mercoledì 26 dicembre 2007

L'incerto indio che sarà santo

ilmanifesto - 30 luglio 2002
Ieri in Guatemala. Oggi in Messico. Il 97° viaggio del papa
L'incerto indio che sarà santo
Come san Giorgio, Juan Diego è forse nato dalla fantasia popolare. Ma il gran circo vaticano se ne serve per rinnovare la propria immagine un po' consunta. E gli affianca due beati spioni, responsabili di un massacro nella loro comunità


Il sacro Così il mantello della vergine di Guadalupe copre i discutibili vertici della chiesa cattolica in Messico. Che è in parte implicata nello scandalo dei pedofili
Il profano Esplode il marketing della fede, in vendita altarini d'argento di Taxco, pergamena ufficiale, kit con portarosario papale in occasione della canonizzazione
GIANNI PROIETTIS
CITTA' DEL MESSICO
L'arrivo di papa Wojtyla, che visita per la quinta volta il Messico durante il suo pontificato, ha mobilitato il gregge dei cattolici. Ben 35mila poliziotti vigilano le strade della capitale, gli alberghi registrano un tutto esaurito come non si vedeva da anni - dal 1999, l'ultima visita papale - e si parla di otto milioni di persone accorse a vedere il papa. Domani, mercoledì, Juan Pablo Segundo canonizzerà Juan Diego, l'umile indio a cui, secondo la tradizione, apparve per la prima volta la Vergine di Guadalupe, patrona delle Americhe. Giovedì, con una seconda processione in papamobile, Wojtyla attraverserà di nuovo la folla in festa, partendo dalla nunziatura apostolica, per beatificare due indios di Oaxaca, Juan Bautista e Jacinto de los Angeles, che furono linciati - martirizzati, secondo la Chiesa - dalla loro comunità per aver denunciato agli spagnoli la persistenza di culti e rituali nativi.

Il santo e i due beati indoamericani, sebbene con un ritardo di cinque secoli, colmano una grave lacuna dell'ecumenismo cattolico, che aveva già il suo santo afroamericano - il limeño san Martín de Porres - ma nessun amerindio. Un atto dovuto che nel contesto attuale, con gli accordi di San Andrés che aspettano da sei anni di essere recepiti nella legislazione e con la miseria, il saccheggio e la repressione degli indigeni messicani più visibile che mai, significa che degli indios, almeno, è il regno dei cieli.

Un progresso: all'inizio della Conquista si dubitò che i popoli originari fossero dotati di un'anima. Di fatto, le moltitudini che acclameranno il nuovo santo sono mosse anche e soprattutto dalla fervente devozione per la Madonna di Guadalupe, che attraversa l'intera società messicana. E il fatto che la patria del machismo latino elevi a massimo simbolo un'immagine femminile è solo uno degli apparenti paradossi messicani (la più grande autoanalisi dell'anima nazionale resta quella, indimenticabile, di Octavio Paz in El laberinto de la soledad).

Insieme all'irrefrenabile concorso dei fedeli, su cui cercano di navigare sia il presidente Vicente Fox che il sindaco di sinistra Lopez Obrador, c'è un marketing della fede che inquina l'atmosfera, in realtà meno fumosa del solito grazie alle piogge stagionali.

Da un paio di settimane i tg delle maggiori televisioni dedicano la prima mezz'ora a dettagli come la papamobile - che inalbera un impudico stellone d'oro della Mercedes - trasmettono jingle pontifici e promuovono il kit in vendita nelle edicole, con astuccio portarosario bianco e giallo, o gli altarini di argento di Taxco passando per il «pergamino autorizzato» di san Juan Diego. Ce n'è per tutte le tasche.

Restano sommerse le polemiche fra gli aparicionistas, che credono fermamente nelle apparizioni della Vergine, e gli antiaparicionistas, che osano dubitare dell'esistenza storica dell'indio Juan Diego, peraltro spagnolizzato dall'iconografia ufficiale con una folta barba da conquistador.

Volendo essere scientifici nel senso del positivismo occidentale, non c'è uno straccio di prova dell'esistenza storica di Juan Diego. Al contrario, il fatto che la notizia dell'apparizione mariana del 1531 non sia registrata per il secolo successivo in nessun documento ufficiale - né dal vescovo Zumarraga, il primo ad ascoltare la testimonianza di Juan Diego, né dai maggiori cronisti dell'epoca - fa sospettare una creazione della mitologia popolare. E'incontestabile, invece, che dove l'indio nahua avrebbe ricevuto la visione - e l'immagine stampata sul suo mantello, insieme a miracolosi fiori invernali - sorgeva da secoli un centro cerimoniale preispanico dedicato a Tonantzin, simbolo della terra, principio creatore femminile. Scrive fra' Bernardino de Sahagún nella Historia general de las cosas de Nueva España (1576): «In questo luogo avevano un tempio dedicato alla madre degli dèi che chiamavano Tonantzin, che vuol dire Nostra Madre; lì facevano molti sacrifici in onore di questa dea, e venivano da terre molto lontane (...) e portavano molte offerte».

Le cronache della Conquista riferiscono che Juan de Sandoval, agli ordini di Hernán Cortés, distrusse una enorme statua di Tonantzin e la sostituì con una grande croce, un gesto consueto di evangelizzazione. E' lì, sul monte Tepeyac, che la Vergine morena è apparsa a Juan Diego, chiedendogli la costruzione di un santuario, e ha esteso il suo manto protettore a tutti gli indios messicani. L'evangelizzazione aspirava ad essere la «faccia buona» di un processo di spoliazione, deculturazione e asservimento dei popoli originari che continua ininterrotto fino ad oggi - basta pensare al plan Puebla-Panamá o all'aeroporto di Texcoco, che si vogliono imporre a ferro e fuoco agli abitanti ancestrali di quei territori. Ma sotto il manto della Chiesa romana si sono consumate anche molte atrocità.

E' il caso, lupus in fabula, dei beati Juan Bautista e Jacinto de los Angeles, che nel 1700, facendo i fiscales, ossia informatori degli spagnoli, delatarono un rito nativo - il sacrificio di una cerbiatta - provocando morti e repressione fra gli indios zapotechi delle montagne di Oaxaca. Gli abitanti del villaggio di San Francisco Cajonos riuscirono a farsi consegnare dagli spagnoli, assediati nel convento domenicano, i due fiscales, li accusarono di denunciare la propria gente e li giustiziarono.

Fra il clero «di base» di Oaxaca qualcuno borbotta. «Ci sono indios ben più meritevoli, se si vogliono consacrare beati indigeni. In fondo, i santos fiscales, come li chiamano popolarmente, tradirono la religione autoctona e provocarono un massacro nella comunità». Ma per la Chiesa che conta queste sono minuzie.

Misteri della Chiesa

H molto colpito l'opinione pubblica, tre anni fa, sentire dall'abate Guillermo Schulemburg, amministratore della basilica di Guadalupe negli ultimi trent'anni, che l'esistenza storica di Juan Diego non era poi così provata. La dichiarazione dell'abate, grande giocatore di golf e collezionista di auto di lusso, fu considerata provocatoria dalla maggioranza dei fedeli. Come si permetteva il massimo prelato della Guadalupe, che aveva amministrato per tanto tempo elemosine annue di milioni di dollari e possedeva lussuose residenze, di sputare nel piatto dove mangiava?

Eppure l'abate Schulemburg non è solo a dubitare. Anche Girolamo Prigione, primo nunzio apostolico in Messico, non avrebbe scommesso un soldo sulla storicità di Juan Diego. Prigione, però, è passato alla storia per altri motivi. Dall'inizio del pontificato di Giovanni Paolo II, nel 1978, ha lavorato alla riapertura delle relazioni diplomatiche fra Messico e Santa Sede, interrotte durante la Rivoluzione. Dopo quindici anni di paziente lavoro nei corridoi del potere, il prelato piemontese riuscì ad ottenere da Carlos Salinas il riconoscimento del Vaticano e un miniconcordato che abrogava molte delle limitazioni imposte fino allora alla Chiesa cattolica.

Un altro dei paradossi messicani è che un paese cattolicissimo sia anche così ferocemente anticlericale. Nella stessa Rivoluzione, in cui le bande zapatiste usavano come bandiera lo stendardo della Guadalupe, le truppe di Venustiano Carranza tiravano fuori dalle chiese le statue dei santi per fucilarle in piazza. La Costituzione del 1917, che imponeva severi divieti ai cattolici - come la formazione di un partito confessionale, la celebrazione di riti all'aperto, la partecipazione del clero in politica - è abrogata nella pratica. Dopo la conquista del potere nel 2000, il Partido de Acción Nacional, il partito della destra cattolica nato nel 1939 a cui appartiene il presidente Fox, sta scambiandosi favori con l'alto clero filovaticano. Non tutti limpidi e puri, a dire il vero.

Prima di ritornare come pensionato nel 1997 nella sua natia Alessandria, il nunzio Prigione ricevette i fratelli Arellano Felix, i narcotrafficanti più ricercati d'America, per ascoltare la loro versione dell'omicidio del cardinal Posada Ocampo, ucciso per errore nell'aeroporto di Guadalajara nel maggio 1993. Dopo di che, il rappresentante vaticano permise ai capi narcos di lasciare indisturbati la sede della nunziatura, accordando loro una sorta di immunità diplomatica.

Una pietra dello scandalo, riaffiorata recentemente per la polemica sul clero pedofilo, sono il grande potere dei Legionari di Cristo. Il fondatore di quest'ordine, che forma in apposite università i futuri politici catto-reazionari e gode di grandi simpatie nel governo Fox, è il padre Marcial Maciel. Pedofilo, morfinomane, filoariano, padre Maciel Degollado, ultraottantenne, ha fondato nel 1941 un ordine religioso autorizzato da papa Pacelli, ha aperto seminari, scuole e università in 17 paesi americani ed europei, ha formato all'ideale Dio-Patria-Famiglia una parte di classe dirigente multinazionale e ha accumulato un'enorme fortuna e un discreto numero di denunce per pederastia. Le accuse di suoi antichi alunni - alcuni dei quali studiarono a Roma, in un seminario dell'ordine in via Aurelia Nuova 677 - lo inseguono da 40 anni. Gli ex-discepoli risentiti oggi sono un manipolo di maturi professionisti: avvocati, rettori, capitani d'industria. Uno dei quali ha addirittura verbalizzato i suoi traumatici ricordi sul letto di morte di fronte a un notaio.

Ma chi crede che padre Maciel sia stato finalmente inchiodato alla croce delle sue responsabilità si sbaglia. A parte una breve sospensione a divinis , il condottiero dei Legionari di Cristo è rimasto in sella e, grazie alla difesa di poderosi archiatri e cardinali, è sopravvissuto a cinque pontificati. Papa Wojtyla lo ha incaricato di organizzare il sinodo dei vescovi americani e gli ha affidato la preparazione di molti suoi viaggi.

Non tutto l'alto clero messicano, per fortuna, è rappresentato da Maciel, Schulemburg o Prigione. Come ai tempi della Conquista, quando fra' Bartolomé de las Casas levava la sua voce in difesa degli indios, ci sono anche vescovi come don Samuel Ruiz, avversato dal governo messicano di turno e dal Vaticano. Tre settimane fa don Samuel, in pensione dopo 40 anni dedicati alla costruzione di una chiesa autoctona in Chiapas, ha reso pubblici durante un incontro per la pace a San Cristóbal de Las Casas, gli archivi segreti della Conai, la commissione di intermediazione fra governo e zapatisti, che ha diretto per anni. Esempio di coraggiosa trasparenza che non è piaciuto affatto in Vaticano. Pochi giorni fa una lettera da Roma del cardinal Tamburrino ha accusato il vescovo Ruiz di «pastorale erronea», responsabilizzandolo della grande avanzata protestante. Ma se è vero che le chiese protestanti stanno guadagnando terreno a un ritmo vertiginoso nel sud del Messico, la causa del declino cattolico fra gli indios è da ricercarsi più negli errori del club de Roma, che ha privilegiato gli accordi di vertice anziché la cura della base dei fedeli.

Due anni fa, il papa ha decretato la canonizzazione a raffica di ben 25 martires cristeros, giovani preti che lottarono, spesso con le armi in pugno, contro la Rivoluzione messicana. Oggi è la volta di Juan Diego, il primo santo indio nella storia di un paese che ha più di dieci milioni di abitanti originari. Vicente Fox ha tutto l'interesse a farsi fotografare con il papa, cosa che gli darà alcuni punti in popolarità. E poi, sia il Pan che la Chiesa cattolica sono irresponsabilmente contro l'uso del preservativo, le campagne anticoncezionali, la prevenzione dell'Aids e l'aborto terapeutico. In più, le amministrazioni paniste hanno il vezzo di perseguitare gay e prostitute e proibire film anticlericali, tutte cose che piacciono molto all'alto clero. Che può ben meritarsi più scuole, qualche emittente tv e un po' di business guadalupano. Il ritorno c'è.

I triquis di Oaxaca, intanto, hanno annunciato che non parteciperanno alla cerimonia di canonizzazione di Juan Diego «perché molti nostri compagni sono disoccupati» dice Pascual de Jesús Gonzalez, dirigente del Movimiento de unificación y lucha triqui, «e perché noi siamo stati obbligati a credere in una religione. C'è bisogno che la società si sensibilizzi di più, perché siamo ancora discriminati e ci gridano per strada: "Pinches indios, tornatevene a casa"!».