Ratzinger affronta il santo crack
Luca Kocci
Il Manifesto, 26 luglio 2009
La crisi economica arriva anche Oltretevere, entra nei Sacri palazzi e manda in rosso i conti del Vaticano che registrano perdite per più di 16 milioni di euro a causa di operazioni finanziarie sui mercati internazionali andate in malora. Ci pensano però i portafogli dei fedeli a rabboccare le casse della Santa sede con le offerte del cosiddetto «Obolo di san Pietro» che annullano il disavanzo e risanano il passivo.
I bilanci della Santa Sede e della Città del Vaticano sono stati resi noti lo scorso 4 luglio, al termine della tre giorni di riunione a porte chiuse del Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
Lo Stato Vaticano presenta un deficit di oltre 15 milioni e 300mila euro, secondo quanto riporta il bilancio consuntivo per il 2008 del Governatorato, cioè l'erede del vecchio Stato pontificio, l'organo a cui il papa - che secondo la costituzione vaticana rimane il sovrano assoluto - ha affidato l'esercizio del potere esecutivo: con nove direzioni, sei uffici centrali e 1.894 dipendenti quasi tutti laici amministra il territorio statale e gestisce i servizi, i musei, la gendarmeria e le finanze, tranne lo Ior, la banca vaticana, che è autonomo e saldamente in attivo.
Meno negativo, ma ugualmente in rosso, il bilancio della Santa Sede, cioè il governo centrale della Chiesa cattolica mondiale, che conta 2.732 dipendenti, un migliaio dei quali sono preti e suore, e che comprende tutti gli organismi della Curia romana, l'Amministrazione del patrimonio della Santa Sede (Apsa, che controlla l'enorme quantità di beni mobili e immobili di proprietà vaticana) e i mezzi di comunicazione: nel 2008 ci sono state entrate per poco meno di 254 milioni di euro e uscite per quasi 255 milioni, con un disavanzo di 911mila euro.
A pesare sul bilancio della Santa sede sono le spese per il quotidiano L'Osservatore Romano e per la Radio Vaticana che infatti, per tentare di arginare le perdite, ha aperto le porte alla pubblicità commerciale laica: da un paio di settimane sulle frequenze dell'emittente del papa vanno in onda gli spot dell'Enel che ha acquistato 300 passaggi pubblicitari fino al prossimo 27 settembre. Sono in attivo, invece, la Tipografia vaticana, il Centro televisivo vaticano - che vende in esclusiva alle tv di tutto il mondo le immagini video del papa - e soprattutto la Libreria editrice vaticana (Lev), da qualche anno unica proprietaria «in perpetuo e per tutto il mondo» dei diritti d'autore sui discorsi e sugli scritti del papa (e di tutti i papi dell'ultimo cinquantennio) e dei vari dicasteri della Santa sede.
Un copyright rigidissimo, nel caso di Ratzinger esteso retroattivamente anche a tutte «le opere e gli scritti redatti dallo stesso pontefice prima della sua elevazione alla Cattedra di Pietro», che solo nel 2007 ha fruttato alla Lev, e quindi alla Santa sede, un utile di un milione e 600mila euro (del 2008 non sono stati forniti i dati).
Ma è stata soprattutto la «crisi mondiale economico-finanziaria», come ha spiegato monsignor Velasio De Paolis, presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede, a determinare il passivo complessivo di oltre 16 milioni di euro ufficialmente dichiarato. Ma che in realtà è molto più alto - un servizio del quotidiano La Stampa lo quantifica in 35 milioni di euro - perché è stato mascherato con un'operazione cosmetica degna della migliore finanza creativa: «In conformità con i provvedimenti adottati in via eccezionale da organismi contabili internazionali ed autorità monetarie di diversi Paesi - ha aggiunto De Paolis - si sono applicati criteri di valutazione intesi a evitare la contabilizzazione di potenziali minusvalenze dovute alla fase acuta della crisi economica globale nel settore finanziario, e le relative conseguenze nel risultato finale d'esercizio».
Il Vaticano, cioè, ha avuto perdite assai maggiori per operazioni finanziarie finite male, che però non ha messo a bilancio - come del resto hanno fatto altre società - in attesa di tempi migliori che consentano la rivalutazione delle valute estere e dei titoli crollati. Soprattutto, sembra, dollari e azioni acquistate sui mercati Usa vendendo parte dell'oro contenuto nei forzieri vaticani.
Un vizietto, quello del gioco in borsa, che ha tirato un brutto scherzo anche ai vescovi italiani dal momento che, come riporta il bilancio della Conferenza episcopale (di cui il manifesto ha scritto lo scorso 30 giugno), i «proventi finanziari» della Cei sono scesi dai 33 milioni di euro del 2007 a
meno di 2 milioni nel 2008, con una perdita secca di 31 milioni. E anche in quel caso, spiegava il segretario generale dei vescovi monsignor Mariano Crociata, la colpa era stata della «crisi dei mercati finanziari».
A rimettere le cose in ordine ci hanno pensato i cattolici con le offerte, raccolte in tutto il mondo il 29 giugno (festa dei santi Pietro e Paolo), per l'Obolo di san Pietro, ovvero «l'aiuto economico - si legge nella brochure di presentazione - che i fedeli offrono al Santo padre come segno di adesione alla sollecitudine del successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità». Una tradizione di origine alto-medievale, poi ufficializzata da Pio IX in un'enciclica del 1871 all'indomani della breccia di Porta pia, che nel 2008 ha portato in Vaticano 75 milioni di dollari, cioè circa 54 milioni di euro, 3 milioni di meno del 2007 ma più che sufficienti ad azzerare il decifit della Santa sede e a riportare il bilancio saldamente in attivo.
Su come vengano utilizzati questi soldi vige il più stretto riserbo. Si dice solo che sono destinati «alle opere ecclesiali, alle iniziative umanitarie e di promozione sociale, come anche al sostentamento delle attività della Santa Sede». I più generosi sono stati gli statunitensi, gli italiani e, potenza di papa Ratzinger, i tedeschi.
Luca Kocci
Il Manifesto, 26 luglio 2009
La crisi economica arriva anche Oltretevere, entra nei Sacri palazzi e manda in rosso i conti del Vaticano che registrano perdite per più di 16 milioni di euro a causa di operazioni finanziarie sui mercati internazionali andate in malora. Ci pensano però i portafogli dei fedeli a rabboccare le casse della Santa sede con le offerte del cosiddetto «Obolo di san Pietro» che annullano il disavanzo e risanano il passivo.
I bilanci della Santa Sede e della Città del Vaticano sono stati resi noti lo scorso 4 luglio, al termine della tre giorni di riunione a porte chiuse del Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
Lo Stato Vaticano presenta un deficit di oltre 15 milioni e 300mila euro, secondo quanto riporta il bilancio consuntivo per il 2008 del Governatorato, cioè l'erede del vecchio Stato pontificio, l'organo a cui il papa - che secondo la costituzione vaticana rimane il sovrano assoluto - ha affidato l'esercizio del potere esecutivo: con nove direzioni, sei uffici centrali e 1.894 dipendenti quasi tutti laici amministra il territorio statale e gestisce i servizi, i musei, la gendarmeria e le finanze, tranne lo Ior, la banca vaticana, che è autonomo e saldamente in attivo.
Meno negativo, ma ugualmente in rosso, il bilancio della Santa Sede, cioè il governo centrale della Chiesa cattolica mondiale, che conta 2.732 dipendenti, un migliaio dei quali sono preti e suore, e che comprende tutti gli organismi della Curia romana, l'Amministrazione del patrimonio della Santa Sede (Apsa, che controlla l'enorme quantità di beni mobili e immobili di proprietà vaticana) e i mezzi di comunicazione: nel 2008 ci sono state entrate per poco meno di 254 milioni di euro e uscite per quasi 255 milioni, con un disavanzo di 911mila euro.
A pesare sul bilancio della Santa sede sono le spese per il quotidiano L'Osservatore Romano e per la Radio Vaticana che infatti, per tentare di arginare le perdite, ha aperto le porte alla pubblicità commerciale laica: da un paio di settimane sulle frequenze dell'emittente del papa vanno in onda gli spot dell'Enel che ha acquistato 300 passaggi pubblicitari fino al prossimo 27 settembre. Sono in attivo, invece, la Tipografia vaticana, il Centro televisivo vaticano - che vende in esclusiva alle tv di tutto il mondo le immagini video del papa - e soprattutto la Libreria editrice vaticana (Lev), da qualche anno unica proprietaria «in perpetuo e per tutto il mondo» dei diritti d'autore sui discorsi e sugli scritti del papa (e di tutti i papi dell'ultimo cinquantennio) e dei vari dicasteri della Santa sede.
Un copyright rigidissimo, nel caso di Ratzinger esteso retroattivamente anche a tutte «le opere e gli scritti redatti dallo stesso pontefice prima della sua elevazione alla Cattedra di Pietro», che solo nel 2007 ha fruttato alla Lev, e quindi alla Santa sede, un utile di un milione e 600mila euro (del 2008 non sono stati forniti i dati).
Ma è stata soprattutto la «crisi mondiale economico-finanziaria», come ha spiegato monsignor Velasio De Paolis, presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede, a determinare il passivo complessivo di oltre 16 milioni di euro ufficialmente dichiarato. Ma che in realtà è molto più alto - un servizio del quotidiano La Stampa lo quantifica in 35 milioni di euro - perché è stato mascherato con un'operazione cosmetica degna della migliore finanza creativa: «In conformità con i provvedimenti adottati in via eccezionale da organismi contabili internazionali ed autorità monetarie di diversi Paesi - ha aggiunto De Paolis - si sono applicati criteri di valutazione intesi a evitare la contabilizzazione di potenziali minusvalenze dovute alla fase acuta della crisi economica globale nel settore finanziario, e le relative conseguenze nel risultato finale d'esercizio».
Il Vaticano, cioè, ha avuto perdite assai maggiori per operazioni finanziarie finite male, che però non ha messo a bilancio - come del resto hanno fatto altre società - in attesa di tempi migliori che consentano la rivalutazione delle valute estere e dei titoli crollati. Soprattutto, sembra, dollari e azioni acquistate sui mercati Usa vendendo parte dell'oro contenuto nei forzieri vaticani.
Un vizietto, quello del gioco in borsa, che ha tirato un brutto scherzo anche ai vescovi italiani dal momento che, come riporta il bilancio della Conferenza episcopale (di cui il manifesto ha scritto lo scorso 30 giugno), i «proventi finanziari» della Cei sono scesi dai 33 milioni di euro del 2007 a
meno di 2 milioni nel 2008, con una perdita secca di 31 milioni. E anche in quel caso, spiegava il segretario generale dei vescovi monsignor Mariano Crociata, la colpa era stata della «crisi dei mercati finanziari».
A rimettere le cose in ordine ci hanno pensato i cattolici con le offerte, raccolte in tutto il mondo il 29 giugno (festa dei santi Pietro e Paolo), per l'Obolo di san Pietro, ovvero «l'aiuto economico - si legge nella brochure di presentazione - che i fedeli offrono al Santo padre come segno di adesione alla sollecitudine del successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità». Una tradizione di origine alto-medievale, poi ufficializzata da Pio IX in un'enciclica del 1871 all'indomani della breccia di Porta pia, che nel 2008 ha portato in Vaticano 75 milioni di dollari, cioè circa 54 milioni di euro, 3 milioni di meno del 2007 ma più che sufficienti ad azzerare il decifit della Santa sede e a riportare il bilancio saldamente in attivo.
Su come vengano utilizzati questi soldi vige il più stretto riserbo. Si dice solo che sono destinati «alle opere ecclesiali, alle iniziative umanitarie e di promozione sociale, come anche al sostentamento delle attività della Santa Sede». I più generosi sono stati gli statunitensi, gli italiani e, potenza di papa Ratzinger, i tedeschi.