il Riformista 28.1.08
Università. Hanno perso ancora i movimenti degli studenti
Quer pasticciaccio brutto dell'Università "La Sapienza"
Un acume tattico degno del miglior Napoleone
di Matteo Marchetti, 20 anni, Roma
In una fosca mattinata di inizio anno, l'Italia si è dovuta di colpo fermare a riflettere su se stessa, sull'essenza dello Stato moderno, sul ruolo che un'istituzione religiosa ha all'interno del Paese e su quello che invece dovrebbe avere. Tutto questo per colpa di una busta da lettere e del suo contenuto?
Andiamo con ordine. Prima di affrontare un discorso lungo e probabilmente contorto, infatti, è buona norma ricordare i fatti al lettore. Dunque, in data 17 gennaio orde di perfidi cosacchi capelloni - e, giura qualcuno, anche omosessuali - che abbeveravano i propri cavalli nella fontana di fronte al Rettorato (probabilmente in attesa di arrivare a San Pietro), animati da ottuso integralismo laico, hanno dato vita a gravi tumulti, impedendo al Santo Padre di dare la propria benedizione al nascituro anno accademico.
In loro aiuto sono giunti alcuni squallidi figuri, sedicenti "professori", che hanno scritto una lettera all'illuminato Rettore motivando la loro adesione alla protesta con alcune affermazioni sul processo a Galileo Galilei - ovviamente travisate ed estrapolate dal contesto - pronunciate da Benedetto XVI quando ancora era un 'semplice' porporato, il tutto prima di andare a profanare qualche chiesa sostituendo un volume dell'Enciclopedia Treccani al Messale Romano. Questo, almeno, è quello che ho capito io dalle ricostruzioni di stampa e tv.
Negli scorsi giorni abbiamo assistito a un'impressionante dimostrazione di disciplina: molto meglio di un plotone di guardie svizzere, la politica, la stampa e buona parte dell'opinione pubblica hanno fatto quadrato intorno alla Chiesa cattolica, una delle istituzioni più ingombranti del pianeta, da sempre abituata a deporre o incoronare monarchi, a impartire lezioni di moralità alle assemblee parlamentari, a suggerire scelte agli elettori ("Nella cabina elettorale Dio ti vede, ma Stalin no", si leggeva sui muri in quel fatidico 1948), a dettare - specialmente in Italia - le priorità dell'agenda politica. Anni fa la si era data prematuramente in via di estinzione: stava perdendo radicamento e consensi e con essi potere, o questo almeno suggerivano alcune sconfitte patite dal Vaticano, partendo dal XX settembre fino ad arrivare a quella dei referendum civili negli anni Settanta, passando per la crisi delle vocazioni e la liberalizzazione dei costumi.
La società italiana, si disse allora, si è secolarizzata, affrancando le proprie convinzioni civili dall'egemonia clericale. A smentire quelle analisi ci pensarono successivamente le adunate oceaniche ai piedi di Giovanni Paolo II, la batosta sulla fecondazione assistita e la cocente umiliazione patita nel derby delle manifestazioni lo scorso 12 maggio, con piazza San Giovanni gremita da centinaia di migliaia di persone e piazza Navona mezza vuota.
Tanto martellante è stata la propaganda vaticana sulla 'famiglia' e su come i comunisti l'avrebbero distrutta diffondendo libertinaggio e promiscuità che il governo di centro-sinistra ha dedicato uno dei suoi tanti ministeri proprio all'istituto familiare, mentre qualsiasi velleità di unioni civili o addirittura - orrore! - omosessuali scivolava malinconicamente nel dimenticatoio grazie al fuoco incrociato dei 'cattolici di entrambi gli schieramenti', santi tiratori infiammati a turno da Benedetto XVI, Bagnasco, Mastella e Casini. Nonostante il passare degli anni, l'Italia è insomma rimasto il Paese in cui 'Centro' non è una necessità ma uno stile di vita, dove autorità morali e politiche si rispettano poco ma poi guai a chi osa toccare il Santo Padre, dove con Dante il cristianesimo arriva a penetrare anche nelle origini della nostra stessa lingua.
Proprio in virtù di questo, molti commentatori e - stando a quanto visto in piazza San Pietro la scorsa domenica - circa duecentomila persone rivendicavano per Ratzinger il diritto sacrosanto di tenere il proprio discorso durante l'inaugurazione dell'anno accademico; questo diritto sarebbe stato violato. La vicenda è ancora avvolta in una foschia che ne rende i contorni indefiniti, facendola discendere ora dall'anticlericalismo radicale e un attimo dopo da uno dei soliti pasticci all'italiana, da un banale errore di comunicazione. Poco importa: dal proprio balcone - quello sì garantito sempre e comunque - il Papa deve aver sfoderato uno dei suoi proverbiali, dolci sorrisi, guardando di fronte a sé una folla immensa che ne piangeva le sorti e contando le decine di telecamere accorse ancora più numerose del solito.
A rendere più sublime la giornata, il fatto che lui non avesse dovuto fare altro che stare zitto. Già, perché, se andiamo a vedere, il ruolo di Sua Santità Papa Benedetto Decimosesto nella vicenda è stato nullo. "Laicità significa garantire diritto di parola a chiunque!", "Questo è integralismo!", "Nelle università serie lasciano parlare perfino Ahmadinejad!". Urla, urla, urla. La macchina della propaganda - termine non a caso coniato proprio dalla Chiesa - si è messa in moto da subito, oberando di lavoro le agenzie. Prima, per qualche giorno, si è tenuta l'Italia sulle spine, tentennando senza decidere definitivamente; poi, l'annuncio choc, il gran rifiuto; infine, gli appelli a tutti gli uomini di buona volontà affinché durante l'Angelus del 20 recassero il proprio omaggio al Pontefice imbavagliato, il tutto senza tenere conto di alcune incongruenze - nessuno ha 'impedito' il discorso, né tanto meno un testo letto da un podio/pulpito può essere paragonato ad un dibattito scientifico; ridicolo, poi, considerare oggi Joseph Ratzinger un professore - ma tant'è.
Se si considera poi che il discorso (riveduto e corretto?) è stato comunque letto, la faccenda si è conclusa con un successo senza precedenti dai tempi dell'Editto di Tessalonica; ancora una volta, qualora ce ne fosse stato bisogno, si è dimostrato che ad oggi l'unico attore sociale in grado di esercitare un controllo sulle masse è la Santa Romana Chiesa. Una vittoria totale e senza possibilità di rivincita: quello che giorni fa la Repubblica ha definito il 'cortocircuito della Sapienza' si è rivelato un trionfo assoluto delle gerarchie ecclesiastiche.
Stavolta, però, il carro del trionfo è biposto: l'altro passeggero è un personaggio riservato, rimasto in disparte quanto gli è stato possibile, ma è comunque da inserire tra coloro che hanno tratto enorme vantaggio dalla vicenda. Sto parlando, ovviamente, del Rettore Guarini, che in molti hanno accusato di superficialità; a mio modesto avviso, invece, il nostro Magnifico ha dimostrato un acume tattico degno del miglior Napoleone: mal sopportato da buona parte dell'Ateneo, inquisito e, per giunta, in scadenza di mandato, intravedeva nell'inaugurazione un assist formidabile per avversari e contestatori, con gli studenti di ambo gli schieramenti pronti a chiedere il conto ad una guida mai amata. Con uno stratagemma da disinformatija brezneviana, Guarini è riuscito a sfruttare tutte le parti in causa per uscire, ancora una volta, dalla porta di servizio. Applausi.
Per ogni vincitore, però, c'è uno sconfitto. Hanno perso i movimenti degli studenti, da troppi anni abbandonati all'autorganizzazione e incapaci di intravedere nei manifesti contro Ratzinger un regalo colossale a chi li vede come contestatori professionisti, come dei piccoli ducetti mascherati da trasgressivi ignari delle regole della convivenza democratica, o magari come dei depravati. Gli studenti della Sapienza sono stati tra i primi a sapere della visita, alcune voci circolavano già dalla fine di dicembre; in così tanto tempo non si è stati in grado di individuare una strategia efficace, né di sottoporla agli altri studenti. I papisti e i cardinali non ringrazieranno mai abbastanza per una 'frocessione' che per loro - indipendentemente dal suo significato reale - è solo una pittoresca manifestazione di ignoranza.
Soprattutto, però, sono state sconfitte quelle idee che all'inizio ho citato di sfuggita: laicità, libertà di ricerca, università, istruzione pubblica, Stato. Lo Stato - rappresentato dal ministro Mussi e dal sindaco-tuttofare Veltroni - ha ciecamente solidarizzato, non si sa su cosa. Io, invece, chiudo, per non mescolare certe cose con questo squallido teatrino.
Università. Hanno perso ancora i movimenti degli studenti
Quer pasticciaccio brutto dell'Università "La Sapienza"
Un acume tattico degno del miglior Napoleone
di Matteo Marchetti, 20 anni, Roma
In una fosca mattinata di inizio anno, l'Italia si è dovuta di colpo fermare a riflettere su se stessa, sull'essenza dello Stato moderno, sul ruolo che un'istituzione religiosa ha all'interno del Paese e su quello che invece dovrebbe avere. Tutto questo per colpa di una busta da lettere e del suo contenuto?
Andiamo con ordine. Prima di affrontare un discorso lungo e probabilmente contorto, infatti, è buona norma ricordare i fatti al lettore. Dunque, in data 17 gennaio orde di perfidi cosacchi capelloni - e, giura qualcuno, anche omosessuali - che abbeveravano i propri cavalli nella fontana di fronte al Rettorato (probabilmente in attesa di arrivare a San Pietro), animati da ottuso integralismo laico, hanno dato vita a gravi tumulti, impedendo al Santo Padre di dare la propria benedizione al nascituro anno accademico.
In loro aiuto sono giunti alcuni squallidi figuri, sedicenti "professori", che hanno scritto una lettera all'illuminato Rettore motivando la loro adesione alla protesta con alcune affermazioni sul processo a Galileo Galilei - ovviamente travisate ed estrapolate dal contesto - pronunciate da Benedetto XVI quando ancora era un 'semplice' porporato, il tutto prima di andare a profanare qualche chiesa sostituendo un volume dell'Enciclopedia Treccani al Messale Romano. Questo, almeno, è quello che ho capito io dalle ricostruzioni di stampa e tv.
Negli scorsi giorni abbiamo assistito a un'impressionante dimostrazione di disciplina: molto meglio di un plotone di guardie svizzere, la politica, la stampa e buona parte dell'opinione pubblica hanno fatto quadrato intorno alla Chiesa cattolica, una delle istituzioni più ingombranti del pianeta, da sempre abituata a deporre o incoronare monarchi, a impartire lezioni di moralità alle assemblee parlamentari, a suggerire scelte agli elettori ("Nella cabina elettorale Dio ti vede, ma Stalin no", si leggeva sui muri in quel fatidico 1948), a dettare - specialmente in Italia - le priorità dell'agenda politica. Anni fa la si era data prematuramente in via di estinzione: stava perdendo radicamento e consensi e con essi potere, o questo almeno suggerivano alcune sconfitte patite dal Vaticano, partendo dal XX settembre fino ad arrivare a quella dei referendum civili negli anni Settanta, passando per la crisi delle vocazioni e la liberalizzazione dei costumi.
La società italiana, si disse allora, si è secolarizzata, affrancando le proprie convinzioni civili dall'egemonia clericale. A smentire quelle analisi ci pensarono successivamente le adunate oceaniche ai piedi di Giovanni Paolo II, la batosta sulla fecondazione assistita e la cocente umiliazione patita nel derby delle manifestazioni lo scorso 12 maggio, con piazza San Giovanni gremita da centinaia di migliaia di persone e piazza Navona mezza vuota.
Tanto martellante è stata la propaganda vaticana sulla 'famiglia' e su come i comunisti l'avrebbero distrutta diffondendo libertinaggio e promiscuità che il governo di centro-sinistra ha dedicato uno dei suoi tanti ministeri proprio all'istituto familiare, mentre qualsiasi velleità di unioni civili o addirittura - orrore! - omosessuali scivolava malinconicamente nel dimenticatoio grazie al fuoco incrociato dei 'cattolici di entrambi gli schieramenti', santi tiratori infiammati a turno da Benedetto XVI, Bagnasco, Mastella e Casini. Nonostante il passare degli anni, l'Italia è insomma rimasto il Paese in cui 'Centro' non è una necessità ma uno stile di vita, dove autorità morali e politiche si rispettano poco ma poi guai a chi osa toccare il Santo Padre, dove con Dante il cristianesimo arriva a penetrare anche nelle origini della nostra stessa lingua.
Proprio in virtù di questo, molti commentatori e - stando a quanto visto in piazza San Pietro la scorsa domenica - circa duecentomila persone rivendicavano per Ratzinger il diritto sacrosanto di tenere il proprio discorso durante l'inaugurazione dell'anno accademico; questo diritto sarebbe stato violato. La vicenda è ancora avvolta in una foschia che ne rende i contorni indefiniti, facendola discendere ora dall'anticlericalismo radicale e un attimo dopo da uno dei soliti pasticci all'italiana, da un banale errore di comunicazione. Poco importa: dal proprio balcone - quello sì garantito sempre e comunque - il Papa deve aver sfoderato uno dei suoi proverbiali, dolci sorrisi, guardando di fronte a sé una folla immensa che ne piangeva le sorti e contando le decine di telecamere accorse ancora più numerose del solito.
A rendere più sublime la giornata, il fatto che lui non avesse dovuto fare altro che stare zitto. Già, perché, se andiamo a vedere, il ruolo di Sua Santità Papa Benedetto Decimosesto nella vicenda è stato nullo. "Laicità significa garantire diritto di parola a chiunque!", "Questo è integralismo!", "Nelle università serie lasciano parlare perfino Ahmadinejad!". Urla, urla, urla. La macchina della propaganda - termine non a caso coniato proprio dalla Chiesa - si è messa in moto da subito, oberando di lavoro le agenzie. Prima, per qualche giorno, si è tenuta l'Italia sulle spine, tentennando senza decidere definitivamente; poi, l'annuncio choc, il gran rifiuto; infine, gli appelli a tutti gli uomini di buona volontà affinché durante l'Angelus del 20 recassero il proprio omaggio al Pontefice imbavagliato, il tutto senza tenere conto di alcune incongruenze - nessuno ha 'impedito' il discorso, né tanto meno un testo letto da un podio/pulpito può essere paragonato ad un dibattito scientifico; ridicolo, poi, considerare oggi Joseph Ratzinger un professore - ma tant'è.
Se si considera poi che il discorso (riveduto e corretto?) è stato comunque letto, la faccenda si è conclusa con un successo senza precedenti dai tempi dell'Editto di Tessalonica; ancora una volta, qualora ce ne fosse stato bisogno, si è dimostrato che ad oggi l'unico attore sociale in grado di esercitare un controllo sulle masse è la Santa Romana Chiesa. Una vittoria totale e senza possibilità di rivincita: quello che giorni fa la Repubblica ha definito il 'cortocircuito della Sapienza' si è rivelato un trionfo assoluto delle gerarchie ecclesiastiche.
Stavolta, però, il carro del trionfo è biposto: l'altro passeggero è un personaggio riservato, rimasto in disparte quanto gli è stato possibile, ma è comunque da inserire tra coloro che hanno tratto enorme vantaggio dalla vicenda. Sto parlando, ovviamente, del Rettore Guarini, che in molti hanno accusato di superficialità; a mio modesto avviso, invece, il nostro Magnifico ha dimostrato un acume tattico degno del miglior Napoleone: mal sopportato da buona parte dell'Ateneo, inquisito e, per giunta, in scadenza di mandato, intravedeva nell'inaugurazione un assist formidabile per avversari e contestatori, con gli studenti di ambo gli schieramenti pronti a chiedere il conto ad una guida mai amata. Con uno stratagemma da disinformatija brezneviana, Guarini è riuscito a sfruttare tutte le parti in causa per uscire, ancora una volta, dalla porta di servizio. Applausi.
Per ogni vincitore, però, c'è uno sconfitto. Hanno perso i movimenti degli studenti, da troppi anni abbandonati all'autorganizzazione e incapaci di intravedere nei manifesti contro Ratzinger un regalo colossale a chi li vede come contestatori professionisti, come dei piccoli ducetti mascherati da trasgressivi ignari delle regole della convivenza democratica, o magari come dei depravati. Gli studenti della Sapienza sono stati tra i primi a sapere della visita, alcune voci circolavano già dalla fine di dicembre; in così tanto tempo non si è stati in grado di individuare una strategia efficace, né di sottoporla agli altri studenti. I papisti e i cardinali non ringrazieranno mai abbastanza per una 'frocessione' che per loro - indipendentemente dal suo significato reale - è solo una pittoresca manifestazione di ignoranza.
Soprattutto, però, sono state sconfitte quelle idee che all'inizio ho citato di sfuggita: laicità, libertà di ricerca, università, istruzione pubblica, Stato. Lo Stato - rappresentato dal ministro Mussi e dal sindaco-tuttofare Veltroni - ha ciecamente solidarizzato, non si sa su cosa. Io, invece, chiudo, per non mescolare certe cose con questo squallido teatrino.