l’Unità 31.8.09
Aborto. Altro che moratoria, in gioco sono i diritti
di Carlo Flamigni
L’aula della Camera ha approvato una mozione che impegna il Governo a farsi promotore presso le Nazioni Unite di una risoluzione che condanni l’uso dell’aborto come strumento demografico e come strumento di una «nuova eugenetica», promuovendo una «moratoria». Il buon senso mi impone di considerare questa richiesta come un ennesimo tentativo, tortuoso e ingenuo, di rinnovare l’ormai stanco assalto alla legge 194, quella che in Italia regolamenta le interruzioni volontarie della gravidanza.
In verità, i primi a criticare questa nuova forma di provocazione sono stati alcuni riflessivi cattolici italiani: «Il voto del Parlamento non scalfisce nemmeno il bunker di idee sbagliate intorno all’aborto, anzi le accetta e le assume come piattaforma comune di dialogo e di confronto... questo voto può trasformarsi addirittura in un colossale autogol... [in quanto dà per scontata] l’idea che il diritto di aborto sia indiscutibile, e che si possa soltanto garantire la “libertà della donna di non abortire”» (Verità e Vita, comunicato 76).
Questa mozione dimostra comunque alcune cose, che elenco: 1) i parlamentari italiani (ne sutor supra crepidam!) sanno poco di queste cose: il vero dramma di molti Paesi che non fanno parte delle nazioni canaglia, quelle che hanno approvato leggi sull’aborto volontario, è il cosiddetto «controllo mestruale», che sfugge a ogni regola e a ogni norma; in altri comincia a prevalere l’uso di farmaci (che, al contrario di quanto accadrà con la pillola abortiva, si trovano già in farmacia anche in Italia); 2) nel nostro Paese l’interruzione della gravidanza non viene utilizzata come metodologia contraccettiva dalla stragrande maggioranza della donne (gli aborti ripetuti sono il 38% per le donne straniere e il 21% per le italiane, uno dei dati più bassi del mondo); 3) sempre nel nostro Paese la maggior parte delle donne pensa all’interruzione di gravidanza come a una scelta difficile, nella quale occorre cimentare la propria coscienza, ma anche come a un diritto; sempre da noi, l’idea di eugenetica che la gente si è fatta non ha niente a che fare con il desiderio di avere figli sani e normali.
Chiunque voglia parlare ancora di «moratoria» dovrà prima ragionare su altre, essenziali «interruzioni a tempo indeterminato»: dovrà chiedere una moratoria sulla violenza sulle donne, sulla ingiustizia sociale, sulla mancanza di cultura e di educazione sessuale, sulla protervia di tanti maschi, sulla discriminazione. L’elenco è molto lungo, lo dovrete completare voi.
Buon lavoro.
Aborto. Altro che moratoria, in gioco sono i diritti
di Carlo Flamigni
L’aula della Camera ha approvato una mozione che impegna il Governo a farsi promotore presso le Nazioni Unite di una risoluzione che condanni l’uso dell’aborto come strumento demografico e come strumento di una «nuova eugenetica», promuovendo una «moratoria». Il buon senso mi impone di considerare questa richiesta come un ennesimo tentativo, tortuoso e ingenuo, di rinnovare l’ormai stanco assalto alla legge 194, quella che in Italia regolamenta le interruzioni volontarie della gravidanza.
In verità, i primi a criticare questa nuova forma di provocazione sono stati alcuni riflessivi cattolici italiani: «Il voto del Parlamento non scalfisce nemmeno il bunker di idee sbagliate intorno all’aborto, anzi le accetta e le assume come piattaforma comune di dialogo e di confronto... questo voto può trasformarsi addirittura in un colossale autogol... [in quanto dà per scontata] l’idea che il diritto di aborto sia indiscutibile, e che si possa soltanto garantire la “libertà della donna di non abortire”» (Verità e Vita, comunicato 76).
Questa mozione dimostra comunque alcune cose, che elenco: 1) i parlamentari italiani (ne sutor supra crepidam!) sanno poco di queste cose: il vero dramma di molti Paesi che non fanno parte delle nazioni canaglia, quelle che hanno approvato leggi sull’aborto volontario, è il cosiddetto «controllo mestruale», che sfugge a ogni regola e a ogni norma; in altri comincia a prevalere l’uso di farmaci (che, al contrario di quanto accadrà con la pillola abortiva, si trovano già in farmacia anche in Italia); 2) nel nostro Paese l’interruzione della gravidanza non viene utilizzata come metodologia contraccettiva dalla stragrande maggioranza della donne (gli aborti ripetuti sono il 38% per le donne straniere e il 21% per le italiane, uno dei dati più bassi del mondo); 3) sempre nel nostro Paese la maggior parte delle donne pensa all’interruzione di gravidanza come a una scelta difficile, nella quale occorre cimentare la propria coscienza, ma anche come a un diritto; sempre da noi, l’idea di eugenetica che la gente si è fatta non ha niente a che fare con il desiderio di avere figli sani e normali.
Chiunque voglia parlare ancora di «moratoria» dovrà prima ragionare su altre, essenziali «interruzioni a tempo indeterminato»: dovrà chiedere una moratoria sulla violenza sulle donne, sulla ingiustizia sociale, sulla mancanza di cultura e di educazione sessuale, sulla protervia di tanti maschi, sulla discriminazione. L’elenco è molto lungo, lo dovrete completare voi.
Buon lavoro.