“Ridicolo aspettare 5 anni Tutta colpa della Chiesa”
La Stampa.it del 29 gennaio 2007
di Michela Tamburrino
Diritti. Doveri. Attesa di anni. Autocertificazione. Amore? Nemmeno se ne parla. Allo stilista Stefano Gabbana scappa un sorriso in bilico tra una consapevolezza acquisita negli anni e la piccola soddisfazione che almeno su questi Pacs si legiferi. Sia pure senza chiamare con quelle quattro lettere le unioni di fatto. «La coppia è coppia, oltre tutto e tutti».
Stefano Gabbana, ha letto? Tre pagine per ventuno articoli con i quali si sancisce per legge «il riconoscimento giuridico» dei diritti delle persone «che fanno parte delle unioni di fatto». Contento?
«Se si considera che siamo l’ultimo Paese che ha affrontato il problema, di soddisfazione non si può certo parlare. E di questo ritardo enorme è colpevole la Chiesa che ha tenuto in scacco i politici impauriti di perdere i voti dei cattolici. Loro portano avanti la loro battaglia esprimendo il giudizio contrario e usando la forza delle loro opinioni come uno spauracchio. All’estero la pressione si sente meno, noi la Chiesa l’abbiamo in casa. Ogni giorno si battono contro chi a loro avviso mette in forse il concetto tradizionale di famiglia. Ma anche quella di fatto è famiglia e va protetta. Io, da cattolico, non capisco perché lottino contro l’amore. Ma il processo non può più fermarsi. I Pacs non obbligano nessuno».
Ma in realtà di Pacs non si parla. Prodi stesso ha tenuto a dire che «nel programma non usiamo la parola Pacs, quelli che faremo non sono Pacs. Questa non è solo una questione terminologica ma di sostanza». D’accordo?
«I Pacs infatti sono proprio quelli che dice Prodi. Non significano “omosessualità”. Le unioni di fatto interessano tutti, soprattutto gli eterosessuali, che sono la maggior parte. Le chiamino come vogliono...».
Qualcuno non la vede nello stesso modo. Per esempio Mastella.
«Mastella esprime il suo giudizio, che è uno. Poi si va avanti».
Lei e Domenico Dolce siete stati coppia per vent’anni. Certamente una coppia privilegiata. Ma se non di guai materiali si può parlare, avete avuto altri problemi?
«Siamo stati fortunati, anche perché abbiamo vissuto nel nostro microcosmo nel quale non erano contemplati emarginazione e giudizio. Ma da piccolo il fatto di essere gay mi ha molto condizionato. La discriminazione era tangibile, la gente ha sempre avuto paura di tutto quello che è diverso. Immagini un bambino di 7 anni che non capisce neppure di essere diverso ma che sente qualcosa che marcia di pari passo con la vergogna. Non poterne parlare in famiglia, con gli amici. I primi insulti, gli sguardi di riprovazione. Invece tu vuoi solo bene, a prescindere dal sesso. Le difficoltà sono enfatizzate. Non capisci, senti il male, ti vengono complessi di inferiorità, di colpa, di abbandono. Sai solo che devi tacere e fingere. I problemi comportamentali che ne derivano te li porti dietro per tutta la vita e condizionano anche la coppia. Dico questo di me, perché vorrei passasse il principio che le persone vanno educate fin da piccole, a scuola, ad accettare tutti e a non pensare che esiste “il diverso”. In tre generazioni il problema sarebbe superato».
In questa bozza di legge si trattano molti punti ma di figli nemmeno il più piccolo accenno.
«E’ normale, i figli sono un problema più pesante. Dare vita a una creatura è impegnativo, entriamo in un ambito pericoloso. La cautela è d’obbligo, soprattutto se si parla di adozioni. Il mondo è pieno di pazzi, è necessario controllare che questi bambini non finiscano in mani sbagliate. Parlo anche di coppie etero, ovviamente».
Un recente studio nega che i ragazzi affidati a gay poi diventino gay a loro volta. Anzi, l’incidenza è molto minore.
«Ma certo, era una sciocchezza pensare a questo aspetto. Nei casi di coppie omosessuali, sono per la fecondazione artificiale. Un bambino deve avere due figure di riferimento, una femminile e una maschile. Due uomini sono sempre due uomini».
Nella bozza, dopo il certificato anagrafico, per ottenere alcuni diritti in ambito di pensioni di reversibilità, successione e per subentrare nel contratto d’affitto, bisognerà aspettare, tre, cinque e c’è chi vorrebbe addirittura quindici anni. Le sembra giusto?
«L’attesa mi sembra una pagliacciata, un paraculismo. I diritti, tutti, dovrebbero scattare appena ci si registra. Che cosa significa la durata dell’unione? Nel matrimonio assistiamo a separazioni immediate, succede di tutto. Io prima di sposarmi ci penserei per bene. Devo dire che sono contrario al matrimonio (quello omosessuale è una sciocchezza), è un contratto scritto. L’unione si basa sul rispetto. Ricordiamoci che la coppia è l’inizio della famiglia a dispetto di tutto. Evidentemente dietro quest’attesa c’è qualcosa che noi non sapremo mai».
Che cosa le manca, oggi?
Manca, in generale, il rispetto e la dignità, si elevano a oggetti di culto persone sbagliate. Sono un privilegiato, posso gridarlo, ma anche io vivo i miei problemi. Dico quello che penso senza mediazioni, voglio essere libero di fare e di sbagliare senza sentirmi schiavo della mia popolarità».
Scusi, ma non ha mai pensato di scendere in politica?
Io no, non riesco a dire bugie. Domenico Dolce sì, parla bene è coinvolgente, ne ha la stoffa. Avrebbe voluto fondare il partito Destra Democratica. D. D., Come Domenico Dolce».
La Stampa.it del 29 gennaio 2007
di Michela Tamburrino
Diritti. Doveri. Attesa di anni. Autocertificazione. Amore? Nemmeno se ne parla. Allo stilista Stefano Gabbana scappa un sorriso in bilico tra una consapevolezza acquisita negli anni e la piccola soddisfazione che almeno su questi Pacs si legiferi. Sia pure senza chiamare con quelle quattro lettere le unioni di fatto. «La coppia è coppia, oltre tutto e tutti».
Stefano Gabbana, ha letto? Tre pagine per ventuno articoli con i quali si sancisce per legge «il riconoscimento giuridico» dei diritti delle persone «che fanno parte delle unioni di fatto». Contento?
«Se si considera che siamo l’ultimo Paese che ha affrontato il problema, di soddisfazione non si può certo parlare. E di questo ritardo enorme è colpevole la Chiesa che ha tenuto in scacco i politici impauriti di perdere i voti dei cattolici. Loro portano avanti la loro battaglia esprimendo il giudizio contrario e usando la forza delle loro opinioni come uno spauracchio. All’estero la pressione si sente meno, noi la Chiesa l’abbiamo in casa. Ogni giorno si battono contro chi a loro avviso mette in forse il concetto tradizionale di famiglia. Ma anche quella di fatto è famiglia e va protetta. Io, da cattolico, non capisco perché lottino contro l’amore. Ma il processo non può più fermarsi. I Pacs non obbligano nessuno».
Ma in realtà di Pacs non si parla. Prodi stesso ha tenuto a dire che «nel programma non usiamo la parola Pacs, quelli che faremo non sono Pacs. Questa non è solo una questione terminologica ma di sostanza». D’accordo?
«I Pacs infatti sono proprio quelli che dice Prodi. Non significano “omosessualità”. Le unioni di fatto interessano tutti, soprattutto gli eterosessuali, che sono la maggior parte. Le chiamino come vogliono...».
Qualcuno non la vede nello stesso modo. Per esempio Mastella.
«Mastella esprime il suo giudizio, che è uno. Poi si va avanti».
Lei e Domenico Dolce siete stati coppia per vent’anni. Certamente una coppia privilegiata. Ma se non di guai materiali si può parlare, avete avuto altri problemi?
«Siamo stati fortunati, anche perché abbiamo vissuto nel nostro microcosmo nel quale non erano contemplati emarginazione e giudizio. Ma da piccolo il fatto di essere gay mi ha molto condizionato. La discriminazione era tangibile, la gente ha sempre avuto paura di tutto quello che è diverso. Immagini un bambino di 7 anni che non capisce neppure di essere diverso ma che sente qualcosa che marcia di pari passo con la vergogna. Non poterne parlare in famiglia, con gli amici. I primi insulti, gli sguardi di riprovazione. Invece tu vuoi solo bene, a prescindere dal sesso. Le difficoltà sono enfatizzate. Non capisci, senti il male, ti vengono complessi di inferiorità, di colpa, di abbandono. Sai solo che devi tacere e fingere. I problemi comportamentali che ne derivano te li porti dietro per tutta la vita e condizionano anche la coppia. Dico questo di me, perché vorrei passasse il principio che le persone vanno educate fin da piccole, a scuola, ad accettare tutti e a non pensare che esiste “il diverso”. In tre generazioni il problema sarebbe superato».
In questa bozza di legge si trattano molti punti ma di figli nemmeno il più piccolo accenno.
«E’ normale, i figli sono un problema più pesante. Dare vita a una creatura è impegnativo, entriamo in un ambito pericoloso. La cautela è d’obbligo, soprattutto se si parla di adozioni. Il mondo è pieno di pazzi, è necessario controllare che questi bambini non finiscano in mani sbagliate. Parlo anche di coppie etero, ovviamente».
Un recente studio nega che i ragazzi affidati a gay poi diventino gay a loro volta. Anzi, l’incidenza è molto minore.
«Ma certo, era una sciocchezza pensare a questo aspetto. Nei casi di coppie omosessuali, sono per la fecondazione artificiale. Un bambino deve avere due figure di riferimento, una femminile e una maschile. Due uomini sono sempre due uomini».
Nella bozza, dopo il certificato anagrafico, per ottenere alcuni diritti in ambito di pensioni di reversibilità, successione e per subentrare nel contratto d’affitto, bisognerà aspettare, tre, cinque e c’è chi vorrebbe addirittura quindici anni. Le sembra giusto?
«L’attesa mi sembra una pagliacciata, un paraculismo. I diritti, tutti, dovrebbero scattare appena ci si registra. Che cosa significa la durata dell’unione? Nel matrimonio assistiamo a separazioni immediate, succede di tutto. Io prima di sposarmi ci penserei per bene. Devo dire che sono contrario al matrimonio (quello omosessuale è una sciocchezza), è un contratto scritto. L’unione si basa sul rispetto. Ricordiamoci che la coppia è l’inizio della famiglia a dispetto di tutto. Evidentemente dietro quest’attesa c’è qualcosa che noi non sapremo mai».
Che cosa le manca, oggi?
Manca, in generale, il rispetto e la dignità, si elevano a oggetti di culto persone sbagliate. Sono un privilegiato, posso gridarlo, ma anche io vivo i miei problemi. Dico quello che penso senza mediazioni, voglio essere libero di fare e di sbagliare senza sentirmi schiavo della mia popolarità».
Scusi, ma non ha mai pensato di scendere in politica?
Io no, non riesco a dire bugie. Domenico Dolce sì, parla bene è coinvolgente, ne ha la stoffa. Avrebbe voluto fondare il partito Destra Democratica. D. D., Come Domenico Dolce».