mercoledì 26 dicembre 2007

Sul Tg la fede è solo cattolica Agli altri le briciole

Sul Tg la fede è solo cattolica Agli altri le briciole
Liberazione del 24 gennaio 2007, pag. 7

di Fulvio Fania

Chiesa cattolica pigliatutto. Accendi il televisore e tro­vi il prete, il vescovo o il cardi­nale. Raro che si veda un pastore valdese, un luterano o un monaco buddista. Accade sempre più spesso, anche nei programmi di intrattenimento e sui temi più disparati. E l'informazione del servizio pubblico? Anche nei Tg e nelle rubriche informative della Rai la religione è in aumento. Il Tg1 è passato dal 6% del 2004 all'8,37 dello scorso anno; il Tg2 dal 5,17 all'8,97 e il Tg3 dal 4,35 al 6,32. Nel 2005 si toccò il record delle presenze con punte del 13,27% ma va detto che in quell'anno morì Wojtyla e fu eletto Ratzinger. La parte del leone la fa comun­que e sempre la chiesa cattoli­ca, praticamente un monopolio, quasi il 98% dell'informa­zione religiosa sul telegiornale della rete ammiraglia e più del 95% sul terzo canale Rai. La percentuale resta costante an­che in assenza di eventi ecla-tanti come la successione al pontificato. Chi occupa quel piccolo spazio che rimanervi compaiono soprattutto espo­nenti dell'Islam e dell'ebrai­smo mentre è rarissimo ascoltare una voce o una notizia del­le altre religioni o delle diverse famiglie del cristianesimo pur presenti in Italia. «Almeno tre milioni di italiani - osserva Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche - vengono ignora­ti)). Ammesso e non concesso che per esprimere il pluralismo religioso possa bastare una sorta di manuale Cencelli tra le confessioni.



Secondo un'indagine presen­tata ieri da un gruppo di comu­nità di "minoranza", i prote­stanti non sono addirittura mai comparsi nei programmi "Pri­mo piano", "Giorni d'Europa", "Speciale tgl" e "La vita in di­retta". Anche nelle rubriche in­fatti, compresa "Uno mattina", per le religioni diverse dalla cattolica restano appena le bri­ciole: tra l'uno e i] quattro per cento delle ore dedicate com­plessivamente ad argomenti di fede.



«Provincialismo religioso», lo definisce Maselli. «Non abbia­mo alcun intento ostile verso la chiesa cattolica -precisa -, nep­pure contro i diversi consigli di amministrazione che si sono succeduti alla Rai, poiché sap­piamo bene che l'indagine sul­le reti private e sui quotidiani non darebbe risultati migliori». Gli evangelici, insieme agli avventisti del Settimo giorno, alla Federazione chiese penteco­stali e all'Unione induista, han­no tuttavia deciso di denuncia­re questo «deficit culturale» al­l'Autorità delle comunicazio­ni. E siccome sì tratta anche di una violazione del pluralismo informativo e delle finalità del servizio pubblico, hanno chie­sto al Garante di «accertare le violazioni» e di porvi rimedio. Il caso Welby è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Anna Maffei, presidente del­l'Unione battista, racconta che, di fronte al rifiuto da parte del Vicariato cattolico del funerale religioso, lei e la pastora Maria Bonafede, moderatola della Tavola valdese, hanno of­ferto alla famiglia la propria di­sponibilità a celebrare un rito cristiano magari in forma ecumenica. La notizia - ricorda - è passata solo di sfuggita su un Tg, ma subito oscurata da una successiva intervista ad un car­dinale.



«Si può essere cristiani ed avere opinioni diverse sulle coppie di fatto, sull'eutanasia o su altri temi etici – sottolinea Bonafede - però il servizio pubblico non ci ha mai interrogato». L'intero cristianesimo viene così ridot­to alla sua versione cattolica nell'unico paese al mondo - osserva polemicamente Maffei -dove gli informatori religiosi si definiscono vaticanisti. E que­sto non è vantaggio neppure per il dialogo tra cattolici ed al­tri cristiani.



I giornali televisivi, radiofonici e stampati prendono grossi "buchi", fa notare Maselli. Per esempio, hanno ignorato l'assemblea del Consiglio ecume­nico delle chiese, durata dieci giorni a Porto Alegre, con la partecipazioni di ortodossi, protestanti e anglicani di tutto il mondo.



I dati ufficiali sull'informazio­ne "sociale" pubblicati via web dall'Autorità per le comunica­zioni sono fermi al 2004 e l'in­dagine sull'ultimo periodo si deve all'attivissimo Centro d'ascolto del Partito radicale. Questa è la ragione per cui il gruppo di comunità religiose di "minoranza", non senza qualche mugugno interno, ha presentato alla stampa la pro­pria denuncia insieme agli esponenti radicali. Pagando però pegno. Anche stavolta qualcuno ha fatto la parte del leone a loro scapito: ben tre in­terventi di dirigenti radicali più un sermone di Marco Pannella.


Peccato, perché la denuncia è serissima e lo rimane a dispetto delle forme.