l’Unità 19.4.10
Scandalo pedofili. La Chiesa non va verso la verità
di Andrea Boraschi
Lo «scandalo pedofilia» costituisce la più profonda crisi pubblica vissuta dalla Chiesa cattolica dal dopoguerra a oggi. Il dato emblematico di quanto accade sta nel nugolo
di contraddizioni (di atteggiamenti, messaggi, argomenti) addensatosi attorno alla denuncia di vicende dolorosissime e ancora, in larga misura, da indagare e capire.
Mai come in queste settimane il Vaticano mostra l’ambiguità di chi, dinanzi alla propria colpa, chiede perdono mentre urla al complotto, inclina alla resipiscenza mentre rivendica l’infallibilità dei propri orientamenti e delle proprie condotte. Così che, a fronte della turpitudine degli abusi commessi, chi mai attendesse un moto di riscatto, un’ammissione dolente e severa delle responsabilità ecclesiastiche, deve guardarsi dall’accusa di essere parte di una congiura globale. A far da sponda a tanta schizofrenia, la pastorale di molti intellettuali «laici» che difendono a spada tratta il pontefice come colui che con più coraggio avrebbe denunciato le colpe della propria Chiesa e avviato un’opera di «pulizia» al suo interno e che, assolutizzando le accuse (quasi che chieder conto dell’avvenuto equivalesse a voler mettere al bando il cattolicesimo), relativizzano oltremisura la gravità dei fatti di cui si discute.
Ma lo sdegno che si abbatte oggi su una parte del clero e delle gerarchie cattoliche non ha virulenza giacobina; esso, piuttosto, reclama laicamente ragione di crimini taciuti, rimossi, con tutta probabilità perpetrati su larga scala. Quello sdegno attende che la Santa Sede mostri chiarissima volontà di espiazione e assoluta disponibilità a sottostare alle leggi degli stati dove si sarebbero compiuti i reati. Non è poco, certo: ma è anche il minimo cui si possa ambire.
Purtroppo, invece, ci si deve confrontare con faccende che inquinano ogni confronto: il paragone tra gli attacchi subiti dalla Chiesa e le persecuzioni antisemite è l’argomento più odioso emerso sin qui e testimonia quanto le gerarchie cattoliche siano lontane da una sincera presa di coscienza del proprio errore. Infine, si dovrebbe tenere a mente quanto scrive il teologo svizzero Hans Küng: «(...) il sistema mondiale di occultamento degli abusi sessuali del clero rispondeva alle disposizioni della Congregazione romana per la Dottrina della fede (guidata tra il 1981 e il 2005 dal cardinale Ratzinger), che fin dal pontificato di Giovanni Paolo II raccoglieva, nel più rigoroso segreto, la documentazione su questi casi. In data 18 maggio 2001 Joseph Ratzinger diramò a tutti i vescovi una lettera dai toni solenni sui delitti più gravi, imponendo nel caso di abusi il “secretum pontificium”, la cui violazione è punita dalla la Chiesa con severe sanzioni».
Scandalo pedofili. La Chiesa non va verso la verità
di Andrea Boraschi
Lo «scandalo pedofilia» costituisce la più profonda crisi pubblica vissuta dalla Chiesa cattolica dal dopoguerra a oggi. Il dato emblematico di quanto accade sta nel nugolo
di contraddizioni (di atteggiamenti, messaggi, argomenti) addensatosi attorno alla denuncia di vicende dolorosissime e ancora, in larga misura, da indagare e capire.
Mai come in queste settimane il Vaticano mostra l’ambiguità di chi, dinanzi alla propria colpa, chiede perdono mentre urla al complotto, inclina alla resipiscenza mentre rivendica l’infallibilità dei propri orientamenti e delle proprie condotte. Così che, a fronte della turpitudine degli abusi commessi, chi mai attendesse un moto di riscatto, un’ammissione dolente e severa delle responsabilità ecclesiastiche, deve guardarsi dall’accusa di essere parte di una congiura globale. A far da sponda a tanta schizofrenia, la pastorale di molti intellettuali «laici» che difendono a spada tratta il pontefice come colui che con più coraggio avrebbe denunciato le colpe della propria Chiesa e avviato un’opera di «pulizia» al suo interno e che, assolutizzando le accuse (quasi che chieder conto dell’avvenuto equivalesse a voler mettere al bando il cattolicesimo), relativizzano oltremisura la gravità dei fatti di cui si discute.
Ma lo sdegno che si abbatte oggi su una parte del clero e delle gerarchie cattoliche non ha virulenza giacobina; esso, piuttosto, reclama laicamente ragione di crimini taciuti, rimossi, con tutta probabilità perpetrati su larga scala. Quello sdegno attende che la Santa Sede mostri chiarissima volontà di espiazione e assoluta disponibilità a sottostare alle leggi degli stati dove si sarebbero compiuti i reati. Non è poco, certo: ma è anche il minimo cui si possa ambire.
Purtroppo, invece, ci si deve confrontare con faccende che inquinano ogni confronto: il paragone tra gli attacchi subiti dalla Chiesa e le persecuzioni antisemite è l’argomento più odioso emerso sin qui e testimonia quanto le gerarchie cattoliche siano lontane da una sincera presa di coscienza del proprio errore. Infine, si dovrebbe tenere a mente quanto scrive il teologo svizzero Hans Küng: «(...) il sistema mondiale di occultamento degli abusi sessuali del clero rispondeva alle disposizioni della Congregazione romana per la Dottrina della fede (guidata tra il 1981 e il 2005 dal cardinale Ratzinger), che fin dal pontificato di Giovanni Paolo II raccoglieva, nel più rigoroso segreto, la documentazione su questi casi. In data 18 maggio 2001 Joseph Ratzinger diramò a tutti i vescovi una lettera dai toni solenni sui delitti più gravi, imponendo nel caso di abusi il “secretum pontificium”, la cui violazione è punita dalla la Chiesa con severe sanzioni».