giovedì 27 dicembre 2007

Benedetto XVI e l'Islam, una santa alleanza anti-relativista

Benedetto XVI e l'Islam, una santa alleanza anti-relativista
Contro J.R. Torna in versione aggiornata il pamphlet di un anonimo studioso scatenato nei confronti del pontefice. Dopo Ratisbona. Joseph Ratzinger, incontrando ì rappresentanti di paesi e comunità islamiche, ha indicato nel fanatismo degli atei il nemico comune da fronteggiare. Lo scontro di civiltà non è tra due religioni, ma tra queste due e il materialismo, la modernità, il razionalismo.

Il Riformista del 8 dicembre 2006, pag. 6

Può darsi che il Santo Padre sia stato, davvero, onestamente sorpreso e «rammaricato» dalle proteste del mondo islamico ra­dicale, può darsi che non se le aspettasse proprio. L'accusa all'islam rappresentava soltanto il preambolo di una storica pro­posta politica all'Europa. A Ratisbona, il papa autocandidava ufficialmente la Chiesa di Ro­ma al ruolo di defensor pacis globale, allo status di garante di un nuovo quieto vivere mondia­le. Si rivolgeva ai «rappresentanti della scienza» perché a quelli dell'islam riteneva di ave­re già parlato con sufficiente chiarezza. La prova sarebbe ar­rivata tredici giorni dopo.



Lunedì 25 settembre 2006, dopo una decina di giorni di violente ma­nifestazioni sfociate nell'uccisione di una povera suora in So­malia, e di tentativi di scuse da parte vatica­na, Benedetto XVI in­contrava finalmente gli «ambasciatori dei paesi a maggioranza islamica accreditati presso la Santa Sede e alcuni esponenti delle comu­nità musulmane d'Italia». Al termine dell'incontro, i toni ap­parivano più distesi e il mondo tirava un sospiro di sollievo. Al­ti si levarono gli osanna. Furono pochi a notare che il papa aveva cambiato bersaglio e aveva offerto ai fratelli islamici la possi­bilità di convergere sul nemico comune rappresentato dalla modernità. Per accorgesene sarebbe bastato dedicare al «di­scorso» un po' più di una scorsa. Il passaggio decisivo giunge verso la metà del discorso. Do­po aver accennato alle «ben no­te» «circostanze» e rimarcato precedenti inviti al dialogo reci­proco, JR scrive: «In un mondo segnato dal relativismo, e che troppo spesso esclude la tra­scendenza dall'universalità del­la ragione, abbiamo assoluta­mente bisogno di un dialogo au­tentico tra le religioni e tra le culture, un dialogo in grado di aiutarci a superare insieme tutte le tensioni in uno spirito di proficua intesa». Se non è la proposta di una santa alleanza poco ci manca. Il cemento dell'intesa non si struttura, però, in una proposta positiva, ma nell'individuazione del «nemico» comune incarnato dal famigera­to «relativismo». Su questa ba­se, sembra dire Ratzinger, sulla base di questo avversario condi­viso, islam e cristianesimo pos­sono unirsi e darsi forza. Rispet­to al discorso di Ratisbona, l'in­terlocutore era cambiato e tutto si chiariva. Al nemico da com­battere, cui qualche giorno pri­mo ci si rivolgeva, non rimaneva che difendersi.

Si sbaglierebbe a pensare a un voltafaccia dettato da ragio­ni di opportunità politica. Il confronto e l'apprezzamento verso l'islam ritorna spesso nel pensiero di Joseph Ratzinger. anche con toni accorati, a volte, perfino, ammirati. Perfino nelle pieghe del discorso di Ratisbona, il papa ha mostrato com­prensione e quasi solidarietà nei confronti delle richieste fon­damentali dell'islam. «Le cultu­re profondamente religiose del mondo» (tanto l'isiam quanto il cristianesimo, dunque), ha detto il pontefice, «vedono proprio in questa esclusione del divine dall'universalità della ragione un attacco al­le loro convinzioni più intime».



Pur condannando come irrazionale (e quindi, empia) ogni guerra santa, Bene­detto XVI si è dimo­strato, in effetti, piut­tosto comprensivo verso le esu­beranze islamiche. Maggior im­putato rimane l'Illuminismo, cioè la modernità. È sua la col­pa di avere indotto, prima con il colonialismo, poi con l'esclu­sione del sacro dalla vita pub­blica, l'attuale esplosione di rabbia e di violenza provenien­te da una parte del mondo isla­mico. Ma all'ambigua presa di posizione di quasi equidistanza tra democrazie liberali e spinte teocratiche islamiche, pare intrecciarsi anche una specie di fiacca e invecchiata ammirazio­ne. Come se il papa avvertisse che il cristianesimo e la sua glo­riosa tradizione avrebbero bi­sogno proprio della giovane energia virile mujaheddin.



Celebrando nel 2004 il ses­santesimo anniversario dello sbarco in Normandia, il futuro pontefice aveva ammesso: «Sembra di assistere oggi alle scontro tra due grandi sistemi culturali i quali sono caratteriz­zati in verità da forme molto di­verse di potenza e di orienta­mento morale: l'Occidente e l'islam». Ma poi, immediatamente dopo, distingueva: «E tuttavia, che cos'è l'Occidente? E che cos'è l'islam? Entrambi sono mondi polimorfi, e sono mondi anche interagenti. In questo senso è dunque un errore op­porre globalmente Occidente e islam. C'è chi tuttavia tende ad approfondire ulteriormente questa opposizione, interpre­tandola come scontro tra la ra­gione illuminata e una forma di religione fondamentalista e fa­natica. Si tratterebbe dunque di abbattere prima di tutto il fon­damentalismo in tutte le sue forme e di promuovere la vitto­ria della ragione per lasciare campo libero a forme illumina­te di religione».



Il capitoletto immediata­mente successivo, significativa­mente intitolato «II fanatismo non è solo quello religioso», chiarisce che per Ratzinger, co­me per l'islam, il vero avversa­rio è la cultura laica e materiali­sta. Oltre alle «patologie della religione», conclude infatti JR, «esiste anche la patologia della ragione interamente separata da Dio. L'abbiamo vista nelle ideologie totalitarie che aveva­no negato ogni legame con Dio e intendevano così costruire l'uomo nuovo, il mondo nuo­vo», come Hitler, Stalin, Poi Pot. Se nell'islam bisogna distingue­re, dunque, questa grazia non vale per l'Occidente il cui «svi­luppo spirituale» tenderebbe necessariamente a imporre una dittatura della ragione calcolabile tale da innescare «una sor­ta di nuova guerra mondiale»: «È lo stesso sviluppo spirituale dell'Occidente a tendere sem­pre di più verso patologie di­struttive della ragione». La visione è tanto granitica e deter­minista, da costringere a goffe acrobazie. La pace in Europa dopo il 1945 sarebbe derivata dallo spirito cristiano dei suoi leader, tra i quali, JR generosa­mente include perfino Winston Churchill. Con la consueta di­sinvoltura nel disporre del pas­sato per attribuire tutto il bene al cristianesimo e tutto il male a un materialismo, di volta in vol­ta, illuminista, hitleriano o stali­niano, Ratzinger racconta che «Churchill, Adenauer, Schuman e De Gasperi» «hanno fondato la loro idea morale dello Stato, della pace e della responsabilità sulla loro fede cristiana, che aveva superato la prova dell'Il­luminismo e si era ampiamente purificata nel confronto con la distorsione del diritto e della morale operata dal Partito».



È l'islam, racconta l'allora prefetto parlando al Senato ita­liano nel maggio 2004, ad avere spaccato il Mediterraneo cri­stiano e definito geografica­mente l'Europa: «Solo l'avanza­ta trionfale dell'islam nel VII e all'inizio dell'VIII secolo ha tracciato un confine attraverso il Mediterraneo, lo ha per così dire tagliato a metà». È l'islam, dice in un'intervista al francese Le Figaro nel 2001, a vedere nella perdita di spiritualità del­l'Europa la prova della sua de­cadenza e immoralità: «Oggi, l'islam è molto presente in Eu­ropa. E sembra che si manifesti un certo disprezzo presso colo­ro che sostengono che l'Occi­dente ha perso la sua coscienza morale. Per esempio, se il matri­monio e l'omosessualità sono considerati come equivalenti, se l'ateismo si trasforma in diritto alla bestemmia, noratoriamente nell'arte, questi fatti sono orri­bili per i musulmani. Perciò, c'è l'impressione diffusa nel mondo islamico, che il cristianesimo è morente, che l'Occidente è de­cadente. E il sentimento che so­lo l'isiam porta la luce della fe­de e della moralità».



L'intervista prosegue: «Par­lare di un confronto di cultu­re, è in certi casi vero: nel disprezzo verso l'Occi­dente troviamo le conseguenze del passato durante il quale l'islam ha su­bito il dominio dei paesi europei» (an­che il colonialismo va­le, cioè, come circo­stanza attenuante). «Ci si può allora imbattere in un fanati­smo terri­bile. È una delle facce dell'islam, non è tutto l'islam. Esistono anche dei musulmani che desiderano un dialogo paci­fico con i cristiani».



La distinzione viene ribadita all'italiano la Repubblica nel 2004: «In ogni caso è una sfida positiva per noi la ferma fede in Dio dei musulmani, la coscienza che siamo tutti sotto il giudizio di Dio, insieme ad un certo pa­trimonio morale e all'osservan­za di alcune norme che dimo­strano come la fede per vivere abbia bisogno di espressioni co­muni: cosa che noi abbiamo un po' perso». In un'altra intervista (al quotidiano cattolico Avveni­re, ripubblicata in Aa.Vv., Il mo­noteismo, Mondadori, Milano 2002) la distinzione sfocia in un'esplicita gerarchia dei nemi­ci in base alla loro pericolosità: «Oggi l'opposizione più forte al cristianesimo proviene dall'Eu­ropa e dalla sua filosofia post-cristiana, mentre nei paesi ex­traeuropei la fede trova un so­stegno sempre più forte».



Come passa piano il tempo. Il mese di settembre del 2006, grazie a Sua Santità, portava in dote al mondo categorie storiche che soltanto cent'anni pri­ma apparivano trionfanti e non passibili di dubbi. Per renderse­ne conto, basta scorrere le pri­me pagine del più importante atlante e calendario italiano, il De Agostini, dell'anno 1906. Accanto al «Computo ecclesiastico», alle «Feste mo­bili» e al «Suono del­l'Ave Maria» mese per mese, ora per ora, le prime pagine dell'edizione di cent'anni fa esibi­scono una sorpren­dente fotografia dell'umanità.


Cent'anni più tardi, oggi, gra­zie all'analisi del sommo pontefice, uomo che la maggior par­te degli esseri umani residenti nel­la sua porzione di pianeta consi­dera autorevole e reputa sa­piente, il mondo torna a divi­dersi tra monoteisti e politeisti (anche se questi ultimi hanno sostituito al rutilante pantheon dell'antichità le molto più col­pevoli delizie offerte dal meto­do scientifico). Se le cose stanno così, se davvero chi crede nell'«unico dio» ha tutto l'interesse a unirsi contro chi ne ha molti e tutti falsi, è il caso di in­contrarsi e mettersi a parlare. La crisi provocata dalla malac­corta citazione di Ratisbona, ha offerto l'occasione di una nuova alleanza religiosa che potrebbe scandire gli anni a venire.

NOTE

Tratto da «Contro Ratzinger 2.0», Isbn - Gruppo il Saggiatore