Corriere della Sera 30.1.08
Presidenza del Cnr e politica
Maiani firmò contro il Papa? Nominato, ma con riserva
di Sergio Luzzatto
Uno dei guai dell'Italia (si sente dire spesso, e a ragione) è l'invadenza della politica. Il fatto che i partiti penetrano dovunque, si infilano dappertutto. Anche là dove più che mai dovrebbe prevalere non il criterio dell'appartenenza, ma quello della competenza: per le nomine ai vertici delle grandi aziende, degli ospedali, degli enti di ricerca.
Gli enti di ricerca meritano tuttavia un discorso più preciso. Perché siamo di fronte a uno di quei casi in cui il governo Prodi e il centrosinistra si sono comportati bene, pur «comunicandolo» male. A fronte di una crisi devastante dell'intero nostro sistema di ricerca, il governo uscente e l'ex maggioranza parlamentare sono riusciti a praticare un metodo nuovo nell'investitura delle massime cariche.
Quel che più conta, un metodo buono.
Il metodo è presto descritto. Un «comitato di ricerca» indipendente, composto da esperti nazionali e internazionali, seleziona (motivando) una terna di candidati per la direzione dell'uno o dell'altro ente. E il ministro della Ricerca scientifica sceglie (motivando) nell'ambito di tale terna.
Dopodiché il ministro procede a raccogliere il parere, consultivo ma non vincolante, delle commissioni competenti di Camera e Senato.
Nel corso del 2007, questo metodo è stato applicato con successo a due enti di ricerca che venivano da esperienze travagliate: l'Agenzia spaziale italiana (Asi), oggi presieduta da Giovanni Bignami, e l'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), alla cui presidenza è stato nominato Tommaso Maccacaro. Sia Bignami che Maccacaro sono scienziati di assoluto valore internazionale. E le commissioni parlamentari ne hanno facilmente riconosciuto i meriti, approvando entrambe le nomine all'unanimità.
Dopo un identico processo di selezione, sembrava destinata a raggiungere l'esito felice di un'approvazione bipartisan anche la nomina di un altro grande fisico italiano, Luciano Maiani, alla presidenza del maggiore fra i nostri enti di ricerca, il Cnr. L'11 gennaio scorso, la prestigiosa rivista americana Science aveva salutato la nomina di Maiani, già direttore del Cern di Ginevra, come un «trionfo del merito sulla politica». Ma la settimana successiva, quando è esplosa l'affaire del Papa all'inaugurazione della Sapienza, si è scoperto che la firma di Maiani figurava tra quelle dei 67 professori di fisica che avevano rimproverato al rettore l'opportunità di quell'invito. E in alcuni ambienti politico-culturali del centrodestra si è cominciato a sostenere che la firma di Maiani «contro il Papa» era una cosa molto grave, così grave da suggerire prudenza rispetto alla sua nomina ai vertici del Cnr.
Per fortuna, argomenti del genere non hanno risuonato ieri al Senato, durante i lavori della Commissione Istruzione che doveva valutare la scelta del ministro Mussi. È pur vero che i senatori del centrodestra hanno preferito astenersi dal voto, mentre i loro colleghi del centrosinistra si pronunciavano favorevolmente sulla nomina di Maiani alla presidenza del Cnr. Ma l'astensione non è stata presentata dal centrodestra né come un gesto di sfiducia personale verso lo stesso Maiani, né come una contestazione del metodo impiegato per selezionarlo. Piuttosto, come una forma di (garbata) protesta politica, rispetto alla tempistica di una nomina che interviene a governo dimissionario.
Così, tutto è bene quel che finisce bene. O piuttosto finirà bene, quando la nomina di Maiani sarà stata approvata anche dalla Commissione Istruzione della Camera. E la nostra classe politica, una tantum, può felicitarsi con se stessa. Per avere fatto un passo indietro, riducendo i margini della sua discrezionalità. Per avere rispettato l'autonomia della comunità scientifica.
Per avere posto il Cnr nelle mani di un fisico che il mondo ci invidia.
Presidenza del Cnr e politica
Maiani firmò contro il Papa? Nominato, ma con riserva
di Sergio Luzzatto
Uno dei guai dell'Italia (si sente dire spesso, e a ragione) è l'invadenza della politica. Il fatto che i partiti penetrano dovunque, si infilano dappertutto. Anche là dove più che mai dovrebbe prevalere non il criterio dell'appartenenza, ma quello della competenza: per le nomine ai vertici delle grandi aziende, degli ospedali, degli enti di ricerca.
Gli enti di ricerca meritano tuttavia un discorso più preciso. Perché siamo di fronte a uno di quei casi in cui il governo Prodi e il centrosinistra si sono comportati bene, pur «comunicandolo» male. A fronte di una crisi devastante dell'intero nostro sistema di ricerca, il governo uscente e l'ex maggioranza parlamentare sono riusciti a praticare un metodo nuovo nell'investitura delle massime cariche.
Quel che più conta, un metodo buono.
Il metodo è presto descritto. Un «comitato di ricerca» indipendente, composto da esperti nazionali e internazionali, seleziona (motivando) una terna di candidati per la direzione dell'uno o dell'altro ente. E il ministro della Ricerca scientifica sceglie (motivando) nell'ambito di tale terna.
Dopodiché il ministro procede a raccogliere il parere, consultivo ma non vincolante, delle commissioni competenti di Camera e Senato.
Nel corso del 2007, questo metodo è stato applicato con successo a due enti di ricerca che venivano da esperienze travagliate: l'Agenzia spaziale italiana (Asi), oggi presieduta da Giovanni Bignami, e l'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), alla cui presidenza è stato nominato Tommaso Maccacaro. Sia Bignami che Maccacaro sono scienziati di assoluto valore internazionale. E le commissioni parlamentari ne hanno facilmente riconosciuto i meriti, approvando entrambe le nomine all'unanimità.
Dopo un identico processo di selezione, sembrava destinata a raggiungere l'esito felice di un'approvazione bipartisan anche la nomina di un altro grande fisico italiano, Luciano Maiani, alla presidenza del maggiore fra i nostri enti di ricerca, il Cnr. L'11 gennaio scorso, la prestigiosa rivista americana Science aveva salutato la nomina di Maiani, già direttore del Cern di Ginevra, come un «trionfo del merito sulla politica». Ma la settimana successiva, quando è esplosa l'affaire del Papa all'inaugurazione della Sapienza, si è scoperto che la firma di Maiani figurava tra quelle dei 67 professori di fisica che avevano rimproverato al rettore l'opportunità di quell'invito. E in alcuni ambienti politico-culturali del centrodestra si è cominciato a sostenere che la firma di Maiani «contro il Papa» era una cosa molto grave, così grave da suggerire prudenza rispetto alla sua nomina ai vertici del Cnr.
Per fortuna, argomenti del genere non hanno risuonato ieri al Senato, durante i lavori della Commissione Istruzione che doveva valutare la scelta del ministro Mussi. È pur vero che i senatori del centrodestra hanno preferito astenersi dal voto, mentre i loro colleghi del centrosinistra si pronunciavano favorevolmente sulla nomina di Maiani alla presidenza del Cnr. Ma l'astensione non è stata presentata dal centrodestra né come un gesto di sfiducia personale verso lo stesso Maiani, né come una contestazione del metodo impiegato per selezionarlo. Piuttosto, come una forma di (garbata) protesta politica, rispetto alla tempistica di una nomina che interviene a governo dimissionario.
Così, tutto è bene quel che finisce bene. O piuttosto finirà bene, quando la nomina di Maiani sarà stata approvata anche dalla Commissione Istruzione della Camera. E la nostra classe politica, una tantum, può felicitarsi con se stessa. Per avere fatto un passo indietro, riducendo i margini della sua discrezionalità. Per avere rispettato l'autonomia della comunità scientifica.
Per avere posto il Cnr nelle mani di un fisico che il mondo ci invidia.