I falsi difensori della Consulta
La Repubblica del 24 dicembre 2007, pag. 1
di Gustavo Zagrebelsky
C’è nel nostro Paese, qualcuno che si preoccupa della dignità e del buon nome delle istituzioni - nel nostro caso, della Corte costituzionale - confidando al suo diario le sue apprensioni. E, per fortuna, c'è un giornalista che è riuscito a dargli un'occhiata e, così, a riferircene dettagliatamente i contenuti (Corriere della sera, 19 dicembre). Dico per fortuna, perché l'autore del calepino custodito nel suo studio d'avvocato, dove sono consegnati «ricordi di giorni lieti e burrascosi», è una di quelle persone che «non rilasciano dichiarazioni e tanto meno interviste»: è Romano Vaccarella, giudice della Corte costituzionale per 5 anni e 1 giorno, invece che per i nove anni stabiliti dalla Costituzione, dimessosi l'aprile scorso per protesta contro le «voci mai smentite di pressioni esercitate dai politici sulla Consulta per bocciare i referendum elettorali» e contro i «vertici istituzionali che tacciono», una protesta rinnovata in questi giorni, nell'imminenza della decisione di ammissibilità o di inammissibilità della Corte circa quei referendum. Di che cosa stiamo parlando? Non di trame segrete, di frequentazioni ambigue, di contiguità d'interessi politici, economici o professionali: queste sì, quando ci sono, sono allarmanti. Stiamo parlando di dichiarazioni pubbliche di uomini di governo circa il contenuto della decisione della Corte, ch'essi prevedono, auspicano e perfino considerano l'unica possibile, perché la sola giuridicamente corretta. E c'è da scandalizzarsi? Forse sì, ma solo nel paese delle meraviglie di Alice, il presidente degli Stati Uniti Eisenhower, per ottenere dalla Corte Suprema una pronuncia diversa da quella che fu poi data nel caso Brown, in tema di integrazione razziale nelle scuole, tentò in tutti i modi (anch'essi "mai smentiti", anzi testimoniati nelle memorie del giudice Frankfurter) di piegare i componenti della Corte, a iniziare dal suo presidente Earl Warren (la cui nomina egli stesso, Eisenhower, definì «il suo più grande errore»).
La Corte Suprema di Israele del presidente Aharon Barak, affrontando temi intrecciati con il "diritto biblico" dovette fronteggiare manifestazioni popolari di centinaia di migliaia di persone convocate, ora dai partiti religiosi ora da quelli laici, nei piazzali che circondano il modernissimo e splendido edificio, ricco di richiami alla tradizione, in cui essa ha sede. Il Conseil constitutionnel francese, a sua volta, ha subito l'attacco intimidatorio di interi settori dell'Assemblea nazionale, che lo bollarono addirittura, dal luogo dove si riunisce, come la "banda del Palais Royal", al tempo in cui George Vedel scriveva la grande decisione sulle nazionalizzazioni disposte dal governo Mitterrand.
E noi ci facciamo turbare delle frasi dette da questo o quello, dei nostri uomini politici. Suvvia! E invochiamo l'intervento dei "vertici istituzionali" a difesa dell'indipendenza della Corte. Crede il professor Vaccarella che quei "poveretti" di Warren, Barak o Vedel abbiano avuto bisogno dell'intervento di chicchessia, di qualsivoglia "vertice istituzionale", per poter fare liberamente il proprio dovere?
Forse che la nostra Corte non è anch'essa un vertice istituzionale e forse che ha bisogno di difesa o tutela, conformemente a ciò che il presidente del comitato per il referendum, Guzzetta, ha richiesto al Capo dello Stato di fare? Il quale, a quel punto, non ha potuto che dichiarare la sua «fiducia assoluta nella competenza e nell'autonomia della Corte». Il suo silenzio avrebbe infatti avallato l'idea di chissà quali pressioni e chissà quali cedimenti.
Tutto questo, al di là delle prime apparenze, è offensivo per la Corte. Essa deve non sapere che farsi, di protezioni, difese, tutele. La dichiarazione del Presidente della Repubblica non è stata che lo sbocco obbligato di una successione di atti totalmente scorretta. Forse che il massimo organo di garanzia della Costituzione, i cui componenti godono di tutte le possibili garanzie d'indipendenza, ha bisogno di essere "tutelato" da qualcun altro? Forse che esso dipende dalla "fiducia" che qualche altro organo, quale che sia, le conceda? Non sa "tutelarsi" da sé, semplicemente facendo uso delle prerogative di autonomia che la Costituzione le concede in somma misura, una misura che non si riscontra con riguardo a nessun altro organo costituzionale? Una Corte che ha bisogno della protezione d'altri? Diffondere questa idea, questo davvero è un attentato alla sua indipendenza.
La denuncia di pressioni derivanti da pubbliche dichiarazioni che qualunque giudice degno di questo nome considererebbe per quello che sono, cioè nulla, è fumo che nasconde dell'altro. Nasconde, essa sì, una pressione morale nei confronti della Corte. Se, per avventura, i giudici che la compongono si orientassero a dichiarare inammissibile il referendum che attribuisce un mai visto "premio di maggioranza" alla lista che ottiene un numero di voti qualunque, anche molto basso, purché superiore a quello di ognuna delle altre liste, la denuncia preventiva di pressioni esercitate in tal senso nei loro confronti potrebbe forse trattenerli dal farlo: i de-nuncianti hanno infatti già detto che in ciò, per l'appunto, sta la prova del cedimento. Per dimostrare la sua indipendenza, la Corte costituzionale avrebbe allora una sola via, una via obbligata: l'altra, cioè dare il via libera al referendum. Se ciò significa difendere l'indipendenza della Corte, chiunque è in grado di giudicare. Nulla è peggio che la protezione che è offerta da protettori interessati.
La Repubblica del 24 dicembre 2007, pag. 1
di Gustavo Zagrebelsky
C’è nel nostro Paese, qualcuno che si preoccupa della dignità e del buon nome delle istituzioni - nel nostro caso, della Corte costituzionale - confidando al suo diario le sue apprensioni. E, per fortuna, c'è un giornalista che è riuscito a dargli un'occhiata e, così, a riferircene dettagliatamente i contenuti (Corriere della sera, 19 dicembre). Dico per fortuna, perché l'autore del calepino custodito nel suo studio d'avvocato, dove sono consegnati «ricordi di giorni lieti e burrascosi», è una di quelle persone che «non rilasciano dichiarazioni e tanto meno interviste»: è Romano Vaccarella, giudice della Corte costituzionale per 5 anni e 1 giorno, invece che per i nove anni stabiliti dalla Costituzione, dimessosi l'aprile scorso per protesta contro le «voci mai smentite di pressioni esercitate dai politici sulla Consulta per bocciare i referendum elettorali» e contro i «vertici istituzionali che tacciono», una protesta rinnovata in questi giorni, nell'imminenza della decisione di ammissibilità o di inammissibilità della Corte circa quei referendum. Di che cosa stiamo parlando? Non di trame segrete, di frequentazioni ambigue, di contiguità d'interessi politici, economici o professionali: queste sì, quando ci sono, sono allarmanti. Stiamo parlando di dichiarazioni pubbliche di uomini di governo circa il contenuto della decisione della Corte, ch'essi prevedono, auspicano e perfino considerano l'unica possibile, perché la sola giuridicamente corretta. E c'è da scandalizzarsi? Forse sì, ma solo nel paese delle meraviglie di Alice, il presidente degli Stati Uniti Eisenhower, per ottenere dalla Corte Suprema una pronuncia diversa da quella che fu poi data nel caso Brown, in tema di integrazione razziale nelle scuole, tentò in tutti i modi (anch'essi "mai smentiti", anzi testimoniati nelle memorie del giudice Frankfurter) di piegare i componenti della Corte, a iniziare dal suo presidente Earl Warren (la cui nomina egli stesso, Eisenhower, definì «il suo più grande errore»).
La Corte Suprema di Israele del presidente Aharon Barak, affrontando temi intrecciati con il "diritto biblico" dovette fronteggiare manifestazioni popolari di centinaia di migliaia di persone convocate, ora dai partiti religiosi ora da quelli laici, nei piazzali che circondano il modernissimo e splendido edificio, ricco di richiami alla tradizione, in cui essa ha sede. Il Conseil constitutionnel francese, a sua volta, ha subito l'attacco intimidatorio di interi settori dell'Assemblea nazionale, che lo bollarono addirittura, dal luogo dove si riunisce, come la "banda del Palais Royal", al tempo in cui George Vedel scriveva la grande decisione sulle nazionalizzazioni disposte dal governo Mitterrand.
E noi ci facciamo turbare delle frasi dette da questo o quello, dei nostri uomini politici. Suvvia! E invochiamo l'intervento dei "vertici istituzionali" a difesa dell'indipendenza della Corte. Crede il professor Vaccarella che quei "poveretti" di Warren, Barak o Vedel abbiano avuto bisogno dell'intervento di chicchessia, di qualsivoglia "vertice istituzionale", per poter fare liberamente il proprio dovere?
Forse che la nostra Corte non è anch'essa un vertice istituzionale e forse che ha bisogno di difesa o tutela, conformemente a ciò che il presidente del comitato per il referendum, Guzzetta, ha richiesto al Capo dello Stato di fare? Il quale, a quel punto, non ha potuto che dichiarare la sua «fiducia assoluta nella competenza e nell'autonomia della Corte». Il suo silenzio avrebbe infatti avallato l'idea di chissà quali pressioni e chissà quali cedimenti.
Tutto questo, al di là delle prime apparenze, è offensivo per la Corte. Essa deve non sapere che farsi, di protezioni, difese, tutele. La dichiarazione del Presidente della Repubblica non è stata che lo sbocco obbligato di una successione di atti totalmente scorretta. Forse che il massimo organo di garanzia della Costituzione, i cui componenti godono di tutte le possibili garanzie d'indipendenza, ha bisogno di essere "tutelato" da qualcun altro? Forse che esso dipende dalla "fiducia" che qualche altro organo, quale che sia, le conceda? Non sa "tutelarsi" da sé, semplicemente facendo uso delle prerogative di autonomia che la Costituzione le concede in somma misura, una misura che non si riscontra con riguardo a nessun altro organo costituzionale? Una Corte che ha bisogno della protezione d'altri? Diffondere questa idea, questo davvero è un attentato alla sua indipendenza.
La denuncia di pressioni derivanti da pubbliche dichiarazioni che qualunque giudice degno di questo nome considererebbe per quello che sono, cioè nulla, è fumo che nasconde dell'altro. Nasconde, essa sì, una pressione morale nei confronti della Corte. Se, per avventura, i giudici che la compongono si orientassero a dichiarare inammissibile il referendum che attribuisce un mai visto "premio di maggioranza" alla lista che ottiene un numero di voti qualunque, anche molto basso, purché superiore a quello di ognuna delle altre liste, la denuncia preventiva di pressioni esercitate in tal senso nei loro confronti potrebbe forse trattenerli dal farlo: i de-nuncianti hanno infatti già detto che in ciò, per l'appunto, sta la prova del cedimento. Per dimostrare la sua indipendenza, la Corte costituzionale avrebbe allora una sola via, una via obbligata: l'altra, cioè dare il via libera al referendum. Se ciò significa difendere l'indipendenza della Corte, chiunque è in grado di giudicare. Nulla è peggio che la protezione che è offerta da protettori interessati.