Il Riformista 22.1.08
L'attacco mediatico subìto
La politica ha volutamente ignorato le ragioni dei 67 fisici della Sapienza
Tra i firmatari ci sono molti scienziati di prestigio
Essere uno dei docenti della Sapienza che avevano chiesto al Magnifico Rettore di organizzare l'apertura dell'anno accademico in modo diverso da quello proposto mi ha obbligato, negli ultimi giorni, a lunghe riflessioni. Alcune considerazioni possono aiutare a trarre da questa vicenda un insegnamento: voglio sintetizzarle qui, perché le sento ben inquadrate dal fondo con cui Paolo Franchi apriva il numero del 16 gennaio del Riformista .
L'atto fortemente negativo e inaccettabile della rinuncia del Vaticano alla visita alla Sapienza è nato da due fatti reali: una lettera interna in cui una parte tangibile di un gruppo "disciplinare" di docenti, i "fisici", chiedeva di non inaugurare l'anno accademico con il discorso di una suprema autorità religiosa (ma che, naturalmente, la riteneva ospite rispettato dal momento in cui l'invito era stato inviato), e una protesta con caratteri di forte irriverenza (ma in nessun momento, mi sembra, di violenza) di un piccolo gruppo di studenti.
A me non sembra che una possibile insipienza politica dei fisici sia la constatazione più importante da dedurre da quel che è successo, anche se personalmente, tanto per essere chiari, la ritengo possibile. In modo elegante Lucia Annunziata notava che avremmo potuto ben percepire che la parola "incongrua" avrebbe creato scalpore. In modo molto più diretto e molto meno condivisibile Massimo Cacciari, nostro collega accademico dotato di un vocabolario ovviamente preso in prestito da altri lidi, ci accusa di "cretinismo politico" (e capisce tanto poco del modo di pensare di un gruppo di scienziati di valore che dice di avere la sensazione che noi volessimo "spostare voti a sinistra": questa è ovviamente una considerazione assurda, e l'averla pronunciata denuncia un'ignoranza completa del nostro mondo).
Una chiave di lettura generale, invece, che sorpassa di gran lunga la vicenda specifica e ha riferimenti alla drammaticità di quel che sta succedendo in Italia, mi sembra sia contenuta soprattutto nell'atteggiamento che la politica ha assunto verso i "67 fisici". L'attacco è stato durissimo, e assolutamente sprezzante. Non si è mai distinto, per esempio, fra l'espressione di un dissenso accademico moderato e rispettoso, e manifestazioni studentesche che sono tutto un altro fenomeno. I 67 hanno sempre dichiarato di essere assolutamente contro ogni violenza, anche verbale, e contro ogni disturbo, ogni prevaricazione, ogni manifestazione che non fosse pienamente legittima e tollerante: ma tutto questo è stato sempre e del tutto ignorato. Sembra che la politica, individuando (probabilmente giustamente) una situazione difficile e pericolosa, abbia deciso che fosse necessario intervenire sull'immediato: questo si chiama in inglese "damage control", e ha previsto in questo caso il massacro mediatico dei 67, fra i quali molti scienziati di prestigio enorme.
Questa mi sembra la chiave di lettura forte: la politica italiana non è riuscita a mettersi in rapporto con una parte di eccellenza del paese. Era una parte che nel caso specifico forse sbagliava, ma certamente esprimendo in tutta onestà una visione del mondo. Questo fenomeno è molto diffuso, ed è alla radice di molti dei problemi del paese. È ovvio, inevitabile e appropriato che la politica debba risolvere i problemi dei prossimi quindici giorni. È grave invece se la visione di medio o lungo termine viene persa: questa mi sembra, purtroppo, la situazione oggi in Italia. Il disastro è già con noi, ha le sue basi anche nella delegittimazione di vari settori della "classe dirigente" (fra questi annovero i fisici ma anche i magistrati, per molti dei quali, indipendentemente dal valore dell'inchiesta in questione, deve esser ben triste assistere a certi pomeriggi di applausi entusiasti in cui il nostro Parlamento decide di indulgere). Un paese che non riesce a utilizzare le sue competenze è un paese che non ha speranze di tenere il passo con il resto del mondo.
Un primo esempio: i recenti casi di intercettazioni telefoniche, complessi certo, con tante questioni di attendibilità, mostrano però in modo inequivocabile che, in modo diffuso nel paese, i medici che dirigono la nostra sanità vengono scelti perché amici, cugini, sodali («ma non lo teniamo un neurochirurgo nostro?»). Mai perché bravi e competenti, mai perché i migliori. Eppure un medico bravo ti guarisce e un medico incompetente ti ammazza: è una questione, sul serio, di vita o di morte. Ma per molti politici questo problema non c'è, e di fronte all'ennesima esposizione di un costume non solo incivile ma sostanzialmente criminale si sceglie di applaudire l'invettiva contro chi questa situazione devastata e devastante ci presenta. L'esempio mi sembra vicino a quello dei "fisici" perché di nuovo i medici sono, sanno e possono essere "grandi scienziati", che migliorano il percorso dell'umanità e salvano le nostre vite. Ma in parte d'Italia il medico di grande valore non ha spazio e non può avere voce: il capo, scelto dai politici, è il sodale, e lui sceglierà i suoi sottoposti con gli stessi criteri. «Ma non lo teniamo un pediatra nostro?», e muoia il bambino, gettato via con tutta l'acqua calda. Se la "democrazia minima" descritta da Diamanti è certamente un problema per il paese, cos'è questa se non una "democrazia infinitesimale", in cui pochissimi detengono il potere di scelte che esercitano in modo devastante? Una democrazia tanto piccola da poter essere vista solo come il risultato di un processo di limite, tanto lontano da non avere, di democratico, quasi più nulla?
Conviene poi tornare al problema della tecnologia. L'approccio del nostro paese al problema energetico è il figlio malato della stessa impostazione, ed è devastato dal fatto che non si riesce a riconoscere settori di persone con competenze specifiche che siano ascoltate e riconosciute. Se si guardano i nomi dei 67 si trovano visioni diverse rispetto al problema dell'energia nucleare, ma si trovano certamente enormi competenze e rigore. Eppure la politica non riesce a congiurare con i 67, così come con i medici eccellenti, per dare al paese modo di crescere: sceglie invece la demagogia. Oggi il problema dell'energia si sta ponendo in tutto il mondo, e l'Europa sta cambiando alcune delle sue scelte. Anche in Italia il governo si muove: di nascosto, però (e questo, nell'avvitamento che sto cercando di descrivere, è anche necessario, o non si riuscirebbe a fare nemmeno un passetto), con piccoli atti che avranno il merito, forse, di non lasciarci proprio nei guai. Però questo modo di procedere non ci consentirà mai di essere innovatori, leader, ricercatori di avanguardia: questo non può essere fatto senza dibattito pubblico, senza sinergie oneste fra politica, industrie, ricerca, e senza una politica che serva a fare crescere e non a difendere una prassi disastrosa.
L'ultimo esempio, davvero drammatico, è quello dei rifiuti. Non devo dire molto per mostrare che siamo nella stessa categoria. Demagogia facile, in cui la gerarchia cattolica ha avuto responsabilità stranamente (ma non troppo) vicine a quelle di un ecologismo davvero d'accatto, competenze tradite, denari distribuiti con enorme abbondanza senza alcuna ricaduta vera. E qui il dramma è tanto forte che l'incapacità a risolverlo diventa insostenibile. Di nuovo, insomma, la politica non è riuscita, nel caso dei rifiuti, a finalizzare un progetto globale e a mettere in atto i mezzi che consentano di realizzare questo progetto. Di nuovo, si tratta di una questione vitale in cui è necessaria la sinergia fra conoscenze tecnologiche avanzate e coinvolgimento dei cittadini in un progetto credibile. Ovviamente, di nuovo, in Italia stiamo registrando un fallimento epocale.
Non so legare queste considerazioni a proposte concrete per cambiare: so però che le parole di Franchi sulla laicità mi hanno portato sin qui, e ho la netta impressione che questo corto circuito non sia stato casuale.
Professore di Fisica Teorica all'Università di Roma "La Sapienza"
L'attacco mediatico subìto
La politica ha volutamente ignorato le ragioni dei 67 fisici della Sapienza
Tra i firmatari ci sono molti scienziati di prestigio
Essere uno dei docenti della Sapienza che avevano chiesto al Magnifico Rettore di organizzare l'apertura dell'anno accademico in modo diverso da quello proposto mi ha obbligato, negli ultimi giorni, a lunghe riflessioni. Alcune considerazioni possono aiutare a trarre da questa vicenda un insegnamento: voglio sintetizzarle qui, perché le sento ben inquadrate dal fondo con cui Paolo Franchi apriva il numero del 16 gennaio del Riformista .
L'atto fortemente negativo e inaccettabile della rinuncia del Vaticano alla visita alla Sapienza è nato da due fatti reali: una lettera interna in cui una parte tangibile di un gruppo "disciplinare" di docenti, i "fisici", chiedeva di non inaugurare l'anno accademico con il discorso di una suprema autorità religiosa (ma che, naturalmente, la riteneva ospite rispettato dal momento in cui l'invito era stato inviato), e una protesta con caratteri di forte irriverenza (ma in nessun momento, mi sembra, di violenza) di un piccolo gruppo di studenti.
A me non sembra che una possibile insipienza politica dei fisici sia la constatazione più importante da dedurre da quel che è successo, anche se personalmente, tanto per essere chiari, la ritengo possibile. In modo elegante Lucia Annunziata notava che avremmo potuto ben percepire che la parola "incongrua" avrebbe creato scalpore. In modo molto più diretto e molto meno condivisibile Massimo Cacciari, nostro collega accademico dotato di un vocabolario ovviamente preso in prestito da altri lidi, ci accusa di "cretinismo politico" (e capisce tanto poco del modo di pensare di un gruppo di scienziati di valore che dice di avere la sensazione che noi volessimo "spostare voti a sinistra": questa è ovviamente una considerazione assurda, e l'averla pronunciata denuncia un'ignoranza completa del nostro mondo).
Una chiave di lettura generale, invece, che sorpassa di gran lunga la vicenda specifica e ha riferimenti alla drammaticità di quel che sta succedendo in Italia, mi sembra sia contenuta soprattutto nell'atteggiamento che la politica ha assunto verso i "67 fisici". L'attacco è stato durissimo, e assolutamente sprezzante. Non si è mai distinto, per esempio, fra l'espressione di un dissenso accademico moderato e rispettoso, e manifestazioni studentesche che sono tutto un altro fenomeno. I 67 hanno sempre dichiarato di essere assolutamente contro ogni violenza, anche verbale, e contro ogni disturbo, ogni prevaricazione, ogni manifestazione che non fosse pienamente legittima e tollerante: ma tutto questo è stato sempre e del tutto ignorato. Sembra che la politica, individuando (probabilmente giustamente) una situazione difficile e pericolosa, abbia deciso che fosse necessario intervenire sull'immediato: questo si chiama in inglese "damage control", e ha previsto in questo caso il massacro mediatico dei 67, fra i quali molti scienziati di prestigio enorme.
Questa mi sembra la chiave di lettura forte: la politica italiana non è riuscita a mettersi in rapporto con una parte di eccellenza del paese. Era una parte che nel caso specifico forse sbagliava, ma certamente esprimendo in tutta onestà una visione del mondo. Questo fenomeno è molto diffuso, ed è alla radice di molti dei problemi del paese. È ovvio, inevitabile e appropriato che la politica debba risolvere i problemi dei prossimi quindici giorni. È grave invece se la visione di medio o lungo termine viene persa: questa mi sembra, purtroppo, la situazione oggi in Italia. Il disastro è già con noi, ha le sue basi anche nella delegittimazione di vari settori della "classe dirigente" (fra questi annovero i fisici ma anche i magistrati, per molti dei quali, indipendentemente dal valore dell'inchiesta in questione, deve esser ben triste assistere a certi pomeriggi di applausi entusiasti in cui il nostro Parlamento decide di indulgere). Un paese che non riesce a utilizzare le sue competenze è un paese che non ha speranze di tenere il passo con il resto del mondo.
Un primo esempio: i recenti casi di intercettazioni telefoniche, complessi certo, con tante questioni di attendibilità, mostrano però in modo inequivocabile che, in modo diffuso nel paese, i medici che dirigono la nostra sanità vengono scelti perché amici, cugini, sodali («ma non lo teniamo un neurochirurgo nostro?»). Mai perché bravi e competenti, mai perché i migliori. Eppure un medico bravo ti guarisce e un medico incompetente ti ammazza: è una questione, sul serio, di vita o di morte. Ma per molti politici questo problema non c'è, e di fronte all'ennesima esposizione di un costume non solo incivile ma sostanzialmente criminale si sceglie di applaudire l'invettiva contro chi questa situazione devastata e devastante ci presenta. L'esempio mi sembra vicino a quello dei "fisici" perché di nuovo i medici sono, sanno e possono essere "grandi scienziati", che migliorano il percorso dell'umanità e salvano le nostre vite. Ma in parte d'Italia il medico di grande valore non ha spazio e non può avere voce: il capo, scelto dai politici, è il sodale, e lui sceglierà i suoi sottoposti con gli stessi criteri. «Ma non lo teniamo un pediatra nostro?», e muoia il bambino, gettato via con tutta l'acqua calda. Se la "democrazia minima" descritta da Diamanti è certamente un problema per il paese, cos'è questa se non una "democrazia infinitesimale", in cui pochissimi detengono il potere di scelte che esercitano in modo devastante? Una democrazia tanto piccola da poter essere vista solo come il risultato di un processo di limite, tanto lontano da non avere, di democratico, quasi più nulla?
Conviene poi tornare al problema della tecnologia. L'approccio del nostro paese al problema energetico è il figlio malato della stessa impostazione, ed è devastato dal fatto che non si riesce a riconoscere settori di persone con competenze specifiche che siano ascoltate e riconosciute. Se si guardano i nomi dei 67 si trovano visioni diverse rispetto al problema dell'energia nucleare, ma si trovano certamente enormi competenze e rigore. Eppure la politica non riesce a congiurare con i 67, così come con i medici eccellenti, per dare al paese modo di crescere: sceglie invece la demagogia. Oggi il problema dell'energia si sta ponendo in tutto il mondo, e l'Europa sta cambiando alcune delle sue scelte. Anche in Italia il governo si muove: di nascosto, però (e questo, nell'avvitamento che sto cercando di descrivere, è anche necessario, o non si riuscirebbe a fare nemmeno un passetto), con piccoli atti che avranno il merito, forse, di non lasciarci proprio nei guai. Però questo modo di procedere non ci consentirà mai di essere innovatori, leader, ricercatori di avanguardia: questo non può essere fatto senza dibattito pubblico, senza sinergie oneste fra politica, industrie, ricerca, e senza una politica che serva a fare crescere e non a difendere una prassi disastrosa.
L'ultimo esempio, davvero drammatico, è quello dei rifiuti. Non devo dire molto per mostrare che siamo nella stessa categoria. Demagogia facile, in cui la gerarchia cattolica ha avuto responsabilità stranamente (ma non troppo) vicine a quelle di un ecologismo davvero d'accatto, competenze tradite, denari distribuiti con enorme abbondanza senza alcuna ricaduta vera. E qui il dramma è tanto forte che l'incapacità a risolverlo diventa insostenibile. Di nuovo, insomma, la politica non è riuscita, nel caso dei rifiuti, a finalizzare un progetto globale e a mettere in atto i mezzi che consentano di realizzare questo progetto. Di nuovo, si tratta di una questione vitale in cui è necessaria la sinergia fra conoscenze tecnologiche avanzate e coinvolgimento dei cittadini in un progetto credibile. Ovviamente, di nuovo, in Italia stiamo registrando un fallimento epocale.
Non so legare queste considerazioni a proposte concrete per cambiare: so però che le parole di Franchi sulla laicità mi hanno portato sin qui, e ho la netta impressione che questo corto circuito non sia stato casuale.
Professore di Fisica Teorica all'Università di Roma "La Sapienza"