mercoledì 26 dicembre 2007

La risurrezione non è la prova di Dio, Credenze simili in alcune religioni precristiane

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30/07/2002

ELZEVIRO Verità storica e fede

La risurrezione non è la prova di Dio

Credenze simili in alcune religioni precristiane


L e religioni monoteiste sono oggi coinvolte da guerre di cui sono
ispiratrici e vittime. Una guerra più profonda di queste, visibili, si
combatte tra la volontà di servirsi della religione per interessi economici
e la volontà di servirsi dell'economia per interessi religiosi. D'altra
parte, se l'economia va incontro ai bisogni del corpo (soprattutto per i
quali scoppiano le guerre), il supremo bisogno del corpo è di liberarsi
dalla propria debolezza e corruttibilità e, vincendo la morte, vivere in
eterno. E la fede nella risurrezione dei corpi condivisa da tutte e tre le
cosiddette religioni monoteiste (per l'ebraismo penso a Giobbe ed Ezechiele)
non esprime forse questa suprema istanza «economica»? Sebbene Paolo condanni
l'economia che si serve della religione e la «gente che crede la pietà
strumento di guadagno», anch'egli si muove all'interno di quella superiore
«economia». La teologia parla appunto di «economia della salvezza».
Ma, quanto maggiori sono le speranze suscitate dalla fede nella
risurrezione, tanto più ponderati debbono essere i pensieri. Questo invito
non ha nulla a che fare con l'atteggiamento, oggi sempre più diffuso, che
intende ridurre il senso dell'uomo alla vita terrena. Al contrario, la fede
nella risurrezione della carne è ancora troppo terrena e riduttiva. L'uomo
sta infinitamente al di sopra della condizione, apparentemente felice, di
chi può risorgere dopo la morte. Per comprender questo, bisognerebbe
scorgere che anche quella fede dipende dal senso che vien dato al «divenire»
e alla morte degli esseri; ed è innanzitutto sul senso che l'Oriente e l'
Occidente hanno assegnato al divenire e alla morte che bisognerebbe far
luce. Tuttavia la ponderazione alla quale invitiamo si limiterà qui a un'
osservazione molto più accessibile e circoscritta.
Per il cattolicesimo la risurrezione di Gesù è la prova definitiva e
decisiva della sua divinità. Paolo dice inoltre che senza la risurrezione di
Gesù sarebbe vana anche la fede nella risurrezione dei morti. Anche per
altre religioni il Dio (Osiride, Dioniso, Tammuz, Baal) muore e risuscita.
Ma già Zarathustra e i filosofi greci avevano pensato la risurrezione di
tutti i morti. Tutti i viventi, dice Eraclito (fr. 88), tramutandosi
diventano i morti, e a loro volta i morti si tramutano e diventano i
viventi. Il mondo stesso è un accendersi e uno spegnersi per accendersi di
nuovo. Il mondo è divino, ma la risurrezione appartiene all'essenza di ogni
cosa, non è il privilegio di una realtà particolare in cui si voglia vedere
la presenza di un Dio.
Da parte nostra diciamo che sulle spalle della risurrezione di Gesù si è
voluto caricare un peso che essa non può reggere. Si ammetta pure che Gesù
sia risorto. Ma se dalla sua risurrezione segue certamente che egli ha avuto
una sorte eccezionale, non segue però ancora che egli sia Dio, cioè quell'
Essere eterno, creatore e salvatore del mondo a cui pensa il cristianesimo.
Le «leggi della natura» oggi note possono cedere il passo ad una diversa
legislazione dove i corpi dei morti ritornano vivi sulla terra.
La fede nella risurrezione di Cristo ha incontrato grande resistenza nella
cultura occidentale. Ma ciò significa che anche questi avversari del
cristianesimo hanno dato all'evento della risurrezione un'importanza
esorbitante, vedendolo gravido di conseguenze che invece da esso non possono
scaturire. La cultura del nostro tempo può cioè concedere che Gesù sia
risorto senza trovarsi costretta a riconoscere che egli sia Dio. Per il
cattolicesimo è Cristo stesso, insieme al Padre e allo Spirito Santo, a far
risorgere la propria carne. Ma se questa tesi intende fondarsi sulla fede
nella risurrezione di Gesù, non può trovare in essa quanto gli occorre.
Sul versante opposto si suol dire che la risurrezione dei morti è
inverosimile e non ha alcun riscontro scientifico. Ma si può rispondere che
la verità non ha bisogno di essere verosimile e che infinite sono le cose
ignorate dalla scienza. Con obiezioni di questo tipo si rimane cioè alla
superficie del problema. Si va invece verso il fondo quando si scorge che,
anche se l'evento straordinario della risurrezione di Gesù (e in generale
dei morti) si fosse realizzato (o si realizzasse) per davvero, rimarrebbe
ancora interamente da spiegare perché il protagonista di tale evento debba
essere Dio: perché debba essere Dio ciò che la conoscenza attuale dell'uomo
non riesce a spiegare.
Si ammetta pure - dicevo - che la risurrezione di Gesù sia «veramente»
accaduta, cioè sia, come vuole la teologia cattolica, una «verità storica».
Per il credente tale «verità» sarà un «motivo» per aver fede nella divinità
di Gesù. Non potrà tuttavia mai essere un motivo così cogente da trasformare
il contenuto della sue fede in una verità assolutamente innegabile. Una
«verità storica» non è infatti la verità nel senso pieno e autentico, cioè
la verità come incontrovertibilità assoluta. Una «verità storica» - già
Agostino lo sapeva -, è soltanto un'ipotesi, un'interpretazione, una fede;
sorretta sì da «motivi» che sono per lo più assenti nelle fantasie
arbitrarie, ma che possono essere pur sempre considerati insufficienti. Chi
ammette le «verità storiche» - la «verità storica» della risurrezione di
Cristo - non si appoggia sulla pura roccia dell'indiscutibile, ma rimane all
'interno della fede - e dell'incertezza che accompagna ogni fede.