Pressing di Formigoni "Aborto terapeutico non oltre le 22 settimane"
La Repubblica del 23 gennaio 2008, pag. 13
di Andrea Montanari
Aborto terapeutico in Lombardia da ora in poi non oltre le 22 settimane e tre giorni dal concepimento del feto. Lo stesso giorno in cui il presidente della Cei, cardinale Antonio Bagnasco, ribadisce che «per la Chiesa l'aborto è un crimine», chiedendo che la legge in vigore «venga almeno applicata nelle parti che tutelano la maternità, prendendo in considerazione i risultati della ricerca scientifica», il governatore Roberto Formigoni di fatto ha anticipato, almeno in Lombardia, la riforma della legge 194, come auspicato anche dal leader del movimento per la Vita Carlo Casini.
L'indirizzo approvato ieri dalla sua giunta, infatti, riduce di due settimane il termine ultimo entro il quale sarà possibile effettuare delle interruzioni volontarie di gravidanza, «ad eccezione dei casi in cui non sussiste la possibilità di vita autonoma del feto». Estendendo a tutte le strutture lombarde il limite adottato già dal 2004 dalla clinica Mangiagalli di Milano e, dall'agosto scorso, da un altro importante istituto milanese, l'ospedale San Paolo. In aggiunta, la Lombardia destinerà altri otto milioni di euro ai 284 consultori sparsi nella regione, 225 pubblici 59 privati. Una decisione destinata a sollevare polemiche.
«Non è una sfida — precisa subito il governatore Roberto Formigoni — ma un atto che prende atto del progresso scientifico. Occorre garantire la libertà della donna. La nostra vuole essere un'iniziativa positiva, frutto di una costante applicazione della ricerca. Siamo la prima regione a farlo. Non so cosa succederà a livello nazionale, ma noi offriamo la nostra scelta alla riflessione delle altre regioni. Credo che lo Stato stesso debba gioire di come in Italia si fanno questi progressi». L'assessore lombardo alla Sanità, il leghista Luciano Bresciani, parla «di miglioramento di fronte a un fenomeno spaventoso», mentre quello alla Famiglia Giancarlo Abelli di Forza Italia definisce i consultori «luoghi della sessualità responsabile». Scettica la reazione del Partito democratico, che accusa Formigoni di incoerenza. «Se non avesse dato la sua adesione tempestiva alla moratoria sull'aborto proposta da Giuliano Ferrara — spiegano le consigliere regionali Ardemia Oriani e Maria Grazia Fabrizio — le linee di indirizzo appena emanate avrebbero rappresentato la volontà di applicare pienamente la 194».
Polemica anche la segretaria generale della Cgil Lombardia Susanna Camusso: «Spaventa che la Lombardia abbia deciso di adottare questo principio. Se si volesse veramente fare un'operazione positiva, bisognerebbe dire con chiarezza in quanti luoghi è possibile fare in tempi brevi una diagnosi prenatale senza limiti. La donna deve essere veramente libera di scegliere».
A sostegno della decisione della giunta lombarda, al contrario, autorevoli esperti della ginecologia come Alessandra Kustermann, responsabile del servizio diagnosi precoce della fondazione Ospedale Maggiore Policlinico di Milano: «Oggi è stato compiuto un passo avanti nell'applicazione della legge 194». Nel frattempo, anche dal ministero della Salute giungono le indicazioni sulle cure da prestare ai nati molto pre termine (tra le 22 e le 25 settimane),
frutto del lavoro di un gruppo di esperti riuniti lo scorso aprile dal ministro Livia Turco, che ha messo a punto un documento conclusivo che sarà trasmesso al Consiglio superiore della sanità impegnato a formulare un parere sul tema. «Nel corso degli ultimi decenni— sostiene il documento — profondi progressi diagnostico-terapeutici, sia sul versante ostetrico che su quello neo natale, hanno immesso nell'agire professionale atti clinici che, da eccezionali, sono diventati frequenti. Non è più un fatto straordinario prestare cure mediche al travaglio del parto e al neonato di bassissima età gestazionale. Questa situazione interagisce con la società nel suo complesso e le decisioni ad essa connesse coinvolgono importanti aspetti umani, etici, deontologici, medico — legali, economici e organizzativi». Decisamente contrario il segretario milanese dei Radicali Valerio Federico: «Imporre le ventidue settimane è una decisione propagandistica. Gli ospedali devono poter decidere autonomamente. Quanto al parere della Kustermann, non ci aspettiamo che sia lei a dirci quando inizia la vita di un individuo».
Positivo, invece, il giudizio di tutto il centrodestra lombardo, del Moige, il movimento italiano genitori e del presidente onorario del comitato nazionale di Bioetica Francesco D'Agostino, che però precisa: «La politica non decida chi deve vivere. Non si deve svuotare la responsabilità dei medici».
La Repubblica del 23 gennaio 2008, pag. 13
di Andrea Montanari
Aborto terapeutico in Lombardia da ora in poi non oltre le 22 settimane e tre giorni dal concepimento del feto. Lo stesso giorno in cui il presidente della Cei, cardinale Antonio Bagnasco, ribadisce che «per la Chiesa l'aborto è un crimine», chiedendo che la legge in vigore «venga almeno applicata nelle parti che tutelano la maternità, prendendo in considerazione i risultati della ricerca scientifica», il governatore Roberto Formigoni di fatto ha anticipato, almeno in Lombardia, la riforma della legge 194, come auspicato anche dal leader del movimento per la Vita Carlo Casini.
L'indirizzo approvato ieri dalla sua giunta, infatti, riduce di due settimane il termine ultimo entro il quale sarà possibile effettuare delle interruzioni volontarie di gravidanza, «ad eccezione dei casi in cui non sussiste la possibilità di vita autonoma del feto». Estendendo a tutte le strutture lombarde il limite adottato già dal 2004 dalla clinica Mangiagalli di Milano e, dall'agosto scorso, da un altro importante istituto milanese, l'ospedale San Paolo. In aggiunta, la Lombardia destinerà altri otto milioni di euro ai 284 consultori sparsi nella regione, 225 pubblici 59 privati. Una decisione destinata a sollevare polemiche.
«Non è una sfida — precisa subito il governatore Roberto Formigoni — ma un atto che prende atto del progresso scientifico. Occorre garantire la libertà della donna. La nostra vuole essere un'iniziativa positiva, frutto di una costante applicazione della ricerca. Siamo la prima regione a farlo. Non so cosa succederà a livello nazionale, ma noi offriamo la nostra scelta alla riflessione delle altre regioni. Credo che lo Stato stesso debba gioire di come in Italia si fanno questi progressi». L'assessore lombardo alla Sanità, il leghista Luciano Bresciani, parla «di miglioramento di fronte a un fenomeno spaventoso», mentre quello alla Famiglia Giancarlo Abelli di Forza Italia definisce i consultori «luoghi della sessualità responsabile». Scettica la reazione del Partito democratico, che accusa Formigoni di incoerenza. «Se non avesse dato la sua adesione tempestiva alla moratoria sull'aborto proposta da Giuliano Ferrara — spiegano le consigliere regionali Ardemia Oriani e Maria Grazia Fabrizio — le linee di indirizzo appena emanate avrebbero rappresentato la volontà di applicare pienamente la 194».
Polemica anche la segretaria generale della Cgil Lombardia Susanna Camusso: «Spaventa che la Lombardia abbia deciso di adottare questo principio. Se si volesse veramente fare un'operazione positiva, bisognerebbe dire con chiarezza in quanti luoghi è possibile fare in tempi brevi una diagnosi prenatale senza limiti. La donna deve essere veramente libera di scegliere».
A sostegno della decisione della giunta lombarda, al contrario, autorevoli esperti della ginecologia come Alessandra Kustermann, responsabile del servizio diagnosi precoce della fondazione Ospedale Maggiore Policlinico di Milano: «Oggi è stato compiuto un passo avanti nell'applicazione della legge 194». Nel frattempo, anche dal ministero della Salute giungono le indicazioni sulle cure da prestare ai nati molto pre termine (tra le 22 e le 25 settimane),
frutto del lavoro di un gruppo di esperti riuniti lo scorso aprile dal ministro Livia Turco, che ha messo a punto un documento conclusivo che sarà trasmesso al Consiglio superiore della sanità impegnato a formulare un parere sul tema. «Nel corso degli ultimi decenni— sostiene il documento — profondi progressi diagnostico-terapeutici, sia sul versante ostetrico che su quello neo natale, hanno immesso nell'agire professionale atti clinici che, da eccezionali, sono diventati frequenti. Non è più un fatto straordinario prestare cure mediche al travaglio del parto e al neonato di bassissima età gestazionale. Questa situazione interagisce con la società nel suo complesso e le decisioni ad essa connesse coinvolgono importanti aspetti umani, etici, deontologici, medico — legali, economici e organizzativi». Decisamente contrario il segretario milanese dei Radicali Valerio Federico: «Imporre le ventidue settimane è una decisione propagandistica. Gli ospedali devono poter decidere autonomamente. Quanto al parere della Kustermann, non ci aspettiamo che sia lei a dirci quando inizia la vita di un individuo».
Positivo, invece, il giudizio di tutto il centrodestra lombardo, del Moige, il movimento italiano genitori e del presidente onorario del comitato nazionale di Bioetica Francesco D'Agostino, che però precisa: «La politica non decida chi deve vivere. Non si deve svuotare la responsabilità dei medici».