo a numerico per tutte le materie con l'eccezione, appunto, dell'educazione cattolica.
Le parole del Tar del Lazio risultano ancora più sorprendenti di quelle dell'Invalsi, l'Istituto Nazionale della Valutazione Scolastica che qualche giorno fa, con un gioco di prestigio degno di Magamaghella, ha capovolto i risultati ottenuti attraverso i suoi test sottoposti a fine anno agli studenti italiani perché al nord risultavano troppi asini e al sud e al centro troppo pochi. Recita la sentenza: «L'attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato italiano non assicura la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni o per chi dichiara di non professare alcuna religione, in Etica morale pubblica». Le parole sono proprio queste: «Assoluta» e «discriminazione». Più chiaro di così si muore.
Eppure siamo sicuri che nell'Italia spappolata e gongolante di oggi, tutta tette e crisi, tale decisione non passerà certo inosservata. La questione è questa: se i giudici, facendo menzione del principio della laicità dello stato, affermano che «sul piano giuridico un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico», chi potrà dire il contrario senza ledere il principio di laicità? Vedrete che qualcuno ci proverà. Anche se i giudici spiegano a tutti gli italiani, con estrema semplicità e fermezza, che una cosa sarebbe magari l'educazione alla storia delle religioni e un'altra sono invece la professione di fede e l'educazione alla religione cattolica, qualcuno protesterà. Chissà se lo faranno anche i vescovi italiani, che sembrano sempre più insofferenti verso Papi e le politiche simil-razziste della Lega. Sarebbe un peccato.

Inaccettabile l’insegnamento di qualsivoglia confessione religiosa all’interno del sistema di insegnamento pubblico

dal sito radicali.it
Insegnanti di religione. Pontesilli e De Lucia: viva il Tar del Lazio! Inaccettabile l’insegnamento di qualsivoglia confessione religiosa all’interno del sistema di insegnamento pubblico
Monsignor colletti parla di “motivazioni da bieco illuminismo”? Forse si sente più vicino ai biechi talebani…

12 agosto 2009

• Dichiarazione di Carlo Pontesilli, segretario di Anticlericale.net, e di Michele De Lucia, tesoriere di Anticlericale.net e di Radicali italiani

La reazione scomposta, arrogante, livorosa di monsignor Colletti alla sentenza con la quale il Tar del Lazio ha stabilito che “I docenti di religione cattolica non possono partecipare a pieno titolo agli scrutini ed il loro insegnamento non può avere effetti sulla determinazione del credito scolastico” va a tutto onore di chi ha saputo questa volta difendere i cittadini italiani da chi invece vorrebbe tenerli in una sorta di custodia cautelare permanente e decidere al posto loro cosa è giusto o no, cosa si può fare o no, cosa si può leggere o no, cosa è giusto e cosa è sbagliato, quando un rapporto è “lecito” e quando no, quando e come si può avere un figlio e quando e come no, come ci si può curare e come no, per non parlare delle questioni del testamento biologico e dell’eutanasia, rispetto alle quali il Vaticano pretende di decidere anche quanto e per quanto tempo la gente debba soffrire.



In un Paese civile la sentenza del Tar del Lazio potrebbe e dovrebbe essere solo un primo passo verso l’eliminazione dell’insegnamento di qualsivoglia confessione religiosa all’interno del sistema di insegnamento pubblico. Questo è l’impegno e l’obiettivo dei radicali e degli anticlericali.



Ora, a parte il fatto che è tragicomico che i vescovi vogliano essere loro a dare patenti di laicità agli altri (in effetti, un fulgido esempio, questo, di cosa intendano per “laicità”), è davvero “illuminante” un passaggio della dichiarazione di monsignor Colletti, per cui quelle del Tar sarebbero “motivazioni da bieco illuminismo”. Sarà mica che il monsignore si sente più vicino ai biechi talebani?

Ratzinger affronta il santo crack

Ratzinger affronta il santo crack
Luca Kocci
Il Manifesto, 26 luglio 2009
La crisi economica arriva anche Oltretevere, entra nei Sacri palazzi e manda in rosso i conti del Vaticano che registrano perdite per più di 16 milioni di euro a causa di operazioni finanziarie sui mercati internazionali andate in malora. Ci pensano però i portafogli dei fedeli a rabboccare le casse della Santa sede con le offerte del cosiddetto «Obolo di san Pietro» che annullano il disavanzo e risanano il passivo.
I bilanci della Santa Sede e della Città del Vaticano sono stati resi noti lo scorso 4 luglio, al termine della tre giorni di riunione a porte chiuse del Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
Lo Stato Vaticano presenta un deficit di oltre 15 milioni e 300mila euro, secondo quanto riporta il bilancio consuntivo per il 2008 del Governatorato, cioè l'erede del vecchio Stato pontificio, l'organo a cui il papa - che secondo la costituzione vaticana rimane il sovrano assoluto - ha affidato l'esercizio del potere esecutivo: con nove direzioni, sei uffici centrali e 1.894 dipendenti quasi tutti laici amministra il territorio statale e gestisce i servizi, i musei, la gendarmeria e le finanze, tranne lo Ior, la banca vaticana, che è autonomo e saldamente in attivo.
Meno negativo, ma ugualmente in rosso, il bilancio della Santa Sede, cioè il governo centrale della Chiesa cattolica mondiale, che conta 2.732 dipendenti, un migliaio dei quali sono preti e suore, e che comprende tutti gli organismi della Curia romana, l'Amministrazione del patrimonio della Santa Sede (Apsa, che controlla l'enorme quantità di beni mobili e immobili di proprietà vaticana) e i mezzi di comunicazione: nel 2008 ci sono state entrate per poco meno di 254 milioni di euro e uscite per quasi 255 milioni, con un disavanzo di 911mila euro.
A pesare sul bilancio della Santa sede sono le spese per il quotidiano L'Osservatore Romano e per la Radio Vaticana che infatti, per tentare di arginare le perdite, ha aperto le porte alla pubblicità commerciale laica: da un paio di settimane sulle frequenze dell'emittente del papa vanno in onda gli spot dell'Enel che ha acquistato 300 passaggi pubblicitari fino al prossimo 27 settembre. Sono in attivo, invece, la Tipografia vaticana, il Centro televisivo vaticano - che vende in esclusiva alle tv di tutto il mondo le immagini video del papa - e soprattutto la Libreria editrice vaticana (Lev), da qualche anno unica proprietaria «in perpetuo e per tutto il mondo» dei diritti d'autore sui discorsi e sugli scritti del papa (e di tutti i papi dell'ultimo cinquantennio) e dei vari dicasteri della Santa sede.
Un copyright rigidissimo, nel caso di Ratzinger esteso retroattivamente anche a tutte «le opere e gli scritti redatti dallo stesso pontefice prima della sua elevazione alla Cattedra di Pietro», che solo nel 2007 ha fruttato alla Lev, e quindi alla Santa sede, un utile di un milione e 600mila euro (del 2008 non sono stati forniti i dati).
Ma è stata soprattutto la «crisi mondiale economico-finanziaria», come ha spiegato monsignor Velasio De Paolis, presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede, a determinare il passivo complessivo di oltre 16 milioni di euro ufficialmente dichiarato. Ma che in realtà è molto più alto - un servizio del quotidiano La Stampa lo quantifica in 35 milioni di euro - perché è stato mascherato con un'operazione cosmetica degna della migliore finanza creativa: «In conformità con i provvedimenti adottati in via eccezionale da organismi contabili internazionali ed autorità monetarie di diversi Paesi - ha aggiunto De Paolis - si sono applicati criteri di valutazione intesi a evitare la contabilizzazione di potenziali minusvalenze dovute alla fase acuta della crisi economica globale nel settore finanziario, e le relative conseguenze nel risultato finale d'esercizio».
Il Vaticano, cioè, ha avuto perdite assai maggiori per operazioni finanziarie finite male, che però non ha messo a bilancio - come del resto hanno fatto altre società - in attesa di tempi migliori che consentano la rivalutazione delle valute estere e dei titoli crollati. Soprattutto, sembra, dollari e azioni acquistate sui mercati Usa vendendo parte dell'oro contenuto nei forzieri vaticani.
Un vizietto, quello del gioco in borsa, che ha tirato un brutto scherzo anche ai vescovi italiani dal momento che, come riporta il bilancio della Conferenza episcopale (di cui il manifesto ha scritto lo scorso 30 giugno), i «proventi finanziari» della Cei sono scesi dai 33 milioni di euro del 2007 a
meno di 2 milioni nel 2008, con una perdita secca di 31 milioni. E anche in quel caso, spiegava il segretario generale dei vescovi monsignor Mariano Crociata, la colpa era stata della «crisi dei mercati finanziari».
A rimettere le cose in ordine ci hanno pensato i cattolici con le offerte, raccolte in tutto il mondo il 29 giugno (festa dei santi Pietro e Paolo), per l'Obolo di san Pietro, ovvero «l'aiuto economico - si legge nella brochure di presentazione - che i fedeli offrono al Santo padre come segno di adesione alla sollecitudine del successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità». Una tradizione di origine alto-medievale, poi ufficializzata da Pio IX in un'enciclica del 1871 all'indomani della breccia di Porta pia, che nel 2008 ha portato in Vaticano 75 milioni di dollari, cioè circa 54 milioni di euro, 3 milioni di meno del 2007 ma più che sufficienti ad azzerare il decifit della Santa sede e a riportare il bilancio saldamente in attivo.
Su come vengano utilizzati questi soldi vige il più stretto riserbo. Si dice solo che sono destinati «alle opere ecclesiali, alle iniziative umanitarie e di promozione sociale, come anche al sostentamento delle attività della Santa Sede». I più generosi sono stati gli statunitensi, gli italiani e, potenza di papa Ratzinger, i tedeschi.

La finanza fallisce. Solo la parola di dio è solida...

La finanza fallisce. Solo la parola di dio è solida...

Nel servire il Vaticano destra e sinistra sono uguali.

La polemica sulla sentenza del Tar del Lazio che, giustamente, evita di inserire gli insegnanti di religione come aventi titolo nello scrutino degli studenti monta.
Lasciamo perdere il solito e scontato piagnisteo di tutte le gerarchie vaticane. Il connaturale vittimismo di tutte le religioni monoteiste rigurgita alla grande.
L'attuale ministro dell'istruzione Gelmini, del governo di centro-destra, subito si è lanciata nella difesa di quanto imposto dal suo predecessore allo stesso dicastero, il signor Fioroni. Fioroni era il ministro dell'istruzione del governo di centro-sinistra.
A noi non sembra curioso che i due schieramenti siano pronti a difendere le inziative degli avversarsi politici che offrivano privilegi alla chiesa.

martedì 11 agosto 2009

Bocciati i professori di religione

Chi segue questo blog avrà certamente capito che gli insegnanti di religione non li troviamo adatti alla formazione ed all'istruzione dei ragazzi.
Il metodo di selezione, vogliamo chiamarlo così, non può certo essere considerato il migliore al fine di disporre di un corpo docente che possieda i requesiti più idonei all'istruzione.
Com'è possibile dare una formazione ad un ragazzo quando la loro visione del mondo è legata al concetto di abbi fede. Fede intesa come disponibilità ad accettare acriticamente qualsiasi affermazione.
Finalmente una buona notizia: il Tar del Lazio ha detto che gli insegnanti di religione non sono come gli altri insegnanti. Della cosa non dubitavano. La notizia ha avuto anche un discreto spazio sui mass-media. Anche questo un ottimo segnale. Per una volta televisioni e giornali non ci hanno tediato con le dichiarazioni di qualche cardinale, vescovo o prete.
Anche in internet la notizia è stata ampiamente commentata.
Per chi vuole una semplice ricerca, su google news, permetterà di leggere abbondantemente in merito.
Per completezza riporto il link ad un articolo sull'argomento:

Il Tar del Lazio boccia l'ora di religione: «Non deve concorrere ai crediti per la maturità»

domenica 9 agosto 2009

La Chiesa lasci in pace il corpo delle donne

La Chiesa lasci in pace il corpo delle donne

Enzo Mazzi

il manifesto del 05/08/2009

Scomunica, censura, peccato mortale, inferno, dannazione eterna: parole di un altro tempo, anzi di un altro mondo, il tempo della teocrazia, il mondo del dominio del sacro. Quelle minacciose parole sono state usate di nuovo in questi giorni da cardinali e monsignori in relazione al via libera dell'Agenzia del farmaco per la pillola abortiva Ru486. Lo stesso cardinale Bagnasco in una intervista al quotidiano dei vescovi italiani di domenica scorsa ribadisce la scomunica «come medicina in chiave pedagogica» (bontà sua!), per chi compie l'aborto o anche solo collabora, ad esempio, vendendo o somministrando la pillola abortiva. Costa fare affermazioni drastiche e ripeterle ogni volta. Ma lo sgomento è troppo grande. Il potere ecclesiastico amministra le paure che l'uomo e la donna hanno di fronte alle pulsioni della vita e su tale paura e sui sensi di colpa edifica il proprio autoritario paternalismo. Tutti sanno bene quanto ciò sia vero. Manca a molti il coraggio di dirlo apertamente.
Cari «crociati della vita», laici, teologi, prelati e papi, pretendete di sedere in cattedra e di insegnare etica, ma forse è meglio che impariate prima il vocabolario essenziale dell'etica il quale per tanta parte è iscritto nella memoria e nella saggezza secolare delle donne. La Chiesa, nata dal Vangelo, dovrebbe ispirarsi sempre alla «buona notizia» annunciata da testimoni senza potere e rivolta ai poveri. Purtroppo da Costantino in poi si è creata una rovinosa divaricazione. È nata la Chiesa del potere. Nell'epoca della secolarizzazione questa Chiesa, privata ormai degli strumenti politici e culturali che nel Medioevo le assicuravano il dominio globale sulla società, ha individuato una specie di vuoto di spiritualità e di valori etici e lì, in quello spazio non coperto dalla tecnologia, dal mercato e dalla democrazia, hanno costruito il proprio fortino. Quel vuoto lo sentiamo tutti. Ma sentiamo anche che ci sono nell'umanità e in ciascuno di noi le energie per colmarlo e c'è la memoria della saggezza che nei millenni ha accompagnato il cammino umano. Il Vangelo è parte di questa memoria di saggezza, per questo molti cattolici critici verso la Chiesa del potere non rompono i legami per non lasciare che la ricchezza del Vangelo, e della tradizione che lo ha mantenuto vivo nei secoli, sia monopolizzata totalmente dalle gerarchie. È così, in particolare, per la comunità di base.
L'intervento delle gerarchie deprime le energie umane. Ci vogliono eterni bambini o meglio pecore belanti. L'elemento culturale su cui oggi si fonda il paternalismo ecclesiastico è la «verità perenne della natura» di cui la gerarchia avrebbe la chiave. Non c'è niente di tutto questo nel Vangelo. Anzi il Vangelo è un grande messaggio di valorizzazione della creatività dello Spirito che anima costantemente la ricerca umana e la conduce ben oltre la cosiddetta etica naturale codificata. Ed è anche una denuncia forte dei soprusi che provengono dalle cattedre di verità. Gli uomini che stavano lapidando un'adultera erano molto religiosi, si appellavano a Dio creatore e rivelatore e alla sua legge, era Dio stesso che imponeva di considerare l'adulterio un atto contro la verità della natura, la loro mano era mossa dalle cattedre di verità di quel tempo. Gesù li freddò con una frase che dovrebbe freddare anche oggi le gerarchie ecclesiastiche: «Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra, nessuno ti ha condannata, nemmeno io ti condanno».
Come il Sabba fu lo strumento inquisitorio della caccia alle streghe così oggi si usa l'aborto per accendere nuovamente i roghi delle donne. Un passo avanti si è fatto: è sparito il rogo fisico. Ci si contenta di riproporre la condanna penale dell'aborto. Ma il risultato culturale e politico è sempre lo stesso: l'annullamento della soggettività femminile come soluzione finale per il dominio moderno sulla natura e sulle coscienze. La donna che ha potere sulla vita è in sé una concorrente pericolosa di ogni sistema di dominio, non solo di quello religioso. Quando il potere ecclesiastico arriverà a chiedere perdono alle donne di tutti i misfatti compiuti contro le loro coscienze fin dalla più tenera età, contro i loro corpi, i loro uteri, la loro capacità generativa e creativa, allora e solo allora sarà credibile nel suo parlare d'aborto e di difesa della vita. Quando il potere ecclesiastico avrà compiuto una riparazione storica facendo spazio alla visione femminile di Dio, della Bibbia, di Cristo, della fede e della vita della Chiesa, allora potrà intervenire credibilmente sull'etica della vita. Ma in quel momento si sarà dissolto come «potere». Credetemi, sarà un bel giorno. Merita lavorare perché si avvicini.