Benedetto XVI e l'Islam, una santa alleanza anti-relativista
Contro J.R. Torna in versione aggiornata il pamphlet di un anonimo studioso scatenato nei confronti del pontefice. Dopo Ratisbona. Joseph Ratzinger, incontrando ì rappresentanti di paesi e comunità islamiche, ha indicato nel fanatismo degli atei il nemico comune da fronteggiare. Lo scontro di civiltà non è tra due religioni, ma tra queste due e il materialismo, la modernità, il razionalismo.
Il Riformista del 8 dicembre 2006, pag. 6
Può darsi che il Santo Padre sia stato, davvero, onestamente sorpreso e «rammaricato» dalle proteste del mondo islamico radicale, può darsi che non se le aspettasse proprio. L'accusa all'islam rappresentava soltanto il preambolo di una storica proposta politica all'Europa. A Ratisbona, il papa autocandidava ufficialmente la Chiesa di Roma al ruolo di defensor pacis globale, allo status di garante di un nuovo quieto vivere mondiale. Si rivolgeva ai «rappresentanti della scienza» perché a quelli dell'islam riteneva di avere già parlato con sufficiente chiarezza. La prova sarebbe arrivata tredici giorni dopo.
Lunedì 25 settembre 2006, dopo una decina di giorni di violente manifestazioni sfociate nell'uccisione di una povera suora in Somalia, e di tentativi di scuse da parte vaticana, Benedetto XVI incontrava finalmente gli «ambasciatori dei paesi a maggioranza islamica accreditati presso la Santa Sede e alcuni esponenti delle comunità musulmane d'Italia». Al termine dell'incontro, i toni apparivano più distesi e il mondo tirava un sospiro di sollievo. Alti si levarono gli osanna. Furono pochi a notare che il papa aveva cambiato bersaglio e aveva offerto ai fratelli islamici la possibilità di convergere sul nemico comune rappresentato dalla modernità. Per accorgesene sarebbe bastato dedicare al «discorso» un po' più di una scorsa. Il passaggio decisivo giunge verso la metà del discorso. Dopo aver accennato alle «ben note» «circostanze» e rimarcato precedenti inviti al dialogo reciproco, JR scrive: «In un mondo segnato dal relativismo, e che troppo spesso esclude la trascendenza dall'universalità della ragione, abbiamo assolutamente bisogno di un dialogo autentico tra le religioni e tra le culture, un dialogo in grado di aiutarci a superare insieme tutte le tensioni in uno spirito di proficua intesa». Se non è la proposta di una santa alleanza poco ci manca. Il cemento dell'intesa non si struttura, però, in una proposta positiva, ma nell'individuazione del «nemico» comune incarnato dal famigerato «relativismo». Su questa base, sembra dire Ratzinger, sulla base di questo avversario condiviso, islam e cristianesimo possono unirsi e darsi forza. Rispetto al discorso di Ratisbona, l'interlocutore era cambiato e tutto si chiariva. Al nemico da combattere, cui qualche giorno primo ci si rivolgeva, non rimaneva che difendersi.
Si sbaglierebbe a pensare a un voltafaccia dettato da ragioni di opportunità politica. Il confronto e l'apprezzamento verso l'islam ritorna spesso nel pensiero di Joseph Ratzinger. anche con toni accorati, a volte, perfino, ammirati. Perfino nelle pieghe del discorso di Ratisbona, il papa ha mostrato comprensione e quasi solidarietà nei confronti delle richieste fondamentali dell'islam. «Le culture profondamente religiose del mondo» (tanto l'isiam quanto il cristianesimo, dunque), ha detto il pontefice, «vedono proprio in questa esclusione del divine dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime».
Pur condannando come irrazionale (e quindi, empia) ogni guerra santa, Benedetto XVI si è dimostrato, in effetti, piuttosto comprensivo verso le esuberanze islamiche. Maggior imputato rimane l'Illuminismo, cioè la modernità. È sua la colpa di avere indotto, prima con il colonialismo, poi con l'esclusione del sacro dalla vita pubblica, l'attuale esplosione di rabbia e di violenza proveniente da una parte del mondo islamico. Ma all'ambigua presa di posizione di quasi equidistanza tra democrazie liberali e spinte teocratiche islamiche, pare intrecciarsi anche una specie di fiacca e invecchiata ammirazione. Come se il papa avvertisse che il cristianesimo e la sua gloriosa tradizione avrebbero bisogno proprio della giovane energia virile mujaheddin.
Celebrando nel 2004 il sessantesimo anniversario dello sbarco in Normandia, il futuro pontefice aveva ammesso: «Sembra di assistere oggi alle scontro tra due grandi sistemi culturali i quali sono caratterizzati in verità da forme molto diverse di potenza e di orientamento morale: l'Occidente e l'islam». Ma poi, immediatamente dopo, distingueva: «E tuttavia, che cos'è l'Occidente? E che cos'è l'islam? Entrambi sono mondi polimorfi, e sono mondi anche interagenti. In questo senso è dunque un errore opporre globalmente Occidente e islam. C'è chi tuttavia tende ad approfondire ulteriormente questa opposizione, interpretandola come scontro tra la ragione illuminata e una forma di religione fondamentalista e fanatica. Si tratterebbe dunque di abbattere prima di tutto il fondamentalismo in tutte le sue forme e di promuovere la vittoria della ragione per lasciare campo libero a forme illuminate di religione».
Il capitoletto immediatamente successivo, significativamente intitolato «II fanatismo non è solo quello religioso», chiarisce che per Ratzinger, come per l'islam, il vero avversario è la cultura laica e materialista. Oltre alle «patologie della religione», conclude infatti JR, «esiste anche la patologia della ragione interamente separata da Dio. L'abbiamo vista nelle ideologie totalitarie che avevano negato ogni legame con Dio e intendevano così costruire l'uomo nuovo, il mondo nuovo», come Hitler, Stalin, Poi Pot. Se nell'islam bisogna distinguere, dunque, questa grazia non vale per l'Occidente il cui «sviluppo spirituale» tenderebbe necessariamente a imporre una dittatura della ragione calcolabile tale da innescare «una sorta di nuova guerra mondiale»: «È lo stesso sviluppo spirituale dell'Occidente a tendere sempre di più verso patologie distruttive della ragione». La visione è tanto granitica e determinista, da costringere a goffe acrobazie. La pace in Europa dopo il 1945 sarebbe derivata dallo spirito cristiano dei suoi leader, tra i quali, JR generosamente include perfino Winston Churchill. Con la consueta disinvoltura nel disporre del passato per attribuire tutto il bene al cristianesimo e tutto il male a un materialismo, di volta in volta, illuminista, hitleriano o staliniano, Ratzinger racconta che «Churchill, Adenauer, Schuman e De Gasperi» «hanno fondato la loro idea morale dello Stato, della pace e della responsabilità sulla loro fede cristiana, che aveva superato la prova dell'Illuminismo e si era ampiamente purificata nel confronto con la distorsione del diritto e della morale operata dal Partito».
È l'islam, racconta l'allora prefetto parlando al Senato italiano nel maggio 2004, ad avere spaccato il Mediterraneo cristiano e definito geograficamente l'Europa: «Solo l'avanzata trionfale dell'islam nel VII e all'inizio dell'VIII secolo ha tracciato un confine attraverso il Mediterraneo, lo ha per così dire tagliato a metà». È l'islam, dice in un'intervista al francese Le Figaro nel 2001, a vedere nella perdita di spiritualità dell'Europa la prova della sua decadenza e immoralità: «Oggi, l'islam è molto presente in Europa. E sembra che si manifesti un certo disprezzo presso coloro che sostengono che l'Occidente ha perso la sua coscienza morale. Per esempio, se il matrimonio e l'omosessualità sono considerati come equivalenti, se l'ateismo si trasforma in diritto alla bestemmia, noratoriamente nell'arte, questi fatti sono orribili per i musulmani. Perciò, c'è l'impressione diffusa nel mondo islamico, che il cristianesimo è morente, che l'Occidente è decadente. E il sentimento che solo l'isiam porta la luce della fede e della moralità».
L'intervista prosegue: «Parlare di un confronto di culture, è in certi casi vero: nel disprezzo verso l'Occidente troviamo le conseguenze del passato durante il quale l'islam ha subito il dominio dei paesi europei» (anche il colonialismo vale, cioè, come circostanza attenuante). «Ci si può allora imbattere in un fanatismo terribile. È una delle facce dell'islam, non è tutto l'islam. Esistono anche dei musulmani che desiderano un dialogo pacifico con i cristiani».
La distinzione viene ribadita all'italiano la Repubblica nel 2004: «In ogni caso è una sfida positiva per noi la ferma fede in Dio dei musulmani, la coscienza che siamo tutti sotto il giudizio di Dio, insieme ad un certo patrimonio morale e all'osservanza di alcune norme che dimostrano come la fede per vivere abbia bisogno di espressioni comuni: cosa che noi abbiamo un po' perso». In un'altra intervista (al quotidiano cattolico Avvenire, ripubblicata in Aa.Vv., Il monoteismo, Mondadori, Milano 2002) la distinzione sfocia in un'esplicita gerarchia dei nemici in base alla loro pericolosità: «Oggi l'opposizione più forte al cristianesimo proviene dall'Europa e dalla sua filosofia post-cristiana, mentre nei paesi extraeuropei la fede trova un sostegno sempre più forte».
Come passa piano il tempo. Il mese di settembre del 2006, grazie a Sua Santità, portava in dote al mondo categorie storiche che soltanto cent'anni prima apparivano trionfanti e non passibili di dubbi. Per rendersene conto, basta scorrere le prime pagine del più importante atlante e calendario italiano, il De Agostini, dell'anno 1906. Accanto al «Computo ecclesiastico», alle «Feste mobili» e al «Suono dell'Ave Maria» mese per mese, ora per ora, le prime pagine dell'edizione di cent'anni fa esibiscono una sorprendente fotografia dell'umanità.
Cent'anni più tardi, oggi, grazie all'analisi del sommo pontefice, uomo che la maggior parte degli esseri umani residenti nella sua porzione di pianeta considera autorevole e reputa sapiente, il mondo torna a dividersi tra monoteisti e politeisti (anche se questi ultimi hanno sostituito al rutilante pantheon dell'antichità le molto più colpevoli delizie offerte dal metodo scientifico). Se le cose stanno così, se davvero chi crede nell'«unico dio» ha tutto l'interesse a unirsi contro chi ne ha molti e tutti falsi, è il caso di incontrarsi e mettersi a parlare. La crisi provocata dalla malaccorta citazione di Ratisbona, ha offerto l'occasione di una nuova alleanza religiosa che potrebbe scandire gli anni a venire.
NOTE
Tratto da «Contro Ratzinger 2.0», Isbn - Gruppo il Saggiatore
Contro J.R. Torna in versione aggiornata il pamphlet di un anonimo studioso scatenato nei confronti del pontefice. Dopo Ratisbona. Joseph Ratzinger, incontrando ì rappresentanti di paesi e comunità islamiche, ha indicato nel fanatismo degli atei il nemico comune da fronteggiare. Lo scontro di civiltà non è tra due religioni, ma tra queste due e il materialismo, la modernità, il razionalismo.
Il Riformista del 8 dicembre 2006, pag. 6
Può darsi che il Santo Padre sia stato, davvero, onestamente sorpreso e «rammaricato» dalle proteste del mondo islamico radicale, può darsi che non se le aspettasse proprio. L'accusa all'islam rappresentava soltanto il preambolo di una storica proposta politica all'Europa. A Ratisbona, il papa autocandidava ufficialmente la Chiesa di Roma al ruolo di defensor pacis globale, allo status di garante di un nuovo quieto vivere mondiale. Si rivolgeva ai «rappresentanti della scienza» perché a quelli dell'islam riteneva di avere già parlato con sufficiente chiarezza. La prova sarebbe arrivata tredici giorni dopo.
Lunedì 25 settembre 2006, dopo una decina di giorni di violente manifestazioni sfociate nell'uccisione di una povera suora in Somalia, e di tentativi di scuse da parte vaticana, Benedetto XVI incontrava finalmente gli «ambasciatori dei paesi a maggioranza islamica accreditati presso la Santa Sede e alcuni esponenti delle comunità musulmane d'Italia». Al termine dell'incontro, i toni apparivano più distesi e il mondo tirava un sospiro di sollievo. Alti si levarono gli osanna. Furono pochi a notare che il papa aveva cambiato bersaglio e aveva offerto ai fratelli islamici la possibilità di convergere sul nemico comune rappresentato dalla modernità. Per accorgesene sarebbe bastato dedicare al «discorso» un po' più di una scorsa. Il passaggio decisivo giunge verso la metà del discorso. Dopo aver accennato alle «ben note» «circostanze» e rimarcato precedenti inviti al dialogo reciproco, JR scrive: «In un mondo segnato dal relativismo, e che troppo spesso esclude la trascendenza dall'universalità della ragione, abbiamo assolutamente bisogno di un dialogo autentico tra le religioni e tra le culture, un dialogo in grado di aiutarci a superare insieme tutte le tensioni in uno spirito di proficua intesa». Se non è la proposta di una santa alleanza poco ci manca. Il cemento dell'intesa non si struttura, però, in una proposta positiva, ma nell'individuazione del «nemico» comune incarnato dal famigerato «relativismo». Su questa base, sembra dire Ratzinger, sulla base di questo avversario condiviso, islam e cristianesimo possono unirsi e darsi forza. Rispetto al discorso di Ratisbona, l'interlocutore era cambiato e tutto si chiariva. Al nemico da combattere, cui qualche giorno primo ci si rivolgeva, non rimaneva che difendersi.
Si sbaglierebbe a pensare a un voltafaccia dettato da ragioni di opportunità politica. Il confronto e l'apprezzamento verso l'islam ritorna spesso nel pensiero di Joseph Ratzinger. anche con toni accorati, a volte, perfino, ammirati. Perfino nelle pieghe del discorso di Ratisbona, il papa ha mostrato comprensione e quasi solidarietà nei confronti delle richieste fondamentali dell'islam. «Le culture profondamente religiose del mondo» (tanto l'isiam quanto il cristianesimo, dunque), ha detto il pontefice, «vedono proprio in questa esclusione del divine dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime».
Pur condannando come irrazionale (e quindi, empia) ogni guerra santa, Benedetto XVI si è dimostrato, in effetti, piuttosto comprensivo verso le esuberanze islamiche. Maggior imputato rimane l'Illuminismo, cioè la modernità. È sua la colpa di avere indotto, prima con il colonialismo, poi con l'esclusione del sacro dalla vita pubblica, l'attuale esplosione di rabbia e di violenza proveniente da una parte del mondo islamico. Ma all'ambigua presa di posizione di quasi equidistanza tra democrazie liberali e spinte teocratiche islamiche, pare intrecciarsi anche una specie di fiacca e invecchiata ammirazione. Come se il papa avvertisse che il cristianesimo e la sua gloriosa tradizione avrebbero bisogno proprio della giovane energia virile mujaheddin.
Celebrando nel 2004 il sessantesimo anniversario dello sbarco in Normandia, il futuro pontefice aveva ammesso: «Sembra di assistere oggi alle scontro tra due grandi sistemi culturali i quali sono caratterizzati in verità da forme molto diverse di potenza e di orientamento morale: l'Occidente e l'islam». Ma poi, immediatamente dopo, distingueva: «E tuttavia, che cos'è l'Occidente? E che cos'è l'islam? Entrambi sono mondi polimorfi, e sono mondi anche interagenti. In questo senso è dunque un errore opporre globalmente Occidente e islam. C'è chi tuttavia tende ad approfondire ulteriormente questa opposizione, interpretandola come scontro tra la ragione illuminata e una forma di religione fondamentalista e fanatica. Si tratterebbe dunque di abbattere prima di tutto il fondamentalismo in tutte le sue forme e di promuovere la vittoria della ragione per lasciare campo libero a forme illuminate di religione».
Il capitoletto immediatamente successivo, significativamente intitolato «II fanatismo non è solo quello religioso», chiarisce che per Ratzinger, come per l'islam, il vero avversario è la cultura laica e materialista. Oltre alle «patologie della religione», conclude infatti JR, «esiste anche la patologia della ragione interamente separata da Dio. L'abbiamo vista nelle ideologie totalitarie che avevano negato ogni legame con Dio e intendevano così costruire l'uomo nuovo, il mondo nuovo», come Hitler, Stalin, Poi Pot. Se nell'islam bisogna distinguere, dunque, questa grazia non vale per l'Occidente il cui «sviluppo spirituale» tenderebbe necessariamente a imporre una dittatura della ragione calcolabile tale da innescare «una sorta di nuova guerra mondiale»: «È lo stesso sviluppo spirituale dell'Occidente a tendere sempre di più verso patologie distruttive della ragione». La visione è tanto granitica e determinista, da costringere a goffe acrobazie. La pace in Europa dopo il 1945 sarebbe derivata dallo spirito cristiano dei suoi leader, tra i quali, JR generosamente include perfino Winston Churchill. Con la consueta disinvoltura nel disporre del passato per attribuire tutto il bene al cristianesimo e tutto il male a un materialismo, di volta in volta, illuminista, hitleriano o staliniano, Ratzinger racconta che «Churchill, Adenauer, Schuman e De Gasperi» «hanno fondato la loro idea morale dello Stato, della pace e della responsabilità sulla loro fede cristiana, che aveva superato la prova dell'Illuminismo e si era ampiamente purificata nel confronto con la distorsione del diritto e della morale operata dal Partito».
È l'islam, racconta l'allora prefetto parlando al Senato italiano nel maggio 2004, ad avere spaccato il Mediterraneo cristiano e definito geograficamente l'Europa: «Solo l'avanzata trionfale dell'islam nel VII e all'inizio dell'VIII secolo ha tracciato un confine attraverso il Mediterraneo, lo ha per così dire tagliato a metà». È l'islam, dice in un'intervista al francese Le Figaro nel 2001, a vedere nella perdita di spiritualità dell'Europa la prova della sua decadenza e immoralità: «Oggi, l'islam è molto presente in Europa. E sembra che si manifesti un certo disprezzo presso coloro che sostengono che l'Occidente ha perso la sua coscienza morale. Per esempio, se il matrimonio e l'omosessualità sono considerati come equivalenti, se l'ateismo si trasforma in diritto alla bestemmia, noratoriamente nell'arte, questi fatti sono orribili per i musulmani. Perciò, c'è l'impressione diffusa nel mondo islamico, che il cristianesimo è morente, che l'Occidente è decadente. E il sentimento che solo l'isiam porta la luce della fede e della moralità».
L'intervista prosegue: «Parlare di un confronto di culture, è in certi casi vero: nel disprezzo verso l'Occidente troviamo le conseguenze del passato durante il quale l'islam ha subito il dominio dei paesi europei» (anche il colonialismo vale, cioè, come circostanza attenuante). «Ci si può allora imbattere in un fanatismo terribile. È una delle facce dell'islam, non è tutto l'islam. Esistono anche dei musulmani che desiderano un dialogo pacifico con i cristiani».
La distinzione viene ribadita all'italiano la Repubblica nel 2004: «In ogni caso è una sfida positiva per noi la ferma fede in Dio dei musulmani, la coscienza che siamo tutti sotto il giudizio di Dio, insieme ad un certo patrimonio morale e all'osservanza di alcune norme che dimostrano come la fede per vivere abbia bisogno di espressioni comuni: cosa che noi abbiamo un po' perso». In un'altra intervista (al quotidiano cattolico Avvenire, ripubblicata in Aa.Vv., Il monoteismo, Mondadori, Milano 2002) la distinzione sfocia in un'esplicita gerarchia dei nemici in base alla loro pericolosità: «Oggi l'opposizione più forte al cristianesimo proviene dall'Europa e dalla sua filosofia post-cristiana, mentre nei paesi extraeuropei la fede trova un sostegno sempre più forte».
Come passa piano il tempo. Il mese di settembre del 2006, grazie a Sua Santità, portava in dote al mondo categorie storiche che soltanto cent'anni prima apparivano trionfanti e non passibili di dubbi. Per rendersene conto, basta scorrere le prime pagine del più importante atlante e calendario italiano, il De Agostini, dell'anno 1906. Accanto al «Computo ecclesiastico», alle «Feste mobili» e al «Suono dell'Ave Maria» mese per mese, ora per ora, le prime pagine dell'edizione di cent'anni fa esibiscono una sorprendente fotografia dell'umanità.
Cent'anni più tardi, oggi, grazie all'analisi del sommo pontefice, uomo che la maggior parte degli esseri umani residenti nella sua porzione di pianeta considera autorevole e reputa sapiente, il mondo torna a dividersi tra monoteisti e politeisti (anche se questi ultimi hanno sostituito al rutilante pantheon dell'antichità le molto più colpevoli delizie offerte dal metodo scientifico). Se le cose stanno così, se davvero chi crede nell'«unico dio» ha tutto l'interesse a unirsi contro chi ne ha molti e tutti falsi, è il caso di incontrarsi e mettersi a parlare. La crisi provocata dalla malaccorta citazione di Ratisbona, ha offerto l'occasione di una nuova alleanza religiosa che potrebbe scandire gli anni a venire.
NOTE
Tratto da «Contro Ratzinger 2.0», Isbn - Gruppo il Saggiatore