Siamo sicuri che la Chiesa voglia dialogare?
Il Riformista.it del 2 febbraio 2007
di Mario Ricciardi
Chi si aspettava che le dichiarazioni del presidente Napolitano sarebbero state accolte con l’attenzione e il rispetto che meritano da parte della chiesa cattolica è andato incontro a una cocente delusione. All’indomani della significativa manifestazione di apertura alle ragioni della gerarchia ecclesiale da parte del massimo rappresentante della repubblica il Vaticano sembra sentire il bisogno di ribadire ancora una volta la propria intransigenza. Anche nei confronti di una legge, come quella che dovrebbe disciplinare alcuni aspetti delle convivenze, che non ha nulla a che fare con il temuto inserimento nel nostro ordinamento del “matrimonio omosessuale”. La cosa, a pensarci, è strana perché rilancia la polemica proprio nel momento in cui, anche grazie all’intervento di alcuni cattolici che appartengono alla maggioranza di governo, sembra aprirsi la strada a un intervento legislativo che risponda a esigenze di giustizia che, è il caso di ricordarlo ancora una volta, sono del tutto indipendenti dal comportamento sessuale delle persone. In un certo senso, la Chiesa era riuscita a far valere la propria opposizione di principio a una modifica sostanziale dello statuto giuridico della famiglia contro le aspirazioni di quei settori della maggioranza che invitavano il governo “a fare come Zapatero”. Perché non raccogliere l’invito al dialogo di Napoletano? Perché rifiutare l’opportunità di dare un contributo costruttivo alla redazione di un testo di legge che potrebbe dare una risposta a esigenze ragionevoli senza mettere in discussione il valore del matrimonio?
Le osservazioni di monsignor Giuseppe Betori a margine della presentazione del comunicato finale del Consiglio permanente della Cei suonano piuttosto come un invito (immediatamente raccolto anche da un partito che appartiene alla maggioranza) ad alzare i toni dello scontro in parlamento. La spiegazione di questa rinnovata “bellicosità” della Chiesa italiana si potrebbe rintracciare, come è stato osservato da Giuliano Ferrara, nel fatto che in questo momento le gerarchie ecclesiastiche nel nostro paese si sentono particolarmente forti. Avendo incassato quella che esse interpretano come una vittoria nei referendum sulla fecondazione artificiale, esse avrebbero in animo di lanciare un’offensiva a tutto campo per consolidare il successo ottenuto attraverso iniziative di alto profilo sui temi etici. Si parla a tal proposito di un documento sulla bioetica che sarebbe in fase di redazione e che potrebbe aprire un fronte ulteriore di confronto ravvivando un conflitto che al momento appare sopito. Vedremo. Nel frattempo, tuttavia, chi crede nella possibilità di un dialogo ragionevole tra credenti e non credenti è costretto a rivedere la propria posizione. Come reagire altrimenti a precisazioni speciose come quella di chi vorrebbe relegare eventuali interventi in favore dei conviventi al “diritto comune”? Dietro l’allusione colta, fatta apposta per confondere chi non è familiare con la storia del diritto, si intravede il rifiuto di una soluzione limpida che, senza toccare le disposizioni costituzionali, intervenga attraverso regole certe e uguali per tutti che non consegnino la tutela dei deboli a un meccanismo oneroso e incerto come quello dei rimedi da ottenere in giudizio. Ci sarebbe da riflettere sulla fiducia nelle proprie ragioni che questi sotterfugi rivelano.
Il Riformista.it del 2 febbraio 2007
di Mario Ricciardi
Chi si aspettava che le dichiarazioni del presidente Napolitano sarebbero state accolte con l’attenzione e il rispetto che meritano da parte della chiesa cattolica è andato incontro a una cocente delusione. All’indomani della significativa manifestazione di apertura alle ragioni della gerarchia ecclesiale da parte del massimo rappresentante della repubblica il Vaticano sembra sentire il bisogno di ribadire ancora una volta la propria intransigenza. Anche nei confronti di una legge, come quella che dovrebbe disciplinare alcuni aspetti delle convivenze, che non ha nulla a che fare con il temuto inserimento nel nostro ordinamento del “matrimonio omosessuale”. La cosa, a pensarci, è strana perché rilancia la polemica proprio nel momento in cui, anche grazie all’intervento di alcuni cattolici che appartengono alla maggioranza di governo, sembra aprirsi la strada a un intervento legislativo che risponda a esigenze di giustizia che, è il caso di ricordarlo ancora una volta, sono del tutto indipendenti dal comportamento sessuale delle persone. In un certo senso, la Chiesa era riuscita a far valere la propria opposizione di principio a una modifica sostanziale dello statuto giuridico della famiglia contro le aspirazioni di quei settori della maggioranza che invitavano il governo “a fare come Zapatero”. Perché non raccogliere l’invito al dialogo di Napoletano? Perché rifiutare l’opportunità di dare un contributo costruttivo alla redazione di un testo di legge che potrebbe dare una risposta a esigenze ragionevoli senza mettere in discussione il valore del matrimonio?
Le osservazioni di monsignor Giuseppe Betori a margine della presentazione del comunicato finale del Consiglio permanente della Cei suonano piuttosto come un invito (immediatamente raccolto anche da un partito che appartiene alla maggioranza) ad alzare i toni dello scontro in parlamento. La spiegazione di questa rinnovata “bellicosità” della Chiesa italiana si potrebbe rintracciare, come è stato osservato da Giuliano Ferrara, nel fatto che in questo momento le gerarchie ecclesiastiche nel nostro paese si sentono particolarmente forti. Avendo incassato quella che esse interpretano come una vittoria nei referendum sulla fecondazione artificiale, esse avrebbero in animo di lanciare un’offensiva a tutto campo per consolidare il successo ottenuto attraverso iniziative di alto profilo sui temi etici. Si parla a tal proposito di un documento sulla bioetica che sarebbe in fase di redazione e che potrebbe aprire un fronte ulteriore di confronto ravvivando un conflitto che al momento appare sopito. Vedremo. Nel frattempo, tuttavia, chi crede nella possibilità di un dialogo ragionevole tra credenti e non credenti è costretto a rivedere la propria posizione. Come reagire altrimenti a precisazioni speciose come quella di chi vorrebbe relegare eventuali interventi in favore dei conviventi al “diritto comune”? Dietro l’allusione colta, fatta apposta per confondere chi non è familiare con la storia del diritto, si intravede il rifiuto di una soluzione limpida che, senza toccare le disposizioni costituzionali, intervenga attraverso regole certe e uguali per tutti che non consegnino la tutela dei deboli a un meccanismo oneroso e incerto come quello dei rimedi da ottenere in giudizio. Ci sarebbe da riflettere sulla fiducia nelle proprie ragioni che questi sotterfugi rivelano.