E all'Opus Dei torna Torquemada: meglio impiccare che abortire…
Liberazione del 16 gennaio 2007, pag. 1
di Antonella Marrone
Riflessioni sulle riflessioni sulla pena di morte del direttore di "Studi Cattolici". Si chiama Cesare Cavalieri e ieri, dopo aver appreso dell'esecuzione dei due coimputati di Saddam, ha pensato a come affrontare lo spinoso tema. Partiamo dalla visione mistica che ha inaspettatamente colto l'alto funzionario dell'Opus Dei nell'esercizio delle sue funzioni. Cioè mentre scriveva un editoriale per "Studi Cattolici". «Saddam che muore recitando una preghiera (magari di resipicenza) ha una sua grandezza e sarebbe una gradita sorpresa per chi è, o andrà, in Paradiso trovarselo collega». Nel frattempo Cavalleri osserva e si chiede: «Siamo sicuri che l'ergastolo sia meglio della pena di morte?» In fondo all'alto funzionario non sfugge che la vita costretta in una cella, senza relazioni umane vere, senza amori e conforto, senza la possibilità di sviluppare la propria intelligenza e la propria creatività è una schifezza. Non lo dice, Cavalleri ( e non saremo certo noi a fargli venire il sospetto) , ma esiste il dubbio che fosse a fianco di Welby nella sua disperata richiesta di eutanasia, nella ricerca di una morte che lo staccasse da una vita-non vita. Eppure di Pannella mentre riflette, dice peste e corna, dice che dovrebbe insospettirci tanto accanimento contro la pena dimorte da parte di «paladini delle stragi dell'aborto e della sperimentazione sugli embrioni». Qui entriamo nella seconda agghiacciante riflessione del dirigente dell'Opus Dei, quella che passa dall'esecuzione capitale all'aborto. Dice così: «Ci si deve commuovere per l'impiccaggione di un criminale e per le poche decine o centinaia di condanne a morte eseguite nel mondo, e invece restare indifferenti o peggio considerare conquista di civiltà la strage di migliaia, di milioni di vite umane che annualmente avviene nel mondo con l'aborto e la sperimentazione sugli embrioni?» La domanda posta così è chiaramente retorica, Cavalleri: chiaro che sì, chiaro che bisogna commuoversi per l'impiccaggione, per ordine di un tribunale, di qualsiasi essere umano. Commuoversi e anche vergognarsi e indignarsi e, perché no, impaurirsi. Impaurirsi per le ombre che si muovono dietro queste riflessioni, aver paura, dopo secoli e secoli, di guardarsi intorno e scoprire di essere tornati al Medioevo, alle streghe da bruciare, agli infedeli da decapitare, a Torquemada. E visto che la domanda è retorica, ci chiediamo: ma che cosa ci vuole veramente dire Cesare Cavalleri con il suo editoriale posto che uno Stato che uccide è uno Stato assassino, mentre l'aborto è l'esercizio di un diritto individuale e la sperimentazione scientifica un bene per tutta l'umanità?
Liberazione del 16 gennaio 2007, pag. 1
di Antonella Marrone
Riflessioni sulle riflessioni sulla pena di morte del direttore di "Studi Cattolici". Si chiama Cesare Cavalieri e ieri, dopo aver appreso dell'esecuzione dei due coimputati di Saddam, ha pensato a come affrontare lo spinoso tema. Partiamo dalla visione mistica che ha inaspettatamente colto l'alto funzionario dell'Opus Dei nell'esercizio delle sue funzioni. Cioè mentre scriveva un editoriale per "Studi Cattolici". «Saddam che muore recitando una preghiera (magari di resipicenza) ha una sua grandezza e sarebbe una gradita sorpresa per chi è, o andrà, in Paradiso trovarselo collega». Nel frattempo Cavalleri osserva e si chiede: «Siamo sicuri che l'ergastolo sia meglio della pena di morte?» In fondo all'alto funzionario non sfugge che la vita costretta in una cella, senza relazioni umane vere, senza amori e conforto, senza la possibilità di sviluppare la propria intelligenza e la propria creatività è una schifezza. Non lo dice, Cavalleri ( e non saremo certo noi a fargli venire il sospetto) , ma esiste il dubbio che fosse a fianco di Welby nella sua disperata richiesta di eutanasia, nella ricerca di una morte che lo staccasse da una vita-non vita. Eppure di Pannella mentre riflette, dice peste e corna, dice che dovrebbe insospettirci tanto accanimento contro la pena dimorte da parte di «paladini delle stragi dell'aborto e della sperimentazione sugli embrioni». Qui entriamo nella seconda agghiacciante riflessione del dirigente dell'Opus Dei, quella che passa dall'esecuzione capitale all'aborto. Dice così: «Ci si deve commuovere per l'impiccaggione di un criminale e per le poche decine o centinaia di condanne a morte eseguite nel mondo, e invece restare indifferenti o peggio considerare conquista di civiltà la strage di migliaia, di milioni di vite umane che annualmente avviene nel mondo con l'aborto e la sperimentazione sugli embrioni?» La domanda posta così è chiaramente retorica, Cavalleri: chiaro che sì, chiaro che bisogna commuoversi per l'impiccaggione, per ordine di un tribunale, di qualsiasi essere umano. Commuoversi e anche vergognarsi e indignarsi e, perché no, impaurirsi. Impaurirsi per le ombre che si muovono dietro queste riflessioni, aver paura, dopo secoli e secoli, di guardarsi intorno e scoprire di essere tornati al Medioevo, alle streghe da bruciare, agli infedeli da decapitare, a Torquemada. E visto che la domanda è retorica, ci chiediamo: ma che cosa ci vuole veramente dire Cesare Cavalleri con il suo editoriale posto che uno Stato che uccide è uno Stato assassino, mentre l'aborto è l'esercizio di un diritto individuale e la sperimentazione scientifica un bene per tutta l'umanità?