Battaglia sulla satira in nome di Voltaire
La Repubblica del 8 febbraio 2007, pag. 16
di Giampiero Martinotti
Destra e sinistra per una volta d'accordo, la stampa in prima linea per difendere la satira: il processo intentato dalle autorità musulmane al settimanale satirico Charlie Hebdo si è trasformato ieri in un caso politico. E la presa di posizione pubblica di Nicolas Sarkozy in favore del periodico ha mandato su tutte le furie le autorità musulmane: il leader della destra è ministro dell'Interno e del Culto e il rettore della moschea parigina, all'origine del processo, non ha gradito la scelta di campo. In serata, il Consiglio francese del culto musulmano si è riunito d'urgenza, ha minacciato dimissioni in blocco per poi mostrarsi più prudente: le autorità musulmane hanno deplorato la «politicizzazione» del processo a causa delle elezioni e hanno chiesto «ritegno».
A poco più di due mesi dalle elezioni era inevitabile che la politica si appropriasse del processo, intentato al settimanale per aver riprodotto le celebri caricature danesi di Maometto, accompagnate da vignette dei suoi disegnatori sullo stesso argomento. Secondo le autorità musulmane, si tratta di un atto razzista, di disegni che stigmatizzano un gruppo di persone «a causa della sua religione»: Maometto viene presentato come un uomo violento, è la loro tesi, e così chi crede in lui è associato a un'ideologia e un'attività terroristiche.
Non la pensa così la classe politica: il segretario socialista, Francois Hollande, e il candidato centrista alle presidenziali, Francois Bayrou, hanno accettato di essere citati come testimoni dalla difesa, per difendere «i principi repubblicani». Sarkozy non ha voluto lasciarli soli a difendere la libertà di espressione ed ha inviato una lettera al difensore di Charlie Hebdo, Georges KieJ-man, principe del Foro ed ex ministro di Mitterrand (il legale delle autorità musulmane è anche avvocato di Jacques Chirac). Durante l'udienza. Kieiman ha letto l'inatteso messaggio di Sarkozy: «Ci tengo a portare il mio sostegno al vostro giornale, che s'iscrive in una vecchia tradizione francese, quella della satira». Dopo aver ricordato di essere spesso nel mirino di Charlie Hebdo, Sarkozy afferma di aver sempre accettato le sue caricature «in nome della libertà di ridere di tutto. Preferisco l'eccesso di caricatura all'assenza di caricatura». E l'aula si è messa a ridere quando Kiejman ha letto la firma: «Nicolas Sarkozy, insieme tutto è possibile», cioè il suo slogan di campagna.
Nel pomeriggio, è toccato a Hollande difendere il settimanale in aula: «Questo processo non avrebbe dovuto aver luogo — ha detto rivolgendosi ai responsabili musulmani —. È meglio un buon dibattito che un cattivo processo. Non vi nego il diritto di farlo. Ma qualunque sia la decisione del tribunale, non credo che abbiate fatto progredire la causa che difendete». Bayrou sarà ascoltato oggi e si presenterà come un credente difensore della laicità: «Non avrei pubblicato quelle caricature, per non offendere i credenti, ma la libertà di espressione è il nostro bene più prezioso. Per questo vado a testimoniare».
Se il mondo politico, grazie anche alla campagna elettorale, si è mostrato unanime nel difendere Charlie Hebdo, una parte della stampa ha fatto di più. Libération ha ripubblicato le vignette e tutto il giornale di ieri è stato fatto insieme ai disegnatori del settimanale satirico: «Nel paese di Voltaire si ha il diritto di criticare le religioni», ha scritto il direttore, Laurent Joffrin. Secondo Le Monde, siamo di fronte a un processo «d'altri tempi», a una «querelle oscurantista». Un coro che non stupisce in un paese come la Francia, che ha fatto della laicità uno degli architravi della coesione nazionale. Mentre resta un mistero perché il moderato Dalil Boubakeur, rettore della moschea parigina, abbia ceduto alle pressioni dei gruppi più oltranzisti che volevano a tutti i costi un processo.
La Repubblica del 8 febbraio 2007, pag. 16
di Giampiero Martinotti
Destra e sinistra per una volta d'accordo, la stampa in prima linea per difendere la satira: il processo intentato dalle autorità musulmane al settimanale satirico Charlie Hebdo si è trasformato ieri in un caso politico. E la presa di posizione pubblica di Nicolas Sarkozy in favore del periodico ha mandato su tutte le furie le autorità musulmane: il leader della destra è ministro dell'Interno e del Culto e il rettore della moschea parigina, all'origine del processo, non ha gradito la scelta di campo. In serata, il Consiglio francese del culto musulmano si è riunito d'urgenza, ha minacciato dimissioni in blocco per poi mostrarsi più prudente: le autorità musulmane hanno deplorato la «politicizzazione» del processo a causa delle elezioni e hanno chiesto «ritegno».
A poco più di due mesi dalle elezioni era inevitabile che la politica si appropriasse del processo, intentato al settimanale per aver riprodotto le celebri caricature danesi di Maometto, accompagnate da vignette dei suoi disegnatori sullo stesso argomento. Secondo le autorità musulmane, si tratta di un atto razzista, di disegni che stigmatizzano un gruppo di persone «a causa della sua religione»: Maometto viene presentato come un uomo violento, è la loro tesi, e così chi crede in lui è associato a un'ideologia e un'attività terroristiche.
Non la pensa così la classe politica: il segretario socialista, Francois Hollande, e il candidato centrista alle presidenziali, Francois Bayrou, hanno accettato di essere citati come testimoni dalla difesa, per difendere «i principi repubblicani». Sarkozy non ha voluto lasciarli soli a difendere la libertà di espressione ed ha inviato una lettera al difensore di Charlie Hebdo, Georges KieJ-man, principe del Foro ed ex ministro di Mitterrand (il legale delle autorità musulmane è anche avvocato di Jacques Chirac). Durante l'udienza. Kieiman ha letto l'inatteso messaggio di Sarkozy: «Ci tengo a portare il mio sostegno al vostro giornale, che s'iscrive in una vecchia tradizione francese, quella della satira». Dopo aver ricordato di essere spesso nel mirino di Charlie Hebdo, Sarkozy afferma di aver sempre accettato le sue caricature «in nome della libertà di ridere di tutto. Preferisco l'eccesso di caricatura all'assenza di caricatura». E l'aula si è messa a ridere quando Kiejman ha letto la firma: «Nicolas Sarkozy, insieme tutto è possibile», cioè il suo slogan di campagna.
Nel pomeriggio, è toccato a Hollande difendere il settimanale in aula: «Questo processo non avrebbe dovuto aver luogo — ha detto rivolgendosi ai responsabili musulmani —. È meglio un buon dibattito che un cattivo processo. Non vi nego il diritto di farlo. Ma qualunque sia la decisione del tribunale, non credo che abbiate fatto progredire la causa che difendete». Bayrou sarà ascoltato oggi e si presenterà come un credente difensore della laicità: «Non avrei pubblicato quelle caricature, per non offendere i credenti, ma la libertà di espressione è il nostro bene più prezioso. Per questo vado a testimoniare».
Se il mondo politico, grazie anche alla campagna elettorale, si è mostrato unanime nel difendere Charlie Hebdo, una parte della stampa ha fatto di più. Libération ha ripubblicato le vignette e tutto il giornale di ieri è stato fatto insieme ai disegnatori del settimanale satirico: «Nel paese di Voltaire si ha il diritto di criticare le religioni», ha scritto il direttore, Laurent Joffrin. Secondo Le Monde, siamo di fronte a un processo «d'altri tempi», a una «querelle oscurantista». Un coro che non stupisce in un paese come la Francia, che ha fatto della laicità uno degli architravi della coesione nazionale. Mentre resta un mistero perché il moderato Dalil Boubakeur, rettore della moschea parigina, abbia ceduto alle pressioni dei gruppi più oltranzisti che volevano a tutti i costi un processo.