mercoledì 16 giugno 2010

Una pillola chiamata boicottaggio. Così la Regione Lazio ostacola la Ru 486

l’Unità 16.6.10
Una pillola chiamata boicottaggio. Così la Regione Lazio ostacola la Ru 486
di Giulia Rodano

Nell’Anno Primo dell’era Polverini è capitato a Roma che una donna, madre di tre figli, nati tutti con parto cesareo, vagasse di ospedale in ospedale alla ricerca della pillola RU 486, per interrompere una quarta gravidanza. Finalmente ha trovato nell’ospedale Grassi di Ostia l’assistenza cui aveva diritto. A questo punto si è scatenata l’ira della presidente della Regione, la quale non solo ha bacchettato duramente i medici dell’ospedale, ma ha immediatamente riunito la giunta, nota finora per la sua scarsissima attività, per varare delle sedicenti linee guida per confermare il ricovero obbligatorio di tre giorni, ma soprattutto per bloccare la possibilità di usare la pillola RU 486 negli ospedali del Lazio, in attesa della individuazione di fantomatiche strutture più idonee a praticare l’aborto farmacologico.
Siamo di fronte a un vero e proprio boicottaggio della pillola RU 486 e della legge 194. L’argomento della ricerca delle strutture idonee è ridicolo. Nel Lazio, che applica la legge 194 da 40 anni, è difficile pensare che non esistano strutture in grado di eseguire e assistere un aborto farmacologico. Siamo di fronte alla violazione della legge 194, che assegna alle Regioni l’aggiornamento «sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione di gravidanza».
La Polverini non solo rende più difficile l’applicazione di una specifica tecnica di interruzione della gravidanza, rendendo obbligatorio il ricovero, ma addirittura la blocca, per un periodo imprecisato. E ci si risparmi la favoletta della preoccupazione per la sicurezza delle donne. C’è un diluvio di letteratura scientifica che dimostra l’elevato tasso di sicurezza della RU 486.
Siamo di fronte a un vero accanimento ideologico di una donna contro altre donne e di uso propagandistico della sofferenza delle donne. Che questo sia vero, è testimoniato dagli atti compiuti dalla Polverini come commissario di governo per la Sanità. Nei decreti appena firmati si tagliano migliaia di posti letto perché sarebbe opportuno, quando le conoscenze scientifiche e l’esperienza sanitaria lo consentono, passare dal ricovero ordinario al day hospital e da questo all’assistenza ambulatoriale e domiciliare.
L’aborto chirurgico si fa ordinariamente in day hospital, nel caso dell’aborto farmacologico, per la Polverini, sono necessari tre giorni ricovero. Ma la Polverini ha voluto fare di più. Nel Piemonte di Cota, sia pure con il ricovero di tre giorni, che le donne possono rifiutare, l’aborto farmacologico si pratica. Nel Lazio non si può fare neppure questo. Siamo all’interruzione del pubblico servizio. Per una Presidente donna, niente male.