lunedì 31 dicembre 2007

Un vescovo spagnolo: ci sono ragazzini che provocano i pedofili

l’Unità 31.12.07
Un vescovo spagnolo: ci sono ragazzini che provocano i pedofili
Family day a Madrid: parte la campagna elettorale della Chiesa contro Zapatero
di Franco Mimmi

Ormai apertamente trasformata in un partito politico (di destra, naturalmente), la conferenza episcopale spagnola ha portato una volta di più la gente in piazza per protestare contro il governo di José Luis Zapatero, considerato colpevole, in quanto laico, di dirigere il Paese «alla dissoluzione della democracia».
Lo ha affermato, nel corso della manifestazione «Per la famiglia cristiana» convocata ieri a Madrid, il cardinale Agustín García-Gasco, arcivescovo di Valencia, per il quale «la cultura del laicismo è una frode», che «solo porta alla disperazione per il cammino dell’aborto, del divorzio express e delle ideologie che pretendono di manipolare l’educazione dei giovani». Nulla ha detto, invece, della cultura religiosa del suo collega Bernardo Álvarez, vescovo di Tenerife, il quale, a proposito della pederastia, giorni prima aveva commentato: «Ci possono essere minori che consentono gli abusi, vi sono adolescenti di 13 anni che sono minori e sono del tutto d’accordo e in più lo desiderano, e anzi, se non stai attento, ti provocano».
Migliaia di persone, quasi un milione, sono scese ieri in piazza (con tanto di collegamento tv con il Vaticano per trasmettere l’Angelus) per rispondere all’appello della Chiesa più retriva, che agli ordini del cardinale Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, sta valicando tutti i limiti della convivenza e del rispetto per le idee altrui in vista delle elezioni generali del 9 marzo prossimo. Il grande nemico è il governo di Zapatero, sotto il quale, ha dichiarato Rouco, «l’ordinamento giuridico spagnolo ha fatto marcia indietro rispetto alla Dichiarazione Onu dei diritti umani».
I movimenti cattolici più radicali - dall’Opus Dei ai Legionari di Cristo (il cui fondatore, il sacerdote messicano Marcial Maciel Degollado, fu discretamente allontanato perché accusato di pederastia), dal Movimiento Camino Neocatecumenal ai Voluntarios de Misión – sono il braccio che la Conferenza episcopale arma contro il governo socialista, accusato di «sette peccati capitali»: aborto, divorzio, eutanasia, cellule staminali, matrimonio omosessuale, educazione e finanziamento della Chiesa. Opinioni a parte, nella maggior parte dei casi è pura menzogna. Per esempio, il governo nulla ha cambiato (nè pensa di cambiare, in parole dello stesso Zapatero) della già esistente legge sull’aborto, ma i movimenti antiabortisti sono stati scatenati in una serie di manifestazioni davanti a cliniche dove si pratica l’interruzione di gravidanza. Neppure rientra nel programma del governo una legge sull’eutanasia. E quanto alle «banche» di cellule staminali, che il governo ha voluto non a fini di lucro, la cattolicissima Esperanza Aguirre, presidente della regione Madrid, si è invece preoccupata di favorire la creazione di «banche» private in vista degli affari che ne deriveranno. Insegnamento della religione: è stata soppressa l’obbligatorietà (che il governo di destra di Aznar aveva reintrodotto con una legge più retriva di quella vigente ai tempi del franchismo), ma è rimasta obbligatoria l’offerta della materia, e i 15 mila professori di religione, che l’episcopato sceglie (e a volta licenzia, contro lo statuto dei lavoratori) a suo piacimento, sono pagati dallo Stato. Quanto al finanziamento, il governo ha elevato dallo 0,52 allo 0,70 la quota Irpef che il contribuente cattolico può destinare alla Chiesa.
Insomma: allo stesso modo del Partido popular, votato a una opposizione senza argomenti ma a tutto campo, anche la Chiesa spagnola è avviata verso una pericolosissima radicalizzazione che può portare, questa sì, «alla dissoluzione della democracia». Ovviamente non è tutta la Chiesa, però, come ha detto Carlos García de Andoin, coordinatore di Cristiani Socialisti, «il nucleo più conservatore sta ottenendo la nomina di giovani vescovi neotradizionalisti, e già vi sono prelati della Conferenza episcopale che formano parte di Comunione e Liberazione». Il problema, sottolinea Gregorio Peces-Barba, uno dei padri della Costituzione spagnola del 1978, è che «non accettano la distinzione pubblico-privato che sta nell’articolo 27 della Carta Magna, e nel fondo continuano a pensare come nel XIX secolo, quando dicevano che la libertà di coscienza era un errore pestilente».

domenica 30 dicembre 2007

Il Vaticano: non ci fidiamo di Israele

La Repubblica, 17/11/2007

Il Vaticano: non ci fidiamo di Israele

"Meglio quando non avevamo relazioni diplomatiche".

Protesta dell´ambasciatore

Attacco del nunzio negli Usa Sambi

Scontro sulle esenzioni fiscali in Terrasanta

di MARCO POLITI


CITTA´ DEL VATICANO - Si oscurano i rapporti tra Vaticano e Israele. Il numero uno dei diplomatici vaticani, monsignor Pietro Sambi, denuncia pubblicamente il governo israeliano di malafede per non aver mantenuto gli impegni presi solennemente ben quattordici anni fa: «C´è assenza di volontà politica». E poi un attacco frontale: «Le relazioni tra la Chiesa cattolica e lo Stato di Israele erano migliori, quando non c´erano i rapporti diplomatici».
Sambi non è un nunzio qualsiasi. Rappresenta Benedetto XVI presso l´amministrazione Bush ed è stato ambasciatore in Israele. Viene da una scuola in cui le parole si pesano al milligrammo. La sua ira, condivisa tacitamente in Segreteria di Stato, è dovuta al fatto che dopo la firma dell´Accordo fondamentale tra Santa Sede e Israele nel 1993, c´era l´impegno - firmato - di procedere rapidamente alla definizione dello status giuridico delle istituzioni ecclesiastiche in Terrasanta e delle relative esenzioni fiscali. Firmati dal governo israeliano dell´epoca, i patti non sono mai stati ratificati dalla Knesset né vengono riconosciuti dai tribunali. I lavori di una commissione mista, che doveva portare alla loro realizzazione, si trascinano da anni tra rinvii e improvvise diserzioni da parte israeliana. Una presa in giro.
Così Sambi è andato al cuore della questione: la mancanza di buona fede da parte dei governi israeliani. Ha ricordato che il Vaticano, stabilendo i rapporti diplomatici con Israele, aveva compiuto un «atto di fiducia» e invece non sono state mantenute le «promesse» di regolare le attività concrete della Chiesa cattolica in Terrasanta. Di qui la dura conclusione: «La fiducia non si compra al mercato. Si consolida con il rispetto degli accordi firmati e con la fedeltà alla parola data». Con una chiosa sferzante: «Lo stallo attuale nelle trattative pare misterioso non solo alla Santa Sede, al mondo cristiano e a tanti paesi amici d´Israele, ma anche a molti ebrei, siano essi onorabili cittadini d´Israele o di altri Paesi».
Apparso sul sito della rivista Terrasanta, appartenente ai Francescani di Gerusalemme, cui spetta giuridicamente la «custodia» dei Luoghi Santi, l´attacco del nunzio ha lasciato sbigottito il governo israeliano. Nella serata di ieri il portavoce vaticano padre Lombardi è parso prendere prudentemente le distanze. «Da parte della Santa Sede - ha commentato - si ribadisce l´auspicio, già espresso in occasione della recente visita del presidente Peres al Santo Padre, per una rapida conclusione degli importanti negoziati ancora in corso e per la soluzione di comune accordo dei problemi esistenti».
Ma nel distanziarsi il Vaticano lancia un avvertimento pungente: «L´intervista con monsignor Sambi - spiega Lombardi - riflette il suo pensiero e la sua esperienza personale vissuta nel corso degli anni del suo servizio presso la Delegazione apostolica di Gerusalemme e come nunzio in Israele».
In altre parole, Sambi dà voce alla documentazione raccolta e poiché dopo il servizio in Israele è stato addirittura promosso alla sede diplomatica mondiale nr.1, se ne ricava l´impressione che attraverso di lui il Vaticano lanci un estremo monito alla leadership israeliana perché la smetta con la tecnica inaccettabile del rinvio.
La dichiarazione di Lombardi non è bastata a Israele. L´ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Ben Hur, ha chiesto ieri con urgenza un chiarimento alla Segreteria di Stato. Perché ogni parola di Sambi brucia. Come la critica per le difficoltà frapposte da Israele all´arrivo di personale ecclesiastico cattolico dall´estero: «La ragione spesso fornita da Israele per giustificare le lungaggini è stata la priorità da dare alla sicurezza. Ma la sicurezza, dice la logica, si accresce aumentando il numero dei Paesi amici e diminuendo quello dei nemici».

E l´industria festeggia un nuovo boom Elettrodomestici ortodossi in Israele l´high-tech è kosher

La Repubblica, 24/12/07

Per gli ebrei osservanti, rispettare il riposo del sabato è un precetto di fondamentale importanza Ora, con l´aiuto della tecnologia , tutto diventa più facile.

E l´industria festeggia un nuovo boom Elettrodomestici ortodossi in Israele l´high-tech è kosher

di ALBERTO MATTONE


La macchina che fa il caffè all´ora stabilita senza l´intervento umano, il sistema di allarme che si neutralizza automaticamente nel giorno dedicato a Dio. E anche la penna con l´inchiostro che svanisce dopo 72 ore, per aggirare il divieto di scrivere di sabato. Ecco come vivere felici e osservare lo Shabbat: le meraviglie della tecnologia arrivano in soccorso agli ebrei ortodossi e permettono loro di vivere il giorno del riposo in modo confortevole ma senza infrangere la Legge. La moda dell´elettrodomestico kosher impazza in Israele, e sta contagiando vecchie e nuove generazioni.
Molti israeliani vanno alla riscoperta delle origini. E, così, aumentano gli ebrei osservanti: oggi, un terzo della popolazione adulta rispetta le prescrizioni religiose e onora lo Shabbat: non solo a Gerusalemme, dove al tramonto del venerdì le strade si svuotano. Pure nella più laica Tel Aviv sempre più famiglie iniziano a riunirsi in casa. E allora ci si chiede come rispettare la halachà (la Legge religiosa) senza rinunciare alle abitudini basilari in un giorno in cui non solo è prescritto il riposo dal lavoro, ma anche qualsiasi attività che crei qualcosa che prima non c´era: usare la corrente elettrica, azionare il forno (sono entrambi l´estensione del gesto vietato di accendere il fuoco), telefonare. Pure usare qualsiasi mezzo di trasporto, dal cavallo all´astronave.
La "Confindustria" israeliana stima che il mercato dell´elettrodomestico kosher (che è più caro di quello normale) valga un giro di affari di dieci milioni di dollari l´anno. Così, a centinaia, fioriscono i brevetti. Quelli che superano la necessaria autorizzazione delle organizzazioni rabbiniche finiscono nei supermercati. «Il potere di acquisto degli ebrei osservanti sta crescendo», ha spiegato Shimon Yifrach, consulente del ministero dell´Industria, ad Haaretz che ha passato in rassegna le meraviglie della tecnologia che piacciono agli haredim, gli ultraortodossi «che tremano davanti alla parola di Dio».
Il caffè kosher, innanzitutto. Una società ha ideato una macchina che entra in funzione grazie a un timer pre-regolato. L´acqua bolle a ciclo continuo, ma quando si desidera un caffè basta spostare manualmente (è concesso) una cannula attraverso cui la bevanda miscelata arriva nella tazzina.
Si è riusciti pure ad aggirare il divieto di scrittura, che una volta corrispondeva a un´incisione su tavole d´argilla, e quindi a un´azione che produceva un cambiamento permanente: agli haredim è permesso "comporre" lettere sulla sabbia anche durante lo Shabbat, perché poi svaniscono. La soluzione è una penna il cui inchiostro scompare, ma dopo 72 ore, per dare il tempo di fotocopiare in seguito ciò che è stato scritto.
La tecnologia è venuta in soccorso a chi possiede un sistema di allarme anti-ladri che, durante il sabato, disattiva automaticamente i sensori elettronici che individuano i malintenzionati (lasciando però la casa senza protezione). Anche i forni, che già devono avere due scompartimenti diversi per la carne e i derivati del latte, sono più kosher di prima. Grazie a un marchingegno pre-regolato che permette di attivare il calore senza la mano dell´uomo e tenere, così, calde le pietanze.
Nell´era del villaggio globale, non poteva mancare il telefono kosher. Quello fisso, innanzitutto: fare o ricevere telefonate non è permesso, Internet va usato con parsimonia. Ma si è studiato un apparecchio che, grazie a un raggio infrarosso, permette solo le chiamate di emergenze inserendo un bastoncino (operazione permessa) in un apposito buco.
Gli sms sono vietati, ma non quelli su argomenti approvati dai rabbini. Un esempio? Indovinelli per le feste e informazioni sullo Shabbat. Oramai il 60% degli ultraortodossi li usa, tanto che le compagnie telefoniche ora propongono con successo «pacchetti kosher», in cui le chiamate fatte al sabato costano due euro alla risposta contro i cinque centesimi dei giorni normali. Un bel deterrente per chi vuole sfidare la halachà.

Fronte Internazionalista per la Liberazione dei Cristi Crocifissi

FILCC

Fronte Internazionalista per la Liberazione dei Cristi Crocifissi
http://filcc.noblogs.org/

Il pd, la laicità e la vergogna

Repubblica 30.12.07
Il pd, la laicità e la vergogna
di Piergiorgio Odifreddi

Caro direttore, nel suo editoriale "Non nominate il nome di Dio invano" del 27 dicembre 2007, Eugenio Scalfari ha ampiamente commentato "pensieri e parole" della senatrice Paola Binetti, citando in particolare il dialogo che ella aveva tenuto con me su "La Stampa" del 23 dicembre.
Il giornale indicava nei titoli lei e me come, rispettivamente, "l´anima teodem e quella atea del Partito Democratico", e l´espressione "anima atea" andrebbe forse sottolineata. Anzitutto, perché costituisce un ossimoro positivo e virtuoso da contrapporre, assieme ad "anima laica", a quelli negativi e viziosi di "ateo devoto" e "ateo in ginocchio". E poi, perché il suo singolare suggerisce e richiama, a differenza delle espressioni appena citate, la situazione di isolamento o di minoranza in cui si trovano nella nostra società odierna coloro ai quali essa viene applicata. Nella fattispecie, le anime laiche e atee non sembrano effettivamente essere molte nel Partito Democratico in generale, e nella Commissione dei Valori in particolare. Sembra infatti che la laicità e l´ateismo, che costituiscono una sorta di nudità teologica naturale, siano diventate quasi una vergogna da nascondere sotto i variopinti paramenti delle fedi e dei credi.
Non sono stati molti i commissari che hanno reagito alla prima bozza del Manifesto dei Valori del Partito Democratico, stilata dal filosofo cattolico Mauro Ceruti, che a proposito della laicità partiva dicendo che essa «è un valore essenziale del Pd», per continuare: «Noi concepiamo la laicità non come un´ideologia antireligiosa e neppure come il luogo di una presunta e illusoria neutralità, ma come rispetto e valorizzazione del pluralismo degli orientamenti culturali e dei convincimenti morali, come riconoscimento della piena cittadinanza – dunque della rilevanza nella sfera pubblica, non solo privata – delle religioni». Ora, io non mi sento di sottoscrivere nessuna di queste affermazioni. E poiché la Binetti mi aveva già accusato di avere dei pregiudizi nei confronti dei cattolici, ho ribadito alla Commissione di non credere di averne, così come non credo di averne nei confronti degli astrologi o degli spiritisti: semplicemente, mi limito a constatare che essi hanno visioni del mondo antitetiche a quella scientifica, e più in generale alla razionalità, e ne deduco che sarebbe bene che esse rimanessero confinate nel campo individuale. E, così come non propongo l´abolizione degli oroscopi, non propongo neppure di impedire le prediche: mi sembra sensato, però, pretendere che non sia sulla base di queste cose che vengano prese le decisioni politiche dei nostri governanti e del nascente partito.
Apriti cielo! Il deputato Francesco Saverio Garofani, membro del coordinamento nazionale del Pd, ha subito inveito sul sito del partito contro le mie "provocazioni" e la mia "idea caricaturale della laicità". E Ceruti gli ha subito fatto eco, affermando: «Odifreddi non si può nemmeno definire un laico. Diciamo che non è proprio interessato all´incontro con una cultura spirituale. Laicità per lui è sinonimo di diniego assoluto della religione. Ma il suo è un retaggio del passato».
Sarebbe troppo facile ribattere che se un diniego è retaggio del passato, a maggior ragione dovrebbe esserlo ciò che viene negato, che per forza di cose deve precedere la propria negazione. Mi sembra più costruttivo cercare invece di espellere una certa confusione di idee a proposito della laicità e dintorni, che sembra albergare nelle menti dei cattolici citati. Compresa la Binetti, che nel nostro dialogo ha ribadito più volte non solo di considerare se stessa laica, ma anche che la laicità è uno dei valori fondamentali predicati dal fondatore dell´Opus Dei: quel Josemarìa Escrivà de Balaguer, alla cui beatificazione in Piazza San Pietro hanno assistito il 31 maggio 2001 sia Veltroni sia D´Alema. A questo proposito la Binetti ha dichiarato, nel nostro colloquio su "La Stampa": "La circostanza che Veltroni e D´Alema apprezzino Balaguer è il segno che viene compresa la santificazione del lavoro promossa dall´Opus Dei". A me, invece, questo atto pubblico da parte del sindaco di Roma e dell´allora presidente dei Ds sembrano un perfetto esempio di come un politico laico non dovrebbe comportarsi, qualunque siano le sue credenze, secondo la mia definizione di laicità: agire come se la religione e la Chiesa non ci fossero, senza naturalmente far nulla affinché non ci siano. Questa posizione è un compromesso tra i due estremi del clericalismo e dell´anticlericalismo. Il primo va inteso come la pretesa di agire, e far agire, in ossequio alla volontà della religione e della Chiesa, e io non saprei trovarne una formulazione migliore dell´Articolo 7 della Carta delle Finalità del Campus Biomedico di Roma: "L´Università intende operare in piena fedeltà al Magistero della Chiesa Cattolica, che è garante del valido fondamento del sapere umano, poiché l´autentico progresso scientifico non può mai entrare in opposizione con la Fede, giacché la ragione (che ha la capacità di riconoscere la verità) e la fede hanno origine nello stesso Dio, fonte di ogni verità". A scanso di equivoci, questa non è un´invenzione di Borges: il Campus esiste veramente, in esso lavora la Binetti.
Non c´è bisogno di battersi in Italia contro l´anticlericalismo, che va inteso come la pretesa di agire per far sì che la religione e la Chiesa non ci siano: questi sì che sarebbero i veri retaggi del passato, dalla Rivoluzione Francese alla Guerra Civile di Spagna, ma per fortuna oggi nessuno li propone seriamente. Proprio per questo, però, la posizione intermedia del laicismo rimane scoperta sul fianco sinistro e viene percepita come un estremismo, quando invece essa è già il compromesso razionale tra le due opposte irrazionalità di coloro che vorrebbero imporre agli altri le loro credenze da un lato, e le loro avversioni a queste dall´altro. Naturalmente, non è affatto anticlericalismo, ma laicismo allo stato puro, rifarsi al motto risorgimentale della "libera Chiesa in libero Stato". Che la religione e il Vaticano abbiano la massima libertà di parola e di azione, senza che lo Stato interferisca né con l´una, né con l´altra. Ma che le stesse libertà le abbia anche lo Stato, senza dover essere costretto a subire la pressione ufficiale e ufficiosa delle gerarchie ecclesiastiche, a legiferare in ossequio alle loro credenze, e a pagare di tasca propria per la propaganda e gli affari altrui: in particolare, tra le tante revisioni costituzionali mettiamo mano anche all´Articolo 7, per ridare all´Italia la libertà che Mussolini e Togliatti le hanno tolta. Questo dovrebbe fare un partito democratico, e questo mi auguro che faccia il Pd nel nuovo anno.

sabato 29 dicembre 2007

Gore Vidal e il cristianesimo

A proposito del cristianesimo, spesso oggetto della sua satira, in particolare in Julian e in In diretta dal Golgota, Vidal dice: "Per me la Cristianità è stato il più grande disastro mai abbattutosi sull'Occidente. Naturalmente, tenendo presente l'ingenuità umana e la tendenza all'autodistruzione che ci contraddistingue, avremmo potuto anche congegnare disastri maggiori....è difficile immaginare cosa".

Pedofilia: si indaga su altri casi relativi a viceparroco

dal sito: http://www.casertanews.it/public/articoli/200712/art_20071223124929.htm
Pedofilia: si indaga su altri casi relativi a viceparroco
Casal di P. – E' rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il giovane viceparroco della chiesa di San Salvatore di Casal di Principe, arrestato dai carabinieri della locale compagnia per violenza sessuale nei confronti di un bambino di 12 anni.
Il sacerdote era stato sorpreso dai militari alla periferia di Casal di Principe mentre si trovava in auto, con il minore, con i sedili abbassati. I carabinieri adesso stanno cercando di chiarire se vi siano stati anche altri episodi in passato, con lo stesso bambino o con altri minori.
La notizia dell'arresto del viceparroco ha provocato sconcerto a Casal di Principe dove era molto considerato e amato dai parrocchiani. L'indagato oltre all'incarico nella chiesa di San Salvatore insegna religione in una scuola del casertano.

Il Papa che rimprovera l'Europa "apostata" mi ricorda l'antica lotta delle investiture

Maurizio Maggiani
Il Papa che rimprovera l'Europa "apostata" mi ricorda l'antica lotta delle investiture
Tratto da “Il Secolo XIX”, 25 marzo 2007
Il Papa ha lanciato un severo monito all'Europa. Benedetto XVI è un papa severo e infatti predilige esprimersi attraverso la severa forma retorica del monito; alla forma severa aggiunge severa sostanza. La sostanza del suo ultimo monito è più che severa e si avvale del durissimo giudizio di apostasia, rivolto non a un fedele che rinnega il Dio del Papa, ma a una comunità politica; anzi, alla più grande e moderna forma di comunità politica: l'Unione Europea.
Erano parecchie epoche che un Papa non si rivolgeva al potere politico per denunciarlo come apostata; non vorrei sbagliarmi ma non lo fece neppure Pio VII con l'impero di Napoleone che a Iddio, alla Chiesa e a lui stesso gliene aveva fatte di tutti i colori, né Pio IX con la monarchia sabauda, che pure gli aveva sottratto lo Stato Pontificio e drasticamente ridimensionato i poteri e i beni degli ordini religiosi. Di sicuro nella contemporaneità la denuncia per apostasia rivolta a entità politiche, oltreché a individui, era esclusivo appannaggio delle condanne dei tribunali islamici che ci siamo abituati a reputare fondamentalisti e integralisti.
Benedetto XVI, oltreché severo è dunque anche un papa integralista e fondamentalista? Io credo di sì. Lo credo e non ne sono per niente scandalizzato. Propugna, difende ed esalta i valori "fondamentali" e "l'integrità" della dottrina che li sostiene. Lo fa con severità, ma c'è qualcosa che non va nell'essere severi? Ad esserlo in tempi di corruzione e di lassismo? Non pensiamo tutti quanti noi, uomini di buona volontà atei, buddisti, battisti e musulmani, che dovremmo usare maggiore severità nel promuovere l'integrità e i fondamenti di una morale pubblica e privata quando constatiamo il degrado dell'una e dell'altra?
Quindi nessuno scandalo. Solo contrarietà. Perché a differenza di Benedetto XVI io appartengo a una civiltà culturale che da alcuni secoli conforma la convivenza degli individui nella comunità a principi di natura politica, non religiosa; una civiltà culturale che ha dato origine all'idea moderna di Stato e di società. I principi politici sono le costituzioni, i principi religiosi sono le dottrine di fede. Secondo le costituzioni esiste e ha corpo un'etica e una morale che raccoglie e compendia i principi etici e morali nel massimo loro comun denominatore: si può aderire ad un atto costituzionale di uno Stato essendo cattolici, buddisti, atei o ebrei. Ci sono valori assoluti e principi irrinunciabili solo in una costituzione dove ogni individuo può riconoscersi in libera coscienza.
Appartengo a una civiltà culturale dove la parola "libertà" assume un significato inequivocabile per ogni cittadino, talmente chiaro da poter stabilire per legge con estrema chiarezza chi infrange e come si infrange il principio di libertà. Questo è accaduto perché la mia civiltà culturale ha saputo, con fatica e con dolore nel corso del tempo, costituire il principio di libertà più forte di ogni particolare idea o fede; ha saputo costituire principi condivisibili perché ragionevoli e comprensibili universalmente. Per questa ragione a quei principi non è possibile obiettare se non chiamandosi fuori dalla società, o intendendo sovvertirla. La fede di Benedetto XVI, la dottrina che la conforma, vanno per altre strade e conducono altrove.
"Solo in Cristo siamo liberi"è una bellissima, struggente verità di fede, ma se la trasformo nell'articolo 1 della Costituzione, si fa atto di perversione della libertà. Se stabilisco che la vita di ogni essere umano è valore assoluto compio uno dei primi atti di dovere costituzionale, se voglio imporre il principio che l'essere umano si forma nell'atto dello sdoppiamento di una cellula femminile penetrata da una cellula maschile, per fare di questo affascinante atto di fede una legge dello stato, impongo il fascino della mia fede sulla conoscenza scientifica, sulla ragionevolezza, sulle altrui fascinazioni di fede.
Il severo monito di Benedetto XVI all'Europa è un gesto importante, storico. Egli di fatto afferma un potere che si oppone a un altro potere quando e come lo ritiene giusto e necessario, ed è potere di investitura. Investitura morale. Benedetto XVI non è l'erede di Giovanni Paolo II, ma di Gregorio VII, il papa che diede inizio a ciò che nei libri di storia viene chiamata "lotta delle investiture". Fu un confronto europeo tra due poteri, il papale e l'imperiale, che poteva sembrare una lotta per la supremazia spirituale, ma fu da subito e per sempre una lotta per il potere politico, terreno. La scomunica dell'imperatore comportava il dovere di disobbedienza dei suoi sudditi, tanto per cominciare.
Prima del monito all'Europa, Benedetto XVI ha voluto emanare diversi moniti all'Italia, della stessa e maggiore severità. Ma per quanto mi riguarda, dato dalla fuga di Dante da Firenze la vittoria del papato nella locale lotta per le investiture.

Bush perde la guerra del sesso

Vittorio Zucconi
Bush perde la guerra del sesso
Tratto da “la Repubblica”, 15 aprile 2007
È costata almeno un miliardo di dollari ed è fallita miseramente anche l’altra guerra preventiva di George Bush, contro la terrificante minaccia del sesso. I "virginauti" americani, i ragazzini indottrinati per anni dal governo e dalla scuola a dire di no al desiderio, lo fanno esattamente come i loro coetanei più disinvolti, lo fanno alla stessa età e forse con più trasporto di chi non aveva giurato l’astinenza pre-matrimoniale. “Abbiamo terrorizzato una generazione descrivendo il sesso come l’anticamera dell’inferno o almeno del cimitero” ha detto il congressman Henry Waxman, oggi presidente Democratico della commissione Giustizia della Camera, “e tutto quello che abbiamo comperato con i fondi pubblici sono tonnellate di sensi di colpa che tormenteranno questi giovani”. Ottima notizia, questa, per gli psicoterapeuti e per gli psichiatri di domani. La "guerra preventiva" contro il desiderio che affiora nella pubertà era cominciata già sotto il regno di uno che ai voti di castità aveva rinunciato fin dalla più tenera età, Bill Clinton. Alla metà degli anni '90, quando la nuova destra guidata dal deputato Newt Gingrich (quel guerriero della moralità che si trastullava a letto con un’amante mentre la moglie agonizzava in ospedale) aveva preso il controllo della Camera, era stato autorizzato il primo stanziamento pubblico, 68 milioni di dollari, per l’educazione all’astinenza dei bambini di 9 anni negli Stati che avessero accettato di mettere la verginità nei loro curricula scolastici. Otto Stati avevano accettato i fondi e dunque il programma, nato sulla spinta di una tragedia reale come la gravidanza delle adolescenti soprattutto di colore, era partito con grande marciar di bande e produzione di opuscoli e operette clinico-morali. La buona intenzione era stata purtroppo subito inquinata dall’agenda politica dei crociati del moralismo, dai fustigatori del permissivismo che dopo il Sessantotto aveva spalancato le porte della Sodoma e Gomorra. Sempre federalisti e libertari quando al potere sono gli altri, e sempre centralisti e interventisti quando al potere sono loro, gli ultrà delle destre neo e paleo erano partiti coi soldi pubblici dai bambini di quarta elementare e con l’avvento alla Casa Bianca del Presidente che aveva promesso di ricristianizzare l’America, il programma era esploso. Lo stanziamento iniziale era balzato a quasi 200 milioni annui e ai 268 iscritti nel budget, nella finanziaria del 2007, nonostante le denunce e le proteste di medici, sessuologi, educatori e parlamentari non dipendenti come Bush dal voto dei cristiani, che scoprivano sbigottiti quale robaccia venisse spacciata ai ragazzi, per indottrinarli. Già nel 2004, Waxman aveva portato in commissione fasci di opuscoli diffusi dal governo con notizie false. “L’aborto rendere sterili le donne”, un mito già smentito dall’associazione degli ostetrici americani. “La metà dei teenager gay è infetta dall’Hiv”. Falso. Masturbarsi non rende più ciechi, come predicavano le mamme d’altri tempi, ma può portare al concepimento. Le infezioni veneree, come la clamidia, provocano fatali malattie cardiovascolari, una idiozia che gli stessi autori degli opuscoli furono costretti a eliminare dalle edizioni successive. Per chiarire poi quale fosse la vera linea culturale nascosta dietro i veli della modestia, qualche manuale spiegava che la spinta a fare sesso è espressione del “bisogno di completamento fisico” nei maschi, ma strumento per “raggiungere la sicurezza economica” nelle femmine. Migliaia di pre-teenager e di ragazzi venivano portati in parata davanti alle telecamere o esibiti nelle palestre delle scuole medie e dei licei per pronunciare i loro pledges, i loro giuramenti pubblici di purezza fino all’altare. E chiunque abbia frequentato una scuola può immaginare con un brivido di orrore le risatine, i sogghigni, le battute a mezza bocca, le gomitate, e dunque la vergogna, che accoglievano questi poveri disgraziati. Poi, arrivano i risultati, prodotti dall’istituto di ricerca "Mathematica" e disponibili in Internet. I virginauti lo fanno per la prima volta esattamente alla stessa età media, 14 anni e 9 mesi, dei loro coetanei. La stessa percentuale di indottrinati e non indottrinati, in città e stati diversi, in piccoli paesi di campagna come in metropoli peccaminose: il 51 per cento. Addirittura di più, il 56 per cento contro il 55 dei “non ufficialmente casti” lo hanno fatto negli ultimi 12 mesi, e pure con “tre o più partner”, insinuando l’empio sospetto che abbiano voglia di recuperare il tempo perduto. Lo stesso numero usa quei profilattici che i manuali di propaganda finanziati dai contribuenti descrivono come “efficaci” nella prevenzione delle malattie e della gravidanza “soltanto al 70 per cento”, mentre la cifra reale è superiore al 97 per cento. Se dunque la crociata contro il desiderio è stata prevedibilmente vinta dal desiderio, come accade dal Giardino dell’Eden, la questione dell’educazione ai rischi reali, fisici e psicologici, del sesso prematuro, della diffusione delle infezioni veneree e delle gravidanze adolescenziali rimane aperta ed è serissima. Il fallimento della rieducazione polpottiana anti-sesso dimostra soltanto che il mezzo era sbagliato, non il fine, e la formula semplicistica già cara alla signora Nancy Reagan, quando invitò gli americani a “dire no” per battere la droga, non funziona. Un miliardo di dollari spesi per dire ai giovani di “non farlo”, sono l’equivalente moderno dei vani moniti del parroco felliniano di Amarcord quando ammoniva i fanciulli a “non toccarsi per non far piangere San Luigi” e loro gli mentivano per farlo contento. Almeno ai ricercatori di opinione, se non al confessore, i ragazzi americani di oggi confessano la verità.

venerdì 28 dicembre 2007

Limbo. Geografia politica dell'aldilà

Marco D'Eramo
Limbo. Geografia politica dell'aldilà
Tratto da “il manifesto”, 22 aprile 2007
La geografia dell'aldilà l'aveva messa a soqquadro già nel 1984: l'allora cardinale Ratzinger disse da “privato teologo” che il limbo era “una semplice ipotesi teologica che andrebbe abbandonata”. Ora l'abbandono è definitivo, sancito dalla Commissione teologica internazionale e avallato dall'autorità papale di Benedetto XVI. Da venerdì 20 aprile 2007 l'oltretomba si è perso una delle sue quattro parti, il limbo appunto. Restano solo, per ora, inferno, purgatorio e paradiso.
Questa decisione pontificia dimostra così che gli atlanti diventano obsoleti non solo su questa terra, come la carta d'Eurasia prima e dopo il 1992. Anche i confini ultraterreni possono spostarsi e intere popolazioni di anime defunte migrare da un reame a un altro. Perché alcuni regni postumi vedano la luce ci vogliono secoli di lotte, come quelle che nel Medioevo portarono a sottrarre intere legioni di anime all'inferno, e fu consentito loro di emigrare in purgatorio.
Nel bellissimo libro La nascita del Purgatorio Jacques Le Goff ci racconta come si fece luce a poco a poco la categoria di un “terzo luogo” intermedio dell'aldilà. Anche il limbo era a suo modo un “terzo luogo”: se il purgatorio lo era per i battezzati, il limbo lo era per i non battezzati. In ogni caso, purgatorio e limbo segnavano l'ingresso della politica (e del terzo stato) nell'oltretomba, se è vero che “la politica è l'invenzione del terzo”, secondo Carl Schmitt...
Ora che il limbo è stato cancellato dalla mappa dell'aldilà, ci si deve chiedere dove finiranno le anime che finora vi risiedevano: diventeranno apolidi? O saranno tutte cooptate in paradiso? San Pietro rilascerà loro una green card?
Come si sa, queste anime appartengono a due grandi categorie, quelle in cui era diviso il loro aldilà: il limbo dei padri e il limbo dei bambini, cioè di tutti coloro che, non battezzati, non potevano aspirare alla cittadinanza del paradiso o perché (i padri) nati prima che Gesù portasse questo sacramento in terra, o perché (i bimbi) morti prima di avere avuto il tempo di riceverlo. I bambini non battezzati sono la vera ragione per cui è stato smantellato il limbo: ce ne sono troppi, e sempre più numerosi - dicono i teologi - per rifiutare loro la salvezza.
Il pontefice ha insomma varato una sanatoria per i bimbi che non avevano permesso di soggiorno (battesimo) in regola in paradiso. Ma l'obiettivo finale è meno innocente: si tratta di aprire le porte del cielo a tutti i feti che sono stati abortiti. Di beatificarli, prima di santificarli perché hanno subito il martirio. La ridefinizione geopolitica dell'aldilà ha quindi un fine assai terreno, revocare la legge 194.
Però c'è da chiedersi se, come conseguenza non voluta di questa sanatoria, non vengano naturalizzate anche tante anime che non chiedevano di esserlo, tutte le vittime di mortalità perinatale la cui madre però era non cristiana e mai si sarebbe sognata di battezzare la propria prole. Il paradiso cristiano rischia il sovraffollamento per un afflusso imprevisto di buddisti mancati e islamici virtuali.
Al contrario, più buio si presenta il destino per i residenti in limbo che rientrano nella categoria dei padri: potranno essere espulsi verso una sola destinazione possibile: l'inferno. Abolendo la zona grigia, la decisione papale separa i “limbiani”: in cielo i bimbi salvati, agli inferi gli adulti dannati, compresi quei grandi spiriti dell'antichità incontrati da Dante, quei virtuosi filosofi ellenici che il pontefice ammira e ama tanto.

Il ritorno di Dolcino ribelle per sempre

Paolo Rumiz
Il ritorno di Dolcino ribelle per sempre
Tratto da “la Repubblica”, 6 maggio 2007
C’è uno spettro sulle montagne del Piemonte. Sono passati sette secoli, e continua a farsi vedere. Appare sulle sponde del lago Maggiore e nelle valli protestanti dei valdesi; lascia tracce del suo passaggio nel Biellese, che vide la sua rivolta di ieri, ma anche in Valsusa, che consuma la sua rivolta di oggi contro l’alta velocità ferroviaria. Fuochi ghibellini riaccendono il rogo che lo ridusse in cenere il primo giugno 1307: puoi vederli, talvolta, sui colli sotto il Monte Rosa che conobbero il suo messaggio libertario e poi la sconfitta. “Dolcino vive”, sta scritto da Ivrea alla Valsesia. Non è solo memoria, è avvertimento. Ai burocrati, ai poteri centrali, agli ermellini vaticani, ai signori degli ipermercati e del turismo di massa, ai padroni delle dighe e dei tunnel ferroviari. A tutti coloro che hanno cementificato le Alpi, svuotato fiumi e pascoli, trasformato le vallate in dimenticate banlieues. Attenti a Dolcino il ribelle, arso vivo dai latifondisti e dai vescovi corrotti della Padania. Potrebbe ancora tornare.
Quare, profonda Valsesia. Il vento porta odore di neve, nubi si arrampicano dal fondovalle, aprono squarci verso il Monte Rosa. Un vecchietto al bar: “I preti dicevano che fosse un demonio, ma per noi fu un grande. Dolcino s’è battuto per la nostra autonomia. Ce ne fossero ancora come lui!”. Il pastore valdese Tavo Burat, appassionato animatore del centro studi dolciniani, evoca immagini da Armageddon: “Gli strapparono le carni con tenaglie roventi, amputarono il naso e il membro virile, poi accesero un fuoco sul Sesia e sparsero le ceneri”. Racconta della sua donna, la pulcherrima Margherita da Trento - bruciata pure lei - e dei suoi seguaci che predicavano povertà, affrancamento della donna, diserzione fiscale, autogoverno, rifiuto delle "angherie", i contratti-capestro imposti dai proprietari terrieri. “Per questo il messaggio inquieta ancora oggi”.
Trivero, paese tessile sotto il monte Rubello, dove il giovedì santo del 1307 avvenne la cattura di Dolcino e lo sterminio dei suoi. Qui le celebrazioni sono già iniziate, con mostre, pièces teatrali, dibattiti, inaugurazioni di cippi, apertura di sentieri, piccoli falò sulle creste dei monti. Una mobilitazione dal basso, che ha coinvolto una ventina di frazioni. I paesi si chiamano nella nebbia con il tocco sfasato dei loro campanili, sincronizzati ciascuno per conto suo col Grande Orologiaio dell’universo. È a Trivero che la leggenda del grande sconfitto si sente con più forza. è qui sopra che nel 1907 gli operai gli eressero un obelisco, che poi i fascisti fecero saltare in aria col silenzio-assenso della Curia. “I volean pa maoudire, ni jurar, ni mentir, ni masar” - i dolciniani erano bella gente, non volevano maledire, spergiurare, mentire o ammazzare - garantisce in lingua piemontese Jean-Louis Sappé, capo del gruppo teatrale di Angrogna giunto apposta a Trivero dalle montagne valdesi. Il suo gruppo porta di villaggio in villaggio la storia del gran ribelle, narrata in scena da tre giullari. Spiega che i dolciniani “vivevano come colombe di pace in mezzo ai monti”, ma poi i nemici li hanno sterminati: “Dona, velh, meinà”, donne, vecchi e bambini. “Dolcino”, dice Sappé a fine spettacolo, “è stato sconfitto come Jan Hus e Thomas Munzer, ma il rogo non può cancellare la loro memoria e neppure la forza delle loro idee. Attraverso il nostro spettacolo, Dolcino parla ancora”.
Sono settecento anni che la sua ombra eretica viaggia per le Alpi, infiamma e imbarazza, diventa bandiera di resistenza e pretesto di repressione. Demone per gli uni, santo per gli altri, dal Medioevo a oggi Dolcino è termometro delle tensioni fra centro e periferie ed è anche il segno di un destino montanaro antitetico a quello delle genti svizzere che nello stesso annus terribilis, il 1307, segnarono con Guglielmo Tell la loro vittoria sulle truppe imperiali.
Il suo mito riemerge sempre, nei tempi di lotta: con la caccia alle streghe del Seicento; con la Rivoluzione francese che ridà fiato al suo messaggio di libertà, eguaglianza e fraternità; con le lotte operaie, poi con l’antifascismo e la Resistenza. Fino alle trincee dell’oggi contro l’insensata monocultura del Globale. “Cari valligiani ribelli, è con uno slancio del cuore che abbiamo deciso di scrivervi. Da secoli ci aggiriamo, stanchi e obliqui, sopra i fatti del mondo”. Vediamo “montagne sventrate dall’arroganza del denaro, vallate affogate nel cemento, genti rassegnate e chine”. È una lettera firmata da Dolcino e Margherita, diventata manifesto per i ribelli anti-Tav della Valsusa. Chi l’abbia scritta non si sa, ma nessuno si pone la domanda. È bastato quel nome a farla circolare e a commuovere la gente. “Quel formicaio di uomini soli che ancora chiamate società ci ha tolto ogni gusto per le parole”, ma “la passione ci è tornata” vedendo “quegli stessi cantieri partigiani ripercorsi da donne, uomini e bambini ostili a un treno carico di sventure e difeso da mercenari in uniforme”. In un anno e mezzo appena, l’occupazione militare della Valsusa sotto il governo Berlusconi è già diventata mitologia tra i montanari, definiti “zotici”, “retrogradi”, “egoisti” e “nullafacenti” dai ministri romani. Dolcino e Margherita son tornati, come ne L’ultima valle di Carlo Sgorlon, penetrando non si sa come “nel nostro tempo di macchine e motori”, quasi senza accorgersi che la loro epoca era finita. Anche l’associazione nata dalla protesta ferroviaria ha preso un nome dolciniano: Credenza, che non vuol dire il posto del cibo, ma luogo della fiducia reciproca e dell’assemblea. “Prima tra noi valligiani c’era solo la sottomissione e il silenzio”, racconta Nicoletta Dosio di Bussoleno, “oggi ci si parla e si progetta. Ci son voluti i manganelli a fare il miracolo. Da secoli la sconfitta era così interiorizzata che i montanari pensavano fosse inutile combattere”.
Ma chi fu davvero Dolcino? “Molti lo stracapirono”, racconta il biellese Alfredo Bider, appassionato cultore della zona, “ma di certo fu un ribelle anticentralista e come tale divenne un eroe”. Sicuramente non fu un "frate", come sembra alludere Dante nella Commedia, ma solo un "fratello". Un "compagno" nel senso etimologico del termine, quello di "co-pain", cioè colui col quale si divide il pane, il testimone della comunione dei beni predicata dal cristianesimo originario. Soprattutto, il valsesiano Dolcino stava tutto nella tradizione delle sue montagne. Per questo la sua leggenda vive così a lungo, e conta forse più della sua storia. Sul Rubello, il luogo della mattanza, poco è cambiato. Stesse ventose scarpate tibetane, stesso dio di ghiaccio che sovrasta le risaie vercellesi come l’Ararat la Mesopotamia. Tutto indica una montagna speciale, indomita e alacre: gobbi ponti medievali sospesi su forre terrificanti, cimiteri di venerabili corporazioni - muratori e cappellai, banchieri e tessitori - detentrici di segreti, chiese ornate di simboli massonici (stelle, svastiche e compassi) messe a capolinea di percorsi esoterici serpeggianti tra acque sorgive e massi ciclopici di granito. E poi una ghirlanda di santuari, spesso enormi, sproporzionati per quegli spazi pure immensi: chiese come il Sacro Monte di Varallo formicolante di statue o l’eremo di Oropa, il più grande delle Alpi, dove abita una nera Madonna e prima, al tempo dei Celti, abitò la Grande Signora della Notte. Forse dietro a quell’enormità sacrale sta l’urgenza di tenere a bada l’anima inquieta di queste montagne che furono rifugio di elvezi, alemanni ed ebrei e videro le prime ribellioni anticlericali, le prime industrie tessili e le prime rivolte operaie d’Italia. L’ombra di Dolcino ne è l’incarnazione mitica. Un mito nato subito dopo la strage del Rubello, quando la vecchia leggenda celtica dei morti che cavalcano ogni anno le creste dei monti si attualizzò e divenne processione dei gàser, i Càtari sterminati dai papisti fra Alpi e Pirenei. Diventò - come spiega Carlo Ginzburg - rappresentazione dell’epopea dei "poveri cristi". Già nel Seicento la Chiesa dovette correre ai ripari e inventarsi il falso storico delle "leghe valsesiane", coalizioni spontanee di montanari contro l’eretico, definito brigante e nemico della povera gente. La grotta di Dolcino sul Rubello venne battezzata "Tana del Diavolo" e la Valsesia costellata di lapidi celebranti la sconfitta del demonio. Non bastò: la memoria dei vinti era ancora lunga. Quando all’inizio dell’Ottocento il Piemonte ricominciò a puzzare di zolfo per l’ingresso in campo di forze mazziniane, egualitariste e anticlericali, un deputato progressista al parlamento subalpino, Angelo Broferio, si risolse a rompere la visione demoniaca di Dolcino scrivendone come di uno che “alle nequizie del clero” aveva opposto “la santità del Vangelo”. La Curia rispose facendo costruire sul Rubello un bel santuario dedicato a San Bernardo. “Ma il cielo non fu d’accordo”, ghigna il valdese Burat, “e scaricò sulla messa inaugurale una tempesta così feroce che preti e chierichetti dovettero scappare a valle con ostensori e tabernacoli. I montanari urlarono al ritorno dei "Gàzzari" e a Cassato in Valsesia “la gente buttò la statua di Cristo nel fiume, dandogli poi fuoco e guadagnandosi l’epiteto sempiterno di Brusacrist”. Intanto, con l’industrializzazione e la nascita di una classe operaia, s’era scoperto un "altro" Cristo, quello che camminava con i poveri. È a questo punto che leggenda e socialismo si saldano. La montagna rilancia Dolcino per farne l’apostolo del movimento operaio. Nel suo nome si sciopera, si riuniscono i capi delle Leghe operaie, si stampano i primi fogli sovversivi e poi i giornali di area laico-progressista. Nel 1877, durante uno sciopero, i leader del sindacato tengono assemblea sul Rubello. Anche padroni come Emanuele Sella e la massoneria illuminata sentono il fascino del profeta dell’uguaglianza. Nel 1881 il Club alpino di Biella organizza una gita sul monte del massacro e persino il periodico conservatore “L’eco dell’industria” si chiede se sia giustificato “l’orrore che i più sentono verso Dolcino”, battutosi contro “i deplorevoli abusi della Curia romana”. Anche Antonio Labriola lo riabilita. E quando nel 1898 il generale Bava Beccaris a Milano fa sparare sui mendicanti e poi sulla folla, alcuni capi della protesta operaia, per non essere arrestati, vanno a rifugiarsi proprio sul Rubello, dove il primo maggio del 1900 innalzano una gigantesca bandiera rossa, visibile fino in pianura. Nel 1907 - per i sei secoli dalla strage - gli operai decidono di dedicare a Dolcino un obelisco sulla cima del monte Massaro, di fronte al Rubello. Il giornale della Curia esce listato a lutto, chiede che si recitino novene per il fallimento dell’iniziativa, ma l’11 agosto all’inaugurazione arrivano in diecimila, inclusi i rappresentanti delle logge massoniche con i loro simboli.
Con i massacri al fronte, la disfatta di Caporetto e la Rivoluzione russa, i socialisti organizzano marce della pace, di nuovo in nome di Dolcino. Ma ormai lo scontro di classe sta diventando duro e l’erma in pietra ne diventa il simbolo. Basta che la sorveglianza si allenti e l’obelisco viene preso a picconate.
Arriva il terrore fascista, Mussolini firma l’armistizio tra Stato e Chiesa dopo mezzo secolo di guerra fredda. Subito il monumento viene fatto saltare in aria durante un’esercitazione. Le Brigate nere fanno togliere le lapidi dedicate al ribelle e ammazzano a bastonate sindacalisti dolciniani. Fatalmente sono gli antifascisti a rioccupare quei luoghi durante la Resistenza. Nel libro Il Monte Rosa scese a Milano il capo partigiano Cino Moscatelli racconta che in Valsesia le brigate hanno addirittura ispirato la loro strategia alla leggenda degli agguati dolciniani contro l’armata vescovile.
Poi sulla leggenda scende il cloroformio democristiano, l’epopea viene cancellata dai libri di storia, finché negli anni Sessanta Dario Fo rilancia il montanaro rivoluzionario in Mistero Buffo, memorabile giullarata contro i poteri forti d’Italia. Ma dalla sinistra ufficiale non arriva nessuna riabilitazione. Per vedere un omaggio a Dolcino bisogna aspettare che si muovano i valdesi nel 1974, quando Tavo Burat fa mettere una lapide sui ruderi del monumento abbattuto e migliaia di montanari affluiscono alla cerimonia. Umberto Eco suggella il revival inserendo ne Il nome della rosa la storia di due frati dolciniani scampati al massacro.
Non bruciano più i roghi, ma l’ombra del ribelle fa paura ancora oggi. Quando nel 1980 una lapide a Dolcino viene ritrovata in uno scantinato del museo di Vercelli, la Sovrintendenza non dà il nulla osta per il ricollocamento. E quando nel 2000 la lastra di marmo viene finalmente reinaugurata in corso Libertà, il deputato Roberto Rosso, figlio delle risaie in forza tra i berluscones, protesta e chiede che l’omaggio a Dolcino vada tolto di mezzo, scatenando un codazzo di polemiche con manifesti anarchici, omaggi floreali del Partito radicale, insulti al sindaco, risse nella sinistra. La lapide rimarrà al suo posto, a segnare come un termometro di precisione la temperatura politica in Padania.
“Dietro la memoria di Dolcino c’è la rabbia della montagna per le sue sconfitte”, dice Chiara Fiorina che gestisce un piccolo bar in località Balma sopra Biella. “È dura, è sempre più dura vivere quassù. Abbiamo contro tutto, l’Inps, gli uffici sanitari, il Tesoro”. Se rimane, Chiara, è solo per l’affascinante energia del luogo, l’amore per una terra estrema che ha dato i natali a pacifisti e combattenti, grandi missionari e duri ghibellini, predicatori rivoluzionari e preti capaci di decriptare i silenzi dell’Alpe.
Trovi di tutto sui monti di Dolcino: soldati come Pietro Micca capaci di farsi saltare in aria per la patria, o come Antonio Gastaldi, passato ai briganti borbonici in nome della giustizia e della libertà. Grandi uomini d’ordine, ma anche geniali falsari come Samuele Farinet che batté moneta solo per togliere i montanari dalla miseria.

Obiezione di coscienza in farmacia. La Lunga marcia del vaticano

Michele Serra:
Obiezione di coscienza in farmacia. La Lunga marcia del vaticano
Tratto da "la Repubblica", 30 ottobre 2007
Prima di entrare in farmacia, per evitare discussioni indesiderate sul senso della vita, ci toccherà informarci sugli orientamenti religiosi e morali del gestore? Se cattolico (nel senso militante del termine) potrebbe infatti accogliere l’invito del Papa a estendere l’obiezione di coscienza anche al suo negozio, e rifiutarsi di fare commercio di "farmaci che abbiamo scopi chiaramente immorali". Ovvero quei farmaci che evitano la gravidanza come la "pillola del giorno dopo", oppure consentono di interromperla in forme meno dolorose e umilianti rispetto a quelle conosciute e praticate fino a poco tempo fa. E’l’ennesima tappa della lunghissima marcia del Vaticano all’interno della vita pubblica di questo Paese. Così profondamente innervata, come è ovvio, dalle leggi e dalle regole che governano la vita di tutti - anche dei non cattolici - da rendere inevitabile il continuo cozzo di molti dei pronunciamenti vaticani, specie sulle questioni di carattere etico, scientifico e medico, con l’attività dei legislatori e con la sensibilità profonda di milioni di cittadini. Pur nella grande complessità della questione, la fondamentale ragione del contendere è piuttosto semplice. Finché la Chiesa rivolge le sue raccomandazioni ai credenti, non esiste (né è mai esistito) motivo del contendere. Ma quanto la Chiesa sceglie di intervenire su comportamenti pubblici e provvedimenti di legge che riguardano tutti, l’intera comunità, il conflitto è semplicemente inevitabile. I cattolici hanno l’ovvio e sacrosanto diritto di non divorziare e non abortire, di non fare uso di anticoncezionali, di non sacrificare nemmeno un frammento delle proprie convinzioni profonde a costumi o comportamenti che siano in contrasto con la loro pratica di fede. Ma identico diritto hanno i non cattolici di vivere secondo la loro coscienza, di praticare socialità, eros, scelte affettive e di procreazione, nell’alveo di regolamenti e leggi che tengano conto delle sensibilità difformi e della molteplicità delle culture. Ognuno può vivere secondo i propri orientamenti etici purché non costringa gli altri a imitarlo, purché non li metta nelle condizioni di doversi piegare a una "morale" che diventa arbitrio, esclusione, violazione. La richiesta di Benedetto XVI di estendere anche ai farmacisti il diritto all’obiezione di coscienza già riconosciuto ai medici antiabortisti è, in questo senso, tipica di una radicata e voluta confusione tra scelte confessionali, che sono individuali, e sfera pubblica. Un farmacista è un professionista qualificato (e in genere ben remunerato) che apre bottega sulla pubblica via, e ha il diritto-dovere di vendere al pubblico prodotti già testati e resi legali da apposite commissioni. Nessuno gli chiederebbe mai valutazioni "morali" su un farmaco, prima di tutto perché una farmacia non è un cenacolo filosofico (sono "morali" gli psicofarmaci per i bambini? E i placebo "dietetici" per bulimici? E’morale il prezzo dei farmaci nel terzo mondo? Ed è morale ostacolare o non pubblicizzare l’uso del preservativo e degli anticoncezionali in genere?). E poi per il semplice e inoppugnabile fatto che i conti con la propria coscienza non si fanno obtorto collo, meno che mai di fronte al diniego o alla riprovazione di un altro privato cittadino che, contraddicendo il suo ruolo pubblico, rifiuta di venderti un farmaco perché lui (non tu: lui) lo reputa immorale. Questa idea - illiberale, per usare un termine usato spesso molto a sproposito - che una morale religiosa possa e debba egemonizzare (per salvarlo, naturalmente) un intero consesso sociale, possa condizionale le leggi, benedire ribellioni etiche come l’obiezione anti-abortista perché "nel senso giusto", ma poi condannare ribellioni etiche come il diritto alla buona morte perché "nel senso sbagliato", non può non generare un duro conflitto tra le gerarchie ecclesiastiche e una parte molto consistente dell’opinione pubblica laica. Probabilmente molto più consistente della ristretta quota di politici che la rappresenta. Davvero stupisce, in questo senso, l’inspiegabile sbalordimento espresso dal cattolicesimo più curiale di fronte alle ovvie polemiche e alle ovvie reazioni provocate da ogni nuova sortita vaticana direttamente indirizzata alla vita politica, sociale e anche privata degli italiani: di tutti gli italiani, non solo dei cattolici. E’come se non fosse contemplata altra etica, altra sensibilità, altra scelta. E dunque l’insorgere imprevisto di altra etica, altra sensbilità, altra scelta, lasciasse letteralmente di stucco i depositari della Verità. E’come, tornando al caso specifico, se una persona che decide di non avere un figlio (o al contrario di averne uno con metodi "immorali") non avesse già pensato, già sofferto, già deciso o dubitato abbastanza, non avesse vissuto con serietà sufficiente. Ma davvero la sua sola possibilità di salvezza, per la Chiesa, è sperare di imbattersi in un farmacista con la verità in tasca, che gli neghi i farmaci "immorali" e gli suggerisca di raccomandarsi a un Dio nel quale magari non crede?

Gli indigeni: Benedetto XVI è «un arrogante»

da "Il Manifesto",
Il papa in Brasile

Gli indigeni: Benedetto XVI è «un arrogante»

La polemica I nativi d’America latina «non vedevano l’ora di convertirsi»: scoppia il caso

Maurizio Matteuzzi




Siamo arrivati a rimpiangere Andreotti, arriveremo a rimpiangere Wojtyla. In che mondo vive papa Ratzinger? Il suo viaggio in Brasile è appena concluso, si arzigogola sull’esegesi del suo messaggio e si lascia dietro una salva di polemiche furenti.

C’è una parte del suo messaggio che rivela più di una dotta enciclica in latino il vero pensiero del papa tedesco, la sua cosmogonia, il suo senso della storia e del mondo. Quello sugli indigeni. Di cui sembra temere, come il diavolo, la secolarizzazione e le sette evangeliche, il «risveglio» spirituale e politico in atto. Domenica nel discorso di apertura della conferenza dei vescovi latino-americani ad Aperecida, B-16 ha detto alcune cose da far accaponare la pelle. Da ogni punto di vista: religioso, storico, politico, etico. La evangelizzazione dell’America latina da parte dei conquistadores spagnoli e portoghesi? «Non ha visto in nessun momento un’alienazione delle culture pre-colombiane, nè è stata un’imposizione di una cultura straniera». La catechizzazione di massa e forzata degli indigeni? Gli indigeni latino-americani «non vedevano l’ora» 500 anni fa di diventare cristiani e «l’accettazione del Dio sconosciuto» era quel che «i loro predecessori, senza saperlo, cercavano nelle loro ricche tradizioni religiose». I vescovi latino-americani, pur se in gran parte nominati da Wojtyla fra i «sicuri», avranno trasecolato.

Ratzinger ha cancellato la storia e anche il suo mentore Wojtyla che, quantomeno, nel ‘92 aveva riconosciuto l’esistenza di «luci e ombre» e chiesto perdono per «gli errori» e gli eccessi. Errori, eccessi, ombre?

Gli indigeni «non vedevano l’ora» di conoscere il dio di Ratzinger. La croce non è mai stata il complemento spirituale della spada. La «Bolla» di papa Clemente VII nel 1529 (ricordata ieri su Liberazione da Danilo Zolo) con cui autorizzava l’imperatore spagnolo Carlo V «a condurre le nazioni barbare alla conoscenza di Dio … anche con le armi e la forza, affinché le loro anime fossero obbligate a far parte del Regno celeste», fu firmata per fare la volontà del Signore. I 30 milioni di indigeni sterminati, in via diretta o indiretta, nella conquista del Nuovo mondo furono il prezzo necessario pagato alla civiltà e alla (vera) religione. E, per fortuna, sono stati «obbligati» a far parte del Regno dei cieli, almeno i milioni morti dopo che nel 1537 il papa Paolo III decretò «come cosa sacra» i diritti di tutte le persone, inclusi gli indios nativi e poi gli schiavi neri che sarebbero arrivati dall’Africa, accreditandoli di possedere un’anima (ciò che prima era negato dal papa oltre che dall’imperatore). Chissà se l’intellettuale Ratzinger ha mai trovato il tempo di leggere l’illuminante Brevissima relacion de la destruccion de las Indias di frey Bartolomé de las Casas, il vescovo Protector de los indios che non a caso fu messo all’indice dai predecessori di B-16, come B-16 ha messo all’indice 140 teologi non in linea (fra cui molti latino-americani).

In assenza di reazioni della chiesa ufficiale, di fronte a simili abnormità hanno parlato alcuni esponenti dei movimenti indigeni. Jecinaldo Satere Mawe, brasiliano, ha definito papa Ratzinger «arrogante e irrispettoso». Dionito José de Souza, leader indigeno dell’etnia Makuxi, ha ricordato che «lo Stato usò la chiesa per fare il lavoro sporco della coloniaazzzione degli indigeni. Avevano già chiesto perdono e ora il papa che fa, smentisce le parole della chiesa?». Ancor più secca la risposta dell’india amazzonica Nizia Maldonado, ministro venezuelano per i popoli indigeni: «L’invasione imperiale ha portato al maggior genocidio dell’America latina. Mi piacerebbe che un sacerdote si alzasse e dicesse di vergognarsi a sentire che i popoli indigeni stavano aspettando l’evangelizzazione». Qualche prete si alzerà e parlerà?

Una messa in suffragio dei vostri defunti... in India

Dal "Corriere della Sera" del 4 marzo 2006 al seguito del viaggio di Bush in India e Pakistan:
"Una messa in suffragio dei vostri defunti, per esempio, può essere più semplice da organizzare qui che in un paesino dell’Umbria o del New Jersey: grazie a Internet, infatti, migliaia delle «intenzioni» espresse in Occidente sono poi celebrate in una chiesa indiana, nella maggior parte dei casi in Malayalam, la lingua del Kerala, lo Stato più cattolico del Paese. «Anche da alcune diocesi italiane, molti sacerdoti ci trasmettono delle intenzioni, in particolare dalla Toscana e da Torino», dice padre Francis Kurisinkal, il cancelliere della diocesi di Cochin, costa occidentale dell'India.
E’ l’« outsourcing religioso» costruito sull’enorme ricchezza di fedi del Paese e sulla capacità di farle stare assieme: merce culturale che ormai si esporta. Nella diocesi di Cochin arrivano in media, dall’Europa e dagli Stati Uniti, 350 richieste di messa ogni mese. In alcune zone del Kerala, il fenomeno è così diffuso che i vescovi hanno imposto a ogni chiesa di non accettare dall’estero più di un’intenzione al giorno, per non trasformare il tutto in un business fuori controllo. Ma le dimensioni del fenomeno sono notevoli. In una piccola chiesa del distretto di Thrissur, per dire, è stata recitata un po’ di tempo fa la messa voluta da un tifoso inglese per salvare il matrimonio di David Beckham. In un’altra parrocchia del Kerala, è stato officiato un rito di ringraziamento per l’ultima vittoria mondiale di Michael Schumacher, chiesta dalla Germania. Nell’Arcidiocesi di Changanasserey, sempre in Kerala, si dicono messe istruite a Lourdes e a Santiago de Compostela. Costo: 100-150 rupie, due o tre euro contro la media di 50 in Europa. E’ una questione di domanda e di offerta. In più di un Paese occidentale, la domanda di messe eccede la capacità delle chiese locali di celebrarle, vista la crisi di vocazioni. In India, al contrario, i sacerdoti abbondano. I rapporti personali tra preti all’interno della Chiesa favoriscono lo scambio e lo sviluppo di Internet ha creato un boom".
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commento:
provate a pensare com'è difficile e faticoso lavorare per vivere in un paese come l'India, poi arriva un missionario che ti offre un lavoro per dire delle messe, ottimo il guadagno rispetto alla fatica. Ottimo anche il guadagno per chi intasca decine di euro in Italia per questo tipo di messe, e poi lo appalta per poche rupie in India.
E poi ci meravigliamo se in India debbono fare delle leggi per il controllo delle conversioni.
Francesco Scanagatta

Ma il fondamentalismo...cristiano?

Rasho O°o°O's Free Bar: Ma il fondamentalismo...cristiano?

Ma il fondamentalismo...cristiano?
In epoche di monopoli mediatici e pericolose regressioni culturali, viene sempre meno un concetto indispensabile per capire quale sia il meccanismo di fondo di molte delle cose cui assistiamo (direttamente o indirettamente) ogni giorno. Già, infatti, se da una parte l'impostazione di fondo basata sull'equazione "islamico = fondamentalista" è stata ben innestata attraverso i soliti canali informativi lavatori-di-cervello, dall'altra non si fa mai riferimento alla componente analoga insita nella società occidentale. E che ha un nome che passa sempre sotto il silenzio: fondamentalismo cristiano. Quello cristiano, non è diverso da qualsiasi altro tipo di fondamentalismo. E' un atteggiamento mirante a imporre un'interpretazione letterale dei testi sacri ed una loro applicazione ad ogni aspetto della vita sociale, economica e politica. Posto questo comun denominatore, è facile accorgersi di quanto il fondamentalismo cristiano ed islamico si poggino su esperienze simili. Il primo punta a soffocare le voci delle comunità emarginate di donne, gay e lesbiche. Il secondo punta le sue armi principalmente sulle donne. E il tutto in nome di una Legge religiosa, che più che involuzione, è vera e propria "bomba al fosforo" per la società in cui viviamo. Il progressivo avvicinamento tra sfera civile e sfera religiosa non può che destare profonda preoccupazione: la sovrapposizione delle due, si presta fin troppo palesemente a manipolazioni politiche, con contenuti e significati del divino usati a proprio piacimento, secondo necessità.Ma chi è esattamente un cristiano fondamentalista? E in che modo si differenzia rispetto agli altri "interpretatori letterali di testi sacri"? La cosa più logica che ho trovato fare per rispondere a questa domanda, è stato riprendere uno spezzone scritto da Anthony Giddens sull'argomento, forse uno dei maggiori sociologi del nostro tempo. La descrizione che questi fa, e qui di seguito riportata, è a mio modo di vedere un ottimo sunto, in grado di cogliere cause, aspetti principali e sviluppi/radicalizzazioni recenti del fondamentalismo cristiano. Processo in cui ha avuto e sta avendo un ruolo fondamentale la politica. In questo quadro, George W. Bush è senz'altro uno dei maggiori protagonisti di questo crescente fenomeno. Il fatto che il presidente degli Stati Uniti faccia parte di un movimento chiamato "Born again Christians" costituisce forse il più chiaro emblema della "sovrapposizione delle due sfere".
«La crescita delle organizzazioni fondamentaliste di ispirazione cristiana in Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti è un fenomeno peculiare degli ultimi decenni. Per i fondamentalisti cristiani la Bibbia è una guida concreta per la politica, l'economia, la vita familiare ed in genere tutte le attività umane; la Bibbia è infallibile: i suoi contenuti sono espressioni della Verità divina; i cristiani sono tenuti alla diffusione del suo messaggio e alla conversione di coloro che non ne riconoscono ancora l'autorità. Il fondamentalismo cristiano è una reazione alle aperture teologiche e all'umanesimo secolare, che vede con favore l'emancipazione dall'ubbidienza ai dogmi religiosi. Esso si erge contro la "crisi morale" prodotta dalla modernizzazione: il declino della famiglia tradizionale, il crollo della moralità individuale, l'indebolimento del rapporto tra uomo e Dio.Negli Stati Uniti, i "nuovi conservatori" (neocon o teocon), affermatisi politicamente con l'ascesa alla presidenza di George W. Bush, hanno preteso di interpretare la cosidetta "moral majority", facendosi portabandiera delle campagne contro l'aborto, la pornografia e l'omosessualità, in favore della preghiera a scuola e dei valori familiari. Nell'ambito di questo movimento, sono state fondate alcune università il cui scopo è la costruzione di una nuova generazione educata ai principi del fondamentalismo cristiano e in grado di prendere pubblicamente posizioni sui media, nel mondo accademico, nella politica e nelle arti {...}.Ad inaugurare l'età dell'oro del proselitismo fondamentalista è stata la televisione. E' nata così la "chiesa elettronica", un insieme di organizzazioni religiose che operano prevalentemente attraverso i media anziché attraverso le congregazioni locali. Grazie alle comunicazioni satellitari e a Internet, oggi questa nuova forma di chiesa può raggiungere tutto il mondo».

TERRA SANTA: BARUFFA TRA PRETI NELLA BASILICA NATIVITA'

http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_36536911.html

2007-12-28 09:02
TERRA SANTA: BARUFFA TRA PRETI NELLA BASILICA NATIVITA'
GERUSALEMME - In marcato contrasto con lo spirito di Natale una violenta baruffa è scoppiata nella Basilica della Natività a Betlemme tra preti greci ortodossi e armeni causata da rivalità sul controllo di una parte del sito sacro alle confessioni cristiane. A quanto si è appreso la baruffa, che si è conclusa col ferimento di cinque preti e di due poliziotti, è scoppiata dopo che preti greci ortodossi, impegnati in lavori di pulizia postnatalizia nella basilica, sono stati assaliti da preti armeni che li hanno accusati di aver 'sconfinato' nell' area a loro riservata. Cominciata con urli e rimproveri la lite è degenerata a vie di fatto, con l'impiego di scope e sbarre di ferro fino a un pugilato vero e proprio tra preti, davanti a un pubblico esterrefatto di fedeli. E' stato necessario l' arrivo della polizia palestinese - due dei cui agenti sono stati contusi nel parapiglia assieme a cinque preti - per porre fine alla rissa. I preti malconci hanno dovuto essere curati nel vicino ospedale di Bet Jalla. Ha contribuito a calmare gli animi anche l' intervento del sindaco Victor Batarse. Non è certo la prima volta, ha detto, che le pulizie postnatalizie nella basilica sono causa di baruffe tra preti. "Nei precedenti due anni tutto era filato liscio, quest'anno purtroppo non è stato così" ha poi osservato tirando un sospiro. La basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme è un altro teatro, a volte, di aspre risse tra preti delle diverse confessioni cristiane che si accusano di sconfinare in aree della Chiesa a loro assegnate da un plurisecolare status quo.

Esorcisti ed Esorcismi

Questa è una storia raccapricciante:Il 12 settembre 1994, a Polistena, in Calabria, muore una bimba di 50 giorni durante un rito di esorcismo, messo in atto, su ispirazione di una santona, dal nucleo familiare al completo. Scopo del rituale: scacciare il demonio dal corpo della piccola. Per quel delitto viene condannato a 12 anni di reclusione, lo zio della bimba, Vincenzo Fortini fornaio di 43 anni.La famiglia dopo l'incontro con questa sensitiva, inizia ad essere convinta che quella casa è dominata da oscure forze del male, inizia così un rituale durato giorni, finchè Vincezo Fortini non è convinto di essere la reincarnazione di Padre Pio e uno dei suoi nipoti di Gesù Cristo."Ho visto lo sprito santo" raccontava Vincenzo dopo la tragedia, "non mi rendevo più conto di quello che stavo facendo".Il rituale prosegue con la compicità di tutta la famiglia che, disperata e agitata, segue alla lettera le indicazioni del "padre pio", anche quando questo indica nella piccola Maria Ylenia l'origine di ogni male, l'incarnazione del demonio. La bambina viene così martoriata fino alla morte dai suoi stessi famigliari nel corso di un "esorcismo di gruppo" a base di preghiere, acqua di Lourdes, percosse e bastonate.Una tragedia maturata in un ambiente assolutamente estraneo a qualunque forma di Satanismo e permeato invece da una fortissima superstizione religiosa.

il Settecento

il Settecento


di Ezio Savino, Il giornale, venerdì 28 dicembre 2007
La nazione Lakota, sparsa in cinque stati tra Nebraska e Wyoming, ha stracciato le carte firmate con il Governo federale più di un secolo fa. È notizia di questi giorni. «Non siamo più cittadini americani», recriminano i sachem, i capitribù, intendendo i paria di una società e di una cultura che li ha confinati ai margini della disperazione. E hanno stampato patenti e carte d’identità con i bolli Sioux. È l’ultima puntata di una storia epica e tragica, cominciata con una regina, Isabella di Castiglia, che per armare tre caravelle impegnò i gioielli della sua dote.

I contatti iniziali tra i marinai europei e i nativi furono un dislivello. I primi guardavano gli altri dall’alto delle murate di legno. Gli Indiani alzavano gli occhi increduli dalle umili canoe di corteccia di betulla. Uno squilibrio destinato a diventare, con il tempo, voragine sanguinosa, identificata con il mito retorico della «frontiera», linea mobile della volontà e dell’immaginazione aggressiva, spartiacque tra illuminismo cristiano e barbarie pagana, mistificazione autoassolutoria di F.J. Turner. Significativo il fatto che per annunciare un pieno ritorno alla sovranità Russel Means, portavoce dei separatisti, abbia invocato, dopo la Costituzione e la norma internazionale, il diritto di Natura. Un vero e proprio boomerang, rispetto ai pretestuosi proclami delle avanguardie di coloni, che piazzarono i loro forti sulle baie atlantiche e alle foci dei fiumi. «Tutte le preziose doti della Virginia - scriveva il puritano Samuel Purchas nei primi decenni del 1600 -, le doti che quella terra vergine preserva integre sin dalla creazione, sono il nostro premio per avere convertito le nazioni selvagge, e l’Inghilterra può ora reclamare la Virginia come sua proprietà inalienabile in base al diritto di Natura».

Terra vergine? Ma per favore. Vedova, piuttosto. La polemica messa a punto rimbomba nel libro di Francis Jennings L’invasione dell’America. Indiani, coloni e miti della conquista, vigoroso e ben documentato contraddittorio (esemplare il ricalcolo delle statistiche truccate dalla propaganda pionieristica) non solo delle farneticazioni alla Turner, ma anche dei presunti castelli storiografici di autori blindati, come Francis Parkman. La conclusione di Jennings è che, se oggi il taxista nero può scarrozzare i clienti per Harlem, i deputati votare contro o a favore della Casa Bianca di Washington, l’imprenditore di Chicago o Seattle movimentare montagne di dollari e perfino l’astronauta stampare sulla polvere lunare un passo piccolo per l’uomo, ma grande per l’umanità, il merito va equamente spartito tra popoli bianchi e rossi. L’America non è il frutto di un’ambigua supremazia provvidenziale, ma l’esito - alla pari - di un connubio.

Per approdare alla revisione definitiva, l’autore non si appoggia a edulcorate nostalgie primitivistiche, infarcite di pacifismo. Chiama alla sbarra la cattiva coscienza americana, e spara una requisitoria supportata da una serie impressionante di prove a carico. L’archeologia dimostra che la favoletta della terra immacolata è un paradosso grottesco. Le tribù non erano bande esigue. I tumuli riconducono a cifre di abitanti a molti zeri. Che calarono sotto l’attacco delle epidemie inoculate dagli intrusi. Anche il concetto di nomadismo va abrogato, a favore di un pendolarismo ciclico che garantiva un controllo equilibrato del territorio, fondato su profonde nozioni scientifiche delle risorse. Caccia e pesca non erano le attività occasionali di neolitici legati a una sussistenza quotidiana, ma processi industriali organizzati. La datazione al radiocarbonio ha collocato chiuse fluviali per l’ittiocoltura a quattromila anni fa. Il granturco dei nativi, contadini, ma anche orticultori provetti, fu l’avamposto delle colonie, i cui spaesati occupanti, spesso derelitti dalle madrepatrie distratte, non sarebbero sopravvissuti senza la cessione di surplus agricolo da parte degli Indiani, che così furono anche precursori del commercio internazionale. Alle loro piste, disegnate con perizia secolare, si sovrappongono le vie pioniere e, oggi, le autostrade.

Altro che selvaggio indolente e crudele. L’Indiano di Jennings è gemello dell’Ulisse europeo, uomo dalle mille risorse, costruttore, imprenditore, soldato e politico, che combatteva in ranghi ordinati, con armature di cuoio e di legno. Il brigante seminudo, fiero dello scalpo gocciolante, è una vergognosa macchietta confezionata in quel Settecento che pure si gloriava «dei lumi».

"Il diavolo fa paura esorcisti in ogni diocesi"

Repubblica 28.12.07
"Il diavolo fa paura esorcisti in ogni diocesi"
Vaticano, progetto allo studio per il 2008
Padre Amorth: "Il Papa vuole combattere frontalmente il Maligno"
di Marco Politi

CITTÀ DEL VATICANO - Padre Gabriele Amorth, il più celebre fra gli "ammazza-diavoli" italiani, esulta alla prospettiva che su indicazione di papa Ratzinger ogni diocesi del mondo potrebbe avere uno o più esorcisti in pianta stabile. Troppi demoni scorrazzano per il pianeta e bisogna contrastarli. «Decine di vescovi - sostiene Amorth - vivono sotto peccato mortale, perché non delegano i propri sacerdoti ad effettuare esorcismi». Il risultato? «Decine di migliaia di poveri fratelli e sorelle assediati dal diavolo, costretti a girovagare in lungo e in largo per trovare un esorcista con regolare mandato». L´anziano religioso paolino loda il pontefice senza riserve: «Grazie a Dio, abbiamo un Papa che ha deciso di combattere frontalmente il diavolo. Benedetto XVI crede nell´esistenza e nella pericolosità del Maligno. E ciò sin dai tempi in cui era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede».
La voce di una prossima istruzione papale viene riportata dal sito papanews, secondo cui il documento sarebbe in preparazione e verrebbe pubblicato nei primi mesi del 2008. L´indicazione sarebbe di individuare per ogni diocesi dei sacerdoti «specializzati» per trattare i casi di fedeli posseduti dal Maligno. Contemporaneamente verrebbe consigliato di adottare anche nella liturgia post-conciliare la preghiera di invocazione a San Micheledi come combattente contro i demoni. La preghiera fa già parte stabilmente della messa tridentina.
Negli uffici vaticani la voce non ha trovato al momento conferma. Padre Lombardi, portavoce della Santa Sede, non ne ha sentito parlare e dubita che vi sia un documento pronto per la pubblicazione. Ma non è un mistero che via sia una parte della gerarchia ecclesiastica che - anche dinanzi al diffondersi tra il vasto pubblico di credenze rivolte alla magia, ai maghi e ai poteri occulti - ritiene importante non lasciare la materia a esorcisti-fai-da-te o magari a sette religiose che promettono la «liberazione» dal Maligno e dalle sue opere. Le norme attualmente in corso nella Chiesa cattolica lasciano alla discrezionalità e alla saggezza di ogni vescovo di decidere se nella suo diocesi vi sia bisogno o no di uno o più esorcisti.
Padre Amorth è invece convinto che i vescovi debbano essere «obbligati ad incaricare un numero stabile di esorcisti per ogni diocesi» Se non lo fanno, sottolinea polemicamente il religioso, è «perché essi stessi non sempre credono all´esistenza del diavolo».
A riprova dell´atteggiamento papale, Amorth rievoca l´udienza che Benedetto XVI ha concesso l´anno scorso ad un gruppo di esorcisti in Vaticano: «Ci esortò a impegnarci sempre di più nel nostro ministero».
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commento:
sinceramente il diavolo è una delle tante invezioni che la follia cristiana ha distriuito in giro per il mondo. L'unica cosa che spaventa veramente sono gli esorcisti. Percheè questi cari esorcisti non ci ricordano l'esorcismo di Polistena? Perchè non ci ricordano le sentenze relative a quel processo?
Le notizie sono poche, anzi quasi nulle anche in internet.
Francesco Scanagatta

giovedì 27 dicembre 2007

scoperta la verà identità di cristo

"scoperta la verà identità di cristo"
leggetevi "Il fungo sacro e la croce" di John Allegro:

"Il fungo sacro era la "chiave" o il "chiavistello" che dava accesso al paradiso o all'inferno, duplice riferimento alla sua forma di sbarra terminante in un pomo per aprire le porte, e alla sua facoltà di aprire la strada a nuove ed eccitantie sperienze mistiche. Chimare "Satana" l'apostolo è in linea con l'altro titolo di "Cefa". Ambedue i nomi essendo di fatto dei giochi di parole sulle denominazioni del fungo, altrove usati per un'altra pianta "bulbo", cipolla. Il greco e il latino danno il nome "setanion", "setania" alla cipolla e il latino ha anche "caepa", "cepa" per quel vegetale che ha il corrispondente francese in "cèpe" "ceps", fungo.
Il notissimo gioco di parole in matteo 16:18: "tu sei Pietro (Petros) e sopra questa pietra (petra) edifichierò la mia chiesa..." può assumere oggi una ben maggiore rilevanza per il culto di un semplice gioco sul titolo di Pietro-Cefa e la parola aramaica cheindica pietra, Kepha. Il vero interesse di tutto il brano sta nel gioco di parole sul nome del fungo sacro che "Pietro" rappresenta. Il conferimento di autorità: "io ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto e tutto ciò che sarà sciolto sulla terra sarà sciolto dei cieli" (Matteo, 16:19) ha le sue basi verbali in un importante nome che i Sumeri davano al fungo: MASh-BA(LA)G-ANTA-TAB-BA-RI, letto come "Tu sei l'arbitro (quello che permette, autorizza) del regno".
Grazie ad un gioco su tre o quattro parole aramaiche estratte dal titolo sumerico. Si tratta probabilmente, come per quasi tutte le direttive e omelie, della storia apparente, di una cosa che non ha nessun significato reale. Meno che mai si può pensare che i membri del culto interpretassero quel brano nel senso che uno di loro avrebbe assunto su di sé l'autorità spirituale indicata dall'interpretazione superficiale del testo. Soltanto Dio ha la facoltà di "legare" e "sciogliere", per gli adoratori del sacro fungo, la deità si trova in questo ed offriva ai suoi servi la "chiave" per una nuova e meravigliosa esperienza mistica. Era questa "rinascita", come veniva chimata, che rimeteva i debiti del passato e offriva la premessa di un futuro libero dal "peccato" culturale che impediva la comunicazione direta dell'iniziato con Dio." ("Il fungo sacro e la croce" di John Allegro, pag. 69)

Huckabee, il Don Camillo americano sogna un’Apocalisse alla Casa Bianca

Huckabee, il Don Camillo americano sogna un’Apocalisse alla Casa Bianca

di Alberto Pasolini Zanelli, Il Giornale, giovedì 27 dicembre 2007
da Washington

Come possiamo definire Mike Huckabee: un Don Camillo della prateria o il Quinto Cavaliere dell’Apocalisse? Il primo accostamento vien subito spontaneo a chi è colpito dallo stile dell’uomo, dalla centralità in lui di un buon senso cristiano, dalla fede coniugata con la cordialità e il senso dell’umorismo. Se andasse in Italia a fare dei comizi lo chiamerebbero così. Il secondo accostamento è prettamente americano, teologico e letterario. Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas, aspirante alla candidatura repubblicana alla Casa Bianca, in crescita impetuosa nei sondaggi da qualche settimana, considerato oggi come oggi il favorito nel primo test del 3 gennaio in Iowa, ha ricevuto l’appoggio ufficiale dei due autori di un libro curiosamente straordinario: un romanzo in 12 volumi per un totale dunque di 5mila pagine in cui si racconta l’Apocalisse, dai primi segni delle Tribolazioni alla vittoria finale del Bene. Il tutto assolutamente aderente alla lettera del Libro delle Rivelazioni, lo scritto attribuito a Giovanni di Patmo e che chiamiamo comunemente Apocalisse.
È una storia che coinvolge molti sulla Terra e qualcuno anche in Cielo, che ha venduto oltre 60 milioni di copie e che comincia con il «rapimento», quello dei prescelti da Dio per salvarli dai tempi orrendi che verranno (I volume), continua con l’incarnazione dell’Anticristo in un segretario generale dell’Onu di origine romena e termina (XII volume) con lo sterminio dei cattivi a colpi di mitra in una grande battaglia in cui pare coinvolto personalmente Gesù. Gli autori sono un pastore e un specialista di «studi biblici», che trovano evidentemente in Mike Huckabee vedute e prognosi simili alle loro. È un intervento che caratterizza un candidato anche se non lo determina. In fondamentalisti «evangelici» non sono concordi sui candidati repubblicani: c’è perfino un predicatore famosissimo che preferisce Rudy Giuliani, passando sopra alle sue due pecche di essere cattolico e un tantino troppo laico. Di tutte queste tormentose visioni non vi è traccia nel tratto e nel linguaggio di Huckabee. Don Camillo prevale nettamente. Huckabee sorride sempre, anche quando fulmina gli avversari, anche quando tira al suo concorrente Mitt Romney, che è mormone, una frecciata del genere «Ma i mormoni non sono quelli che credono che Gesù e il Diavolo sono fratelli?».
Questo candidato va in giro per l’America con un alter ego, un attore un tempo famoso e tuttora assai noto, Chuck Norris, che presenta con una simpatica iperbole: «Quando Chuck fa una flessione non è che si tiri su: spinge giù la terra». Un’ispirazione in più per Huckabee, convertito ardente al fitness, che comincia le sue giornate con da 6 a 10 miglia di jogging (così ha perduto 50 chili, su consiglio di un medico che pare non si sia limitato a dirgli che era obeso ma ha anche aggiunto «e sei brutto») e la lettura di un capitolo dal Libro dei Proverbi. E alcune delle sue «uscite» in campagna elettorale sono diventate subito proverbiali. Huckabee si definisce, ed è, un conservatore. Ha in programma, come il «libertario» Ron Paul, l’abolizione dell’imposta sul reddito e la chiusura dell’ufficio imposte federale, però definisce anche «club degli avidi» un centro studi conservatore e liberista che propugna la diminuzione delle tasse per accelerare la crescita dell’economia. È più a destra di George Bush, ma lo accusa di «arrogante mentalità da bunker che ci danneggia in tutto il mondo e ci rende più vulnerabili». Tuona, come fanno tutti i candidati, repubblicani e democratici, contro gli immigranti illegali, propugna soluzioni come la costruzione di un muro ma poi come governatore dell’Arkansas ha concesso ai figli degli immigrati illegali sconti per frequentare l’università perché, dice, «è il miglior modo di integrarli».
Predica e pratica l’austerità di stampo biblico veterotestamentario, incluse le correzioni corporali in famiglia, tuona contro l’immoralità dei nostri tempi, ma poi si esibisce come chitarrista rock sui palcoscenici delle sagre paesane, con una preferenza per le musiche dei Pink Floyd. Ma si appella all’America profonda con un discorso fondamentale che è e resta integralista e fondamentalista. Non vuol sentir parlare della teoria dell’Evoluzione. Sostiene che la Bibbia deve andar letta e obbedita alla lettera, respingendo tutte le interpretazioni storiche, allegoriche e teologiche. Non contiene neppure un errore di stampa. L’ha letta tanto che è capace di mettere dentro fino a otto episodi in un solo paragrafo di un suo sermone. Lui ci aggiunge il sale delle battute agili. Durante un dibattito sulla pena di morte hanno chiesto a lui, e altri candidati repubblicani, «Che cosa ne penserebbe Gesù?» «Gesù - ha risposto Huckabee - era troppo intelligente per mettersi a fare il candidato». In un’altra occasione Don Camillo è stato più esplicito. «Nessun candidato è perfetto. Ne avevamo uno Duemila anni fa e l’hanno crocefisso».

Benedetto XVI e l'Islam, una santa alleanza anti-relativista

Benedetto XVI e l'Islam, una santa alleanza anti-relativista
Contro J.R. Torna in versione aggiornata il pamphlet di un anonimo studioso scatenato nei confronti del pontefice. Dopo Ratisbona. Joseph Ratzinger, incontrando ì rappresentanti di paesi e comunità islamiche, ha indicato nel fanatismo degli atei il nemico comune da fronteggiare. Lo scontro di civiltà non è tra due religioni, ma tra queste due e il materialismo, la modernità, il razionalismo.

Il Riformista del 8 dicembre 2006, pag. 6

Può darsi che il Santo Padre sia stato, davvero, onestamente sorpreso e «rammaricato» dalle proteste del mondo islamico ra­dicale, può darsi che non se le aspettasse proprio. L'accusa all'islam rappresentava soltanto il preambolo di una storica pro­posta politica all'Europa. A Ratisbona, il papa autocandidava ufficialmente la Chiesa di Ro­ma al ruolo di defensor pacis globale, allo status di garante di un nuovo quieto vivere mondia­le. Si rivolgeva ai «rappresentanti della scienza» perché a quelli dell'islam riteneva di ave­re già parlato con sufficiente chiarezza. La prova sarebbe ar­rivata tredici giorni dopo.



Lunedì 25 settembre 2006, dopo una decina di giorni di violente ma­nifestazioni sfociate nell'uccisione di una povera suora in So­malia, e di tentativi di scuse da parte vatica­na, Benedetto XVI in­contrava finalmente gli «ambasciatori dei paesi a maggioranza islamica accreditati presso la Santa Sede e alcuni esponenti delle comu­nità musulmane d'Italia». Al termine dell'incontro, i toni ap­parivano più distesi e il mondo tirava un sospiro di sollievo. Al­ti si levarono gli osanna. Furono pochi a notare che il papa aveva cambiato bersaglio e aveva offerto ai fratelli islamici la possi­bilità di convergere sul nemico comune rappresentato dalla modernità. Per accorgesene sarebbe bastato dedicare al «di­scorso» un po' più di una scorsa. Il passaggio decisivo giunge verso la metà del discorso. Do­po aver accennato alle «ben no­te» «circostanze» e rimarcato precedenti inviti al dialogo reci­proco, JR scrive: «In un mondo segnato dal relativismo, e che troppo spesso esclude la tra­scendenza dall'universalità del­la ragione, abbiamo assoluta­mente bisogno di un dialogo au­tentico tra le religioni e tra le culture, un dialogo in grado di aiutarci a superare insieme tutte le tensioni in uno spirito di proficua intesa». Se non è la proposta di una santa alleanza poco ci manca. Il cemento dell'intesa non si struttura, però, in una proposta positiva, ma nell'individuazione del «nemico» comune incarnato dal famigera­to «relativismo». Su questa ba­se, sembra dire Ratzinger, sulla base di questo avversario condi­viso, islam e cristianesimo pos­sono unirsi e darsi forza. Rispet­to al discorso di Ratisbona, l'in­terlocutore era cambiato e tutto si chiariva. Al nemico da com­battere, cui qualche giorno pri­mo ci si rivolgeva, non rimaneva che difendersi.

Si sbaglierebbe a pensare a un voltafaccia dettato da ragio­ni di opportunità politica. Il confronto e l'apprezzamento verso l'islam ritorna spesso nel pensiero di Joseph Ratzinger. anche con toni accorati, a volte, perfino, ammirati. Perfino nelle pieghe del discorso di Ratisbona, il papa ha mostrato com­prensione e quasi solidarietà nei confronti delle richieste fon­damentali dell'islam. «Le cultu­re profondamente religiose del mondo» (tanto l'isiam quanto il cristianesimo, dunque), ha detto il pontefice, «vedono proprio in questa esclusione del divine dall'universalità della ragione un attacco al­le loro convinzioni più intime».



Pur condannando come irrazionale (e quindi, empia) ogni guerra santa, Bene­detto XVI si è dimo­strato, in effetti, piut­tosto comprensivo verso le esu­beranze islamiche. Maggior im­putato rimane l'Illuminismo, cioè la modernità. È sua la col­pa di avere indotto, prima con il colonialismo, poi con l'esclu­sione del sacro dalla vita pub­blica, l'attuale esplosione di rabbia e di violenza provenien­te da una parte del mondo isla­mico. Ma all'ambigua presa di posizione di quasi equidistanza tra democrazie liberali e spinte teocratiche islamiche, pare intrecciarsi anche una specie di fiacca e invecchiata ammirazio­ne. Come se il papa avvertisse che il cristianesimo e la sua glo­riosa tradizione avrebbero bi­sogno proprio della giovane energia virile mujaheddin.



Celebrando nel 2004 il ses­santesimo anniversario dello sbarco in Normandia, il futuro pontefice aveva ammesso: «Sembra di assistere oggi alle scontro tra due grandi sistemi culturali i quali sono caratteriz­zati in verità da forme molto di­verse di potenza e di orienta­mento morale: l'Occidente e l'islam». Ma poi, immediatamente dopo, distingueva: «E tuttavia, che cos'è l'Occidente? E che cos'è l'islam? Entrambi sono mondi polimorfi, e sono mondi anche interagenti. In questo senso è dunque un errore op­porre globalmente Occidente e islam. C'è chi tuttavia tende ad approfondire ulteriormente questa opposizione, interpre­tandola come scontro tra la ra­gione illuminata e una forma di religione fondamentalista e fa­natica. Si tratterebbe dunque di abbattere prima di tutto il fon­damentalismo in tutte le sue forme e di promuovere la vitto­ria della ragione per lasciare campo libero a forme illumina­te di religione».



Il capitoletto immediata­mente successivo, significativa­mente intitolato «II fanatismo non è solo quello religioso», chiarisce che per Ratzinger, co­me per l'islam, il vero avversa­rio è la cultura laica e materiali­sta. Oltre alle «patologie della religione», conclude infatti JR, «esiste anche la patologia della ragione interamente separata da Dio. L'abbiamo vista nelle ideologie totalitarie che aveva­no negato ogni legame con Dio e intendevano così costruire l'uomo nuovo, il mondo nuo­vo», come Hitler, Stalin, Poi Pot. Se nell'islam bisogna distingue­re, dunque, questa grazia non vale per l'Occidente il cui «svi­luppo spirituale» tenderebbe necessariamente a imporre una dittatura della ragione calcolabile tale da innescare «una sor­ta di nuova guerra mondiale»: «È lo stesso sviluppo spirituale dell'Occidente a tendere sem­pre di più verso patologie di­struttive della ragione». La visione è tanto granitica e deter­minista, da costringere a goffe acrobazie. La pace in Europa dopo il 1945 sarebbe derivata dallo spirito cristiano dei suoi leader, tra i quali, JR generosa­mente include perfino Winston Churchill. Con la consueta di­sinvoltura nel disporre del pas­sato per attribuire tutto il bene al cristianesimo e tutto il male a un materialismo, di volta in vol­ta, illuminista, hitleriano o stali­niano, Ratzinger racconta che «Churchill, Adenauer, Schuman e De Gasperi» «hanno fondato la loro idea morale dello Stato, della pace e della responsabilità sulla loro fede cristiana, che aveva superato la prova dell'Il­luminismo e si era ampiamente purificata nel confronto con la distorsione del diritto e della morale operata dal Partito».



È l'islam, racconta l'allora prefetto parlando al Senato ita­liano nel maggio 2004, ad avere spaccato il Mediterraneo cri­stiano e definito geografica­mente l'Europa: «Solo l'avanza­ta trionfale dell'islam nel VII e all'inizio dell'VIII secolo ha tracciato un confine attraverso il Mediterraneo, lo ha per così dire tagliato a metà». È l'islam, dice in un'intervista al francese Le Figaro nel 2001, a vedere nella perdita di spiritualità del­l'Europa la prova della sua de­cadenza e immoralità: «Oggi, l'islam è molto presente in Eu­ropa. E sembra che si manifesti un certo disprezzo presso colo­ro che sostengono che l'Occi­dente ha perso la sua coscienza morale. Per esempio, se il matri­monio e l'omosessualità sono considerati come equivalenti, se l'ateismo si trasforma in diritto alla bestemmia, noratoriamente nell'arte, questi fatti sono orri­bili per i musulmani. Perciò, c'è l'impressione diffusa nel mondo islamico, che il cristianesimo è morente, che l'Occidente è de­cadente. E il sentimento che so­lo l'isiam porta la luce della fe­de e della moralità».



L'intervista prosegue: «Par­lare di un confronto di cultu­re, è in certi casi vero: nel disprezzo verso l'Occi­dente troviamo le conseguenze del passato durante il quale l'islam ha su­bito il dominio dei paesi europei» (an­che il colonialismo va­le, cioè, come circo­stanza attenuante). «Ci si può allora imbattere in un fanati­smo terri­bile. È una delle facce dell'islam, non è tutto l'islam. Esistono anche dei musulmani che desiderano un dialogo paci­fico con i cristiani».



La distinzione viene ribadita all'italiano la Repubblica nel 2004: «In ogni caso è una sfida positiva per noi la ferma fede in Dio dei musulmani, la coscienza che siamo tutti sotto il giudizio di Dio, insieme ad un certo pa­trimonio morale e all'osservan­za di alcune norme che dimo­strano come la fede per vivere abbia bisogno di espressioni co­muni: cosa che noi abbiamo un po' perso». In un'altra intervista (al quotidiano cattolico Avveni­re, ripubblicata in Aa.Vv., Il mo­noteismo, Mondadori, Milano 2002) la distinzione sfocia in un'esplicita gerarchia dei nemi­ci in base alla loro pericolosità: «Oggi l'opposizione più forte al cristianesimo proviene dall'Eu­ropa e dalla sua filosofia post-cristiana, mentre nei paesi ex­traeuropei la fede trova un so­stegno sempre più forte».



Come passa piano il tempo. Il mese di settembre del 2006, grazie a Sua Santità, portava in dote al mondo categorie storiche che soltanto cent'anni pri­ma apparivano trionfanti e non passibili di dubbi. Per renderse­ne conto, basta scorrere le pri­me pagine del più importante atlante e calendario italiano, il De Agostini, dell'anno 1906. Accanto al «Computo ecclesiastico», alle «Feste mo­bili» e al «Suono del­l'Ave Maria» mese per mese, ora per ora, le prime pagine dell'edizione di cent'anni fa esibi­scono una sorpren­dente fotografia dell'umanità.


Cent'anni più tardi, oggi, gra­zie all'analisi del sommo pontefice, uomo che la maggior par­te degli esseri umani residenti nel­la sua porzione di pianeta consi­dera autorevole e reputa sa­piente, il mondo torna a divi­dersi tra monoteisti e politeisti (anche se questi ultimi hanno sostituito al rutilante pantheon dell'antichità le molto più col­pevoli delizie offerte dal meto­do scientifico). Se le cose stanno così, se davvero chi crede nell'«unico dio» ha tutto l'interesse a unirsi contro chi ne ha molti e tutti falsi, è il caso di in­contrarsi e mettersi a parlare. La crisi provocata dalla malac­corta citazione di Ratisbona, ha offerto l'occasione di una nuova alleanza religiosa che potrebbe scandire gli anni a venire.

NOTE

Tratto da «Contro Ratzinger 2.0», Isbn - Gruppo il Saggiatore

Ruanda, condannato a 15 anni di carcere un prete cattolico complico nel genocidio

Ruanda, condannato a 15 anni di carcere un prete cattolico complico nel genocidio

Corriere della Sera del 14 dicembre 2006, pag. 19

di M. A. A.
Genocidio, crimini contro l'umanità, sterminio. Per que­sti reati il prete cattolico ruandese Athanase Seromba è sta­to condannato ieri a 15 anni di reclusione dal tribunale pena­le internazionale di Arusha. Il sostituto procuratore del tribunale, l'italiana Silvana Ardia, aveva chiesto l'ergastolo. «La pena inflitta è ridicola», di­ce al Corriere. La sua colpa: aver attirato almeno 2000 tutsi nella sua cattedrale col pre­testo di salvarli dai massacri dell'aprile 1994, quando gli estremisti hutu fecero a pezzi a colpi dì machete un milione di tutsi e hutu moderati. Se­romba chiuse a chiave le porte della chiesa e ordinò all'auti­sta di un bulldozer di abbatte­re l'edificio mentre gli assassi­ni sparavano e lanciavano gra­nate dalle finestre. Poi scappò, prima in Zaire (ora Repub­blica Democratica del Congo) e nel 1997 a Firenze dove visse sotto falso nome (Anastasio Sumbabura) fino al 2002. Ave­va una lettera di raccomanda­zione del vescovo di Nyundo, che lodava le sue doti di reli­gioso. Grazie alla diocesi fio­rentina, continuò ad officiare messa. Ma il suo nome saltò fuori nel 1995. Un libro dell'or­ganizzazione African Rights lo descriveva come uno spietato killer. Lo scovarono i giorna­listi. Il governo italiano tergi­versò, ma poi cedette alle pres­sioni della Del Ponte, che ot­tenne l'estradizione nel feb­braio 2002. Le prove erano schiaccianti e la difesa non è riuscita a farlo assolvere nonostante — sostengono sottovo­ce alla procura del tribunale —le pesanti pressioni del Vati­cano sui magistrati.

TOSCANA - CECINA _ Il piano di recupero degli immobili del Vaticano a Vada vicino all’approvazione definitiva.

TOSCANA - CECINA _ Il piano di recupero degli immobili del Vaticano a Vada vicino all’approvazione definitiva.
LUCIANO DONZELLA
SABATO, 03 NOVEMBRE 2007 IL TIRRENO - Cecina

via libera al recupero del Vaticano

La vecchia fabbrica sarà trasformata in un complesso residenziale

Il progetto prevede la realizzazione di 56 appartamenti e di aree a verde

ROSIGNANO. Urbanistica ed interventi edilizi, qualcosa si muove anche col freno a mano tirato di un regolamento urbanistico costretto a procedere a passo d’uomo dall’incrocio fra vicende giudiziarie ed analisi di osservazioni anche pesanti come quelle arrivate dalla Regione.
Il piano di recupero degli immobili del Vaticano a Vada vicino all’approvazione definitiva.
Nella seduta del consiglio comunale del 13 novembre sarà discussa la proposta di delibera per dare via libera al progetto. L’avviso è stato dato dalla garante della Comunicazione del Comune Laura Moretti.
Il piano di recupero interessa un nucleo immobiliare all’immediata periferia sud di Vada, lungo la vecchia Via Aurelia. Si tratta di quattro edifici principali e di una serie di annessi che saranno recuperati a fini residenziali.
Il Vaticano è un comparto strettamente legato alla storia di Rosignano: si tratta infatti del primo insediamento industriale del territorio comunale. Ora ciò che resta delle strutture industriali sarà trasformato in un complesso residenziale destinato ad ospitare 56 appartamenti.
Il progetto (assieme a quello dei Casoni, sempre in attesa di un acquirente) fa parte del più ampio piano di recupero della frazione e fu presentato in Comune nel 1999.
Ora, dopo una serie di cambi di proprietà e grazie anche alla collaborazione della Sovrintendenza, verrà riqualificata una parte dell’edilizia industriale di interesse storico.
Le strutture del Vaticano che si innalzano lungo la vecchia Aurelia accanto all’ex centro nautico, furono edificate nel 1880 come fonderia.
Un’attività che proseguì per oltre mezzo secolo, e che si interruppe solo con la seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra le vecchie fonderie furono trasformate in una distilleria per la lavorazione delle vinacce. E la storia industriale del comparto non si fermò qui. In seguito infatti le stesse strutture ospitarono una una cartiera ed una attività per la realizzazione di infissi in alluminio. Alla soglia del secolo di vita, intorno alla fine degli anni Settanta, iniziò il degrado dell’area, che era sempre rimasta di di proprietà privata.
Nel 1999 infine fu presentato ed approvato il piano di recupero. Nel frattempo la struttura aveva cambiato più di un proprietario, e questo aveva portato alla presentazione di un nuovo progetto di recupero, fatto salvo dal vecchio piano regolatore.
L’attuale progetto prevede fra l’altro un abbassamento delle volumetrie rispetto al piano precedente e una serie di azioni di recupero con l’obiettivo di mantenere una parte di quella che era l’originaria edilizia industriale.
A mantenere all’intera area un’aspetto architettonicamente rivolto alle tematiche dell’archeologia industriale, molto apprezzate negli ultimi anni, saranno fra l’altro la vecchia ciminiera, di cui è previsto il consolidamento, e anche il corpo centrale della struttura, che rimarrà simile all’originale.
In questo conteso però saranno realizzati 56 appartamenti di varie metrature (i più piccoli saranno di 60 metriquadrati), ogni appartamento avrà a disposizione un box interrato ricoperto dai giardini, mentre per garantire la consevazione e la realizzazione di zone a verde pedonabili sono state accorpate tutte le aree di parcheggio. E‘previsto il restauro completo di tutti gli edifici esistenti, e una zona del complesso, sarà collegata direttamente col resto del paese; l’accesso delle autovetture avverrà da via 2 Giugno, in modo da non intralciare il traffico della via Aurelia.
Il piano di recupero degli immobili del Vaticano è stato adottato dal consiglio comunale a metà giugno di quest’anno, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana dell’8 agosto per 45 giorni consecutivi, e l’avviso di deposito del provvedimento è stato pubblicato all’albo pretorio del Comune fino al 21 settembre. In questa fase non sono state presentate osservazioni.