Eutanasia in Spagna, la Chiesa insorge
La Repubblica del 16 marzo 2007, pag. 39
di Alessandro Oppes
Si è spenta «senza soffrire», come sperava e come aveva chiesto lanciando un appello drammatico e sereno allo stesso tempo. Ma sulla morte di Inmaculada Echevarria, la donna di Granada affetta da una distrofia muscolare progressiva incurabile, si è già scatenata la polemica.
La giunta regionale andalusa, che due settimane fa autorizzò i medici a interrompere la ventilazione automatica che da dieci anni manteneva in vita la paziente, difende la decisione spiegando che si è trattato di una «limitazione dello sforzo terapeutico» dovuta a un legittimo «rifiuto di trattamento medico» della donna.
Una posizione difesa anche dal governo Zapatero, attraverso il ministro della Sanità Elena Salgado, ma contrastata dal presidente dell'Associazione spagnola di Bioetica, Manuel de Santiago, per il quale il caso Echevarria potrebbe spianare la strada a una legge sull'eutanasia.
Stessa preoccupazione nelle parole dei rappresentanti della Chiesa cattolica, con il vice-presidente della Conferenza episcopale, cardinale Antonio Caizares, che parla di «attentato contro la dignità e la vita umana», mentre l'arcivescovo di Siviglia Carlos Amigo dice di essere «apertamente contrario a ogni tipo di pena di morte, tanto la legale come quella auto — amministrata».
Le ultime ore di vita di Inmaculada sono state segnate proprio da un diktat arrivato direttamente dal Vaticano, secondo quanto ha rivelato il presidente andaluso Manuel Chaves: non potendo far nulla per impedire che venisse staccata la spina del respiratore, la Santa Sede ha comunque impedito che l'operazione fosse realizzata nella clinica privata «San Rafael», dove la donna era ricoverata da dieci anni, e che è gestita da una congregazione religiosa.
Per questo il trasferimento, mercoledì pomeriggio, di Echevarria in un altro ospedale di Granada, era il segnale che la fine era ormai vicina: appena poche ore dopo, alle nove di sera, l'assessorato provinciale alla sanità annunciava che Inmaculada si era spenta pochi minuti dopo che i medici dell'ospedale «San Juan de Dios» avevano staccato il collegamento con il respiratore automatico. Inmaculada Echevarria, nata 51 anni fa in Navarra, era appena undicenne quando cominciò a soffrire di una malattia che la portò a perdere la mobilità di quasi tutto il corpo intorno ai 30 anni. Negli ultimi dieci è stata immobilizzata a un letto d'ospedale e poteva muovere solo le dita delle mani e dei piedi.
Quattro mesi fa scrisse una lettera ai medici che la curavano e all'assessorato alla sanità andaluso per chiedere l'interruzione della ventilazione automatica.
La risposta degli organismi regionali è stata rapida: dopo il «sì» del comitato autonomo di etica, per il quale il rifiuto del trattamento medico invocato dalla donna è un diritto riconosciuto dalla legge spagnola sulla «autonomia del paziente», due settimane fa arrivò l'approvazione definitiva del consiglio consultivo, l'organo di consulenza legale della giunta di Siviglia.
La Repubblica del 16 marzo 2007, pag. 39
di Alessandro Oppes
Si è spenta «senza soffrire», come sperava e come aveva chiesto lanciando un appello drammatico e sereno allo stesso tempo. Ma sulla morte di Inmaculada Echevarria, la donna di Granada affetta da una distrofia muscolare progressiva incurabile, si è già scatenata la polemica.
La giunta regionale andalusa, che due settimane fa autorizzò i medici a interrompere la ventilazione automatica che da dieci anni manteneva in vita la paziente, difende la decisione spiegando che si è trattato di una «limitazione dello sforzo terapeutico» dovuta a un legittimo «rifiuto di trattamento medico» della donna.
Una posizione difesa anche dal governo Zapatero, attraverso il ministro della Sanità Elena Salgado, ma contrastata dal presidente dell'Associazione spagnola di Bioetica, Manuel de Santiago, per il quale il caso Echevarria potrebbe spianare la strada a una legge sull'eutanasia.
Stessa preoccupazione nelle parole dei rappresentanti della Chiesa cattolica, con il vice-presidente della Conferenza episcopale, cardinale Antonio Caizares, che parla di «attentato contro la dignità e la vita umana», mentre l'arcivescovo di Siviglia Carlos Amigo dice di essere «apertamente contrario a ogni tipo di pena di morte, tanto la legale come quella auto — amministrata».
Le ultime ore di vita di Inmaculada sono state segnate proprio da un diktat arrivato direttamente dal Vaticano, secondo quanto ha rivelato il presidente andaluso Manuel Chaves: non potendo far nulla per impedire che venisse staccata la spina del respiratore, la Santa Sede ha comunque impedito che l'operazione fosse realizzata nella clinica privata «San Rafael», dove la donna era ricoverata da dieci anni, e che è gestita da una congregazione religiosa.
Per questo il trasferimento, mercoledì pomeriggio, di Echevarria in un altro ospedale di Granada, era il segnale che la fine era ormai vicina: appena poche ore dopo, alle nove di sera, l'assessorato provinciale alla sanità annunciava che Inmaculada si era spenta pochi minuti dopo che i medici dell'ospedale «San Juan de Dios» avevano staccato il collegamento con il respiratore automatico. Inmaculada Echevarria, nata 51 anni fa in Navarra, era appena undicenne quando cominciò a soffrire di una malattia che la portò a perdere la mobilità di quasi tutto il corpo intorno ai 30 anni. Negli ultimi dieci è stata immobilizzata a un letto d'ospedale e poteva muovere solo le dita delle mani e dei piedi.
Quattro mesi fa scrisse una lettera ai medici che la curavano e all'assessorato alla sanità andaluso per chiedere l'interruzione della ventilazione automatica.
La risposta degli organismi regionali è stata rapida: dopo il «sì» del comitato autonomo di etica, per il quale il rifiuto del trattamento medico invocato dalla donna è un diritto riconosciuto dalla legge spagnola sulla «autonomia del paziente», due settimane fa arrivò l'approvazione definitiva del consiglio consultivo, l'organo di consulenza legale della giunta di Siviglia.