martedì 22 gennaio 2008

Benedetto XVI e la laicità del bene pubblico

Benedetto XVI e la laicità del bene pubblico
di Marino Badiale* - 21/01/2008

dal sito: www.Ariannaeditrice.it

Mentre inizia a calare l’attenzione dei media, con il suo effetto di confusione distraente, può essere utile tentare una riflessione razionale sull’invito rivolto a Benedetto XVI a tenere un discorso all’inaugurazione dell’anno accademico alla Sapienza, e sulla vicenda che ne è seguita, che suppongo nota a tutti.

La questione, di per sé, sembrerebbe abbastanza semplice. L’inaugurazione dell’anno accademico non è un pubblico dibattito nel quale si ascoltano diverse opinioni e le si dibatte. E’ un momento in cui vengono chiamate a parlare, senza possibilità di replica, alcune voci particolari, interne ed esterne all’Università. Quali sono le voci esterne all’Università che ha senso ascoltare? Poiché la realtà sociale moderna è formata da infiniti gruppi in competizione fra di loro per i loro interessi particolari, mentre le istituzioni dello Stato dovrebbero rappresentare il momento dell’interesse generale, del bene comune, è chiaro che l’intervento autorevole, senza possibilità di replica, non può essere quello di chi rappresenta uno degli infiniti gruppi della “società civile”, italiana o mondiale, ma può essere solo quello di rappresentanti di altre istituzioni statali la cui sfera di azione si sovrappone in qualche modo con quella dell’Università. C’è un motivo prettamente logico per escludere il primo tipo di intervento: non esiste un criterio razionale di scelta. Perché il Papa e non, diciamo, l’ambasciatore cinese, che rappresenta un quarto o un quinto dell’umanità? Perché il Papa e non il Dalai Lama? Perché il Papa e non Bush o Putin, che rappresentano forze, anche spirituali, molto importanti al giorno d’oggi?

Al contrario, la scelta di rappresentanti di altre istituzioni dello Stato ha un significato molto ovvio: conoscere opinioni e progetti dei rappresentanti di altre istituzioni statali che, sovrapponendosi la loro azione con quella dell’Università, devono necessariamente coordinarsi con essa per l’espletamento delle loro funzioni, in ogni caso indirizzate alla tutela dell’interesse collettivo, del bene comune.

Se tutto questo è corretto, ne discende il carattere improprio dell’invito rivolto a Benedetto XVI e la correttezza della protesta sollevata da parte del corpo docente.

Non ci sarebbe molto altro da dire, se non fosse che l’immane tempesta di chiacchiere suscitata sui media ha creato una tale confusione da rendere necessaria qualche ulteriore precisazione. Una volta detto cosa secondo noi è rilevante nella vicenda, occorre anche indicare tutte le cose che non c’entrano nulla con l’essenza della questione.

Non c’entra nulla Galileo o il carattere dogmatico della teologia cattolica: abbiamo detto sopra che il problema è “perché il Papa e non chiunque altro?”. Lo stesso problema si sarebbe posto scegliendo “chiunque altro”, anche il rappresentante della religione o dell’ideologia più antidogmatica possibile. Il problema si sarebbe posto anche invitando il Dalai Lama, che, nel bene o nel male, non ha nulla a che fare con Galileo.

Non c’entra nulla la contrapposizione laici-credenti, né c’entra la laicità dell’Università. La contrapposizone fede-laicità quasi sempre, e sicuramente in questo caso, non fa che oscurare la natura dei problemi, e proprio per questo è prediletta dai media.

Non c’entra nulla il fatto che il professor Joseph Ratzinger sia oppure no un valido teologo e filosofo. Non è stato invitato per questo motivo. Anche qui, il problema rimane “perché lui e non uno dei tanti altri validi teologi e filosofi sparsi per l’universo?”.

Non c’entra nulla la libertà di parola del Papa. Quando dei baldi giovanotti di fanno riprendere imbavagliati per protestare contro la mancanza di libertà di parola del Papa, quando si taccia di intolleranza chi ha protestato contro l’invito al Papa, si cade nel ridicolo. Come ho detto sopra, l’inaugurazione dell’anno accademico non è un pubblico dibattito, nel quale chi ha il privilegio di avere la parola lo paga, secondo le regole della democrazia, con il dovere di rispondere alle domande e alle critiche del pubblico. L’inaugurazione dell’anno accademico è un momento autoritario e non democratico, nel quale chi ascolta non ha il diritto di replicare. Proprio per questo, per recuperare un minimo di democrazia, chi dovrà ascoltare senza replicare ha il diritto di dire prima se desidera ascoltare quel particolare intervento oppure no. E proprio per questo non ha senso invitare rappresentanti di interessi particolari (quale è il Papa, che rappresenta quel particolare che sono i cattolici) ma, per evitare ogni tipo di polemica, occorre far parlare i rappresentanti di istituzioni dello Stato democratico, che in quanto tali rappresentano non interessi particolari ma il bene comune.

Si rifletta poi sul fatto che tutti i giornali hanno pubblicato il discorso che il Papa avrebbe tenuto alla Sapienza, che da sempre in questo paese tutti i media “coprono” in ogni modo l’attività dei pontefici, che quasi tutti i media hanno in questa occasione solidarizzato col Papa e criticato i docenti che hanno protestato: di fronte a evidenze del genere, per mettersi a discutere della libertà di parola del Papa occorre davvero molta malafede.

E si rifletta sul fatto che, nei giorni più caldi delle polemiche, quando tutti i giornali dedicavano le prime (e le seconde e terze) pagine a queste polemiche, incursioni israeliane nella striscia di Gaza hanno ucciso una ventina di palestinesi: questa notizia è stata relegata in brevi trafiletti nelle pagine interne, mentre molti deputati di Hamas, liberamente eletti dal popolo palestinese, sono sequestrati nelle carceri israeliane, e nessun rappresentante di Hamas ha il diritto di venire in Europa a esporre le proprie ragioni: a chi è davvero negata la libertà di parola, in questo mondo?



Una volta chiarito ciò che il problema è, e ciò che non è, resta da trarre qualche conclusione non troppo allegra su ciò che la vicenda dice del nostro paese. Infatti, al di là della retorica di circostanza, qual è il motivo vero dell’invito al Papa, come pure, in generale, dell’ossequio davvero eccessivo che il mondo politico-mediatico italiano rende alla gerarchia cattolica, e che tanto fastidio genera nei laici? Il motivo vero è che la Chiesa cattolica (lo strato superiore della sua gerarchia, per la precisione) è un potere, in Italia anche piuttosto importante, e che politici e giornalisti in Italia sanno solo essere servi del potere, di qualsiasi potere. La vicenda della Sapienza ci dice che anche il mondo accademico, o almeno sue parti importanti, sta cominciando a pensare che sia bene rendere un appariscente omaggio a questo particolare potere. Non è un bel segnale. E non tanto per la Chiesa cattolica, in se stessa considerata. A differenza di tanti amici e conoscenti più o meno anticlericali, non penso che la Chiesa rappresenti oggi il problema principale: non certo per il mondo, ma neppure per l’Italia. C’è davvero di peggio, in giro per il mondo, e lo sanno bene a Gaza e a Bagdad, ma lo sanno anche i comitati No TAV e No Dal Molin, o i cittadini campani avvelenati dalle discariche abusive della camorra. No, non è la Chiesa il problema. Il problema è che i rappresentanti delle istituzioni dello Stato democratico, in quanto tali, devono tutelare l’interesse generale, e quindi essere indipendenti da ogni potere particolare, e soprattutto dai poteri più forti: proprio perché questi sono i più forti, hanno più capacità di piegare la realtà nella direzione del proprio interesse particolare, e quindi proprio loro dovrà in particolare contrastare chi tutela l’interesse generale. Ma se i rappresentanti dell’interesse generale sono così pronti a piegare la schiena di fronte a quel potere particolare, neppure il più forte o il più pericoloso al giorno d’oggi, che è rappresentato dalla gerarchia cattolica, come possiamo sperare che la raddrizzino di fronte ai tanti altri poteri, più forti e più spietati, che stanno lentamente distruggendo questo paese?

*Università di Torino