mercoledì 26 dicembre 2007

Maledetti di fatto

Maledetti di fatto

Il Manifesto del 31 gennaio 2007, pag. 5

di Gianni Rossi Barilli

Forse si sarebbe potuta inserire la legge sulle unioni civili nel pacchetto di liberalizzazioni su cui il governo Prodi ha finora giocato tutte le sue carte in tema di in­novazione. Avremmo così almeno avu­to la consolazione di veder contrappor­re la sacralità dell'economia «liberta­ria» a quella del Vaticano. E ci sono po­chi dubbi su chi alla fine l'avrebbe avu­ta vinta. A ben guardare, poi, proprio di questo si tratta: di liberalizzare la mora­le familiare su cui la chiesa cattolica pretende di mantenere il monopolio le­gale dopo aver perso quello reale. D'al­tra parte non è che la questione sia pri­va di importanti risvolti economici, vi­sto che ci sono di mezzo agevolazioni fi­scali, pensioni di reversibilità, aliquote di successione e via dicendo. Così co­me non si può negare che, riguardo al­la morale di facciata del nostro carneva­lesco paese, le gerarchie cattoliche go­dono di una posizione dominante ben più ingombrante di quella di Berlusconi nel mercato dei media, nonché di qualunque altro mono o oligopolista in qualsiasi settore.



Però quando si parla dei diritti delle coppie di fatto i nostri timorati politici ci dicono che è tutta un'altra storia. Qui ci sono di mezzo i «valori» che non si contrastano, come spiegano Ruini e Mastella, a cominciare dalla dignità del­le persone. Si potrebbe anche concor­dare con questa impostazione se non stessimo assistendo in questi giorni al più vergognoso dei mercatini sulla pel­le di chi non vuole o non può sposarsi (perché la legge glielo impedisce) e alla faccia di quel minimo decoro rimasto al concetto di stato laico. Gli ultimi de­solanti episodi della vicenda vedono protagonisti Napolitano e Prodi che ac­corrono a dar manforte al papa, ricono­scendo la dignità di ragioni effettive al­la assurdità che la chiesa ha trasforma­to in mantra propagandistico (l'idea che i Pacs intacchino in qualche modo le prerogative di chi preferisce la fami­glia tradizionale. Ma quando mai?).



In Italia ormai abbiamo talmente su­perato il limite della decenza laica che i preti non sentono neppure più il biso­gno della mediazione dei pur numero­si rappresentanti di cui dispongono in parlamento. Trattano direttamente con il governo, da potenza a potenza, a proposito di una legge dello stato, co­me dimostrano le più recenti e ripetute esternazioni della Conferenza episco­pale. E hanno pure la faccia tosta di so­stenere che non c'è nessuna trattativa in corso. Urlano a più non posso che questa legge è «superflua», ringalluzziti dalla reverenza che i rappresentanti dello stato esibiscono nei loro confron­ti. Pronti a maledire qualunque compromesso, mentre brigano per far sì che sia il più al ribasso possibile.


A Napolitano e Prodi bisogna chiede­re chi difende e tutela noi, cittadini etero e gay, credenti e soprattutto non, contro l'invadenza della chiesa cattoli­ca. E chi difende quella costituzione che in teoria garantisce pari dignità e di­ritti a ciascuno, a prescindere da sesso, razza, religione, ecc. Questo messaggio sembra non esistere, sommerso dalla logorrea ecclesiastica che l'intero siste­ma dei media riprende a pappagallo con pochi accenti critici e pochissimi diritti di replica. Per farsi sentire biso­gna forse alzare un po' la voce. Ecco due occasioni: il 10 febbraio una mani­festazione contro le ingerenze vaticane promossa dal coordinamento «Faccia­mo Breccia» (la breccia è quella di Por­ta Pia); il 10 marzo, sempre a Roma, un corteo per Pacs e dintorni organizzato dal movimento Glbt (gay, lesbico, bi e trans) al completo. Ci andiamo?