Ora basta con gli alberi di Natale
di Camillo Langone
È Natale e loro lo festeggiano col Mortale. Loro sarebbero i pagani, ampia categoria in cui inserisco i miei connazionali post-cristiani, pre-cristiani e semi-cristiani, e il Mortale è l'albero, l'abete con le palle colorate.
Apro il dizionario e leggo che «natale» significa «relativo alla nascita, al periodo in cui qualcuno è nato», poi però passeggio per le piazze e vedo conifere agonizzanti, con le radici mutilate che disperatamente cercano acqua e nutrimento nell'asfalto. Intendiamoci, non sono un ambientalista accanito. Un po' mi dispiace che un albero venga strappato alla montagna, ai picchi e agli scoiattoli, ma se la faccenda avesse un senso non sarei qui a protestare. Purtroppo invece ha un controsenso.
Il Natale si chiama così perché un 25 dicembre nacque il Bambin Gesù. In una terra, la Palestina, che è ricca di ulivi, fichi, cedri, cipressi, non certo di abeti. Perfino nelle più nordiche città italiane gli abeti sono il classico cavolo a merenda: l'habitat naturale dell'abete rosso, il preferito dai pagani italiani, inizia a ottocento metri di quota e quindi molto più in alto di Aosta, Belluno, Bolzano e Sondrio, figuriamoci di Roma e Milano.
Piantare un abete nel giardinetto in Liguria è come costringere una foca a vivere in una piscina della Brianza: magari sopravvive, ma che tristezza. Senza contare l'inquinamento visivo. Il paesaggio italiano originale ormai si può ammirare solo al Louvre, nei quadri antichi di Lorrain e Corot, che viaggiando nel Bel Paese dipinsero un'infinità di pini, pioppi, aceri, ontani, rovere e roverelle. Di abeti manco uno. E invece oggi ci sono quartieri residenziali padani e toscani che sembrano taighe scandinave, ci mancano solo le renne. Già immagino un'obiezione, avanzata da lettori residenti sopra la linea gotica: E la tradizione? E gli antenati celti? Ma quale tradizione e quali celti d'Egitto.
I sacerdoti celti, i druidi, avevano come albero sacro la quercia. E il primo abete estirpato con violenza per farne un moribondo portapalle non risale alla notte dei tempi bensì al 1840. Fu un'idea della principessa Elena di Meclemburgo per stupire la Corte di Parigi. La nobildonna in questione era una Lady D della sua epoca: ambiziosa, populista, aveva sposato il figlio del re di Francia sperando di diventare regina ma l'albero non le portò fortuna.
Insomma l'abete natalizio è una delle tante nocive mode parigine, come la ghigliottina, lo champagne, la torta Saint-Honoré, Carla Bruni. Gli italiani, primatisti mondiali di esterofilia, lo importarono nel corso del Novecento.
La vera esplosione dell'albero con le palle ci fu, guarda caso, negli anni in cui gli italiani le palle metaforicamente le persero, nei diabolici Settanta in cui la natalità scese per la prima volta nella storia sotto il livello di sostituzione (2,2 figli per donna). Un'implosione demografica che è alla base dell'odierna immigrazione biblica. Fu in quel clima di smobilitazione culturale che in tantissime case e piazze l'albero mise all'angolo il presepe, simbolo di un'Italia prolifica e cattolica che il nuovo corso abortista e neopagano voleva cancellare. Il Mortale, un povero tronco destinato a rinsecchirsi, schiacciò il vero Natale, il Bambino che ogni anno rinasce. Che sotto gli abeti cresca poco o niente lo sa qualunque appassionato di montagna: gli aghi caduti rendono il terreno acido e inospitale. Negli appartamenti è accaduto qualcosa di simile: le palle hanno prevalso sulle statuine, i regali sulle preghiere.
L'albero ha assecondato la scristianizzazione e poi l'ha favorita, mettendo in ombra il presepe che da quasi otto secoli (San Francesco lo inventò a Greccio nel 1223) funzionava da formidabile catechismo visivo: gli angeli evocanti l'esistenza di una sfera superiore; l'asino e il bue per dirci che la natura può diventare amica a patto però di addomesticarla; la Madonna dal cui sguardo si intuisce che tutto quello che conta è amare ed essere amati; i Re Magi testimonianti che il cristianesimo è patrimonio di tutti i popoli, degli europei di Gasparre così come degli africani di Baldassarre e degli asiatici di Melchiorre.
La conifera morente, già sponsorizzata dalla pubblicità, dal cinema, dai centri commerciali, dall'Ikea che essendo di tradizione svedese-luterana aborre il presepe e vende solo palle e «stelle trendy» da appendere ai rami, sembra fatta su misura per questo tempo di declino babilonico.
Ad esempio piace molto alle maestre nichiliste per le quali il piccolo Gesù nella mangiatoia potrebbe turbare l'armonico sviluppo dei bambini maomettani oppure odifreddiani.
Così quando vedo un abete in piazza mi viene lo sturbo e vorrei tagliarlo ma è solo un istante, subito mi ricordo che il poveretto è già tagliato quindi tiro dritto e vado a comprare un pastore e due pecorelle.
Il Giornale, 21 dicembre 2007
di Camillo Langone
È Natale e loro lo festeggiano col Mortale. Loro sarebbero i pagani, ampia categoria in cui inserisco i miei connazionali post-cristiani, pre-cristiani e semi-cristiani, e il Mortale è l'albero, l'abete con le palle colorate.
Apro il dizionario e leggo che «natale» significa «relativo alla nascita, al periodo in cui qualcuno è nato», poi però passeggio per le piazze e vedo conifere agonizzanti, con le radici mutilate che disperatamente cercano acqua e nutrimento nell'asfalto. Intendiamoci, non sono un ambientalista accanito. Un po' mi dispiace che un albero venga strappato alla montagna, ai picchi e agli scoiattoli, ma se la faccenda avesse un senso non sarei qui a protestare. Purtroppo invece ha un controsenso.
Il Natale si chiama così perché un 25 dicembre nacque il Bambin Gesù. In una terra, la Palestina, che è ricca di ulivi, fichi, cedri, cipressi, non certo di abeti. Perfino nelle più nordiche città italiane gli abeti sono il classico cavolo a merenda: l'habitat naturale dell'abete rosso, il preferito dai pagani italiani, inizia a ottocento metri di quota e quindi molto più in alto di Aosta, Belluno, Bolzano e Sondrio, figuriamoci di Roma e Milano.
Piantare un abete nel giardinetto in Liguria è come costringere una foca a vivere in una piscina della Brianza: magari sopravvive, ma che tristezza. Senza contare l'inquinamento visivo. Il paesaggio italiano originale ormai si può ammirare solo al Louvre, nei quadri antichi di Lorrain e Corot, che viaggiando nel Bel Paese dipinsero un'infinità di pini, pioppi, aceri, ontani, rovere e roverelle. Di abeti manco uno. E invece oggi ci sono quartieri residenziali padani e toscani che sembrano taighe scandinave, ci mancano solo le renne. Già immagino un'obiezione, avanzata da lettori residenti sopra la linea gotica: E la tradizione? E gli antenati celti? Ma quale tradizione e quali celti d'Egitto.
I sacerdoti celti, i druidi, avevano come albero sacro la quercia. E il primo abete estirpato con violenza per farne un moribondo portapalle non risale alla notte dei tempi bensì al 1840. Fu un'idea della principessa Elena di Meclemburgo per stupire la Corte di Parigi. La nobildonna in questione era una Lady D della sua epoca: ambiziosa, populista, aveva sposato il figlio del re di Francia sperando di diventare regina ma l'albero non le portò fortuna.
Insomma l'abete natalizio è una delle tante nocive mode parigine, come la ghigliottina, lo champagne, la torta Saint-Honoré, Carla Bruni. Gli italiani, primatisti mondiali di esterofilia, lo importarono nel corso del Novecento.
La vera esplosione dell'albero con le palle ci fu, guarda caso, negli anni in cui gli italiani le palle metaforicamente le persero, nei diabolici Settanta in cui la natalità scese per la prima volta nella storia sotto il livello di sostituzione (2,2 figli per donna). Un'implosione demografica che è alla base dell'odierna immigrazione biblica. Fu in quel clima di smobilitazione culturale che in tantissime case e piazze l'albero mise all'angolo il presepe, simbolo di un'Italia prolifica e cattolica che il nuovo corso abortista e neopagano voleva cancellare. Il Mortale, un povero tronco destinato a rinsecchirsi, schiacciò il vero Natale, il Bambino che ogni anno rinasce. Che sotto gli abeti cresca poco o niente lo sa qualunque appassionato di montagna: gli aghi caduti rendono il terreno acido e inospitale. Negli appartamenti è accaduto qualcosa di simile: le palle hanno prevalso sulle statuine, i regali sulle preghiere.
L'albero ha assecondato la scristianizzazione e poi l'ha favorita, mettendo in ombra il presepe che da quasi otto secoli (San Francesco lo inventò a Greccio nel 1223) funzionava da formidabile catechismo visivo: gli angeli evocanti l'esistenza di una sfera superiore; l'asino e il bue per dirci che la natura può diventare amica a patto però di addomesticarla; la Madonna dal cui sguardo si intuisce che tutto quello che conta è amare ed essere amati; i Re Magi testimonianti che il cristianesimo è patrimonio di tutti i popoli, degli europei di Gasparre così come degli africani di Baldassarre e degli asiatici di Melchiorre.
La conifera morente, già sponsorizzata dalla pubblicità, dal cinema, dai centri commerciali, dall'Ikea che essendo di tradizione svedese-luterana aborre il presepe e vende solo palle e «stelle trendy» da appendere ai rami, sembra fatta su misura per questo tempo di declino babilonico.
Ad esempio piace molto alle maestre nichiliste per le quali il piccolo Gesù nella mangiatoia potrebbe turbare l'armonico sviluppo dei bambini maomettani oppure odifreddiani.
Così quando vedo un abete in piazza mi viene lo sturbo e vorrei tagliarlo ma è solo un istante, subito mi ricordo che il poveretto è già tagliato quindi tiro dritto e vado a comprare un pastore e due pecorelle.
Il Giornale, 21 dicembre 2007