lunedì 31 maggio 2010

La Chiesa perde fedeli. E (molti) soldi

il Fatto 27.4.10
La Chiesa perde fedeli. E (molti) soldi
In Germania lo scandalo - pedofilia ha accelerato gli addii: 200 - 300 al mese. In Italia il calo è del 3%
di Andrea Gagliarducci

Da 200 a 300 abbandoni al mese nella diocesi di Bamberg, Baviera. Quando venne denunciato il caso delle molestie tra i Passerotti del Duomo, il coro di Ratisbona per anni diretto dal fratello del Papa (ma non all’epoca dei fatti incriminati) 193 cattolici della diocesi lasciarono ufficialmente la Chiesa. E si sono contati 4300 abbandoni nella diocesi di Augsburg, quella del vescovo Mixa, che la scorsa settimana ha rassegnato le dimissioni dopo uno scandalo di percosse e molestie.
Sono anni che la Chiesa di Germania fa i conti con un progressivo abbandono del numero di fedeli. Ma il recente scandalo pedofilia sembra abbia accelerato la tendenza. Non ci si può sbagliare. Anche perché l’appartenenza ad una Chiesa in Germania è definita dalla Kirchenstauer, la tassa sulla religione. Una tassa che vale una scomunica. In Germania, Stato e religione non sono separati: lo Stato dà aiuti agli studenti di religione che si preparano per il sacerdozio, dà sussidi agli asili e alle case per gli anziani gestiti dalle confessioni religiose, aiuta a riparare alcune chiese. E poi, il ministero delle finanze prende automaticamente una tassa, in genere dell’8 o 9 per cento, da ogni dichiarazione dei redditi e la trasferisce alle Chiese. Si può dare il contributo a cattolici, Evangelici o Ebrei. Si può anche scegliere di non darla a nessuno, ma se sei battezzato vieni comunque tassato, anche se non più praticante. È un sistema che dura dal 1827. In Germania questa imposizione fiscale è considerata moralmente obbligatoria: chi non vuole più pagarla lo può fare solamente distaccandosi dalla Chiesa. Il non adempimento ha come conse-
guenza una comunicazione agli organi competenti che provvedono ad annullare i sacramenti ricevuti: una sorta di “scomunica” dunque. C’è dunque una fortissima collaborazione tra Stato e Chiesa tedesca: grazie a un controllo incrociato dei dati, in caso di non adempimento del tributo le autorità inviano una lettera che sollecita il pagamento stesso, allegando, tra l’altro la documentazione relativa e l’attestazione che certifica l’appartenenza religiosa. E’ questo che permette alla Chiesa di Germania di certificare con tale precisione il numero di abbandoni. Così, la crisi della fede si risolve per ogni confessione in una crisi economica.
Non è così in Italia. Le firme a favore dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica sono diminuite (si è passati – come aveva rivelato l’agenzia Adista dal 89,82% del 2008 all’86% del 2009), ma questo non porta a una crisi. Merito del meccanismo dell’8 per mille. Ogni cittadino che presenta la dichiarazione dei redditi può sceglierne la destinazione tra sette opzioni: Stato, Chiesa cattolica, Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Evangelica Luterana in Italia, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Se non si firma a favore di nessuno, l’imposta viene comunque prelevata e viene distribuita ad ogni confessione sulla base della percentuale di adesioni: l’89,81 per cento del gettito finisce dunque alla Chiesa, e quasi la metà di questi soldi è destinato alle esigenze di culto, mentre solo il 20 per cento alle opere di carità. L’unico modo di non destinare i fondi alla Chiesa cattolica è l’obiezione fiscale. Ma questa pratica è considerata tuttora illegale in Italia, anche se esistono disegni di legge tendenti a legalizzarla.

venerdì 28 maggio 2010

Int. a R. Deville - "Anni di abusi e minori sottratti la Chiesa non mi ha ascoltato"

Int. a R. Deville - "Anni di abusi e minori sottratti la Chiesa non mi ha ascoltato"

la Repubblica del 30 aprile 2010

Andrea Bonanni

«Ricordo ancora la prima telefonata, nel 1992. Era sera, mi sembra. All’apparecchio una voce lontana. "Padre - mi disse - lei non mi conosce ma io ho letto il suo libro. E vorrei raccontarle la mia storia"». Nel salotto della villetta in mattoni rossi sulla Kerkstraat, la via della chiesa, a pochi passi dalla canonica di Buizingen circondata dai tigli dove padre Rik Devillé abita ormai da molti anni, si respira un’aria di pace e di quella serenità scabra, senza lusso, che spesso fa da sfondo alla vita dei preti. «Fu lo scoperchiamento di un mondo che non conoscevo. All’epoca, non esistevano neppure le parole adeguate per raccontarlo. Un mondo di abusi, di violenze, sessuali e no, di neonati sottratti alle giovani madri, di pedofilia e soprattutto di reticenza delle autorità ecclesiastiche».

E che cosa successe?
«Le telefonate aumentavano. Avevo appena pubblicato un libro, "L’ultima dittatura", in cui criticavo l’involuzione della Chiesa, i passi indietro rispetto allo spirito del Concilio che si facevano con ogni nuovo Papa, la mancanza di trasparenza. Molti che lo avevano letto, credettero che io fossi la persona che poteva capire il loroproblema: gli abusi che avevano subito e soprattutto l’impossibilità di rompere il muro di silenzio. Allora creammo questa associazione: "Gruppo fiammingo per la difesa dei diritti dell’uomo nella Chiesa". In sei anni abbiamo raccolto più di trecento casi».

Vi occupavate solo di abusi sessuali sui minori?
«Non solo. Ma molti casi, per esempio, riguardavano la sottrazione di neonati. Quando una ragazza restava di incinta di un prete, e si trattava sovente di donne molto giovani, veniva portata all’estero, soprattutto in Francia dove si può partorire nell’anonimato, ma non vedeva neppure suo figlio. Il bambino veniva preso in qualche convento, e spesso dato subito in adozione. Abbiamo incontrato decine di madri che cercavano i figli e di persone che cercavano la propria madre scontrandosi con un muro di omertà. Sono drammi umani non meno terribili: vite distrutte. E poi c’erano episodi di ordinaria violenza e di maltrattamenti in alcuni conventi: per nulla diversi da quelli emersi in Irlanda con le suore della "Magdalena"».

E voi, che facevate?
«Cercavamo di aiutare, come potevamo. Organizzavamo anche incontri collettivi. Per le vittime, parlare è spesso un modo per rompere la gabbia di solitudine che è la prima conseguenza nefasta degli abusi. Magari non risolve il problema. Ma aiuta».

Ma lei, come prete, non aveva il dovere di riferire ai suoi superiori?
«Ci ho provato. Dio sa se ci ho provato. Abbiamo contattato tutti i vescovati, senza risultato. Alle sedute collettive delle vittime, che organizzavamo in ogni diocesi, abbiamo sempre invitato i vescovi. Nessuno è mai venuto».

Allora avreste potuto fare appello al primate del Belgio, il cardinal Danneels.
«Una volta mi sono presentato con una ventina di vittime degli abusi all’arcivescovado. Non volevano farci entrare. Abbiamo messo il piede nella porta e siamo entrati. Ma Danneels non voleva riceverci, diceva che non aveva tempo. Allora abbiamo detto: benissimo, restiamo qui fino a che trova il tempo. Ci accampammo nel palazzo. Alla fine venne a vederci».

E che fece?
«Ascoltò. Non disse nulla, se non una volta, quando un padre raccontava della sua figlia abusata da un prete. Danneels disse: "non posso fare niente, non è nella mia diocesi. Potevate rivolgervi a Roma". Come se non lo avessimo fatto. Non rispondevano. E se rispondevano dicevano di rivolgersi al vescovo della diocesi di competenza».

Devillé si alza e mostra un foglio con la carta intestata del Supremo Tribunale della Signatura apostolica. E’ una lettera in fiammingo, datata 12 giugno del 2006, in cui si spiega che il tribunale "non è in grado" di trattare il caso esposto. Ma nessuno ha mai fatto pressione su di lei perché cessasse questa attività?
«Come no! Ebbi diversi colloqui con il cardinal Danneels. Diceva che non era mio compito interessarmi dei diritti umani nella Chiesa. Che questa era competenza sua. E che le vittime di abusi avrebbero dovuto rivolgersi direttamente a lui».

Però le pressioni del cardinale sono servite, se nel ‘98 la vostra associazione ha smesso l’attività.
«Abbiamo smesso l’attività perchè in quell’ anno, finalmente, venne creata una Commissione episcopale indipendente: era quello che volevamo. Però non è che la Commissione abbia lavorato granché bene, soprattutto nei primi 10 anni. Chi telefonava si sentiva rispondere da un interlocutore anonimo, che spesso lo metteva in guardia: "è sicuro di quello che sta denunciando? Le sue sono accuse terribili per un prete. " Non è molto incoraggiante, per una vittima che ha già paura».

Padre Devillé, la vostra organizzazione quanti casi ha registrato?
«Dal ‘92 al ‘98 più di trecento casi».

E la Commissione episcopale?
«Che mi risulti, nei primi dieci anni di attività circa una trentina».

giovedì 27 maggio 2010

Milano arrestato il prete paladino dei gay

La Repubblica 26.5.10
Milano arrestato il prete paladino dei gay
di Emilio Randacio

Il paladino dei diritti dei gay cattolici finisce in carcere con l’accusa di violenza sessuale su un ragazzo di 13 anni. Don Domenico Pezzini, lodigiano, 73 anni, da lunedì sera si trova rinchiuso nel carcere di San Vittore. Secondo l’inchiesta della squadra mobile e coordinata dal pm di Milano Cristina Roveda, Pezzini avrebbe abusato almeno di un minorenne.
L’indagine, però, è accompagnata da uno strettissimo riserbo. Il procuratore aggiunto milanese Pietro Forno, si è limitato a dire «di non essere autorizzato a rilasciare dichiarazioni». Era stato proprio Forno, in un’intervista, a denunciare poco più di un mese fa, la scarsa collaborazione che ì vertici della Chiesa accompagnava le inchieste che coinvolgevano religiosi. Un J’accuse che aveva suscitato polemiche ed era costato un procedimento disciplinare per il numero due della procura milanese. Il collegio difensivo del sacerdote, inoltre, fino a sera non era ancora riuscito ad avere una copia dell’ordine d’arresto.
Quel che è certo è che il profilo di don Pezzini è sem prestato molto discusso. In passato aveva già subito un allontanamento dal seminario di Lodi per le sue posizioni ritenute «progressiste» . Fíno al 1986 è stato docente in Cattolica di Lingua e letteratura inglese. Poi, un incidente diplomatico con l’allora cardinale Joseph Ratzinger, ne aveva precluso la carriera. Pezzini, infatti, aveva preso le distanze dalla lettera dell’attuale pontefice sulla «cura pastorale degli omosessuali».
Di lì a pochi mesi, il sacerdote era stato rimosso dalla cattedra e dirottato nell’ateneo veronese. Da 24anni, inoltre, ha fondato a Milano il gruppo «La Fonte», impegnato a costruire « un cammino di spiritualità alla ricerca di un’integrazione profonda tra condizione omosessuale e fede cristiana». Come sia nata l’inchiesta, non è ancora chiaro. L’episodio contestato risale però a3 anni fa e, fino a ieri, la Curìa milanese era completamente all’oscuro dell’indagine. Don Pezzini, invece, circa tre mesi fa, aveva ricevuto una «proroga indagini» in cui gli veniva comunicato dell’inchiesta a suo carico.

Abusi, linee guida del Vaticano. Le vittime Usa: «Non basta»

l’Unità 13.4.10
Abusi, linee guida del Vaticano. Le vittime Usa: «Non basta»
di Marina Mastroluca

Procedure Obbligo di denuncia alle autorità civili, il Papa può «spretare» i pedofili senza processo
L’ associazione americana «Non mancano strumenti ma coraggio». Bertone: presto novità

La S.Sede pubblica on line le linee guida sulle procedure per i casi di abusi sessuali. Obbligo di denuncia all’autorità civile, il Papa potrà ridurre allo stato laicale i colpevoli, senza processo. Le vittime Usa: «Non basta».

Due paginette in inglese per spiegare il da farsi davanti a un caso di pedofilia. Eccola la risposta della Santa Sede allo scandalo e per quanto la Sala stampa vaticana sembri quasi minimizzare l’evento «non è un nuovo documento ma una guida applicativa delle norme
del 2001» delle novità ci sono, eccome. Per la prima volta si trova scritto nero su bianco che «si deve sempre seguire la legge civile per quanto riguarda la denuncia dei crimini alle autorità competenti»: i panni sporchi non basterà lavarli in famiglia. E nei casi più gravi, quando c’è stata la condanna di un tribunale o una colpa evidente, il Papa potrà decidere direttamente e in modo inappellabile sulla riduzione del reprobo allo stato laicale, senza passare attraverso la procedura ordinaria del processo. Un passo avanti «rispetto alle sole parole delle settimane scorse», per l’associazione anti-pedofilia «La Caramella buona», che chiede comunque di cancellare la prescrizione di 10 anni a partire dalla maggiore età delle vittime. Ma non abbastanza per la più importante associazione di vittime di preti pedofili negli Stati Uniti, la Snap: «Solo un minimo progresso, nel senso più limitato possibile». Ma il cardinal Bertone preannuncia «altre iniziative». Il documento pubblicato sul sito del Vaticano non è altro che la sintesi divulgativa di un regolamento interno che la Congregazione per la Dottrina della fede si era data già nel 2003, due anni dopo essere stata investita da Giovanni Paolo II dei casi di pedofilia, con il «Delicta graviora»: un testo, quest’ultimo, che non conteneva alcun riferimento all’obbligatorietà del ricorso alla giustizia civile né alla facoltà del Papa di spretare i colpevoli. Per il momento quindi le linee guida non hanno ancora il valore formale del diritto canonico, ma la Congregazione per la dottrina della fede ci starebbe lavorando.
Il testo stabilisce che le diocesi locali investighino su ogni caso segnalato di abusi sessuali, riferendo alla Congregazione se ci sono riscontri.
Durante questa fase preliminare, il vescovo «può imporre misure precauzionali per salvaguardare la comunità, incluse le vittime» e ha la facoltà di «limitare le attività di qualunque prete nella sua diocesi» per proteggere i bambini. Una volta arrivato davanti alla Congregazione della Dottrina della fede, il caso può essere deciso con un processo penale o amministrativo, condotto dal vescovo locale. Sono previste quindi «una serie di pene canoniche», la più grave delle quali è la riduzione allo stato laicale. Il processo può saltare nei casi più gravi condanna di un tribunale civile o colpe evidenti o se il prete coinvolto ha deciso di tornare allo stato laicale: in queste circostanze il Papa può decidere al di fuori della procedura ordinaria. C’è poi la possibilità di adottare misure restrittive nei confronti di preti pedofili che abbiano ammesso le loro colpe e siano disposti a condurre una vita di preghiera e penitenza.
«LE PROCEDURE NON BASTANO»
Qualcosa ma non abbastanza, secondo la Snap americana che considera insufficiente la pubblicazione di un testo riservato e finora «rispettato in modo estemporaneo». «Le proposte della Chiesa, che siano on line o meno, sono largamente irrilevanti ha detto la presidente dell’associazione, Barbara Blaine -. I vescovi virtualmente non rispondono a
nessuno e possono facilmente ignorarle. Il punto era e resta sempre lo stesso: non è per mancanza di procedure che i preti pedofili rimangono ancora in carica e i vescovi nascondono questi crimini. Quello che manca invece è il coraggio. Gli strumenti per intervenire ci sono tutti».
Ed in effetti stride con gli annunci vaticani la lettera alle parrocchie inviata dai vescovi del Connecticut, perché sostengano un’iniziativa contro la proposta di legge per la riapetura dei casi di pedofilia caduti in prescrizione. Il testo prevede la possibilità di ricorrere alla giustizia anche dopo 30 anni dalla maggiore età delle vittime. «Se venisse approvata questa legge metterebbe a rischio la missione della Chiesa cattolica... Sarebbero in pericolo tutte le istituzioni cattoliche»

mercoledì 26 maggio 2010

Pedofili, incoerenze papali

il Fatto 28.4.10
Pedofili, incoerenze papali
Contro la pedofilia dei suoi preti, sembra proprio che Ratzinger voglia fare sul serio. Perché allora continua a occultare la verità sul passato e ha messo online un falso?
di Paolo Flores d’Arcais

Contro la pedofilia dei suoi preti, sembra proprio che Papa Benedetto XVI voglia fare sul serio. Perché allora continua a occultare la verità sul passato e ha messo online un falso?
Padre Federico Lombardi, infatti, non agisce di testa propria, è il portavoce della Santa Sede, e inoltre è persona di squisita gentilezza. Se dunque non ha risposte alle “quattro domande cruciali” che con una mia lettera aperta questo giornale gli ha rivolto una settimana fa non è perché non ha voluto, è perché non poteva: non aveva la “licenza de’ superiori”.
Avesse potuto, infatti, avrebbe dovuto confessare quanto segue: la frase chiave “Va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte” contenuta nelle famose “linee guida” sulla pedofilia, messe online sul sito ufficiale del Vaticano lunedì 12 aprile, e presentate da padre Lombardi come “disposizioni diramate fin dal 2003” (sito dell’Avvenire, quotidiano della Cei) non risale affatto al 2003 ma è stata coniata nuova di zecca nel weekend del 10-11 aprile. Al responsabile dell’autorevolissima agenzia internazionale “Associated Press”, Victor Simpson, che chiedeva lumi sulla posizione della Chiesa in fatto di pedofilia, padre Lombardi inviava infatti il venerdì 9 aprile un documento in inglese identico a quello messo online il lunedì successivo, tranne la frase chiave di cui sopra, che non compariva. E che perciò è stata partorita durante il weekend.
Come altro si può chiamare in buon italiano una manipolazione del genere se non un “falso” (“falso: non corrispondente al vero in quanto intenzionalmente deformato”, Devoto-Oli)? Perché tutto l’interesse di quel documento si concentrava nella famosa frase chiave, che non a caso è stata sbandierata come la dimostrazione di una volontà della Chiesa – da anni – di collaborare con le autorità civili, rispettandone le leggi anche quando esse impongono a un vescovo di denunciare alla magistratura inquirente il suo prete sospetto di pedofilia.
E’ dunque falso, assolutamente falso, che la Chiesa cattolica gerarchica avesse già nel 2003 fatto obbligo ai suoi vescovi e sacerdoti di “dare seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte”. All’epoca era vero, anzi, il tassativo obbligo opposto: tacere assolutamente alle autorità civili, in ottemperanza al “segreto pontificio”, che comporta addirittura un giuramento al silenzio fatto solennemente sui vangeli, la cui formula terribile abbiamo riportato in un precedente articolo (cfr. Il Fatto del 10 aprile).
E’ perciò altrettanto falso quanto ha sostenuto mons. Scicluna nei giorni scorsi, secondo cui “accusare l’attuale pontefice [per quando era cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede] di occultamento è falso e calunnioso (...) in alcuni paesi di cultura giuridica anglosassone, ma anche in Francia, i vescovi, se vengono a conoscenza di reati commessi dai propri sacerdoti al di fuori del sigillo sacramentale della confessione, sono obbligati a denunciarli all’autorità giudiziaria”. Questa non è la dichiarazione di un carneade qualsiasi, perché, come spiega il suo intervistatore Gianni Cardinale “monsignor Charles J. Scicluna è il ‘promotore di giustizia’ della Congregazione per la Dottrina della Fede. In pratica si tratta del pubblico ministero del Tribunale dell’ex sant’Uffizio”. Che l’affermazione di monsignore sia falsa lo prova ad abundantiam la testimonianza dei giorni scorsi del cardinale Dario Castrillon Hoyos, tuttora tra i più stretti collaboratori di Papa Ratzinger, che ha ricordato come fosse stato Giovanni Paolo II in persona a fargli scrivere una lettera di solidarietà e sostegno a un vescovo francese che per il rifiuto a testimoniare contro un suo prete pedofilo era stato condannato a tre mesi con la condizionale. Padre Federico Lombardi ha opposto un “no comment” alle affermazioni (palesemente inoppugnabili) del porporato colombiano, ma ha aggiunto che l’episodio “dimostrava e dimostra l’opportunità della unificazione delle competenze in capo alla Congregazione per la Dottrina della Fede”. Non rendendosi conto che tale “unificazione” avviene nel maggio del 2001, mentre la lettera del cardinale, per volere di Papa Wojtyla, è del settembre dello stesso anno, dunque è successiva, e conferma l’unica interpretazione che di quella “unificazione” si può dare: il più assoluto segreto era assolutamente centralizzato per renderlo ancora più catafratto. Perché perciò tutto questo sabba di menzogne, visto che Benedetto XVI sembra davvero intenzionato a cambiare atteggiamento, e a non occultare più alle autorità secolari i casi di pedofilia ecclesiastica (il vescovo di Bolzano e Bressanone ha inviato in procura le prime denunce)?
Perché scegliendo la Verità dovrebbe riconoscere che il suo predecessore aveva ribadito come dovere sacrosanto l’omertà rispetto a magistrati e polizia, e difficilmente dopo tale ammissione potrebbe elevare Karol Wojtyla all’onore degli altari. Perché dovrebbe confessare Urbi et Orbi che la svolta è di questi giorni, e che egli stesso, come cardinale Prefetto (e in larga misura anche nei primi anni del Pontificato) non ha trovato il coraggio di chiedere coram populo (non sappiamo cosa pensasse in interiore homine) una politica della trasparenza e della denuncia ai tribunali, contribuendo con ciò all’impunità di un numero angoscioso di pedofili, che se prontamente messi in condizione di non nuocere avrebbero risparmiato la via crucis di migliaia di vittime. Perché dovrebbe ammettere che a tutt’oggi il suo portavoce si è prodigato in un lavoro di raffinata disinformacija, e consentirgli (o intimargli: non sappiamo se padre Lombardi soffra per quanto ha dovuto manipolare) di cambiare registro. Perché...

martedì 25 maggio 2010

La mappa dei condannati di San Pietro

il Fatto 24.4.10
La mappa dei condannati di San Pietro
Dalle dimissioni alla cacciata, tutti gli uomini di chiesa che hanno pagato per gli abusi
di Andrea Gagliarducci

N on è possibile tracciare una mappa attendibile e precisa di quanti sono i sacerdoti che hanno effettivamente pagato per i aver effettuato o coperto i casi di pedofilia. L’unico modo è intrecciare articoli di giornale, archivi diocesani, sentenze di processi. E anche lì, qualcosa resta oscuro: che fine fanno i sacerdoti curati, dimessi dall’incarico o addirittura dimessi dallo stato laicale? A quel
punto, è molto difficile seguirne le tracce.
SACERDOTI COSTRETTI ALLE DIMISSIONI Il caso principe è quello di Francis Law, arcivescovo di Boston, che oggi è
arciprete a Roma nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Travolto dallo scandalo (che dimostrò come il cardinale americano avesse coperto centinaia di casi di abusi, al limite trasferendo il sacerdote in un’altra diocesi), Law fu praticamente costretto a dare le dimissioni. Così come l’arcivescovo di Vienna Hermann Groer: accusato di molestie, è costretto a dimettersi nel 2005, ma solo tre anni dopo viene allontanato dalla diocesi di Vienna. Contro di lui, come contro Law, non si aprirà mai un processo canonico.
E sarebbero stati oltre 100 i sacerdoti costretti alle dimissioni negli Stati Uniti tra il 2002 e il 2003, dopo che era scoppiato lo scandalo pedofilia. La notizia venne riportata dal New York Times, ma è probabilmente parziale: l’inchiesta riguardava solo una quarantina di diocesi negli Usa, mentre in totale sono 194, quasi cinque volte in più di quelle prese in considerazione dal Nyt.
Ci sono anche casi di battaglie portate avanti direttamente dai vescovi: quello di Pittsburgh, Donald Wuerl, ne imbastì una contro Anthony Cipolla, sacerdote pedofilo: il vescovo lo sospese nell'88, il Vaticano lo ripristinò, e soltanto nel '95, dopo il ricorso di Wuerl, ne avallò la sospensione.
SACERDOTI CHE SI SONO DIMESSI PER LORO VOLONTÀ James Moriarty è il terzo vescovo d’Irlanda ad essersi dimesso spontaneamente dopo che erano state chiarite le sue responsabilità nel commettere abusi. Prima di lui, John Magee, vescovo di Cloyne, segretario di tre Papi, aveva per più di un anno usufruito di una strana soluzione: non amministrava la sua diocesi, ma ne era comunque il vescovo. Anche lui si è dimesso. E prima ancora si è dimesso Donal Murray, vescovo di Limerick. Fa parte dell’operazione purificazione voluta da Ratzinger il fatto che i vescovi si prendano le loro responsabilità. Non è sempre stato così: un’inchiesta del Dallas Morning Views, che ha monitorato un campione di 109 vescovi, ha stabilito che solo 11 si sono dimessi, mentre sono 41 quelli che sono semplicemente andati in pensione. Pochi di meno (39) stanno ancora gestendo la stessa diocesi.
DIMISSIONI ALLO STATO LAICALE È la massima punizione prevista dalla Chiesa. Un calcolo approssimativo stabilisce che – tra il 2001 e il 2010 – sono stati 600 i sacerdoti dimessi allo stato laicale, metà per decreto papale e metà per loro richiesta personale. È,
quest’ultimo, il caso di Stephen Kiesle, che – dopo aver passato tre anni in libertà vigilata per molestie a minori – nel 1985 chiese alla Congregazione della Dottrina della Fede (allora guidata da Ratzinger) le dimissioni allo stato laicale. Una richiesta sostenuta dalla diocesi. Dovette aspettare di compiere quarant’anni perché gli fosse concessa, secondo una consuetudine interna vaticana. Interessante notare come più della metà (325) dei sacerdoti accusati dimessi allo stato laicale siano statunitensi. L’ultimo caso di laicizzazione per abusi è quello di Dale J. Fushek, nella diocesi di Phoenix: il decreto è stato reso noto il 16 febbraio 2010. Si è trattata di una decisione – si legge nel comunicato della diocesi – presa direttamente da Papa Benedetto XVI.
PROCESSO CIVILE Ancora più difficile stabilire quanti casi di sacerdoti pedofili vadano effettivamente a processo. Le organizzazioni di vittime statunitensi (le più precise) hanno riferito di 37 casi arrivati a un processo civile: l’ultimo (marzo 2009) è quello a monsignor Herdigan, di Fresno (California). Il processo ha visto salire sul banco dei testimoni anche Mahony, ex vescovo di Los Angeles.

lunedì 24 maggio 2010

Dal Cile al Belgio, i giorni neri del Vaticano

il Fatto 24.4.10
Dal Cile al Belgio, i giorni neri del Vaticano
Nuove accuse contro alti prelati nello scandalo globale sulla pedofilia
Il vescovo di Bruges: “Ho abusato di un ragazzo”. Testimonianze sul religioso chiamato il “santo vivente” di Santiago

Quando ero ancora un semplice sacerdote, e per un certo tempo all’inizio del mio episcopato, ho abusato sessualmente di un giovane nell’ambiente a me vicino. La vittima ne è ancora segnata”. Comincia così la confessione di Roger Vangheluwe, vescovo di Bruges, che ha rassegnato le sue dimissioni dall’incarico episcopale, che il Papa ha prontamente accolto. Nel frattempo, si profila un nuovo scandalo, questa volta in Cile, dove Fernando Karadima, uno dei “prelati più influenti e rispettati” (come riferisce il New York Times) è stato denunciato da quattro uomini che lo hanno accusato di aver abusato di loro per vent’anni. Accuse che indignano i parrocchiani di Karadim, per i quali “il santo vivente”, come viene chiamato, “non avrebbe mai potuto abusare dei suoi fedeli”. Ma – scrive il Nyt – proprio questa settimana un cardinale cileno “ha confermato che la Chiesa locale ha investigato segretamente sulle segnalazioni”.
È davvero in crisi la Chiesa belga: chiamata ad un profondo rinnovamento da Benedetto XVI, che ha nominato primate André-Joseph Leonard (considerato conservatore), al posto del progressista (e arrivato a scadenza di mandato) Godfred Daneels, i belgi devono fare i conti con gli scheletri del passato. “Bisogna interrogarsi – ha detto ieri Leonard – sul modo in cui sono ammesse al sacramento dell’ordine le persone sulle quali ci sono dubbi sulla loro rettitudine”. Leonard ha anche fatto un appello alla diocesi perché “se qualcuno ha subito, nel suo passato, abusi sessuali, mai debba accettare ciò da un prete o da un vescovo”.
Le dimissioni di Vangheluwe avvengono dopo un lungo percorso del vescovo. “Nel corso degli ultimi decenni – dice il prelato – ho più volte riconosciuto la mia colpa nei confronti del giovane, come nei confronti della sua famiglia, e ho domandato perdono. Ma questo non lo ha pacificato. E neppure io lo sono. La tempesta mediatica di queste ultime settimane ha rafforzato il trauma. Non è più possibile continuare in questa situazione”. “È un giorno nero per la Chiesa belga”, chiosa il primate Leonard. “Nessuno – spiega – era al corrente del caso: la vicenda è stata una sorpresa anche per l’entourage del vescovo di Bruges”. Anche Daneels ha chiesto di partecipare a un incontro con le vittime. Il timore è che i casi nella chiesa belga siano molti altri. Leonard, da parte sua, ha la piena fiducia di Benedetto XVI. Non è detto che la stessa cosa sia riservata al cardinal Ossa, arcivescovo di Santiago, capitale del Cile, cheègiuntoall’incaricosotto il precedente pontificato di Giovanni Paolo II, il cui lustro è chiamato appare quanto mai diminuito alla luce delle rivelazioni che susseguono riguardo gli scandali di pedofilia. Si vedrà da come si svilupperà il caso Karadima. Una delle vittime del prelato chiamato in Cile “il santo vivente” James Hamilton, oggi 44enne ha raccontato all’Nyt di “aver ignorato all’inizio il prete mentre tentatva di baciarlo sulla bocca e di toccarlo. Fino a quando, durante un ritiro, Karadima diede un’ulteriore spinta al suo gioco sessuale”.
(A.Gagl.)

domenica 23 maggio 2010

Gli inquilini eccellenti di Propaganda Fide case e potere all´ombra del sistema Anemone

Gli inquilini eccellenti di Propaganda Fide case e potere all´ombra del sistema Anemone
FABIO BOGO
SABATO, 22 MAGGIO 2010 LA REPUBBLICA - Cronaca

Boiardi di Stato, direttori Rai, e anche inquisiti: ecco chi vive negli ambiti appartamenti di proprietà vaticana. Grazie anche a Balducci

E il nome del costruttore arrestato è il più ricorrente nei lavori di ristrutturazione
Un patrimonio costituito da decine di alloggi di lusso nelle zone più pregiate di Roma

L´ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici ha costruito una rete sulla quale Repubblica è in grado aprire una nuova finestra, che documenta i nomi di alcuni "nuovi" inquilini e spiega come la Congregazione, l´ex Propaganda Fide, sia stata usata per fortificare e proteggere quello che è stato ormai battezzato "il sistema Anemone".

Gli amici di Balducci
Sono tante, le case che la Congregazione gestisce dallo splendido palazzo di Propaganda in piazza di Spagna. Un intero immobile in via della Conciliazione 44, altri appartamenti e alloggi sparsi tra Via della Vite, piazza Mignanelli, via dei Coronari, via del Governo Vecchio, Via Sistina, vicolo della Campana, via dei Prefetti, via XX Settembre. La Roma che conta vuole vivere o lavorare qui. E la Congregazione affitta. Un tempo i canoni erano modesti, ora sono stati adeguati, e fruttano bene. Una su tutte: il canone che versa lo stilista Valentino per il palazzo di piazza Mignanelli 22 si aggira intorno ai 160 mila euro mensili. Per le case di Propaganda Fide si fa domanda. Esiste una graduatoria e una valutazione di tre consultori laici, scelti in base alle evidenti personali qualità di "Scienza e Prudenza" (articolo 8 della costituzione apostolica "Pastor Bonus").
Angelo Balducci per anni è tra i tre consultori laici di Propaganda Fide. Gli altri sono Francesco Silvano, ex manager Telecom vicino a Comunione e Liberazione, e Pasquale De Lise, oggi influente presidente del Consiglio di Stato. Per anni i tre hanno lavorato a fianco del cardinale Crescenzio Sepe, fino all´arrivo di Benedetto XVI, quando il cardinale va a Napoli e alla Congregazione arriva l´indiano Ivan Dias, ex arcivescovo di Bombay. Un ricambio fortemente voluto dal Papa.
Balducci finisce travolto dall´inchiesta sugli appalti e dagli scandali sessuali. In lui non ci sono "Scienza e Prudenza". Resta al contrario l´eredità di inquilini eccellenti della Congregazione.
Al 17 di vicolo della Campana vive Adalberto Thau, parente della moglie di Angelo Balducci. I lavori di ristrutturazione dell´appartamento sono eseguiti dalla ditta "Dino Anemone & co snc", e il direttore dei lavori è significativamente Mauro Della Giovampaola, il funzionario che con Balducci lavorava alla "Ferratella" e con lui arrestato per corruzione.
Ma Della Giovampaola compare non solo come direttore dei lavori: è anche affittuario. In via XX settembre, immobile di Propaganda Fide, ha i suoi uffici la "Medea", società attraverso cui il funzionario statale avrebbe ottenuto (fino a quando ne è stato socio insieme al costruttore Diego Anemone) lauti incarichi di consulenza dal ministero dei trasporti e delle infrastrutture di Pietro Lunardi.
Ha casa con Propaganda Luciano Marchetti, in via del Governo Vecchio. Ex direttore regionale per i beni culturali nel Lazio e ora subcommissario della Protezione civile per l´Abruzzo, Marchetti è inquilino tramite la compagna Francesca Nannelli, funzionaria dei Beni culturali distaccata alla "Arcus spa". La società voluta dal ministero per finanziare progetti culturali e che - nel 2005 - si occupa proprio della ristrutturazione del palazzo della Congregazione. La casa figura nell´elenco sequestrato ad Anemone.

Enac, Rai, Agcom, Alitalia
A scorrere l´elenco degli inquilini di Propaganda Fide un dato è evidente. Che, anche a voler prescindere dal ruolo svolto da Balducci nell´assegnazione delle case di pregio, quegli immobili rivelano una rete di relazioni.
Vito Riggio, oggi presidente dell´Enac e nel 2001 consigliere politico dell´allora ministro dei Trasporti Pietro Lunardi (acquirente di un intero palazzo in via del Pellegrino) è assegnatario di una casa in via della Conciliazione 44, immobile di assoluto pregio dove il Vaticano alloggia numerosi cardinali. Suo figlio Federico, del resto, compare nella "lista Anemone" come cliente del costruttore per la ristrutturazione del suo appartamento in via La Spezia.
Con due appartamenti in affitto per sé e la famiglia, la dorata enclave di via della Conciliazione 44 ospita anche Giancarlo Innocenzi, commissario dell´Agcom e protagonista delle intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura di Trani e oggi all´attenzione del Tribunale dei Ministri. Conversazioni in cui Innocenzi veniva sollecitato dal Presidente del Consiglio a intervenire per bloccare una puntata di "Anno zero" sul caso Mills.
Innocenzi non è il solo uomo delle "comunicazioni" inquilino di Propaganda. In vicolo della Campana 17 vive Antonio Marano, oggi vice-direttore generale della Rai e per anni direttore di Rai2. Mentre, in via dei Coronari, abita Augusto Minzolini, direttore del Tg1, e anche lui intercettato nell´inchiesta di Trani. Un affitto il suo che racconta qualcosa di più e di diverso, forse, dei suoi rapporti di amicizia con Angelo Balducci e Diego Anemone, per altro documentati da alcune intercettazioni telefoniche dell´inchiesta sui Grandi Appalti. Minzolini, nel marzo scorso, liquidò la circostanza spiegando che Anemone e Balducci erano due sue "fonti in Vaticano". L´affitto di via dei Coronari, la ristrutturazione di quella casa per mano della ditta Anemone, la direzione dei lavori dell´architetto Angelo Zampolini (lo spallone degli assegni circolari per l´acquisto delle case dell´ex ministro Scajola, del generale Pittorru e del genero del funzionario delle Infrastrutture Incalza) aggiungono forse qualcosa di più.
Una postilla. Nel condominio di Minzolini abita anche Marco Zanichelli, già direttore generale poi amministratore delegato di Alitalia e oggi presidente di Trenitalia.

Vescovi inquisiti. Il Vaticano va informato delle indagini

il Riformista 21.5.10
Vescovi inquisiti. Il Vaticano va informato delle indagini
di Francesco Peloso

Ha fatto scalpore nei giorni scorsi l’approvazione di un articolo del disegno di legge sulle intercettazio ni nel quale si afferma che l’autorità giudiziaria dovrà informare il Segretario di Stato vaticano «quando risulta indagato o imputato un ve scovo». La novità è stata interpre tata come l’ennesima limitazione posta alla magistratura in materia di indagini, questa volta in riferimento al personale ecclesiastico. «Niente di tutto questo», afferma il professor Carlo Cardia, docente di Diritto ecclesiastico, che ha contribuito alla stesura della norma nella sua fase preparatoria. «È un equivoco che va chiarito subito: non c’è nessuna limitazione ai magistrati in materia di intercettazioni sui vescovi; non è di questo che si tratta». Il provvedimento, spiega Cardia, stabilisce un’altra cosa: e cioè che la Segreteria di Stato viene avvertita, «non nella prima fase riservata del le indagini, ma quando il vescovo in questione deve, per esempio, di fendersi in giudizio. Per altro non si fa riferimento a eventuali interruzioni dell’indagine». Tuttavia una novità c’è, ed è il fatto che viene chia mata in causa il Segretario di Stato. Per altro nello stesso ddl si afferma, in linea con il Concordato, che quando «risulta indagato o imputato» un sacerdote deve esserne data comunicazione al vescovo locale. Nel caso in cui sia sottoposto a in chiesta un vescovo, invece, nel testo all’esame del Senato, si stabilisce che il suo diretto superiore è il Segretario di Stato «cui il Pontefice spiega Cardia delega una serie di poteri per il governo della Chiesa universale». Da parte dell’opinione pubblica il sospetto avanzato è che l’avvertimento dato dai giudici alla Segreteria di Stato abbia in realtà come unica conseguenza l’intervento da parte vaticana per scongiurare o limitare un’inchiesta giudiziaria. Secondo Cardia, non è questo il rischio che si corre, anzi il provvedi mento potrebbe indurre il Papa a prendere provvedimenti cautelari verso quei vescovi imputati di reati gravi, fermo restando il principio del la “presunzione d’innocenza”.
Sotto il profilo generale, osserva ancora il giurista, «il vescovo dipende in un rapporto organico dalla Santa Se de, nel senso che il vescovo è nomi nato dal Papa e solo quest’ultimo ha poteri su di lui. Non va però dimenticato che ogni vescovo, insieme al Papa, è un successore degli apostoli, solo che il Papa è il successore di Pietro e questo gli dà delle prerogative in più». «Il Segretario di Stato aggiunge il professore va considerato invece come una sorta di primo ministro della Chiesa universale». In questo contesto, la norma approvata in commissione al Senato intende di re che la comunicazione arriva alla Segreteria di Stato «quando l’atto giudiziario si ufficializza, quando c’è un avviso di garanzia». Insomma, spiega Cardia, non c’è nessun tentativo di porre un freno alle indagini. Ma se il vescovo ha un superiore nel Segretario di Stato e quindi nel Papa, c’è il rischio che la nuova normativa italiana apra una falla Oltreoceano nella difesa che il Vaticano ha messo in campo contro i tentativi di coinvolgere il Vaticano e il Pontefice quali responsabili ultimi nella copertura degli abusi sessuali dei preti da parte dei vescovi. Gli avvocati delle associazioni delle vittime americane, infatti, hanno chiesto che il giudizio si estendesse alle alte gerarchie romane Papa compreso in virtù di un principio gerarchico di responsabilità. Gli avvocati del Vaticano hanno risposto che la Chiesa non è un’azienda o una multinazionale e dunque non la si può giudicare in quei termini. Il professor Cardia conferma, dal suo punto di vista, la validità di questa tesi. «Fra vescovo e Papa afferma non c’è un rapporto di dipendenza di tipo civile, negli Stati Uniti in vece l’accusa dice: il vescovo di pende dal Vaticano che è uno Stato assoluto governato da un monarca che è il Papa, quindi lui è responsabile. Ma nella Chiesa, fra vescovi e Pontefice esiste piuttosto il rapporto organico che dicevo pri ma, non c’è un tipo di responsabilità gerarchica aziendale. Altrimenti, se il Papa fosse responsabile per tutti i vescovi del mondo, altro che infallibilità!». Ancora diversa è la questione se a essere chiamate in causa sono le singole congrega zioni vaticane, per esempio quella per i Vescovi o per la Dottrina della fede, in ragione del ruolo che han no svolto in determinate vicende: «Su questo bisogna vedere i sin goli casi, non si può esprimere un criterio generale; io credo però che quando si parla di abusi bisogna sempre seguire la strada della giustizia civile, cioè penale».

Scandalo pedofili. La Chiesa non va verso la verità

l’Unità 19.4.10
Scandalo pedofili. La Chiesa non va verso la verità
di Andrea Boraschi

Lo «scandalo pedofilia» costituisce la più profonda crisi pubblica vissuta dalla Chiesa cattolica dal dopoguerra a oggi. Il dato emblematico di quanto accade sta nel nugolo
di contraddizioni (di atteggiamenti, messaggi, argomenti) addensatosi attorno alla denuncia di vicende dolorosissime e ancora, in larga misura, da indagare e capire.
Mai come in queste settimane il Vaticano mostra l’ambiguità di chi, dinanzi alla propria colpa, chiede perdono mentre urla al complotto, inclina alla resipiscenza mentre rivendica l’infallibilità dei propri orientamenti e delle proprie condotte. Così che, a fronte della turpitudine degli abusi commessi, chi mai attendesse un moto di riscatto, un’ammissione dolente e severa delle responsabilità ecclesiastiche, deve guardarsi dall’accusa di essere parte di una congiura globale. A far da sponda a tanta schizofrenia, la pastorale di molti intellettuali «laici» che difendono a spada tratta il pontefice come colui che con più coraggio avrebbe denunciato le colpe della propria Chiesa e avviato un’opera di «pulizia» al suo interno e che, assolutizzando le accuse (quasi che chieder conto dell’avvenuto equivalesse a voler mettere al bando il cattolicesimo), relativizzano oltremisura la gravità dei fatti di cui si discute.
Ma lo sdegno che si abbatte oggi su una parte del clero e delle gerarchie cattoliche non ha virulenza giacobina; esso, piuttosto, reclama laicamente ragione di crimini taciuti, rimossi, con tutta probabilità perpetrati su larga scala. Quello sdegno attende che la Santa Sede mostri chiarissima volontà di espiazione e assoluta disponibilità a sottostare alle leggi degli stati dove si sarebbero compiuti i reati. Non è poco, certo: ma è anche il minimo cui si possa ambire.
Purtroppo, invece, ci si deve confrontare con faccende che inquinano ogni confronto: il paragone tra gli attacchi subiti dalla Chiesa e le persecuzioni antisemite è l’argomento più odioso emerso sin qui e testimonia quanto le gerarchie cattoliche siano lontane da una sincera presa di coscienza del proprio errore. Infine, si dovrebbe tenere a mente quanto scrive il teologo svizzero Hans Küng: «(...) il sistema mondiale di occultamento degli abusi sessuali del clero rispondeva alle disposizioni della Congregazione romana per la Dottrina della fede (guidata tra il 1981 e il 2005 dal cardinale Ratzinger), che fin dal pontificato di Giovanni Paolo II raccoglieva, nel più rigoroso segreto, la documentazione su questi casi. In data 18 maggio 2001 Joseph Ratzinger diramò a tutti i vescovi una lettera dai toni solenni sui delitti più gravi, imponendo nel caso di abusi il “secretum pontificium”, la cui violazione è punita dalla la Chiesa con severe sanzioni».

sabato 22 maggio 2010

Inchiesta sui Legionari di Cristo dagli Usa accuse a Sodano e Dziwisz

La Repubblica 21.4-10
Dopo che la congregazione ha riconosciuto gli abusi del fondatore Maciel si va verso il commissariamento
Inchiesta sui Legionari di Cristo dagli Usa accuse a Sodano e Dziwisz
di m. ans.

Probabile la sostituzione dell´attuale gruppo dirigente: deciderà Benedetto XVI

CITTÀ DEL VATICANO - La scure vaticana sta per abbattersi nelle prossime ore sui Legionari di Cristo. Per il potente gruppo fondato dal religioso messicano Marcial Maciel Degollado, morto nel 2008, il quale abusò sessualmente di seminaristi minorenni, concepì figli illegali e mise in atto «altri gravi comportamenti» - come ha accertato una commissione della Santa Sede - l´ipotesi che viene fatta è quella del commissariamento e forse della sostituzione dell´attuale vertice dirigente.
L´influente movimento assurto in pochi decenni a potenza mondiale della Chiesa cattolica attende con timore il suo destino. Dopo una prima fase ispettiva terminata a marzo, e compiuta da cinque vescovi incaricati di compiere una visita apostolica tra la Legione - i monsignori Giuseppe Versaldi, Ricardo Blazquez, Charles J. Chaput, Ricardo Ezzatti e Ricardo Watty - vista la valutazione del segretario di Stato, Tarcisio Bertone, si attende ora la decisione finale che spetta al Papa. Fin dall´inizio del suo magistero Benedetto XVI è sempre stato molto critico con questo gruppo. I cinque visitatori hanno consegnato in Segreteria di Stato rapporti distinti e leggermente divergenti tra loro. Come diverse sono le opinioni sulla proposta finale. Il commissariamento è la soluzione più probabile. «La maggior parte dei legionari sono incolpevoli e la visitazione è stata compiuta per aiutare la congregazione a uscire dalla crisi», spiegano in Curia.
L´ipotesi ulteriore è quella della sostituzione dei vertici. Anche se di recente, in alcune dichiarazioni fatte da due sacerdoti usciti dal movimento e ora facenti parte dell´arcidiocesi di New York, i padri Richard Gill e Thomas Berg, gli stessi fuoriusciti hanno difeso gli attuali dirigenti esprimendo dissenso sull´esito prospettato per l´attuale gruppo alla testa della Legione. Gill e Berg hanno preso le difese dell´effettivo numero uno, il vicario generale dei Legionari, Luís Garza Medina. «La nostra esperienza personale - hanno affermato - è stata che padre Garza fu limpido e corretto fin dall´inizio circa i problemi generati dagli scandali di Maciel. Fu Garza che compì indagini su Maciel una volta che gli apparve chiaro che la censura vaticana del 2006 su Maciel era ben fondata, e portò i fatti allo scoperto». Una difesa che si estende al direttore generale, padre Álvaro Corcuera, di cui viene riprodotto un discorso in cui il prelato afferma che alla sua nomina nel 2005 neppure immaginava la doppia vita del fondatore, oggetto della successiva condanna vaticana.
La rivista americana National catholic reporter ha anche puntato il dito su quelle che definisce «le coperture vaticane» di padre Maciel, facendo i nomi del cardinale Eduardo Martinez Somalo, ex prefetto della Congregazione per i Religiosi, monsignor Stanislaw Dziwisz, segretario personale di Giovanni Paolo II, e dell´ex Segretario di Stato vaticano Angelo Sodano. E mentre Wojtyla è criticato per aver chiuso un occhio sul movimento, è noto invece quanto l´allora cardinale Ratzinger non fu per nulla tenero con il fondatore dei Legionari e, divenuto Papa, costrinse Macial alla vita ritirata e di pentimento. Per Sodano, il blog della rivista dei gesuiti americani America ha addirittura chiesto le «dimissioni».
Pochi giorni dopo la conclusione della prima fase ispettiva, la congregazione ha riconosciuto pienamente in una nota le accuse fatte al proprio fondatore. I Legionari di Cristo e l´associazione laicale Regnum Christi hanno adesso affermato di attendere «con obbedienza filiale» le indicazioni del Papa.
(m. ans.)

venerdì 21 maggio 2010

Le vittime Usa al Papa «Hai nominato un vescovo che ha coperto abusi»

l’Unità 22.4.10
Le vittime Usa al Papa «Hai nominato un vescovo che ha coperto abusi»
Contestate dalle vittime di abusi le ultime nomine del Papa negli Usa. Il neo arcivescovo di Miami avrebbe coperto preti pedofili. Quello di Springfield ha definito «Opera di Satana le denunce legali contro il clero».
di Roberto Monteforte

Una scivolata di Benedetto XVI sarebbero le sue ultime due nomine di vescovi negli Usa. Almeno per la principale associazione statunitense che organizza le vittime degli abusi «Snap» (Survivors Network of those Abused by Priests). Sotto tiro sono due nomine quella di monsignor Wenski alla guida della arcidiocesi di Miami al posto del dimissionario Favalora, dimessosi con otto mesi di anticipo formalmente per motivi di salute, ma in realtà perché sospettato di aver «coperto» alcuni casi di pedofilia. Ma anche monsignor Wenski è la denuncia del direttore esecutivo di Snap, David Clohessy quando era alla guida della diocesi di Orlando avrebbe gestito con «inganno, ritardo e spericolatezza» il problema della pedofilia che ha visto responsabili alcuni sacerdoti. «Il Papa promuove un vescovo con un passato preoccupante quanto a sicurezza dei bambini». Respinge l’addebito il neo arcivescovo. Afferma che sin dal 1990 nella sua diocesi vigeva la «tolleranza zero» contro i preti pedofili. Assicura di essere stato «molto fermo e molto forte» di fronte alle accuse che hanno coinvolto alcuni dei suoi sacerdoti. «Non ho nulla da scusarmi», taglia corto. La pedofilia è problema ancora caldo anche a Miami. Il suo predecessore, monsignor Favalora, ha dovuto affrontare lo scandalo di oltre 40 preti pedofili e vedersela con il potente fondatore dei Legionari di Cristo, monsignor Maciel Degollado, pedofilo e violentatore.
AZIONI DEL DIAVOLO
L’altra nomina contestata dal Snap riguarda monsignor Thomas Patrocki, che da vescovo ausiliario di Chicago è stato nominato alla guida della diocesi di Springfield in Illinois. Tre anni fa osserva sempre Clohessy attribuì «a Satana le azioni legali contro la Chiesa Cattolica per lo scandalo della pedofilia». «Questo dimostra commenta che il Vaticano è più interessato alla purezza dottrinale che alla sicurezza dell'infanzia». Il neo vescovo ha ammesso che la Chiesa deve affrontare la piaga delle molestie sessuali per contribuire a riportare fiducia nell' istituzione.
Un’altra testa è caduta in Irlanda. Benedetto XVI avrebbe accettato le dimissioni del vescovo irlandese James Moriarty per le sue responsabilità nell'aver coperto in passato abusi sessuali commessi da sacerdoti a Dublino. La decisione dovrebbe essere comunicata oggi. Monsignor Moriarty, vescovo di Kildare e Leighlin, aveva presentato le sue dimissioni il 23 dicembre scorso in seguito alla pubblicazione del rapporto Murphy, la commissione governativa, che lo accusava di non aver indagato abbastanza a fondo, quand'era ausiliare nell'arcidiocesi di Dublino sulle accuse mosse nel 1993 nei confronti di un prete pedofilo, padre Edmondus.

giovedì 20 maggio 2010

La commissaria indipendente dopo lo scandalo pedofilia in Germania: «Lavoreremo su prevenzione e risarcimenti. Soli per troppo tempo gli abusati»

l’Unità 22.4.10
Conversazione con Christine Bergmann
«Prima di tutto viene il dolore delle vittime»
La commissaria indipendente dopo lo scandalo pedofilia in Germania: «Lavoreremo su prevenzione e risarcimenti. Soli per troppo tempo gli abusati»
di Laura Lucchini

Assistenza e prevenzione. Su questi due binari lavorerà la commissione indipendente per le vittime degli abusi, creata dal Governo tedesco dopo lo scandalo delle violenze sessuali si bambini in scuole e collegi cattolici e laici. A due giorni dall’inizio della tavola rotonda in cui si confronteranno il governo, la Chiesa, le vittime e gli insegnanti, la commissaria straordinaria per le vittime Christine Bergmann, è sicura che sarà un «momento importante e una grossa chance». Ma non mancano le polemiche.
Da tre mesi in Germania emergono in continuazione nuovi casi di abusi sessuali a danno di minori, consumati tra gli anni ’60 e ’90, in collegi e scuole cattoliche e laiche. Da quando il rettore del collegio gesuita berlinese Canisius, a metà gennaio, rese pubblici i primi casi, invitando tutte le vittime a denunciare, l’effetto domino ha fatto cadere nello scandalo una dopo l’altra le scuole più prestigiose del paese. Collegi con lunghe tradizioni, come i Chiostri di Ettal, il coro delle voci bianche di Ratisbona o la scuola laica e progressista di Odenwald, vincolata all’Unesco, sono state macchiate da denunce di abusi, violenze e pratiche sadiche da centinaia di vittime.
«Ora la chiesa collabora» «La Chiesa è una delle istituzioni che a lungo ha nascosto gli abusi. Ora però sta cercando di collaborare», ci ha detto ieri Bergmann. Ma ha ricordato che «se gli abusi dentro la Chiesa sono stati circondati da un silenzio imposto dall’istituzione chiusa, lo stesso avviene nelle famiglie». In famiglia, infatti, ancora oggi si consumano impunemente violenze sui minori: «non bisogna parlare degli abusi sessuali come se riguardassero solo il passato, avvengono purtroppo ancora».
Christine Bergmann è stata ministra di Famiglia del Governo Schröder e si è già occupata di prevenzione della violenza. La sua commissione affiancherà il lavoro della tavola rotonda fin da venerdì. In questo incontro, in cui c’è grande attesa anche per capire quale sarà la linea della Chiesa, si formeranno due gruppi di lavoro. I primo affronterà il tema della prevenzione, e sarà coordinato dalle ministre di Famiglia e Educazione, Christina Schröder e Annette Schavan (della Cdu). Il secondo, coordinato dalla ministra di giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger (FDP, liberali), si occuperà di questioni giuridiche. Dovrebbe proporre nuove leggi o norme contro gli abusi e soluzioni al nodo dei risarcimenti.
In molti casi, infatti, i reati sono prescritti: le vittime hanno bisogno di tempo per elaborare le violenze e avere la forza di denunciare: «Il discorso dei risarcimenti sarà sicuramente uno dei punti, anche se per le vittime è decisivo in primo luogo il riconoscimento della violenza subita», dice Bergmann.
L’attenzione della commissione per le vittime si concentra in particolare su un gruppo consistente di persone, per le quali, «l’abuso si colloca lontano nel tempo, tra gli anni ’60 e gli anni ’80, e che però portano dentro le ferite e le conseguenze della violenza». In Germania l’abuso sessuale prescrive 10 anni dopo che la vittima ha compiuto 18 anni, cioè quando ne ha 28. La maggior parte delle persone che hanno denunciato finora hanno però superato i 30. Per loro, in particolare, è importante «il riconoscimento della violenza e l’assistenza, perché durante lungo tempo sono state lasciate sole».
La «squadra» di Bergmann, cinque persone, riceve le segnalazioni dei casi per fax, posta o mail. Alle vittime viene offerto ascolto e assistenza per muovere i primi passi. E, se necessario, viene consigliata una terapia per superare il trauma.
Quel che manca all’azione del governo è la mancanza di dati statistici sullo scandalo, che dipende in particolare dall’estrema frammentazione dei comitati o degli enti che raccolgono le denunce e le segnalazioni, senza coordinarsi affatto. In ogni Land la Chiesa ha la sua commissione, ogni scuola coinvolta, ogni ordine monastico. Tanto che Bergmann ammette: ancora non si può dare una dimensione numerica né al numero di vittime né quello dei responsabili. Sulla stampa sono comparsi più di 300 casi.

mercoledì 19 maggio 2010

«Nessun complotto. Sulla pedofilia la Chiesa dica la verità»

l’Unità 8.4.10
Intervista a Dacia Maraini
«Nessun complotto. Sulla pedofilia la Chiesa dica la verità»
La scrittrice: «Portare alla luce lo scandalo non significa attaccare il Papa. Alla base di tutto c’è un tabù sessuale, proibire nasconde il problema»
di Umberto De Giovannangeli

L’idea che portando alla luce i casi di pedofilia si voglia attaccare il Papa, questo Papa, è un automatismo che trovo sbagliato. Quello della Chiesa è un eccesso di difesa, una cattiva difesa». A sostenerlo è una delle più affermate e impegnate scrittrici italiane: Dacia Maraini. «Non vi è dubbio rileva Maraini che uno dei problemi della Chiesa sia il tabù sessuale. La proibizione non elimina un problema, lo sposta, lo nasconde». «A nessuno riflette la scrittrice fa piacere veder esplodere scandali in casa propria. Ma se succede bisogna prendere le distanze, contribuendo all’accertamento della verità, anche la più dolorosa. Altrimenti si diventa complici».
Quale idea si è fatta di quello che negli Stati Uniti hanno definito l’Altargate»? «Penso che ci sia una verità che da buoni cristiani andrebbe affrontata con coraggio. L’idea che portando alla luce quest casi di pedofilia si voglia attaccare il Papa, questo Papa, mi pare francamente una forzatura, un automatismo che trovo sbagliato. Diciamo che si tratta di un eccesso di difesa. Non penso che sia arroccandosi e gridando al complotto che la Chiesa riesca a difendere il suo buon nome. Ben altre strade dovrebbe percorrere...».
Quale, ad esempio?
«L’unico modo di contrastare questo scandalo da parte della Chiesa è quello di portare degli esempi di preti virtuosi, ma non dal punto di vista sessuale. Virtuosi per il loro impegno civile, per il coraggio di scelte che educano i parrocchiani. Penso al parroco di Sant’Onofrio. Michele Virdò, che ha saputo dire no ai tentativi delle cosche calabresi di infiltrarsi nella processione. Questo è un caso straordinario di coraggio che la Chiesa dovrebbe esaltare, portandolo ad esempio. La Chiesa dovrebbe dire con orgoglio: questi sono i nostri parroci, che fanno cose ammirevoli, e in questo si esprime una beatitudine...».
Invece?
«Invece si grida al complotto come se così facendo si intenda esorcizzare una realtà che certo non deve essere generalizzata, ma neanche taciuta. A nessuno fa piacere che esplodano scandali in casa propria. Ma se succede bisogna prendere le distanze, altrimenti si diviene complici».
C’è chi sostiene che la Chiesa farebbe bene a riflettere sulle conseguenze dell’imposizione del celibato. «Non è da oggi che sostengo che uno dei problemi della Chiesa è il tabù sessuale. Perché la castità che in sé può essere una scelta sublime non può per nessuna ragione essere imposta dall’alto. Una castità imposta porta a delle storture. La sessualità deve avere una qualche forma di espressione. Questa totale negazione da parte della Chiesa porta al sesso clandestino. La proibizione non elimina il problema, lo sposta, lo nasconde...». Cosa si sentirebbe di consigliare alla gerarchia ecclesiastica?
«Direi loro di affrontare questo problema con un po' più di larghezza di vedute e di modernità. Ho letto in questi giorni che nella Chiesa protestante, che non ha imposto ai suoi preti il celibato, i casi di abusi sessuali sono di molto inferiori a quelli denunciati nella Chiesa cattolica: non credo che sia un caso. Penso anche che questa negazione della sessualità abbia una qualche incidenza sullo stesso calo delle vocazioni».
Di fronte all’Altargate c’è chi invoca una Chiesa in mano alle donne... «Ritengo che sia molto negativo che le donne non possano officiare la Messa. È una forma di razzismo che oggi risulta davvero intollerabile. In questo modo, peraltro, la Chiesa nega una parte di se stessa, mostrando mancanza di fiducia e di stima».
In questi giorni diversi esponenti della Chiesa hanno accostato la campagna che punterebbe a Benedetto XVI con l’antisemitismo contro gli ebrei...
«Sono perfettamente d’accordo con le comunità ebraiche. Questo accostamento è offensivo verso gli ebrei che a milioni furono sterminati nelle camere a gas dei lager nazisti. L’averlo solo pensato è un insulto alla loro memoria. L’Olocausto è stato una tragedia che non può essere accostata a nessun altro evento, tanto meno alla vicenda in questione. Chi lo ha fatto dovrebbe vergognarsi».

Abusi, accuse al primate inglese

l’Unità 11.4.10
Abusi, accuse al primate inglese
Vittima italiana scrive al Papa
Dopo le accuse a Ratzinger, quelle al primate d’Inghilterra: coprì un prete pedofilo. Lettera al Papa di una vittima italiana: «Io abusato per molti anni». La Chiesa fa quadrato intorno al Papa: «Accanimento disonesto».
di Marina Mastroluca

L’arcivescovo di Westminster non intervenne contro un frate, poi condannato a 8 anni
La Chiesa con Ratzinger «Porta colpe non sue». Violentato scrive: «Punire chi ha insabbiato»

Silenzio: è questo il capo d’accusa. Non solo lo scandalo della pedofilia, le colpe i peccati? dei singoli. Ma il velo che ha nascosto quelle colpe, le bocche cucite, il vuoto intorno alle vittime. Ieri era la «prudenza» di Ratzinger, che nell’85 copriva un prete pedofilo californiano, Stephen Kiesle, già condannato dalla giustizia Usa per abusi. Oggi è il silenzio dell’arcivescovo Vincent Nichols, primate della Chiesa di Inghilterra, che accusa il Times «protesse» un monaco benedettino accusato di abusi sessuali. Oggi è anche il buco nero nel quale sono finite le denunce che l’italiano Francesco Zanardi passato alla cronaca per le sue nozze gay il mese scorso ha ripetutamente rivolto alle autorità ecclesiastiche, senza una risposta. «Io venni violentato per diverso tempo 30 anni fa da un sacerdote che insegnava religione ai bambini», racconta Zanardi in una lettera al Papa. «La cosa più triste è che i tre vescovi che si sono succeduti nella diocesi di Savona-Noli, ai quali ho più volte comunicato sia a voce che per scritto lo svolgersi delle atrocità che questo prete da anni compie, non hanno mai denunciato nulla all’autorità giudiziaria, né hanno mai preso provvedimenti».
PADRE PEARCE
Accuse gravi e copioni già visti. Abusi, denunce, silenzio. Un meccanismo che si muove lungo gli stessi ingranaggi. Negli Usa, in Italia. E a Londra, dove l’arcivescovo Nichols tra il 2001 e il 2008 presiedeva un ente benefico per la protezione dell’infanzia e da lui non e mai arrivata una parola sul caso di padre David Pearce, rimasto alla Ealing Abbey anche dopo che nel 2006 l’Alta Corte aveva stabilito che risarcisse le sue vittime. Nichols non sapeva tutti i dettagli el caso, è stata la spiegazione della Chiesa inglese. A sapere era l’ex primate cardinal Murphy O’Connor, al quale l’arcivescovo è subentrato un anno fa. La Chiesa sapeva, comunque, prima che padre Pearce venisse condannato a 8 anni di carcere per gli abusi commessi in 35 anni.
LA LETTERA DI RATZINGER
«Mi pare per lo meno disonesto parlare per settimane e mesi di certe cose, dimenticando i grandi meriti della Chiesa», ha detto ieri il cardinal Poletto, senza perdere l’occasione per augurare ai giornalisti «di diventare più buoni... anche nella vostra serietà professionale». Perché di serietà ne è mancata, per le gerarchie ecclesiastiche che hanno lamentato il «chiacchiericcio» dei media. Anche sulla lettera scovata dall’Ap, sulla vicenda di padre Kiesle nell’85 e sulla linea adottata da Ratzinger. La Santa Sede sostiene che non ci fu copertura dello scandalo, la Congregazione per la dottrina della fede all’epoca non poteva far altro. I legali americani del Vaticano mettono i puntini sulle i e parlano di «giudizi affrettati» della stampa: fino al 2001 il Sant’Uffizio non era competente sui casi di pedofilia, Ratzinger si è limitato ad una valutazione sul «bene della Chiesa universale» rinviando ad un esame ulteriore.
Sta di fatto che Kiesle, per quanto sotto sorveglianza, non potè lasciare l’abito talare. L’ex vescovo di Oakland John Cummins, che a più riprese aveva scritto ai superiori in Vaticano, caldeggiando il ritorno allo stato laicale del prete pedofilo Stephen Kiesle, sostiene che allora la Chiesa era riluttante a prendere simili decisioni, in una situazione di crisi delle vocazioni. «In conseguenza di questo Papa Giovanni Paolo II rallentò molto le cose e rese il processo molto più ponderato», ha detto Cummins al New York Times.
IL «MOSTRO»
Intorno a Ratzinger la Chiesa fa muro. Per il vicepresidente della Cei Gualtiero Bassetti il Papa «non chiede ad altri di portare la croce» e si fa carico come Cristo dei peccati altrui. Dice la sua anche il ministro Frattini, denunciando «una vera e propria campagna di violenza e fango», una «resa dei conti contro chi difende la vita». Per Fracesco Zanardi, che di quegli abusi è stato vittima, quello che sta accadendo è altro: una breccia in un muro. «La Chiesa dimostri ora la sua coerenza con le parole del Santo Padre assumendosi le responsabilità. Risarcisca e sostenga», scrive nella lettera, chiedendo «provvedimenti nei confronti dei vescovi che hanno insabbiato». Chiede giustizia anche Gaetano Scerri, 46 anni, abusato da piccolo nell’Istituto di San Giuseppe di Malta. A una settimana dalla visita del Papa alla Velletta, il domenicale di Malta «Illum» racconta oggi la sua storia in prima pagina. Scerri, che ha ucciso un omosessuale, racconta di essere diventato un «mostro omofobico» per «gli abusi, gli stupri, la deprivazione e le botte» subite dai preti in collegio. «Io sono stato processato perché mi hanno fatto diventare un mostro, ho pagato per i miei sbagli, ma adesso tocca ad altri assumere le loro responsabilità davanti alla giustizia, e chiedo alla Chiesa che questi preti vengono processati».

martedì 18 maggio 2010

Propaganda Fide, le case del Vaticano e la rete di Balducci

Propaganda Fide, le case del Vaticano e la rete di Balducci
M. Antonietta Calabrò
corriere della Sera, 16 maggio 2010

Affitti e lavori su un patrimonio da 9 miliardi


È un destino che la storia di Propaganda Fide, sin dall’inizio si intrecci con una storia di immobili, di rivalità di architetti, di lavori edilizi. «Corrisponde medesimamente sulla detta piazza questo gran Collegio, il quale ebbe principio l'anno 1622 per provvedere ai bisogni e dilatazione della Fede Cattolica... fu eretto qui il collegio col disegno del Bernini... Fu dipoi terminata la fabbrica dal Borromini».

Ma i tempi cambiano e da Bernini e Borromini siamo oggi al provveditore Angelo Balducci, che della Congregazione è stato consultore fino al 10 marzo scorso, e al costruttore Diego Anemone. Tutto il centro storico di Roma — al di là delle sedi extraterritoriali — conta vaste proprietà immobiliari del Vaticano che fanno capo sia alla Congregazione di Propaganda Fide sia all’Apsa, il patrimonio della Sede Apostolica. Ma è soprattutto Propaganda Fide a fare la parte del leone con proprietà di gran pregio che insistono nel quadrilatero più ambito del cuore della città e che secondo alcune stime è valutato (al netto delle recenti rivalutazioni del mercato) intorno ai 9 miliardi di euro.

Due circostanze hanno messo «in moto» una «gestione» economica fino allora molto sonnolenta delle case, dei negozi (e altri esercizi commerciali che sono in affitto negli immobili della Congregazione) e dei palazzi: la fine del regime dell’equo canone e i lavori per il grande Giubileo del 2000. Ciò avviene quando Crescenzio Sepe, Segretario generale dell’Anno Santo, viene nominato, Prefetto di Propaganda Fide, cioè «papa rosso»: rosso perché cardinale, e papa perché ha potere sulle terre di missione, in sostanza sulle Chiese dell´Africa e dell´Asia.

Quanto agli immobili sono due le strategie perseguite dall’inizio del decennio. Primo: un certo numero di sfratti «per finita locazione» ai vecchi inquilini che abitavano in case che necessitavano di importanti opere di ristrutturazione. «Ci sono state anche delle cause intentate dagli inquilini contro gli sfratti», afferma Mario Staderini segretario dei Radicali italiani, «perché non sono avvenuti per morosità, a via Giulia, vicino piazza Farnese, vicino a Santa Maria Maggiore». C’è stata poi la messa a reddito con la collocazione, spesso a vip, degli immobili, magari dopo le ristrutturazioni effettuate delle aziende di Diego Anemone (che di molte case e palazzi di Propaganda ha gestito la manutenzione come ha diligentemente annotato nella sua lista). Del resto, numerosi palazzi di Propaganda Fide si «irradiano a raggiera» da piazza di Spagna per via di Propaganda, via della Vite, via Gregoriana, via Sistina, via Condotti, la salita di San Sebastianello, via Sant'Andrea delle Fratte, via della Mercede. Cesara Buonamici, conduttrice del Tg5 ha spiegato cosa è successo nel suo caso: «Sono affittuaria dell'appartamento in via della Vite dal 2003. L'appartamento è di proprietà di Propaganda Fide, pertanto i lavori di ristrutturazione non sono stati commissionati dalla sottoscritta, ma dall'ente, prima del mio ingresso». Stessa situazione per l'ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio che vive in via Sistina. Nel caso di Bruno Vespa (altro affittuario di Propaganda Fide) invece i lavori di ristrutturazione sono stati fatti direttamente da lui (e infatti il suo nome non compare nella lista di Anemone). Altri immobili sono stati venduti, come quello di via dei Prefetti, all’ex ministro Lunardi.

E’ un dato di fatto che con l’arrivo di papa Ratzinger Propaganda Fide abbia subìto una brusca virata. Nel 2006 è stato nominato «papa rosso» l’arcivescovo di Bombay, Ivan Dias, lontano dai «giri romani».

La rivelazione del cardinale: Wojtyla ha protetto un prete pedofilo

il Fatto 18.4.10
La rivelazione del cardinale: Wojtyla ha protetto un prete pedofilo
Secondo Castrillon, il papa elogiò l’insabbiamento di un caso
di Marco Politi

Un cardinale trascina Giovanni Paolo II nella vicenda degli abusi non denunciati. Castrillon Hoyos afferma che papa Wojtyla autorizzò la lettera di elogio a un vescovo francese per aver fatto ostruzionismo alla giustizia. La fragorosa rivelazione cade mentre Benedetto XVI, arrivando a Malta, ha confessato ai giornalisti che il “corpo della Chiesa è ferito dai nostri peccati” e l’unica via di salvezza consiste nel Vangelo, “vera forza che purifica e guarisce”.
Il cardinale Dario Castrillon Hoyos non è un porporato qualunque. Colombiano ottantenne, duro e tenace, è stato presidente del consiglio dell’episcopato latino-americano (Celam) negli anni in cui Wojtyla faceva terra bruciata intorno alla Teologia della liberazione, poi dal 1996 al 2006 prefetto della Congregazione per il Clero. Quando Benedetto XVI liberalizza la Messa preconciliare, il cardinale celebra a Loreto il primo rito solenne dopo il decreto papale. Quando scoppiò il caso del vescovo negazionista lefebvriano Williamson, Castrillon Hoyos era a capo della commissione Ecclesia Dei, incaricata di negoziare con i seguaci di Lefebvre. Pur appassionato di Internet, non si era accorto (o non aveva voluto) che il vescovo Williamson contestava la Shoah.
Dunque, corre l’anno del Signore 2001. É il mese di settembre e da poco un presule di Francia – mons. Pierre Pican, vescovo di Bayeux – è stato condannato a tre mesi con la condizionale per aver rifiutato di denunciare alla magistratura il prete pedofilo René Bissey. Il prete è un tipico predatore. Tra il 1989 e il 1996 ha compiuto ripetuti abusi sessuali su minori, il tribunale gli infligge 18 anni di carcere.
Con questi precedenti il cardinale Castrillon prende carta e penna e scrive al vescovo reticente Pican: “Lei ha agito bene, mi rallegro di avere un confratello nell’episcopato che, agli occhi della storia e di tutti gli altri vescovi del mondo, avrà preferito la prigione piuttosto che denunciare un prete della sua diocesi”. La data della missiva è importante: 8 settembre. Nel mese di maggio il cardinale Ratzinger ha reso noto il Motu proprio papale “Delictis gravioribus”, che stringe i freni sui delitti di pedofilia e ordina ai vescovi del mondo di trasmettere ogni caso al Sant’Uffizio (Congregazione per la Dottrina della fede). Secondo le Linee-guida rese note recentemente il vescovo Pican avrebbe dovuto agire in conformità alla legge civile dello stato, che appunto prevede la denuncia. Invece mons. Pican, che già nel 1996 era stato informato degli abusi sessuali su minori, non aveva denunciato il sacerdote Bissey, limitandosi a consigliargli una cura psichiatrica. Il cardinale Castrillon, non contento di elogiare il suo silenzio, aggiunge con enfasi: “Questa Congregazione, per incoraggiare i fratelli nell’episcopato in una materia così delicata, trasmetterà copia di questa missiva a tutti i fratelli vescovi”.
Pubblicata su un sito francese, la lettera di Castrillon riceve il 15 aprile una sferzante bacchettata dal portavoce papale Lombardi: “Non risponde in nessun modo alla linea presa dalla Santa Sede e anzi dimostra quanto fosse necessario unificare sotto la competenza della Congregazione per la Dottrina della fede la trattazione rigorosa e unitaria dei casi di abusi sessuali: cosa che avvenne nel 2001 con il Motu proprio in cui era contenuto il documento Delictis gravioribus”. Il colpo di barra non ha retto lo spazio di una notte. Perchè il porporato colombiano, testardamente, ha rivendicato di avere agito con il placet della Suprema Autorità. Sarebbe stato papa Wojtyla in persona ad averlo autorizzato a congratularsi per il gesto e a dargli un carattere esemplare. Nel corso di una conferenza nella città spagnola di Murcia il cardinale Castrillon – così riferisce il quotidiano La Verdad – ha precisato testualmente: “Dopo aver consultato il Papa e avergli mostrato la lettera, la inviai al vescovo, congratulandomi con lui per essere stato un modello di padre che non consegna i suoi figli” alla giustizia. Il porporato ha specificato che “Giovanni Paolo II mi autorizzò ad inviare la lettera a tutti i vescovi del mondo e a metterla su Internet”. É la prima volta che papa Wojtyla viene così direttamente chiamato in causa in una vicenda di omertà sui casi di pedofilia. Già nei giorni scorsi si erano levati interrogativi su chi avesse informato o disinformato Giovanni Paolo II al punto che l’allora cardinale Joseph Ratzinger – all’epoca prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede – non riuscì nel 1998 ad aprire un’inchiesta sul pluri-abusatore Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo. Nella presa di posizione di Castrillon c’è comunque un’ambiguità di fondo. Il cardinale ha spiegato alla Cnn che il diritto canonico proibisce al confessore di “riferire quanto detto dal penitente, con le parole o in qualsiasi altro modo”. Tuttavia il portavoce papale Lombardi non ha mai accennato al fatto che il vescovo Pican avesse saputo delle tendenze criminali del suo prete esclusivamente in confessionale. In ogni caso, in mancanza di una totale trasparenza sul passato e di una piena assunzione di responsabilità, il Vaticano non uscirà dalla tenaglia dell’ondata di rivelazioni. Ondata inarrestabile. In un’inter vista all’Osser vatore Romano il Segretario di Stato, cardinale Bertone, ribadisce che Benedetto XVI ha indicato una linea molto chiara: “Purificazione e penitenza”. Ma l’associazione americana delle vittime di abusi (Snap) chiede misure concrete e stringenti. Bill Nash, loro rappresentante, propone che “il Vaticano e le diocesi istituiscano un registro online dei preti credibilmente accusati di abusi”.

lunedì 17 maggio 2010

La caccia ai soldi della cricca punta al Vaticano

La caccia ai soldi della cricca punta al Vaticano
Il Giornale del 17 maggio 2010

Massimo Malpica

La caccia al tesoro della «cricca» punterebbe ora sul Vaticano. I magistrati delle procure di Firenze e di Roma hanno già avviato gli accertamenti bancari su conti correnti e depositi italiani collegati a Diego Anemone e al suo staff, ad Angelo Balducci, a Claudio Rinaldi e agli altri funzionari della struttura della Ferratella in Laterano.
Sempre lavorando in team, le toghe delle due procure hanno inviato una rogatoria internazionale in Lussemburgo per individuare e bloccare i conti all’estero riferibili agli indagati e a una serie di prestanome (un elenco di 16 nomi e 9 società, tra cui anche il coordinatore del Pdl Denis Verdini). Ora si starebbe valutando di bussare alle porte dello lor. Scelta dagli esiti incerti, ma quasi obbligata. Molti degli incroci emersi, soprattutto relativamente alle compravendite immobiliari delle «case blu» e ai lavori di ristrutturazione realizzati dalle società di Anemone, hanno infatti come comune denominatore l’altra sponda del Tevere.
Nell’ormai celebre «lista» di Anemone molti degli indirizzi fanno capo alla congregazione di Propaganda Fide. Congregazione della quale era «consultore» lo stesso Balducci. Qualche giorno in un esposto i radicali hanno denunciato presunte irregolarità su una serie di appalti pubblici, alcuni dei quali affidati all’architetto della «cricca» Angelo Zampolini.
Nell’esposto si rimarca che Balducci avrebbe un conto proprio presso lo Ior. Lo rivelò lui stesso, quattro anni fa, interrogato a Potenza da Woodcock per l’inchiesta sui Savoia. Saltò fuori un prestito di 280mila euro «concesso» da Balducci a monsignor Francesco Camaldo, cerimoniere pontificio. Balducci spiegò a Woodcock che aveva girato i soldi «attraverso un conto bancario in Vaticano». E un conto allo lor non è a rischio di segnalazioni di operazioni sospette: gli occhi dell’antiriciclaggio non arrivano Oltretevere.
Una rogatoria potrebbe provarci, ed è quello a cui i pm umbri e toscani stanno pensando, anche se difficilmente il Vaticano concederebbe il suo via libera agli accertamenti nei conti dello Ior.
Si apre così un altro filone «religioso», dopo il tesoretto di Anemone nella cassaforte e nei conti della Banca delle Marche intestati a don Evaldo Biasini, economo della congregazione del Preziosissimo sangue che faceva da cassiere per l’imprenditore. E non è un caso che il religioso sia l’unico non indagato il cui nome è presente nella richiesta di rogatoria inviata in Lussemburgo. Sul fronte interno, arriva oggi sulla scrivania del pm perugini la nuova informativa del nucleo di polizia tributaria delle Fiamme gialle. Altri controlli incrociati su conti correnti, depositi, assegni circolari e compravendite immobiliari. Il primo documento aveva portato - tardivamente - a rivelare quegli strani acquisti «finanziati» da Zampolini in favore di Scajola e Pittorru.
L’esame dei nuovi accertamenti potrebbe portare a modificare il calendario degli interrogatori. Proprio Zampolini potrebbe arrivare nella procura umbra domani, e non è escluso che prima della fine della settimana i pm Sottani e Tavarnesi spingano per ascoltare l’ex ministro Scajola, e per bissare l’interrogatorio del capo della protezione civile Guido Bertolaso. Troppi punti da chiarire, rispetto a quel verbale del 12 aprile. Da allora sono saltati fuori i lavori effettuati dalla moglie al Salaria Sporting village di Anemone, e quelli di ristrutturazione che Anemone ha svolto a casa di Bertolaso, che nell’elenco dell’imprenditore salta fuori anche per una casa di via Giulia. E anche di questa, ai pm Bertolaso non aveva fatto parola.

domenica 16 maggio 2010

La manica larga dei professori di religione

La Repubblica 16.5.10
La manica larga dei professori di religione
risponde Corrado Augias

Gentile Augias, il ministro dell'Istruzione Gelmini ha esultato alla sentenza del Consiglio di Stato che riconosceva la legittimità delle ordinanze nelle quali si equiparava la religione alle altre materie. In altre parole, ai fini dell'attribuzione del credito scolastico, basato sulla media dei voti riportata dall'alunno, occorre tener conto anche del giudizio espresso dal docente di religione. Il Consiglio di Stato infatti ha stabilito che, nel caso l'alunno scelga di avvalersi di questo insegnamento, la materia diventa per lo studente obbligatoria e concorre quindi all'attribuzione del credito scolastico. Tutto giusto. Però sarebbe anche giusto che il professore di religione, come è sempre accaduto ed ancora accade, non fosse troppo di manica larga nei suoi giudizi. Dico questo, perché anch'io come tutti i miei colleghi di religione, ho fatto così finché ho insegnato. Le insufficienze in religione sono rare come le mosche bianche. Sarebbe giusto che la materia fosse insegnata seriamente e studiata seriamente, alla stregua delle altre materie. Lo dico perché ho anch'io le mie colpe.
Renato Pierri renatopierri@tiscali.it

La sentenza del Consiglio di Stato suscita alcuni rilevanti quesiti. Uno dei primi è il seguente: se frequentare l'ora di religione produce crediti, lo stesso dovrebbe darsi per chi frequenta l'ora 'alternativa'. In caso contrario si crea una palese disparità come lo stesso Consiglio ha rilevato: «la mancata attivazione dell'insegnamento alternativo può pertanto incidere sulla libertà religiosa dello studente o delle famiglie, e di questo aspetto il Ministero appellante dovrà necessariamente farsi carico». Che farà il ministero? Si troveranno i fondi per attivare queste ore 'alternative'? Domande che un paese civilizzato europeo non può ignorare. Mi scrive per esempio il preside Cardinetti del liceo Copernico di Pavia: «A parte l'incidenza minima sui crediti (non sono otto, ma uno per fascia di media), in ogni caso si creerebbe disparità di trattamento, visto che il ministero non assegna alcun fondo per i docenti di attività alternative eventualmente richieste dalle famiglie». Si impegnerà il ministro Gelmini? O si riterrà invece paga della sua 'vittoria' di principio? Altra questione di uguale rilievo è quella sollevata dal prof. Pierri: se gli insegnanti di religione si dimostrano così di manica larga, magari per invogliare gli allievi alla frequenza, si verrà ugualmente a creare una disparità con gli altri allievi. Un corretto sistema scolastico non dovrebbe consentirlo. Tanto più che la spaventosa ignoranza in materia religiosa di molti italiani consiglierebbe semmai una manica non larga bensì stretta, strettissima.

venerdì 14 maggio 2010

I gesuiti attaccano Sodano, legato alla vicenda del fondatore dei Legionari Marcial Maciel

il Fatto 14.4.10
Bertone fa infuriare i gay, il papa tace
Insulti sui muri della casa natale di Ratzinger in Baviera
I gesuiti attaccano Sodano, legato alla vicenda del fondatore dei Legionari Marcial Maciel
di Andrea Gagliarducci

Nel giorno in cui padre Lombardi, portavoce della Sala Stampa della Santa Sede, annuncia che il Papa potrebbe incontrare le vittime degli abusi anche a Malta, ma “lontano dal clamore dei media”, le parole del cardinal Bertone, segretario di Stato vaticano, rimbalzano dal Cile e danno vita a una polemica che non accenna a diminuire. Bertone ha detto che il problema della pedofilia tra i sacerdoti viene dall’omosessualità, non dal celibato. Parole “politicamente scorrette” che suscitano la reazione adirata del mondo gay, ma anche le precisazioni degli psichiatri cattolici e del Centro Studi Teologici di Milano.
Un corto circuito comunicativo che sembra lasciare Benedetto XVI ancora più solo alla guida della macchina vaticana. Il Papa ieri è ritornato da Castel Gandolfo, dove ha trascorso un periodo di riposo a seguito degli impegni pasquali. Ha preferito non parlare riguardo gli scandali, ma concentrarsi piuttosto sul Vangelo: è la sua prassi. Si è confrontato con gli uomini più fidati, ma soprattutto in preparazione del viaggio a Malta, dove – spiega padre Lombardi – parlerà di “immigrazione, di valori cristiani e della necessità di valorizzarne la tradizione”. Ma sono sempre più le spinte perché Benedetto XVI prenda una posizione forte nei confronti della pedofilia, come già ha fatto negli Stati Uniti e in Australia. E 11 delle vittime di pedofilia (sarebbero 45 i sacerdoti maltesi accusati di pedofilia) hanno chiesto di poter incontrare il Papa. L’incontro è molto probabile, dice padre Lombardi, ma “lontano dal clamore dei media”. Un po’ quello che è successo negli Stati Uniti, quando – fuori agenda – Benedetto XVI incontrò un gruppo di vittime. Ma al ritorno in Vaticano, Benedetto XVI ha trovato due brutte notizie: la notizia delle frasi oscene scritte con una bomboletta spray di colore blu a Marktl-am-Inn, la sua casa Natale, e le polemiche causate dalle parole del suo Segretario di Stato.
“Le parole del Segretario di Stato Tarcisio Bertone, che pretendono di individuare nell’omosessualità la radice della pedofilia, suscitano una irreparabile indignazione – commenta Anna Paola Concia (Pd) – E’ davvero sconfortante che ancora oggi eminenti rappresentanti della Chiesa Cattolica si lascino andare ad analisi così grossolane, sbagliate, smentite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e non condivise dalla maggioranza dei cattolici”.
Non le condivide, ad esempio, il Centro Studi Teologici di Milano, che ribatte polemicamente che “il cardinale Bertone dovrebbe occuparsi del pre-seminario San Pio X, il collegio dei chierichetti che fanno servizio in Basilica di San Pietro e che si trova dentro la Città del Vaticano e che servono messa al Papa e ai cardinali, visto che molti parroci in Italia e all’estero non mandano più i ragazzini perché venivano molestati sessualmente, invece di gettare discredito sulle persone omosessuali”. E l’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici ci tiene a sottolineare che “non c’è nessun legame tra pedofilia e omosessualità”, e che ogni teoria psichiatrica che sottolinea un nesso tra le due cose sono “assolutamente prive di fondamento”. L’Arcigay parla di un’equazione “falsa, ignobile e antiscientifica”, una “affermazione disonesta che colpisce la vita e la dignità di milioni di persone gay e lesbiche”.
Il fuoco incrociato viene contro la dichiarazione imprudente di Bertone. Ma la testa a cadere dovrebbe essere quella del suo predecessore, il cardinal Sodano, sostiene il mensile dei gesuiti “America”. Sodano in questi giorni di assenza del Segretario di Stato per un viaggio apostolico in Cile si è dimostrato attivissimo: da decano del Sacro Collegio ha promosso un pranzo di cardinali in onore del quinto anniversario di Pontificato, e ha pronunciato un irrituale discorso in difesa del Pontefice durante la Messa di Pasqua. Ma il cardinale è legato a doppio filo alla vicenda del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, che per anni – nonostante abusi ripetuti e anche relazioni con donne con tanto di figli, e una visita Apostolica subita già negli anni Cinquanta – ha goduto di protezioni molto alte in Vaticano, anche attraverso il pagamento di “bustarelle”. È stato Ratzinger, da Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, a voler far partire il procedimento contro Maciel, e Benedetto XVI a dimetterlo allo stato laicale. Lo ricorda il mensile “America”, che sottolinea: “Leggendo dei potenti legami di denaro e di famiglia tra i due uomini (il nipote di Sodano, Andrea, fu assunto da Maciel per costruire l’Università della Legione a Roma) è adesso molto più facile capire che tipo di battaglia deve aver combattuto l’allora cardinale Joseph Ratzinger per costringere Maciel a dimettersi nel 2004”. La decisione riguardo i Legionari sarà presa dal Papa di ritorno dal viaggio a Malta: la possibilità è che vengano commissariati, e per il commissario si fa il nome del cardinale José Saraiva Martins.

mercoledì 12 maggio 2010

Norvegia. Si dimette il primo vescovo, la Chiesa fa quadrato

il Fatto 8.4.10
Norvegia. Si dimette il primo vescovo, la Chiesa fa quadrato

Il primo caso di pedofilia in Norvegia riguarda Georg Mueller, vescovo della diocesi di Trondheim, un norvegese di origine tedesca che, quando era ancora semplice sacerdote, abusò di un chierichetto. Mueller ha confessato l’abuso, si è dimesso nel maggio del 2009, ha lasciato la diocesi, si è sottoposto a terapia e da allora non ha alcun incarico pastorale. La versione ufficiale della Santa Sede è stata prontamente fornita dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi. E intanto dal Sudafrica, Buti Thlagale, vescovo, ha denunciato che nemmeno la Chiesa cattolica africana è “esente dagli scandali”, anzi “soffre gli stessi mali”. Un’apertura preventiva che, indirettamente, dice molto della strategia della Santa Sede sulla pedofilia. Rispondere tempestivamente, ma anche prevenire. Così, le rivelazioni dell’abuso di Mueller, comparse ieri sulla home page della tv norvegese Nrk, hanno pronto riscontro nella replica del portavoce vaticano. La tv ricordava le dimissioni “improvvise” del vescovo Mueller lo scorso anno, e spiegava che “è stato un abuso sessuale a spingerlo alle dimissioni”. Altri dettagli: la Chiesa avrebbe pagato “tra le 400 e le 500 mila corone” come risarcimento; Mueller scelse di dare immediatamente le dimissioni quando venne informato delle accuse che lo riguardavano; la vittima, secondo il quotidiano norvegese Adresseavisen, era un chierichetto che ha mantenuto il segreto per circa 20 anni. Nrk riporta che il caso è stato inviato al Vaticano, dove è stato valutato arrivando alla conclusione che Mueller, in quel momento vescovo di Trondheim, doveva dimettersi. Nessuna conseguenza penale per Mueller perché, al momento in cui sono state formulate le accuse, il reato era prescritto. La versione ufficiale viene data praticamente subito dalla Sala Stampa Vaticana. Che conferma nei dettagli la storia, e precisa che la vittima “prescritta, ha sempre voluto mantenere l’anonimato”. La Chiesa ha deciso di fare quadrato. È in questa logica che si è inserito l’intervento del cardinal Sodano, segretario di Stato emerito, che ha sostenuto che gli attacchi all’attuale Papa ricordano quelli a Pio XII. Un paragone che non è piaciuto alla Comunità ebraica italiana, già in polemica con le frasi del Venerdì Santo di padre Cantalamessa, predicatore pontificio. Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche, sottolinea che “alcuni interventi e alcuni paragoni inappropriati e inopportuni rischiano di creare pericolosi e fuorvianti paralleli storici”. E l’ex presidente dell’Ucei Tullia Zevi dice di trovare questi paragoni “più dannosi che inutili”. (andrea gagliarducci)

L'ora di religione nel credito scolastico. Smentito il Tar

L'ora di religione nel credito scolastico. Smentito il Tar
Corriere della Sera del 11 maggio 2010

L’insegnamento della religione concorre al credito scolastico dell’alunno. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato accogliendo il ricorso del ministero dell’Istruzione e cambiando la sentenza del Tar del Lazio della scorsa estate. Il tribunale amministrativo ha riconosciuto la legittimità delle ordinanze ministeriali (quella Gelmini ma anche quelle precedenti di Fioroni) che considerano il voto ottenuto in religione un voto che fa media perché, ha detto il Consiglio di Stato, nel caso in cui un alunno decida di avvalersi dell’insegnamento della religione, la materia diventa obbligatoria e deve quindi concorrere all’attribuzione del credito scolastico. Soddisfatto il ministro Mariastella Gelmini. Erano insorti in molti alla decisione del Tar del Lazio di annullare il credito derivato dall’insegnamento della religione.
La Conferenza episcopale, aveva bollato la sentenza come «pretestuosa» e aveva giudicato «utile e giusta» la decisione dei ministero di ricorrere al Consiglio di Stato. Tutti contrari al Tar nel Pdl e anche in una parte del Pd. Il ministro Gelmini aveva dichiarato che la sentenza del Tar limitava «la libertà dell’insegnamento della religione. I principi cattolici sono patrimonio di tutti e vanno difesi da certe forme di laicità intollerante». A difendere la sentenza del Tar nel centrosinistra, erano stati invece alcuni esponenti Pd come Vincenzo Vita, il leader radicale Marco Pannella e Antonio Di Pietro.

martedì 11 maggio 2010

Chiesti 5 anni per il parroco di Arese

il Fatto 11.5.10
Chiesti 5 anni per il parroco di Arese
di V. L. G.

Il pm di Milano, Giancarla Serafini, ha chiesto una condanna a 5 anni di reclusione per don Marco Redaelli, salesiano, parroco 75enne di Arese, accusato di violenza sessuale aggravata nei confronti di una bambina di 7 anni. La bambina raccontò prima alla nonna e poi al padre quanto aveva subito, e ha poi confermato il racconto, con descrizioni precise, durante l’incidente probatorio. Il sacerdote, ex missionario in Africa e in America Latina, si è sempre professato innocente. Secondo la difesa, le accuse sarebbero state montate dal padre della vittima per speculare sulla vicenda. Anche gli aresini si sono schierati dalla parte del sacerdote, ritenuto un prete caritatevole. La famiglia della bambina è stata costretta a trasferirsi a seguito della manifesta ostilità dei propri concittadini. E, davanti ai giudici, il padre della vittima ha raccontato: “Non hanno nemmeno permesso a mio figlio maggiore di iscriversi all’oratorio”. Lo stesso oratorio dove il 24 settembre 2007 sarebbero avvenuti gli abusi sulla piccola.

Sei anni e otto mesi in Cassazione per il prete arrestato in flagranza di reato

il Fatto 11.5.10
É definitivo: don Cerullo è un pedofilo
Sei anni e otto mesi in Cassazione per il prete arrestato in flagranza di reato
L’avvocato: “Il vescovo di Aversa non ha mai pronunciato una parola di pietà per la vittima”
di Vania Lucia Gaito

Sei anni e otto mesi. È questa la pena, confermata dalla Corte di Cassazione, per don Marco Cerullo, vice parroco di Casal di Principe e insegnante di religione a Villa Literno, arrestato in flagranza di reato dalle forze dell’ordine il 19 dicembre 2007, mentre in macchina abusava di un suo alunno di 11 anni. La vittima raccontò che don Marco lo aveva allontanato dalla scuola con la scusa di comprare i colori del presepe e aggiunse che già altre volte aveva abusato di lui, anche a casa del bambino.
La Cassazione ha sostanzialmente confermato la sentenza di Corte d’Appello, compresa la provvisionale già disposta di 50.000 euro. Ma finora il sacerdote non ha pagato neppure un centesimo. E qualsiasi azione legale per la richiesta di risarcimento rischia di cadere nel vuoto: il sacerdote, infatti, risulta nullatenente. Al momento dell’arresto di don Marco, il vescovo di Aversa monsignor Milano dichiarò che preferiva aspettare i tempi della giustizia. “La giustizia ha fatto il suo corso ma monsignor Milano non ha ancora pronunciato una parola” afferma Sergio Cavaliere, l’avvocato della vittima. “Non una parola di pietà per la sorte della vittima in questi due anni e cinque mesi. Eppure si è preoccupato della sorte di don Marco, promettente teologo”.
In questi due anni e cinque mesi, don Marco Cerullo è stato agli arresti domiciliari presso una comunità religiosa, nel frusinate, che accoglie anche giovani e giovanissimi. “Non sappiamo se nella comunità protetta si sia astenuto da ogni ufficio o servizio in strutture frequentate da minori come prescritto dal gup Chiaromonte il 19 novembre 2008” sostiene l’avv. Cavaliere. “E non sappiamo se don Cerullo continuerà a dir messa, scontata la reclusione”.
Sul conto di don Marco e della diocesi di Aversa rimangono aperti molti interrogativi. Don Marco ha frequentato il seminario minore di Aversa, dove accedono bambini delle scuole medie e ragazzi delle scuole superiori. Ed è proprio in quel seminario che è celebre il “gioco dello scarpone”, una metafora, neppure troppo velata, per l’atto dell’abuso sessuale. In quel seminario don Marco è tornato, in seguito, come assistente spirituale dei giovanissimi allievi. È stato poi trasferito come parroco a Villa Literno e da lì, appena un mese prima dell’arresto, trasferito come viceparroco a Casal di Principe.
Possibile che la diocesi non abbia mai ricevuto segnalazioni sul conto di don Marco, sospetti, chiacchiere, insomma, qualcosa che inducesse a una maggiore attenzione sull’operato del sacerdote? In fondo, certe “inclinazioni” non si manifestano improvvisamente.
“Non ho ricevuto mai alcuna segnalazione, sul conto del sacerdote” afferma il vescovo di Aversa, monsignor Milano. “È un grande dolore che sopporto ormai da quando ho saputo dell’arresto. Tuttavia la cattiva condotta di un sacerdote non deve inficiare l’opera dei sacerdoti che invece compiono quotidianamente il proprio dovere nei confronti della Chiesa e dei fedeli.”
Le disposizioni del Papa, in merito alle accuse di abusi sessuali nei confronti di sacerdoti sembrano essere piuttosto chiare e prevedono un procedimento canonico. “Il procedimento è già stato aperto – sostiene monsignor Milano – Si tratta di una indagine della Congregazione per la Dottrina della Fede, cui spetta la competenza per questi casi particolari. La Chiesa segue le direttive del Santo Padre, che è un faro lungo il nostro percorso spirituale.” Le persone abusate hanno necessità di rivolgersi a specialisti per tentare di superare il trauma e le cure sono piuttosto costose. Don Marco non ha mai risarcito la vittima e risulta nullatenente. Forse la diocesi, per dovere se non altro morale, potrebbe in qualche modo provvedere al risarcimento, o comunque all’assistenza della vittima. “Queste sono decisioni che un vescovo non può prendere da solo – prosegue il vescovo Milano – sarà vagliato il problema dalla collegialità e sarà presa una decisione”. Non una parola sulla possibilità di incontrare la vittima, almeno per offrire le scuse e il conforto spirituale alla famiglia.
Don Marco Cerullo, che non era presente alla sentenza, sarà probabilmente tradotto in carcere a breve. Ha scontato 2 anni e 5 mesi agli arresti domiciliari. Gli restano 4 anni e 3 mesi da trascorrere in carcere, ma con lo sconto della pena per buona condotta (3 mesi l’anno) il sacerdote probabilmente finirà col restare in carcere poco più di due anni e mezzo. La sua vittima, invece, resterà segnata dagli abusi subiti per tutta la vita.

Scandalo molestie, summit dei porporati. I cattolici in piazza a maggio

La Repubblica 11.4.10
E il governo maltese rimuove i poster
Ratzinger convoca i cardinali a Roma "Fare quadrato intorno al pontefice"
Scandalo molestie, summit dei porporati. I cattolici in piazza a maggio
di Orazio La Rocca

Una riunione straordinaria il 19 aprile per il quinto anniversario dell´elezione
A Malta imbrattati i cartelloni col volto del Papa: la Curia preoccupata per la visita di sabato

CITTA´ DEL VATICANO - «Calore, solidarietà, amore fraterno per il Papa in un momento tanto delicato per lui e per tutta la Chiesa». Questi i sentimenti con cui i cardinali di Santa Romana Chiesa si riuniranno in un summit straordinario in Vaticano il 19 aprile prossimo, giorno del quinto anniversario del pontificato di Benedetto XVI. Occasione che al Collegio cardinalizio - guidato dal decano Angelo Sodano - offrirà lo spunto per esprimere al Papa «vicinanza e affetto» per gli attacchi di chi lo accusa di non aver vigilato con più attenzione sui preti pedofili quando era prefetto dell´ex Sant´Uffizio. I cardinali si ritroveranno nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico dove il Papa li ha invitati con una lettera per un incontro conviviale che culminerà con un intervento dello stesso Pontefice, preceduto da un discorso tenuto, presumibilmente, dal cardinale decano.
Ma non saranno solo i cardinali a solidarizzare col Papa. Un analogo meeting si terrà quasi certamente il 16 maggio prossimo in piazza San Pietro su iniziativa della Consulta nazionale delle aggregazioni laicali (Cnal), organismo Cei che raggruppa oltre 70 sigle, dall´Azione cattolica italiana alle Acli, dall´Agesci alla Fuci, dalla Comunità di Sant´Egidio a Focolarini, Cl, Mcl. «Ci ritroveremo tutti, con le nostre bandiere e i nostri simboli, a piazza San Pietro, per pregare, per solidarizzare col Santo Padre e per esprimergli tutta la riconoscenza per la grande prova a cui, con dignità e mitezza, sta facendo fronte in questi ultimi tempi», preannuncia Salvatore Martinez, presidente di Rinnovamento dello Spirito, membro del Cnal e uno degli organizzatori dell´iniziativa varata ieri dopo una riunione della Consulta. «Sarebbe stato bello riunirci il 19 aprile, ma per motivi organizzativi abbiamo dovuto optare per domenica 16 maggio», spiega Martinez, il quale, però, assicura che «il giorno del quinto anniversario del pontificato, il Papa sarà ugualmente festeggiato nelle parrocchie e nelle diocesi con novene, rosari, veglie di preghiera». Farà altrettanto, da oggi fino al 19 aprile, anche la Fondazione dei Cavalieri di Colombo, organismo cattolico tra i più potenti degli Usa, che ha invitato i suoi membri presenti anche in Europa a «dare vita a speciali preghiere - si legge in una nota - per Benedetto XVI in questo momento per lui di considerevoli sfide».
La Chiesa, dunque, scende in campo per difendere il Papa, mentre in Vaticano la tensione è sempre alta. In particolare c´è la preoccupazione che, durante il viaggio a Malta di sabato e domenica prossimi, il Pontefice possa essere contestato da ex vittime di preti pedofili. Ieri nell´isola sono apparsi sui manifesti di benvenuto a Ratzinger ingiurie e baffetti alla Hitler, subito rimossi dalle autorità locali. Continuano, infine, le rivelazioni su nuovi casi di pedofilia. E non solo all´estero. Dall´Italia, Francesco Zanardi ha rivelato in una lettera al Papa di essere stato violentato da un insegnante di religione, prete della diocesi di Savona-Noli, «ma i tre vescovi a cui denunziai la violenza non hanno mai preso provvedimenti e non si sono mai rivolti alle autorità giudiziarie».